Die by the Creed
Trovava quel brusio davvero
fastidioso, ma sapeva di non poterlo fermare.
Non era nervoso o spaventato,
no, ma dentro di lui sentiva una forte rabbia e una sottile malinconia.
Era nato 50 anni prima, in un
paese fuori città. Era nato in un periodo di conflitti ed era cresciuto vedendo
i suoi genitori combattere la guerra più grandiosa del suo tempo. Una guerra
millenaria. Una guerra segreta. Una guerra che nessun’altro poteva combattere
se non loro. Gli Assassini.
Era così che si facevano chiamare:
“Assassini”. Erano uomini che combattevano nell’ideale che con pochi omicidi,
ma indirizzati contro la persona giusta, nel mondo sarebbe potuta regnare,
finalmente, la pace.
Lui aveva creduto a questi
ideali. Gli stessi ideali che portarono i suoi genitori a morire e lui ad
allontanarsi da suo fratello, per trasferirsi in una grande città. Aveva
combattuto e ucciso per porre fine a questa guerra. Aveva lavorato al soldo di
un uomo potente ma giusto, l’uomo più potente della città, poiché i nemici giurati
degli Assassini, i Templari, puntavano a lui.
Aveva rischiato la vita più
volte. La sua e quella della sua famiglia. Nessuno a casa sapeva che lui era un
Assassino, eccetto sua moglie. Tante volte avrebbe voluto chiedere scusa ai
suoi figli, per la vita che stava lasciando loro in eredità. La stessa vita che
lui ereditò dai suoi genitori. Ma non poteva: loro non erano pronti per sapere.
Non ancora.
Era nato durante una guerra eterna.
Era cresciuto e aveva combattuto quella stessa guerra. E ora, dopo tanti anni,
stava per morire, come suo padre e sua madre, a causa della stessa guerra.
A cos’era servito, allora,
combattere? A parole sarebbe dovuto servire per portare la pace, già, eppure la
guerra era ancora in corso. Non sperava di riuscire ad uccidere tutti i
Templari prima di morire, certo, ma sperava almeno che il popolo avrebbe capito
cosa gli Assassini cercavano di ottenere.
E invece, guardali, come urlano.
Quel fastidioso brusio.
Ora che era al centro della
folla, di fronte a tutti, il brusio si era trasformato in grida. I cittadini
urlavano e si agitavano. Volevano la morte. La sua morte.
Il suo sguardo passò
rapidamente verso il pubblico, alla ricerca di una speranza, una singola
speranza.
Nulla. Non c’era.
Ormai era rassegnato, mentre
il suo carnefice elencava i capi d’accusa. Sarebbe morto com’era nato. Durante
un conflitto di cui nessuno avrebbe ricordato nulla.
Il brusio era sempre più
fastidioso.
Non era triste, no.
Ma una lacrima gli scese dal
viso, quando finalmente i loro sguardi si incrociarono.
«Sta mentendo!»
Era arrivato, finalmente.
Non poteva salvarlo, nessuno
avrebbe potuto. Ma voleva che vedesse. Che capisse. Almeno lui.
La leva del patibolo fu
abbassata e la botola ai suoi piedi si aprì, prima che potesse riuscire a dire
le ultime parole al suo carnefice, una volta suo amico e compagno di lavoro.
Ora il sangue che pulsava gli
impediva di sentire il fastidioso brusio della gente.
Ma il cappio che si stringeva
cominciava a fare un po’ male.
Abbassò lo sguardo, perché
nessuno lo vedesse piangere.
Non era triste, no. Era
felice. Felice di averlo visto un’ultima volta.
Non poteva parlare, ma trovò
il tempo per un ultimo pensiero. Un incitamento.
«Vai, Ezio, figlio mio. Porta
tu la pace. Almeno tu puoi farcela»
Angolo di Xecestel
Era da tempo che non
pubblicavo una storia qui, ma non credo di essere mancata a qualcuno, a dirla
tutta. Il motivo per cui pubblico questa one shot è che in questi giorni mi era venuta voglia di
scriverne una po’ malinconica su Assassin’s Creed e ho pensato a questo.
Giovanni Auditore non è un personaggio che è mai stato molto approfondito (per
scrivere di lui mi sono affidato alla miniserie “Assassin’s Creed Lineage”), ma ho voluto provare a chiedermi cosa pensasse
mentre era nel patibolo e la sua vita gli scorreva davanti. Be’, che dire,
spero che vi piaccia!
Si ringrazia Genkaku Shi per il suo aiuto come
beta-reader e per il suo supporto generale.