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Autore: Rainie    08/12/2011    7 recensioni
Rein? La ragazza più normale del mondo. O almeno, così lei crede. Un lavoro? Beh, sì, ce l'ha, ma non è poi così normale come lei (?). Un imprevisto? Insomma, quello si vedrà.
Perché, in fondo, cosa sarebbe mai capitato a qualcuno che segue diligentemente le routine come lei?
Cit.: «Adesso che farai?» chiese, e fu in quel momento che capii il perché di quel sorriso inquietante: sapeva che ero disposta a tutto pur di non far morire un amore.
Deglutii saliva amara, era una bella domanda. Cosa avrei fatto? Cercando tutta la sicurezza che avevo in corpo, gli dissi: «Smettila, non è divertente.»
«E se anche fosse?» rispose avvicinandosi a me, ed io indietreggiai di conseguenza. No, non dovevo farmi mettere in soggezione da un tipo come lui.

[...]
«Facciamo così» sentenziò, «se mi trovi almeno cinque ragioni per continuare a stare con tua sorella, allora mollo tutto e continuo la storia. Se non riesci, beh… direi che è ora di finirla. Che ne dici?»
[Pairing: ShadexRein]
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rein, Shade, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
 
«Non posso credere di avere la febbre a 39» brontolai, fissando il termometro e coprendomi il più possibile con la coperta per evitare di tremare. Mi sentivo il corpo tutto intorpidito, la testa scoppiare, la gola bruciare e il naso tappato. Insomma, un bel modo di iniziare la giornata; era dal giorno prima che pioveva e la cosa non mi rendeva affatto allegra.
«Sorellina, dovevi proprio ritornare a casa tutta inzuppata?» mi chiese premurosa Fine, con una rughetta fra le sopracciglia che mostrava quanto fosse preoccupata per me, anche se un po’ di febbre non aveva mai fatto del male a nessuno. «È pazzesco!» esclamai, «mi sono persino fermata un po’ da Mirlo per chiederle un ombrello.»
«Certo, rifiutando i suoi vestiti che ti aveva chiesto di mettere per evitare di finire in questo stato» mi incalzò sospirando. Mi chiesi se fossi sempre stata così problematica. «Forse è meglio che tu vada a scuola» feci, cambiando argomento, «non vorrai mica far infuriare i professori! E visto che ci sei, riporta l’ombrello a Mirlo e ringraziala da parte mia.»
«Secondo me avrà la mia stessa reazione quando le riferirò in che condizioni sei» commentò pensierosa, alzandosi. Roteai gli occhi, lei si preoccupava decisamente troppo quando si trattava di me, anche solo per una cosa minima; e pensare che ero io che dovevo avere quel compito. «La mamma ha detto che la zuppa è nella pentola, basta che tu la riscaldi. E ricordati anche della medicina dopo il pranzo.»
«Certo, sorellina» dissi sottolineando bene l’ultima parola. Diamine, sembrava mia madre – forse era proprio lei ad averle detto di riferirmelo.
Lei, invece, fece una faccia dalla serie: “Non prendermi in giro”, aggrottando leggermente le sopracciglia in uno sguardo di rimprovero e sospirando rassegnata. Era come se i nostri ruoli si fossero invertiti, così io ero diventata la sorella minore mentre lei era la maggiore (anche se, sinceramente, non le addiceva affatto quel ruolo: quel suo viso infantile e spensierato le stava bene proprio perché era la piccola di casa). Le sorrisi incoraggiante e le dissi: «Vai, prima che arrivi ancora in ritardo. Salutami gli altri.»
Quando sentii la porta di casa chiudersi e gli schiocchi della serratura che mi chiudeva nell’abitazione, potei sospirare e fare un piccolo sorrisetto di soddisfazione sotto le coperte, con il ticchettio della pioggia che batteva contro il vetro a farmi da sottofondo.
Ero finalmente riuscita a dire qualcosa di buono a Shade, e questo mi faceva assai sentire bene. Avvolta nella mia calda coperta, cominciai a pensare a cosa altro avrei potuto dirgli per risolvere quel piccolo (?) problema. Avevo finalmente raggiunto uno dei cinque obiettivi che mi aveva prefissato dopo quasi un mese, un po’ di felicità doveva pur starci!
In quel momento, mi ricordai che Shade era sempre stato così menefreghista che, sicuramente, non avrebbe messo in atto quello che gli avevo detto il giorno prima dopo che avevamo raggiunto la casa di Mirlo – “Ti prego di non essere così distaccato da mia sorella, lei ci tiene a te e lo sai” – così decisi di mandargli un messaggio per ricordarglielo.
La risposta fu lenta, ed io, vinta dalla stanchezza, mi addormentai aspettandola.
 
