The guilty lamb
“Cosa
cazzo sto facendo? Ma perché sono venuto fin qui…
che sto combinando, Dio mio?”
Blaine
Anderson era nel bel mezzo di una vera e propria crisi di panico in
pieno
pomeriggio, nella sua Volvo grigia nuova di zecca accostata al
marciapiede di
una stupenda magione in uno dei quartieri più esclusivi di
Westerville, Ohio.
Aveva
il
capo appoggiato sul volante, i respiri spezzati
dall’agitazione mentre
imprecava mormorando cose che capiva propriamente per metà,
le dita che
scorrevano veloci sul suo I-Phone cercando di scrivere un sms e
annullare
l’appuntamento preso con Sebastian.
A
casa
sua.
Con
molta
probabilità, completamente soli.
Per
la
prima volta in assoluto da quando si conoscevano.
Mossa
davvero intelligente andare dritto dritto nella tana del leone, non
c’era che
dire.
E
il
tantra che amava tanto ormai recitare in modalità disco
rotto a Kurt per
auto-convincersi e per convincerlo che quelle lezioni private di
francese
sarebbero state tranquille, anzi addirittura noiose - Sebastian
non significa niente per me, è un amico, è
inoffensivo, non
sono minimamente attratto da lui, bla bla bla- non stava
sortendo l’effetto
sperato.
Non
l’aveva mai sortito, anzi.
Le
cose
non facevano che peggiorare da qualche tempo: troppi incontri
simil-casuali
quando andava alla Dalton a trovare i suoi ex compagni di istituto,
troppi
caffè-sbarra-cappuccini presi al Lima Bean, troppe chiamate
avvenute e mai raccontate
a Kurt per non farlo ingelosire inutilmente, – in fondo, era
solo un amico, che
male c’era nel parlare per due ore di fila con un amico?-
troppe mail private
scambiate su Facebook per non destare sospetti coi commenti in
pubblica.
Provava
rimorso
per tutta quella situazione ingarbugliata, che col passare dei giorni
era diventata
una immensa polveriera a cui sarebbe bastata una sola, piccolissima
miccia per
saltare in aria e fare danni a se stesso e, soprattutto, alla relazione
con il
suo fidanzato ufficiale. E lui, per avere delle stramaledettissime
ripetizioni
di francese, stava mettendo tutto a repentaglio.
No,
no,
non poteva mica fare una cosa del genere, no? Marcia indietro, quella
era la
sola cosa da compiere per impedire al tutto di esplodergli come una
granata tra
le mani.
E
farsi
seriamente del male.
Blaine
era
pronto a premere il tasto di invio al messaggio di testo in cui mentiva
spudoratamente adducendo un tremendo e invalidante malessere
dell’ultimo
momento per evitare quell’incontro, quando il telefonino
iniziò a squillare.
Suoneria
di Uptown Girl di Billy Joel.
La
suoneria
assegnata a Sebastian.
Sgranò
gli
occhi come un uccellino terrorizzato e per un lunghissimo attimo non
seppe che
pesci pigliare.
Poi,
si
arrese, dato che era senza via di uscita fin da quando aveva messo i
piedi
fuori da casa sua per andare lì, se ne era reso conto;
forse, non aveva mai
avuto scampo da quando aveva conosciuto Sebastian Smythe.
Schiacciato
tra un lato di sé rassegnato all’inevitabile e un
altro che, al contrario, si
opponeva fieramente al tutto, digitò il tasto verde e
aprì la chiamata.
“Anderson,
tutto bene? Non è che ti sei emozionato per venire da me e
ti sei perso girando
in tondo per la città?”- gli domandò
ironico una voce bassa e maledettamente
sexy.
Quella
voce aveva il potere di sgombrare completamente la testa di Blaine come
se
fosse stato un cancellino magico su una lavagna piena di disegni
indelebili.
Un
secondo
e bum, vuoto totale.
“In
realtà, ho appena parcheggiato davanti a casa tua. Il tempo
di scendere e
arrivo”- sputò fuori dai denti con tono lievemente
irritato, attaccando la
chiamata rapidamente.
Era
ancora
più nervoso di quanto pensasse, il tutto si prospettava
decisamente in salita. Dio
solo era a conoscenza di come avrebbe superato quel pomeriggio, se
psicologicamente indenne o meno.
