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Autore: Natalja_Aljona    05/12/2011    3 recensioni
Su un treno a vapore, una ragazzina slava aspetta.
Aspetta l'ultima fermata, la stazione pietroburghese, aspetta il suo sogno che non sa se aspetterà lei.
Neve, vento forte e una stella da bruciare.
Sorrisi da rubare e cicatrici da guarire.
Il suo sogno brilla, il suo sogno è lì.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Legato al tuo sorriso, cammino sopra il fuoco


Lei coi capelli di sole sommersi

Io in mezzo ai mari che corsi

Lei sotto i suoi cieli inversi

(Due Universi, Claudio Baglioni)


La ragazzina aveva l'aria un po' smarrita, persa oltre il finestrino d'un treno che correva e correva.

Di tanto in tanto sbuffava, giocava coi riccioli, bella di quella sua bellezza quasi assorta, sistemandosi il vestito indaco spiegazzato e poi rassegnandosi, graziosa quanto disordinata, con un sospiro lieve.

S'era sciolta senza accorgersene il nastro turchese dei capelli, dapprima non se n'era curata, stavan meglio sciolti, in fondo, il nastro come braccialetto, il sorriso un po' esitante a illuminare quel visino.

Tremava, mordendosi le labbra screpolate, vittima d'un'emozione inquieta, un batticuore più selvaggio della corsa di quel treno.

Bionda, con un'aria da zingarella un po' curiosa un po' altezzosa, una figurina esile esile che si stagliava nella luce fioca d'un vagone addormentato, contro il sedile di pelle lacera del treno Krasnojarsk - San Pietroburgo.

Non sapeva quando si sarebbe fermato, non sapeva se sarebbe arrivato prima che le lacrime la tradissero.

Avrebbe pianto forse solo col pensiero, frantumando ricordi in quella sua testolina troppo bionda e un po' confusa, intrecciando preghiere nella fiamma del dubbio, giurando che le sue speranze valevano ancora qualcosa.

Dava da pensare, con quei capelli di grano tanto mossi perfino in quella quiete di cristallo, senza vento, gli occhi grandi, d'un azzurro perlaceo quasi grigio o d'un grigio scintillante quasi azzurro.

Chiari e a tratti indispettiti, ribelli, vinti e poi malinconici, quegli occhi, lucidi di stupore, rapido il movimento delle ciglia, talvolta celati dalle palpebre.

Li socchiudeva e poi li sgranava, cercava il cielo, fuori dal finestrino, ma incontrava solo il fumo, il fumo e la nebbia a tradire la vista, a farla voltare quasi offesa, delusa.

-George- fu il sussurro che le rubò il respiro poco dopo, il treno doveva aver attraversato un'altra cittadina siberiana, la Capitale zarista era ancora lontana.

Tra i polpastrelli, stretta con presa fragile, una miniatura, un ritratto che stava tra le pagine d'un quadernetto dalla robusta copertina celeste, il ritratto d'un giovane uomo.

Bello da toglierle il fiato anche su un fragile frammento di carta, rapito dai colori d'un pittore di strada, dipinto di sfuggita su una cicatrice di tela, eppure splendido come nel suo ricordo più doloroso.

Bello anche senza volerlo, il suo eroe d'altri tempi, il ragazzino cresciuto un po' per sbaglio un po' di fretta.

E già solo a immaginarselo a Pietroburgo, quel George, gli stivali affondati nella neve con cui non aveva un vero e proprio rapporto, lui...

Le veniva da ridere, tanto.

Lui era il Greco, quello con il sole negli occhi e tra le mani, il suo, di sole, quel sole sempre un po' troppo luminoso e troppo caldo, per lei.

Lei viveva per la neve e per il vento, lui col sole sulla pelle tutto l'anno, ma il sole lui glielo faceva sentire solo a sfiorarla con la mano, e lei aveva sempre la pelle gelida...

Le sue mani da scaldare, i sorrisi di George da rubare e ricordare per i suoi mille ritorni in Siberia...