«Sai che si dice?» mi chiese, facendomi voltare verso di lui. Sul suo viso spensierato era comparso un accenno di sorriso, ed io non potei fare altro che pensare che fosse bellissimo. «Se pieghi mille gru di carta, una per ogni momento felice, un tuo desiderio si avvererà» continuò, posando il suo sguardo su di me e tirando fuori dalla tasca della giacca un piccolo uccello in origami. I colori della carta parvero splendere sotto la luce del sole mentre me lo metteva sul palmo della mano. «Tu sei così ossessionato da queste gru che mi fai venire voglia di farle anche io» risi, posando la testa sul suo braccio e chiudendo gli occhi, godendomi il tepore del sole di maggio.
 
La prima cosa che guardai, una volta messami seduta sul letto, fu il flaconcino di stelle origami sulla mia scrivania. Mi venne istintivo, forse perché non avevo alcuna voglia di alzare la testa e guardare tutti quegli uccelli colorati che svolazzavano sulla mia testa, così avevo ripiegato su qualcosa che avevo imparato a fare io.
Mi ricordai che il cellulare aveva vibrato, così lo controllai e lessi il messaggio che Shade mi aveva inviato: “Signorina, non ricordi che sono ritornato a casa tutto inzuppato e che la stagione delle piogge mi fa un brutto effetto?” In qualche modo mi sentii molto soddisfatta (e sadica). Fui molto più tranquilla nel constatare che quel giorno in cui non ero andata a scuola anche Shade fosse a casa, così potevo smettere di preoccuparmi. Notai anche che era mezzogiorno passato, così decisi di alzarmi – di mio malgrado – per scaldare la zuppa di pollo che mi aveva preparato mia madre.
La sera Fine ed io parlammo per molto tempo, e lei osservò che neanche il suo “fidanzato” era andato a scuola, chissà come mai. In quel momento mi sentii leggermente in colpa, poiché ero stata io a dire a Shade di accompagnarmi a prendere la torta alla mia gemella e a Mirlo, ma alla fine non ci badai più di tanto: Fine aveva già cambiato discorso.
Mi sentivo ancora male, ma quando lei mi chiese se il giorno seguente sarei stata in grado di ritornare a scuola, le riferii sicura che sarei stata presente e le dissi di non continuare a preoccuparsi per me, un’influenza ben curata non aveva mai fatto del male a nessuno.
Quando mi ritrovai sola nella stanza, non potei evitare di guardare il soffitto, pensando che fosse passato davvero molto tempo da allora.
Dalla volta in cui ci eravamo lasciati non avevo fatto altro che pensarci e ripensarci così tante volte che non ricordavo un momento in cui non avessi il pensiero del passato in testa. Avevo perso tutto quello per cui avevo promesso di vivere che le giornate mi sembravano sempre cupe e grigie, senza un accenno di colore.
Ero una ragazza con un normale cuore spezzato, continuando a sorridere forzatamente in modo normale e piangendo di notte sotto le coperte con la testa piena di ricordi d’amore normali. Non avevo niente di straordinario, sebbene tutti mi avessero detto quanto fossi formidabile nel continuare la vita come sempre senza riporre la mia tristezza nel mio cuore.
Quella volta mi chiesi se fosse veramente così facile leggermi dentro.
 