Cercò
di
regolarizzare i respiri e, raccolto tutto il coraggio che aveva a
disposizione e
pregati tutti i santi in paradiso affinché lo proteggessero
e gli impedissero
di fare cazzate, scese dalla propria macchina e si avvicinò
al cancelletto
basso in ferro battuto e sentì uno scatto interno che lo
fece spalancare.
Attraversò
il viottolo in ghiaia circondato da un giardino all’inglese
che definire
curatissimo sarebbe stato riduttivo e vide l’enorme uscio
bianco d’entrata aprirsi.
Sebastian apparve sulla soglia, sorridente e rilassato, stretto nel suo
maglioncino grigio.
“Beato
lui,
è così sereno ”- pensò
Blaine invidioso, si sentiva sempre più teso a ogni
passo che faceva. E intanto malediceva la dannata lingua francese con
tutta la
forza che serbava nel cuore.
“Bienvenu”-
affermò semplicemente il Warbler. Di nuovo, quel suono
proveniente dalla sua
gola… quasi graffiato e roco.
Di
nuovo,
quella perdita di equilibrio in Blaine, che si sentì le
gambe impastate di
gelatina molle.
Mentre
lo
accoglieva in casa sua – un’enorme struttura a
piani, con due scalinate
incantevoli ai lati del’ingresso e arredata con un gusto very
minimal e molto
chic- Sebastian non resistette alla curiosità che lo
attanagliava.
“Sai,
non
mi aspettavo minimamente il tuo sms due giorni fa riguardo le
ripetizioni.
Possibile che la tua nuova professoressa al McKinley ti crei
così tanti
problemi per la pronuncia?”- domandò con spontaneo
e genuino desiderio mentre
chiudeva la porta.
Evidentemente,
anche lui era rimasto spiazzato da quella disperata richiesta di aiuto
da parte
di Blaine. Magari, ci aveva letto qualcosa di più? Una
stupida scusa per stare
finalmente soli e sfogare quell’attrazione reciproca che era
arrivata a livelli
insani e che lo stava completamente consumando? Forse,
l’inizio di qualche cosa
di più di un’amicizia, che tra l’altro
non era mai stata veramente tale dalla
prima volta in cui si erano incontrati?
Il
ragazzo
più basso annuì semplicemente. “Con la
grammatica e la costruzione delle frasi
me la cavo egregiamente, ma con il parlato… sono molto
meccanico. Kurt è bravo
in francese, ma ho pensato di approfittare di te e del fatto che tu
abbia
vissuto due anni a Parigi prima di tornare in America per perfezionare
la
pronuncia, visto che la professoressa sostiene che sia il mio punto
debole, ed
esercitare la fluidità nei dialoghi immediati”-
rispose esaurientemente, come
se non volesse dare alcuna possibilità all’altro
di potergli porre altre
questioni.
Non
si
rese nemmeno conto di aver usato l’alquanto equivoca
locuzione
‘approfittare-di-Sebastian’ ad alta voce.
“Puoi
approfittare di me quando e dove vuoi, lo sai benissimo. Dove non
arriva Kurt,
subentro io con estremo piacere”- enunciò con
malizia straordinariamente
innocente in apparenza. Con quegli occhi e con quel sorriso, ogni sua
frase
appariva deliziosa come una cucchiaiata di miele purissimo.
Blaine
arrossì immediatamente e decise di rivolgergli solo un
timido quanto celere sorriso
come risposta. Tutti gli altri muscoli del corpo erano rimasti
paralizzati dopo
l’ennesima uscita flirtosa di Sebastian.
Limitare
i
contatti al minimo, guardarlo poco negli occhi e parlare solo il
necessario,
ancora meglio evitando doppi sensi. Se avesse seguito alla regola
quella
triade, Blaine sarebbe riuscito a uscire sano e salvo da quella
residenza. E,
soprattutto, con la coscienza pulita.
Anche
perché incominciava ad avere un po’ di problemi
con la propria coscienza,
divisa tra le proprie bugie e omissioni, ciò che voleva fare
e ciò che riteneva
fosse più giusto compiere.
Si
sentiva
lacerato, sporco e combattuto.
Avrebbe
fatto qualsiasi cosa pur di non provare più niente per
nessuno, tranne che per
Kurt, il solo a cui avrebbe dovuto dedicare anima, pensieri, energie.
Invece,
i
suoi comportamenti incomprensibili e poco sensati sembravano andare in
una
direzione completamente opposta.
Quasi
come
se non avesse voluto evitare il disastro che lo avrebbe poi distrutto,
ma
abbracciarlo con compiutezza.
