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Autore: Belarus    07/12/2011    1 recensioni
"Illuso, ingannato, umiliato, come non lo era mai stato nella sua vita. Privato dell’unica cosa che gli appartenesse davvero. L’idea di essere all’oscuro di tutto, s’era insinuata in lui come un brutto cancro, ormai impossibile d’estirpare. Lo aveva lasciato lì, esanime a fissare quella superficie bianca su cui spiccava la sua condanna a morte. Nessuno lo aveva avvertito. Nessuno gli aveva mai dato parvenza di sapere."
Sperando che piaccia, l'ennesima storia Xanxus centric!
Baci Belarus
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Xanxus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hi wa ten kara ochita

"Il sentimento della sua debolezza s’intorbidiva di odio, mentre la sua perspicacia si faceva sempre più lucida e quasi vendicativa. “
Il trionfo della morte – Gabriele D’Annunzio.




Freddo. Vuoto. Tagliente. Ruvido. Maledettamente familiare.
Strani moti irregolari di gelo avevano preso ad attraversargli il corpo - non aveva più percezione dei polpastrelli che tenevano quel foglio -.
Sentiva la mente svuotarsi di qualsiasi pensiero. Ogni cosa attorno a lui sembrava insignificante, orrenda e inutile. Il rumore sordo delle lancette dell’orologio stava creando in lui un principio d’emicrania. Le gambe muscolose avevano incominciato a tremare vergognosamente, tanto da costringerlo a poggiare una mano sulla scrivania scura che gli stava innanzi. L’ennesimo brivido di freddo gli percorse la schiena, obbligandolo ad abbassare il capo.

Si sentiva vulnerabile.
Illuso, ingannato, umiliato, come non lo era mai stato nella sua vita. Privato dell’unica cosa che gli appartenesse davvero. L’idea di essere all’oscuro di tutto, s’era insinuata in lui come un brutto cancro, ormai impossibile d’estirpare. Lo aveva lasciato lì, esanime a fissare quella superficie bianca su cui spiccava la sua condanna a morte.
Nessuno lo aveva avvertito. Nessuno gli aveva mai dato parvenza di sapere.

Orgogliosamente s’era sempre giudicato superiore al resto del mondo, come un’entità intangibile cui nessuno può o osa far del male.
Ingenuamente aveva finto di non notare l’evidenza. Qualcosa in lui lo aveva protetto dalla realtà, che lenta ed inamovibile pendeva su di lui come una condanna.

Quel giorno sarebbe arrivato e nessuno lo avrebbe preparato a ciò che sarebbe accaduto. Lo avrebbero lasciato lì a tirarsi su da sé come s’era sempre ostinato a fare. Lui, avrebbe continuato a tirar le fila da buon burattinaio qual era.

Gli era stato riservato un trattamento che non si concede nemmeno alla feccia. Era andato avanti, senza nemmeno accorgersi delle risa che s’accumulavano alle sue spalle. Mentre lasciava scorrere le dita sulla carta, si convinse che l’essere magnanimo non era una virtù che gli fosse mai appartenuta. Non v’era motivo per cui lo diventasse a quel punto. Non v’era motivo per cui il suo corpo continuasse a patire quel freddo e quell’umiliazione.

Sentì la punta dei polpastrelli farsi sempre più calda, lo stomaco riempirsi d’un calore mai provato a quei livelli. Non serviva più reggersi alla scrivania. La testa aveva smesso di pulsare per l’umiliazione e s’era calmata improvvisamente. Di quella calma irreale che è preludio di catastrofe. Gli occhi si erano bloccati su di un’unica frase. Nulla importava delle risa, dell’illusione di cui s’era privato con le sue stesse mani. Lui non sarebbe stato schiacciato, non avrebbe avuto sorte comune a quei tanti morti e sommersi dai secoli d’oblio. Il mondo avrebbe riportato la sua vita, volente o no.

Strinse con sdegno la carta sormontata dallo stemma della Famiglia Vongola. Uscì a passi spediti, senza nemmeno curarsi di lasciare in ordine ciò che aveva scaraventato giù dalla scrivania. La cera lacca ancora sbriciolata sul tappeto rosso dell’enorme studio.


“ … in mancanza d’eredi, il sottoscritto Timoteo Vongola, IX Boss della suddetta Famiglia, propone candidato alla successione come X Boss della Famiglia, Sawada Tsunayoshi, primogenito del consigliere esterno Iemitsu Sawada.
Don Timoteo, IX Boss della Famiglia Vongola. “



Quella non era la sua casa. Non era la sua vita. Lui se le sarebbe preso con la forza.
Quelli di fuori non erano altro che inutili fecce. Quella non era la sua Famiglia. Quello non era suo padre.
Non v’era quindi motivo per cui lui dovesse piangere la loro prematura scomparsa.




  
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