Il giorno dopo avevo ancora un po’ di mal di gola, ma non era niente di grave, cosicché potei ritornare normalmente a scuola. Alla pausa pranzo Mirlo mi disse in tono di rimprovero che dovevo prendermi più cura di me stessa. Quando feci notare che al nostro allegro gruppetto mancava ancora Shade, Bright mi disse che aveva ancora l’influenza, ed io mi chiesi cosa poteva esserci di peggio per quel ragazzo dell’autunno. Fine propose di andare a casa sua a fargli visita, il che mi fece rabbrividire perché non mi era mai piaciuto lo stato in cui si presentava ogni volta che andavamo a trovarlo – era sempre stato più irritante del solito.
Così Fine dovette andare da sola, poiché tutti gli altri la pensavano come me, con la scusa di “lasciarli un po’ soli”. Mi venne un po’ da ridere, ma ne fui felice perché, dopotutto, mia sorella doveva davvero restare un po’ sola con Shade. Magari si sarebbe risolto tutto ed io non mi sarei più dovuta preoccupare.
Durante l’ora di economia domestica Altezza volle sapere tutto di quello che era successo due giorni prima, poiché le avevo detto di sfuggita che sarei uscita con Shade. Si fece raccontare il tutto nei minimi particolari, e quando finii lei si fece pensosa, da come riuscivo a percepire la sua espressione tipica di quando faceva yoga (sì, faceva yoga), dopodiché non mi disse più niente. Mi chiesi da quando in qua Altezza era così interessata a quello che succedeva fra me e Shade.
Alla fine della lezione finalmente mi parlò. «Certo che voi due siete strani» commentò, ed io, perspicace come al solito, non capii proprio il perché di quell’affermazione e le chiesi spiegazioni. Lei liquidò l’argomento proponendomi di uscire ad accompagnarla a fare compere.
La sera notai che era da un sacco di tempo che non riuscivo a godermi una giornata del genere. Niente scommesse, niente Shade, niente situazioni fuori dalla norma, solo una tranquilla giornata nuvolosa che odorava di autunno. Ascoltando la mia gemella parlare di quanto fosse stata felice di vedere il suo ragazzo, mi dissi, per la milionesima volta in quelle settimane, di essere una cattiva sorella maggiore. Lei sembrava così gioiosa, eppure io non mi sentivo affatto bene: avrei dovuto mentirle, ancora e ancora, fino a quando tutte le cose non sarebbero andate al loro posto, cosa che molto probabilmente non sarebbe accaduto molto presto. E, ironia della sorte, alla fine mi disse proprio che era grazie a me se lei era potuta stare con Shade così a lungo. Non seppi che dirle per paura di ferirla, anche se impercettibilmente.
 
Non ero particolarmente portata per lo sport o per l’attività fisica in generale, quindi l’ora di educazione fisica non era mai stata tra le mie preferite, al contrario della mia gemella, che riusciva a trovare in quella lezione uno sfogo per tutto quello che non riusciva a portarsi dietro: correva, saltava, eccelleva negli esercizi; aveva sempre avuto dei buoni voti in quella materia, al contrario del resto. Io ero l’opposto: mi sforzavo di non tenere troppo bassa la mia media scolastica (ma nemmeno mi piaceva essere vista come una gran studiosa, ciò voleva dire mettersi in mostra per me, e non ero particolarmente attirata da qualcosa del genere), ma in educazione fisica ero davvero una frana.
Quel giorno non pioveva, il sole era sì e no presente, per cui non riusciva a scaldarci molto a causa della temperatura che si stava abbassando: l’autunno, a Wonder, era particolarmente freddo, così come l’inverno.
Sebbene avessi fatto solo due giri della palestra, mi sentivo già un po’ affaticata, e sperai che quel riscaldamento finisse presto: era la cosa che detestavo di più, la resistenza in corsa non era il mio forte – non che negli altri esercizi mi piacessero. L’unica cosa che mi piaceva del correre era che liberavo la mente da tutto quello a cui stavo pensando poco prima, lasciando il vuoto più assoluto nella mia testa facendomi concentrare nella corsa. Il vuoto.
Quel giorno avremmo dovuto giocare a palla prigioniera, e io odiavo quell’orribile gioco: mi prendevo almeno una pallonata in faccia all’anno, e non era una cosa molto piacevole – tra l’altro, noi ragazze facevamo educazione fisica con i maschi; se non riuscivano a controllare la loro forza era impossibile uscire illesi da quella lezione. Era orribile. Non feci altro che correre di qua e di là per tutto il tempo, avendo il costante terrore di essere beccata.
Ma nella mia mente era presente ancora il vuoto. Mi piaceva un sacco quella sensazione, forse era l’unica cosa positiva della lezione di educazione fisica. Quel giorno, non conoscevo bene il motivo, ero particolarmente stressata, irritata, infastidita da tutto, per questo ero decisamente felice che ci fosse stata quell’ora.
Anzi, è meglio dire che sapevo benissimo perché ero tanto lunatica quel giorno, solo che odiavo ammetterlo. Perché, alla fine, gira e rigira, la risposta a quella domanda – Perché ti ostini a volere che gli altri non smettano di amare le persone a loro care? – era chiarissima: ero così egoista che questo mio egoismo divenne altruismo e che mi fece pensare che si fosse sempre trattato di quest’ultimo, fino a quando Shade non me l’aveva rinfacciato con parole dure e poco delicate. In qualche modo gli ero grato, ma non ci volevo proprio pensare.
Perché la causa di tutto era lui. Era lui che era all’occhio del ciclone, ed ero sicura che lo sapesse bene – impossibile che Shade fosse così poco sveglio da non riuscire a stuzzicare, quando poteva, le persone come me. Sapeva quali tasti premere ed ogni volta era sempre uscito trionfante da quelle piccole scommesse con la sua abilità nell’irritare le persone.
Da parte mia, comprendevo il fatto di non dover più essere succube dei suoi scherzi. L’ultima volta che c’ero cascata, mi era costato caro.
Ad ogni modo, dopo quell’ora mi sentivo meno attiva del solito e un po’ debole.
Non mi era mai successo. Molto probabilmente era per il fatto che due giorni prima ero stata malata, quindi non ci feci molto caso. Durante l’ora successiva, letteratura giapponese, non riuscivo a fare altro che sospirare e cercare di tenere gli occhi e le orecchie aperte, con non molto successo. Chiesi di andare in infermeria, e la professoressa mi accordò il permesso.
Stavo per scendere le scale quando incontrai Bright, «Oh, ciao» lo salutai.
«Rein, cosa ci fai in giro adesso?» mi domandò, leggermente sorpreso – non capii il motivo di quella sorpresa. «Dovrei farti la stessa domanda» replicai, «Comunque, sto andando in infermeria. È da stamattina che, non so perché, mi sento particolarmente poco bene, anche se la febbre è scesa da ieri».
«Era meglio se fossi restata a casa» commentò di rimando: si era sempre preoccupato per le altre persone, lui sì che era altruista. «Vuoi che ti accompagni? Tanto devo solo andare in biblioteca.» Sentivo il mio corpo intorpidito, non riuscivo a muovermi nonostante mi stessi ripetendo “Muoviti, muoviti, muoviti” come un mantra. Avrei voluto dire a Bright di non preoccuparsi e che ce l’avrei fatta da sola, ma non lo feci perché il secondo dopo non vidi altro che nero.
 