Le facevano male, male e quel certo solletico al cuore, quel tremore leggero leggero che la costringeva a realizzare che non era dolore, ma nostalgia.

Ma sarebbe arrivato, prima o poi, quel treno!

Se lo augurava, la biondina russa, se lo augurava davvero.

Se lo augurava, ma quando il treno si fermò quasi la stordì, il pensiero ch'era ormai soltanto oltre il finestrino, George.

E non era ancora abbastanza...

-Gee!-

Saltò giù dal treno che quasi volava, la piccina coi segreti del cielo negli occhi, avvertì i piedini solcare la neve pietroburghese e bagnarsi all'istante, e davvero si sentì morire.

S'incamminò a piccoli passi e poi, sciogliendo per l'ultima volta il nastro azzurro e lasciandoselo scivolare nel palmo della mano, corse fino a perdere il fiato, corse fino a sperare di vedere e non vedere lui.

Ma dove, dove, dove...

-Nathalie!-

La ragazzina si voltò, arricciando appena le labbra.

-Beh, non esattamente. Volevo dire Natal'ja-

Sorrise, finalmente, lei.

-Dai, streghetta... Nemmeno un bacetto o uno sputo in un occhio?-

Si sarebbe sentito lusingato in entrambi i casi, quella testa calda.

Lo contemplò per un attimo, un attimo solo, Natal'ja.

Lo guardò trattenendo il respiro, e mille luci correvano negli occhi di stella della bambina innamorata ch'era adesso, adesso che forse non era più solo Natal'ja.

Lo guardò, e in quell'attimo anche respirare il fumo della sigaretta già quasi consumata del ragazzo le fece girare la testa.

Si mangiò con lo sguardo ogni dettaglio di quel viso, quel viso sempre incredibilmente abbronzato, l'eterno sorriso del sole greco, quel sole che s'era portato anche in Russia, a baciargli le labbra screpolate, gli occhi scuri, i capelli nerissimi e sconvolti da un vento che, ne era sicura, dalla sua Patria di leggende non si sarebbe mai immaginato.

S'intrecciò ai capelli il suo sospiro, e quel che rimaneva nell'aria di quella sua voce polverosa e lontana lontana, come se ancora le parlasse dal cuore delle selve spartane che l'avevan visto bambino, da quell'Iliade su cui aveva sognato.

Scosse la testa, infine, Natal'ja.

L'afferrò per un polso, trascinandolo lontano dai binari, in un angolo della stazione che magari pochi secondi più tardi sarebbe stato il più affollato di tutta San Pietroburgo, ma in quel momento no.

E lo baciò, lo baciò davvero.

Come in quel sogno bruciato sul treno, come a dover morire d'amore, come a non doverselo ricordare più, il suo nome.

-Come la trovi, questa Russia, Geórgos?-

-Fredda fredda, e tu sei sole e miele...-

Natal'ja socchiuse gli occhi, facendo un passo indietro.

Poi gli pestò un piede con tutta la forza di cui era capace, sorridendogli, radiosa.

-Non sempre, Gee. Non sempre. Non sempre ma ti voglio bene, Dio se te ne voglio-

Sospirò, scuotendo la testa.

-Credo d'avere un concetto più elevato delle Russe, che della Russia in sé- continuò lui, assottigliando lo sguardo, sognante.

-Dove andiamo, adesso?-


La Neva.

La Neva era un po' il sorriso più luminoso di Pietroburgo, era la scia d'acqua chiara e lastre di ghiaccio squarciate che lasciava nel ricordo di chi la costeggiava, anche di chi la Russia non l'avrebbe rivista mai più.

E la stringeva forte, Natal'ja, la mano di Geórgos, tiepida anche contro quel vento che un po' gli ricordava lo schiaffo d'aria inaspettatamente tagliente che l'accoglieva ogni volta davanti al Partenone, il Partenone di cui era innamorato fin da bambino, il Partenone davanti al quale aveva fatto innamorare anche lei, di quel George meno brutale, soldato e patriota, che tra le orazioni nell'Agorà e i sussurri al suo orecchio non faceva poi tanta differenza, da tanto che ci lasciava il cuore, e ce lo lasciava in entrambi i casi, lui.