Blaine
non
riconosceva più se stesso ormai. Si era trasfigurato in
un'altra persona che
andava a casa di ragazzi affascinanti col rischio di perdere il
controllo in
qualsiasi momento e combinare quel macello che la parte più
ragionevole di sé
tentava disperatamente di schivare.
Dall’entrata,
Sebastian lo condusse poi nel salotto. Era semplicemente mozzafiato,
come
qualsiasi cosa d’altronde in quell’abitazione, a
partire proprio dal padrone di
casa.
Tutto
era
nei toni del bianco e del rosso, con due enormi divani in pelle candida
a
troneggiare davanti al camino. Tavolini intagliati in ebano e
madreperla,
televisore HD con maxischermo, tappeti persiani sparsi qua e
là a completare il
tutto, simboli concreti dell’agiatezza economica della
famiglia Smythe.
Ovunque,
foto di Sebastian a ogni età dell’infanzia e
dell’adolescenza, scattate in
varie parti del mondo.
L’occhiata
d’insieme della sala era realmente fantastica. Blaine rimase
con la mascella
dischiusa per la meraviglia.
“Casa
tua
è uno spettacolo, sembra direttamente uscita da MTV
Cribs”- esclamò
candidamente. Sembrava un bambino che vedeva per la prima volta un
negozio di
giocattoli; Blaine era un esteta amante delle cose belle e godeva della
vista
di simili splendori.
Sebastian
si strinse nelle spalle.
“Mamma
è
arredatrice di interni, diciamo che abbiamo giocato in casa grazie al
suo
mestiere”- affermò accompagnando il tutto con uno
di quei sorrisi sghembi alla
Edward Cullen che Blaine, memore delle tre volte in cui aveva letto
Twilight,
ricordava bloccassero il respiro a Bella.
Sebward.
Ecco come lo avrebbe soprannominato da quel momento in poi.
E
gli
scappò una risata soffice e sottile sottovoce formulando
quel pensiero, che
invece fece sorgere un’espressione stranita sul volto di
Sebastian.
“Sistemati
pure sul divano e tira fuori i libri, così vediamo su cosa
concentrarci per
correggere la pronuncia. Direi di iniziare da una serie di termini di
uso
comune. Comunque, se tu volessi scusarmi, devo andare in cucina da
Khaled
perché poco fa ha preparato una cioccolata calda
assolutamente divina che devi
assaggiare”- annunciò con grazia estrema.
Blaine
provò a opporsi all’offerta di cibo. Andava contro
la triade precedentemente
stilata. “No, Sebastian, ti ringrazio veramente, ma non ho
fam-”
“Tu
prima gustala
e poi dimmi”, gli disse avvicinandosi troppo pericolosamente
al viso. Blaine
sentì la forza di volontà scivolargli via come un
aquilone di carta velina
trascinato in cielo da una folata di vento forza dodici.
Non
gli
rimase altro da fare che acconsentire e, una volta che Sebastian si fu
allontanato per andare a prendere il vassoio, recuperare quel minimo di
lucidità necessaria per sopravvivere alle successive ore con
lui a fianco.
Quando
il
ragazzo più alto fece ritorno con due tazze in ceramica nera
fumanti e un
piatto colmo di golosi pasticcini, Blaine gli pose una domanda.
“Scusami,
ma chi sarebbe questo Khaled che hai nominato prima?”- chiese
con una certo
interesse.
“Il
nostro
cuoco”- replicò l’altro, come se fosse
normale per tutti quanti sul globo avere
uno chef personale pronto a soddisfare ogni capriccio culinario.
Blaine
iniziò a balbettare imbarazzato esattamente come aveva fatto
quando Sebastian
gli aveva detto che aveva vissuto a Parigi.
Si
era
disconnesso dal mondo perché ancora una volta,
l’ennesima, lui l’aveva
conquistato con un dettaglio e ammaliato.
Il
Warbler
gli porse la propria coppetta con liquido marrone bollente e
appoggiò il
portavivande sul tavolino in legno caliginoso davanti a loro.
La
portò
alla bocca dopo averci soffiato leggermente sopra: era la cosa
più squisita mai
mangiata in vita sua. Da leccarsi veramente i baffi.
Cioccolata
alla cannella con panna montata e amaretto italiano finemente
sbriciolato
sopra.
Blaine
assaporò la bevanda degli Dei con molto gusto e tanta
avidità.