“Ascolta, Rein. Non devi essere triste, capito? Altrimenti tua sorella si preoccuperebbe. Così come Altezza. E Lione, Tio, Auler, Sophie, Bright, Mirlo, Shade. Devi essere forte, in modo che loro possano continuare a vivere in modo sereno e senza alcun pensiero triste. Sii fiduciosa, così tutto passerà e ritorneresti alla vita normale. Non importa cosa succederà, non lasciar trasparire le tue emozioni. Mai.”
Mi ero ripetuta tutto quello per mesi e mesi, fino a farmi venire il voltastomaco.
 
«To’, allora era vero quello che aveva detto Bright.»
Con quella frase pronunciata dalla bocca di Shade mi svegliai, sebbene non aprii gli occhi: ancora troppo stanca per farlo, e troppo svogliata nel vedere la sua faccia fissarmi con un sopracciglio alzato (perché ero sicura che avesse un sopracciglio alzato). «A quanto pare» sospirò Altezza. Ciò mi sorprese non poco, dato che Altezza era l’ultima persona che pensavo potesse venire a trovarmi, così come Shade. Ancora una volta non volli aprire gli occhi per vedere l’espressione della mia compagna di classe.
«Era rientrato in classe con i sopraccigli corrugati, quando era ritornato al posto mi ha riferito che Rein era svenuta nel bel mezzo della sua proposta di accompagnarla in infermeria» riferì, con un lieve sospiro. «Seriamente, tuo fratello si preoccupa troppo per ogni minima cosa.»
«Lo so» rispose Altezza, «sai com’è, è fatto così. Dovresti saperlo bene, è praticamente una vita che ci conosciamo.» Quel “è praticamente una vita che ci conosciamo” fu detto con molta rassegnazione, in cui vi lessi un lieve compiacimento di cui non mi seppi spiegare il motivo. Ne seguì un silenzio, nel quale sentii il letto accanto al mio scricchiolare leggermente. Probabilmente era il ragazzo di mia sorella che si era seduto. «Piuttosto, che ci fai qui? Non dovresti essere in classe?» chiese Altezza, curiosa.
«Ora buca» rispose semplicemente l’altro, «così ho deciso di venire a trovarla.» Nell’aria era sospesa la domanda “E mio fratello?”, così Shade completò la risposta: «Bright, invece, ha detto che doveva copiare i compiti di inglese, così gli ho passato i miei».
«Bene» fece soddisfatta Altezza, «così potremo parlare indisturbati.» Ciò mi fece subito drizzare le orecchie, indecisa se cercare di addormentarmi oppure rimanere sveglia. Sembrava fosse qualcosa di serio, e raramente la mia compagna bionda era seria. Infatti, dopo poco, gli disse: «Ho saputo da Rein di questa piccola scommessa fra voi due. Mi sto ancora chiedendo il motivo, sinceramente.»
«Ti ha detto questo?» chiese, leggermente allarmato. Dopodiché si ricompose, quando continuò: «Non dovremmo parlare in sua presenza, ad ogni modo.»
«Ah, tanto è già andata da un bel po’» disse, con così tanta noncuranza che la maledii mentalmente per quello. Ero ancora di fronte al bivio dell’addormentarmi o meno, ma sapevo già che, oramai, era inutile cercare di svenire una seconda volta per non ascoltare il loro discorso. Così mi aggrappai alla speranza che Shade non fosse così poco prudente da accettare quello come un pretesto per non uscire dalla stanza, anche se, sinceramente, morivo dalla voglia di sapere.
Shade sospirò stanco, «Come vuoi». Il che mi fece sentire perplessa sul ringraziarlo o meno. Potei immaginarmi Altezza ghignare quando disse: «Allora? Vuoi dirmi il perché di questa scommessa? Non mi sembra qualcosa da te».