L'Agorà, a Sparta, non c'era mai stata: l'aveva sempre inventata lui.

Lei, a Sparta, era rimasta per poco, troppo poco: tutti gli altri giorni, l'aveva inventata lui.

L'Acropoli, per lui, non era Atene, non era l'altra faccia della Capitale.

Era il piccolo mondo dei suoi sogni, era il sogno in cui avrebbe voluto portare lei.

Lei che, di quel George, era pazza dalla notte dei tempi.

-Casa tua?-

Natal'ja sgranò gli occhi, s'aggrappò alla sua mano quasi con furia, facendosi nivea in volto.

-Casa mia è a Krasnojarsk, un po' lontano. Siberia inoltrata, mica caldo come qui-

Deglutì, George, al "mica caldo come qui".

Aveva una percezione del clima del tutto discutibile, quella sua ragazzina, ma preferì far finta di niente.

-Pensavo... Pensavo che ti sarebbe piaciuta di più Pietroburgo, almeno per oggi-

-E la notte la passiamo sotto i ponti, immagino-

L'occasionale strafottenza di Gee la Siberiana l'aveva sempre odiata, ma se ne curò poco, in quel momento.

Serrò le labbra, arrossendo un poco.

La passeremmo sotto i ponti anche a Krasnojarsk.

-Sei tanto stanco, dunque?-

Fu quasi un sussurro, il suo.

La voce spezzata, ferita.

George la guardò, un poco sorpreso.

-No...-

E va bene, dannata ragazzina.

-Ho solo freddo, Al'ja. Si gela, qui. Si gela maledettamente. Non ci sono abituato, io, al freddo, al gelo.

In Grecia fa caldo, ricordi? C'è sempre il sole. Io non sono come te-

-Lo so. E so anche che sei più etnocentrico dei tuoi antenati, che la Russia ti fa schifo e che in questo momento, del male che possono farmi queste tue considerazioni, le tue opinioni, non te ne frega niente-

Egoista, egoista, egoista.

-Casa mia...lo sai com'è, casa mia? E' buia, tanto. Ne possiamo usare una al giorno, di candela. E ci sono i topi, non so che rapporto tu abbia con loro. Il tetto prima o poi crollerà, e ci auguriamo che non succeda prima di Natale. Il Natale l'adoro, io, anche coi topi e l'intonaco per terra. Senza casa... Non sarebbe poi tanto bello, no. Non ce l'ho, un letto, io, mi son sempre bastate le lenzuola. Puoi prendere quello di mio cugino, tu. E' morto, lui, e prima le notti le passava sempre all'Osteria. Non so, forse ti troveresti più a tuo agio lì, o su un marciapiede. E' più dignitoso di casa mia, a volte-

-Ma tu sorridi-

Natal'ja si morse le labbra, distolse lo sguardo, scosse la testa.

Lo guardò, inclinando un poco la testa, gli occhi sbarrati.

-E' l'unica cosa che so fare, George-

Lui sorrise, di quel sorriso perdutamente bello, talvolta egoista, ma sincero, questo sì.

Annuì.

-E' l'unica cosa che mi fa sentire bene, bene davvero-

-E la tua Sparta?-

Era ironica, lei, e non avrebbe dovuto.

Ma lui la conosceva, Natal'ja.

-La mia Sparta fa male, a volte-


-Dai, Al. Le hai già viste mille volte. Sono sempre le stesse, non fanno più male, ormai-

Le dita di Natal'ja scivolarono nell'incavo del suo collo, gli sfiorarono la spalla.

George la guardò storto, sbuffando.

Lei scosse la testa, baciandogli una guancia.