Era
proprio vero che niente dava la felicità in Terra come
quell’oro color terra
scura.
Quando
scansò la tazza dal viso, Sebastian iniziò a
ridere a crepapelle,
incontrollabilmente.
“Cosa
c’è
di così divertente, Smythe? Fai ridere anche me,
dai”- affermò in modo brusco.
Cosa aveva da sorridere a quella maniera?
“Niente,
Blaine. Sei
semplicemente un po’ sporco
di cioccolata e panna sul mento e sulle labbra. Non è una
tragedia irreparabile”-
comunicò con cortesia incantevole mentre afferrava un
tovagliolo di stoffa dal
vassoio e lo faceva aderire al volto del ragazzo più
piccolo, che si era
completamente ghiacciato sul posto e non riusciva a pronunciare una
sola parola
atta a bloccarlo.
Il
tocco
di Sebastian sulla pelle era molto elegante e il suo respiro sul viso
fece venire
le vertigini a Blaine,
il quale
ricominciò a ripetersi in mente il solito ritornello per
calmarsi.
Sebastian non significa niente per
me, è un amico, è inoffensivo, non sono
minimamente attratto da lui, bla bla
bla.
Chiuse
gli
occhi per qualche istante, in modo da potersi concentrare ancora meglio
su
quella sequela di concetti a cui si stava aggrappando con tutte le
forze pur di
evitare di cadere nel baratro e trascinare nell’abisso la sua
storia con Kurt.
Quando
li
riaprì, vide solo due smeraldi brillanti che lo
fissavano… famelici.
E
le
labbra di Sebastian, vicine, troppo
vicine, aprirsi in un sorriso sardonico.
“Aspetta,
te ne è rimasto un po’ qui,
nell’angolo”, enunciò furbescamente il
biondo,
prima di usare il proprio indice per levargli il cioccolato incrostato
dalla
bocca.
Dopo
qualche istante, senza che avesse nemmeno il tempo di rendersene
effettivamente
conto, Blaine sentì solo qualcosa di umido e caldo infilarsi
tra i denti e il
palato e un paio di morbide labbra che lo stavano baciando.
Tutto
quello che aveva paura succedesse stava realmente accadendo in quel
preciso,
maledetto momento.
Un
ragazzo
lo stava carezzando in maniera davvero passionale e rovente. E non era
Kurt.
La
cosa
che però Blaine non avrebbe ritenuto potesse mai verificarsi
era la sua
risposta al bacio.
Avrebbe
potuto benissimo bloccare Sebastian dopo il primo contatto, tirargli
uno
schiaffo, urlargli contro le peggio cose, domandargli come mai si era
azzardato
a baciarlo nonostante sapesse che era fidanzato…
In
realtà,
non fu in grado di fare nessuna di quelle cose. Era ipnotizzato,
immobile,
totalmente rapito da quei movimenti squisiti e ardenti che compiva in
comunione
con lui.
Non
riusciva
a staccarsi da Sebastian. Non l’avrebbe fatto per niente al
mondo.
Era
come
se qualcuno gli avesse iniettato in vena il fuoco e questo gli girasse
in
circolo come un veleno. Percepiva solo un calore infinito torturarlo
ovunque e
l’unica cosa che voleva erano quelle labbra sulle sue, quella
lingua a lambire
la propria e quelle mani a coppa sulle sue gote strette in una morsa
dolcissima.
Si
sentiva
vivo, incredibilmente vivo. Non
aveva
mai sperimentato una sensazione così intensa in tutta la sua
esistenza, con
nessun altro.
Il
cuore
non smetteva di battergli così forte che ipotizzava gli
sarebbe uscito dal
torace e lo avrebbe visto rotolare su uno di quei meravigliosi tappeti
importati dalla Persia che circondavano il divano dove lui e Sebastian
si
stavano toccando e sfiorando.
Una
parte
di sé, quella che aveva appena preso il sopravvento dopo
averla combattuta e
repressa forse per intere settimane, gli consigliava solo di baciarlo,
di
godersi quel contatto che inconsciamente aveva bramato dalla prima
volta che lo
aveva visto e fregarsi delle conseguenze con Kurt, con la propria
preziosa
coscienza e con il resto del mondo.
Voleva
sentire quel fuoco ancora, ancora e ancora. E non aveva intenzione di
spegnerlo
in alcun modo.