-Non mi sembrano poi tanto amichevoli, i ragazzi di Anassagora-

Lo Spartano sospirò, pensando che, in effetti, il cugino di suo nonno e i briganti della Tessaglia erano meno simpatici di quello che ci si sarebbe potuto aspettare da una banda di, tutto sommato, parenti.

-Non hanno avuto rispetto nemmeno del nipote di Leonida...-

-E quando mai?-

Non glielo voleva dire, lei, che un po' le si fermava il cuore, nel sentir sotto la pelle le sue cicatrici, stelle che bruciavano in ricordo di battaglie che lui chiamava per nome.

Il sangue a incendiare le strade di Sparta, il colore del cielo e il colore degli occhi, le lacrime di mille partiti al mattino e tornati in dieci col freddo del tramonto...

Lui ce la faceva, lui non le ascoltava più, ormai, quelle cicatrici.

E lei, nel carezzargliele piano, un po' moriva e un po' l'amava di più.

-Natal'ja, siamo in mezzo alla strada- le ricordò il ragazzo, tra il lusingato e il divertito.

-Noi siamo ragazzi di strada, Gee- glielo sussurrò tra i capelli, la piccola Natal'ja.

Bella, bella, bella.

Era tanto bella, Natal'ja, in quel suo splendere forse solo tra la neve, forse solo davanti a lui.

-Ma tu... tu quante volte ti sei perso?-

-Al'ja...-

Sorrise, lei.

-Se ti accontenti di casa mia... Voglio dire, se sei pronto per Krasnojarsk...-

George si accigliò, guardandola.

-Com'è, oggi, il tempo?-

Natal'ja socchiuse gli occhi, pensierosa.

-Quarantanove gradi-

-Oh, come a Sparta!-

La ragazzina scoppiò a ridere, prendendolo per mano.

-Sotto zero, Gee!-


-Zeus, Zeus, Zeus...-

Natal'ja inarcò un sopracciglio, sentendolo brontolare.

-Che c'è?-

-Dai, non può fare più freddo di qui!-

Lei scrollò le spalle, serafica.

-Sei coraggioso, tu-

Lui ch'era più a suo agio con la pistola in mano, sotto un sole che bruciava la pelle e i sorrisi, che nel gelo disperato che c'era lì.

Ma il gelo per Natal'ja era un'abitudine, il sole invece tramontava.

George, la delusione dopo l'abitudine, la precarietà, ormai la conosceva.

Avrebbero preso il treno per Krasnojarsk, dalla Russia alla Siberia la strada era tutta stelle di ghiaccio, pianto di grandine e fiocchi e vento forte da stordire.

Bufere di neve e tempeste feroci, infinite dogane atmosferiche e cielo cupo fuori dal finestrino.

Il treno a volte si fermava, il silenzio faceva paura.

Tacevano i vagoni semideserti, cadevano i pochi bagagli radunati negli angoli.

Natal'ja e Geórgos non ne avevano, di bagagli.

Lei perché abitava lì, verste e verste più avanti, nella steppa inoltrata, oltre la distesa di neve: ci era affezionata, per quanto a volte le strappasse il cuore.

Lui perché era un brigante di montagna, un eterno partigiano dell'Indipendenza Greca: non contava il corredo, a lui importava solo della Libertà.

Erano lì, le dita intrecciate quasi timidamente, i sorrisi impliciti, lievi.

Belli nel rossore delle guance, nella luce fioca che i bianchi paesaggi a tratti mandavano su di loro.

Natal'ja faceva ballare un piedino sul pavimento scuro del vagone, studiando di tanto in tanto il bel volto del giovane greco che ancora non osava chiamare il suo ragazzo.

Lo era, certo che lo era.

Dirlo, però, era tutta un'altra cosa.

-George, George, il mio... George- ripeteva, facendolo sorridere.

-Ti stai facendo crescere la barba, eh?-

Lui annuì, serio.

-Penso che i grandi eroi greci ce l'avessero-

-Accidenti se sei cresciuto, tu. Da bambino ne avevi una paura folle, credevi che ti sarebbe successo come ai miei capelli. Mica lo immaginavi, che il tuo caro xiphos potesse essere usato anche per imprese meno epiche di difendere la Patria, quali, appunto, radersi. Io, i capelli, non me li sono mai tagliata-

-Santo Cielo se si vede!-

-E direi. Li adoro, io. E a te... A te piacevano, una volta-

-Una volta?-

Glieli scompigliò un poco, Gee, lasciandole poi un bacetto proprio dietro l'orecchio.

-Quando arriviamo?-

Natal'ja sbuffò, facendo un vago gesto con la mano.

-Hai fretta, tu?-

Ne aveva?

La biondina russa giocherellava con il colletto della sua camicia, di tanto in tanto gli lanciava sguardi a metà tra il furtivo e il furbetto.

Era felice, tanto.

Che se la prendesse pure comoda, il treno.


-Krasnojarsk?-

Natal'ja prese sottobraccio il Greco, raggiante.

-Proprio così-

-E', come posso dire...una frazione del Polo Nord in incognito?-

-Figuriamoci. Siam più vicini all'Antartide, noi-

George si morse la lingua, annuendo lentamente.

-Buono a sapersi...-

-Beh, questa è la Prospettiva Mira. Sai, la strada principale. Io... Io abito a Forradalom-

Brillavano, gli occhi di Natal'ja.

Era povero, poverissimo, il suo quartiere, ma era il regno dei ribelli e dei Rivoluzionari.

Era il Paradiso, per lei.

-Devo presentarti tutti, sai? Gli Ungheresi, i ragazzi del quartiere, i nonni, la mamma, le mie amiche... Non le guardare troppo, loro, eh-

Poi incontrò lo sguardo un po' stanco un po' allucinato del ragazzo.

Sorrise.

-Un altro giorno, però-


-Qualcosa mi dice che dovresti tornare in camera tua, Al-

Sulla soglia della camera di Nikolaj Zirovskij la guardava ad occhi spalancati, George.

Natal'ja si indicò, con un mezzo sorriso.

-E' la camicia da notte di maman, questa-

George assentì, deglutendo per la ventisettesima volta.

-Eh, è una semidea, tua madre-

-Dai, Gee. Ne ha già abbastanza, di adoratori, la Julyeta-

Aveva quattordici anni più di lei, sua madre.

Le voleva bene, tanto, ma a volte assomigliava più ad una sorella.

Sospirò, sedendosi sul bordo del letto.

Aveva raccolto i capelli nella treccia più lunga e luminosa che George avesse mai visto, ma d'altronde era un partigiano in tutti i sensi, lui.

-Mi ami?- mormorò lieve lieve, socchiudendo gli occhi.

Lui le sfiorò le labbra con un dito, sorridendo nel buio.

-Nah. Di più. Non so bene come spiegartelo... Non sei bella, non sei dolce, tu. Sei Natal'ja-

Esitò, stringendole un poco le mani.

-Al'ja?-

La ragazzina mosse leggermente il capo, cercando di distinguere il profilo del giovane nella fiamma tenue della candela.

-Sì?-

-Spegni la candela-

Sbuffando, la ragazzina si alzò, allungando una mano verso la macchia di cera semiconsumata sul comodino.


Il nastro azzurro era legato intorno al polso destro.

Cercava di celare i numeri di Omsk, ma George se ne accorse.

Natal'ja distolse lo sguardo, nascondendolo dietro la schiena.

Il ragazzo sospirò, scuotendo la testa.

-Vieni qui, Al'ja-

La piccina slava gli si accostò con sospetto, tendendogli la mano ferita.

Chiuse gli occhi, mordendosi le labbra.

Poco dopo avvertì le dita di George scioglierle il nastro e quest'ultimo scivolare tra le lenzuola.

-Gee...-

Lui le tirò un poco la treccia, lanciandole un'occhiataccia.

-Le hai viste, le mie cicatrici. Sono tante, troppe, e me le ricordo tutte. Missolungi, 1827. Navarino, 1828.