Un’altra
invece, la più razionale e lucida, gli urlava di scansare
immediatamente
Sebastian, di scappare via inorridito dalla propria debolezza, di
troncare ogni
rapporto con quell’angelo tentatore e di non vederlo mai
più pur di salvare il
salvabile nella storia con Kurt. Aveva sbagliato irrimediabilmente,
aveva
commesso l’errore più grande che avesse potuto mai
fare e avrebbe fatto i conti
con la vergogna per il resto dei suoi giorni.
Come
avrebbe
potuto guardare Kurt in faccia dopo quello che aveva appena combinato?
Come
avrebbe
potuto lui stesso vedersi allo specchio senza sentirsi schifato?
Perché
tutta quella girandola di sensazioni, brividi, voglie e colpe non la
smetteva
di vorticargli in mente?
Per
l’ennesima volta, si domandò cosa diamine gli
stesse succedendo.
Quando
quei pensieri gli piombarono in testa come un macigno, Blaine
sentì qualcosa
spezzarsi dentro.
Probabilmente,
era il suo cuore.
Smise
improvvisamente
di baciare Sebastian, si slegò dalla sua presa marmorea, lo
guardò negli occhi
profondamente mentre i suoi si riempivano di lacrime a
velocità supersonica per
degli attimi che gli parvero lunghi centinaia di anni.
“Mi
dispiace, mi dispiace, non dovevo-”, fu tutto quello che fu
in grado di dire al
ragazzo sconvolto che teneva di fronte sul divano, prima di afferrare
tutte le
sue cose e uscire da quella casa svelto come una scheggia impazzita.
Perché
quello
era effettivamente.
Una
mina
vagante che stava fuggendo da tutto quello che aveva provato per
Sebastian, che
stava correndo via dal proprio sbaglio vivente e dalle conseguenze del
casino
appena avvenuto.
Blaine
raggiunse
la propria Volvo, riuscì per miracolo a infilare la chiave
nel quadro con le
mani tremanti e partì sgommando, andando a sistemarsi in una
via poco
frequentata non molto distante da casa Smythe.
Posò
la
testa sullo sterzo in modo scomposto e iniziò a piangere a
dirotto, mentre la
sua mente si riempiva di flash del bacio con Sebastian, tutto quel
dannato fuoco
che gli aveva bruciato dentro come una pira.
Poi
sopraggiunsero i singhiozzi disperati e con essi le sue prime
consapevolezze.
Aveva
appena commesso un
tradimento.
Si
era
dimostrato un fidanzato infedele e sleale nei confronti di Kurt, il
quale era
invece sempre stato premuroso e amorevole nei suoi confronti. E questo
lo fece
stare ancora mille volte peggio.
Aveva
appena sperimentato il
desiderio.
Disonorante,
certo, ma allo stesso tempo magnifico. Non avrebbe mai scordato quelle
labbra,
il modo in cui lo avevano accarezzato, il battito del cuore pesante
come un
tamburo che gli aveva echeggiato nelle orecchie mentre baciava
Sebastian.
Aveva
appena scoperto cosa fosse veramente
un senso di colpa.
Si
sentiva
letteralmente mangiato vivo dal ricordo di ciò che aveva
fatto, demolito in
ogni parte di sé a causa della consapevolezza che ogni cosa
sarebbe cambiata da
quel pomeriggio in poi.
Era
devastato, spaventato e solo. E con un enorme fardello composto da
mille cose
contrastanti da trasportare sulle proprie spalle.
Dietro
di sé,
i frantumi della sua storia d’amore ormai sfracellata con
Kurt, cosa di cui era
sinceramente pentito.
Davanti, invece, i pezzi dei suoi sentimenti per Sebastian, a cui dare un vero, nuovo significato.
***
Mi sono divertita nello scriverla (i riferimenti a Twilight mi hanno fatto lollare assai, Blella! XD). Giuro, sti due mi ispirano tantissimo *.* anche perchè hanno un potenziale assurdo e vedere Blaine che combatte coi propri sentimenti penso che sia un modo per farlo crescere come personaggio e dargli spessore (visto che per me è scritto in maniera superficiale). Per cui, ben venga una cosa del genere nello show *si illude malamente perché i RIB amano iniziare storylines stupende e poi troncarle di botto*. Altrimenti, benvenute fanfictions! ^.^
Metà,
é per te, as always <3
Ps: un ringraziamento speciale alla Ile, che ha letto questo papiello e mi ha anche definito Sebbila LMAO *.*