El Cairo, 1829. Alessandria d'Egitto, Patrasso. Aggressione sulla strada per Micene, Tessaglia.

Non fanno più male, ma non posso nasconderle, davvero. Sparta avrà il mio sangue, tu il mio cuore.

Il cuore di uno Spartano, che ironia. Per la gloria e per la Grecia. Gran bell'ideale, no?

Forse potrei morire per molto meno, ma io non voglio morire, Al.

Voglio avere qualcosa da mettere prima della guerra, qualcosa che valga di più della guerra, anche con quarantanove gradi sotto zero e neve perfino nelle orecchie.

Adesso potrei strapparmi la camicia e ricontarli tutti, i segni delle armi. Ma quelle armi cosa hanno potuto veramente sulla mia vita? Bruciarmi l'infanzia, farmi chinare la testa, capire che l'abitudine non sarebbe mai bastata. Guardami, sono più abituato agli spari che a vivere. Non c'è un motivo per cui morire, Al'ja.

Non perché l'hanno deciso Loro, non perché l'ha detto Lui. Io non ce l'ho, un motivo per cui morire.

Sparta lo merita, Sparta lo pretenderà, ma io non lo farei. E sai, non me ne frega proprio niente.

Adesso... Natal'ja, io voglio di più-

Si sdraiò accanto a lui, Natal'ja.

Guardava il soffitto, non lo sapeva, cosa dire.

-Ecco-

Prese in mano la candela, illuminò i quattro numeri.

-Mi fanno orrore, George. Mi fanno paura. E' la mia pelle, quando sono nata non c'erano. Nessuno me l'aveva detto. Guardali, cielo mio, guardali. E' la mia mano. Mi hanno insegnato a leggerla, io vedo solo la prigione. Io non voglio più vederla, la prigione!-

Adesso non c'era veramente più niente da dire, George lo sapeva.

Le stringeva la mano, quella mano, con la sua copriva quei segni.

Il marchio dei forzati.

Atroce come gli mancasse il coraggio proprio in quel momento, atroce come nel tempo di quei respiri non sapesse affrontare le cicatrici di Natal'ja.

-E a me la sapresti leggere, la mano?- le soffiò all'orecchio, muovendole un poco i capelli.

Lei liberò la sua mano destra, seguendone le linee irregolari, affascinata.

-Bella domanda, Gee. Beh, direi che seguendo le coordinate...-

George inarcò un sopracciglio, ma non disse niente.

-Aspetta. Mettila qui-

La portò sulla sua guancia, lo guardò attentamente.

Poi scoppiò a ridere, abbracciandolo.




Note


Legato al tuo sorriso, cammino sopra il fuoco: La Mia Ragazza, Roberto Vecchioni.

Omsk: Città della Siberia Sud - Occidentale, insieme a Krasnojarsk (Siberia Centrale), uno dei più importanti centri siberiani.

Versta: Unità di misura russa, equivalente ad un chilometro e mezzo circa.

Xiphos: Spada a doppio taglio tipica degli Antichi Greci, in particolar modo degli Spartani, che la accorciarono di trenta centimetri.


Missing Moment di Sic Volvere Parcas, Missing Moment davvero, perché di solito non sono così romantici, Al'ja e Gee.

E'...non lo so, mi ci sono affezionata tanto, scrivendolo.

Non ho un granché da dire, dicono tutto loro, mezzi scemi e mezzi innamorati, con quella loro pseudo - tenerezza talvolta discutibile, ma dicono tanto.

E' il 1838, il treno è a vapore, e l'atmosfera e il paesaggio son tanto da stampa ottocentesca, di quelle stampe dannatamente affascinanti.

Io... Io assomiglio tanto ad Al'ja, per quanto riguarda il clima e i capelli.

L'adoro, il freddo, e in fatto di chioma son peggio di Sansone, giuro.

Ma questo c'entra poco, temo.

Spero che vi sia piaciuto, questo momento.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se vi va.


Baci,

Marty

  
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