Il cuore cominciò a battermi forte. Non sapevo perché. Era un beneficio oppure no il fatto di sapere per quale assurda ragione Shade mi aveva proposto quella sfida? In fondo, lui era uno di poche parole, non avrebbe avuto senso chiedermi di trovare cinque motivi per mantenere vivo il suo amore (?) per Fine quando gliene sarebbe bastato solo uno per lasciarla.
«Avevo bisogno di stimoli» rispose, «Non mi bastava più avere qualcuno con cui confortarmi quando mi annoiavo.» Mi ricordai di quella ragazza che stava baciando il primo giorno di scuola, e sentii un brivido corrermi lungo la schiena: era a quelle cose quello a cui stava alludendo?
«Pff, d’accordo.» Altezza non sembrava affatto sorpresa, né incuriosita da quella frase. Un altro silenzio non riempito da alcuna parola si fece spazio nella conversazione. Mi chiesi se lei lo sapesse già di quello che stava succedendo allora oppure non aveva voglia di avere a che fare con certi argomenti personali. O forse lo conosceva così bene – era davvero una vita che Altezza, Bright e Shade si conoscevano – da doversi aspettare qualcosa del genere.
«Senti,» fu ancora la mia compagna a parlare, «non è che stai solo cercando di sopprimere quell’interesse che avevi per Rein qualche tempo fa, prima che si mettesse con quel ragazzo?»
Mi si gelò il sangue nelle vene.
«Non mi dire che ce l’hai ancora, dopo questi due anni» lo incalzò ancora.
Deglutii a fatica.
«Di certe cose è meglio non parlarne, Altezza. È stato un po’ di tempo fa.»
Strinsi l’orlo della gonna, come se fosse stato un antistress.
«Capisco. Dunque, per questo.»
Bastabastabasta.
«Chissà. E, comunque, non sono affari tuoi.»
Preferii non immaginarmi le loro espressioni.
«Sai, forse non hai così ragione, nel dire che è stato un po’ di tempo fa. Vi conosco fin troppo bene da non affermare che, per voi, il tempo non è mai passato.»
L’ultima volta che c’ero cascata, mi era costato veramente caro.

















N/A: ASNAURFNEIOSJAPKFMNIASJOKsì.
Ce. L’ho. Fatta. Finalmente.
Non so se stavate aspettando questo capitolo con trepidazione o meno, ma fatto sta che sono davvero molto realizzata nel finire di scriverlo, e spero vivamente che vi sia piaciuto. Leggere fan fiction di alta qualità (ah ah, sembra che stia parlando come i tizi che parlano nelle pubblicità) stimola davvero un sacco l’ispirazione. Grazie per esistere, EFP e FanFiction.net!
Sono le 2 di notte e per 4 giorni non andrò a scuola (oggi, l’8, perché è Sant’Ambrogio, domani e dopodomani perché le scuole, qui da me, a Milano, sono chiuse a causa dell’allarme smog D: Domenica non si va a scuola perché è così, YEEEEE), quindi mi sento tanto felice che posso dormire di più.
Non ho molto da dire su questo capitolo, tranne che scusarmi per questo orribile ritardo. Sono tremenda, lo so. Tra l’altro, il 22 parto di nuovo perché devo andare al matrimonio di mia cugina (ergo vado a tingermi i capelli, a visitare un sacco di città, shopping e a fare il book fotografico, uhuh), quindi fino al 9 gennaio sono via. Prima di quella data, quindi, credo di poter pubblicare il sesto capitolo, ma non ne sono sicura, sappiatelo. Se non fosse così, mi scuso ancora una volta.
Oh, tra l’altro, l’incontro di EFP è stato entusiasmante! Sono stata davvero felice di potervi partecipare. Peccato non aver incontrato alcun autore che conoscevo tramite i diversi fandom, ah ah. Tra l’altro, erano tutti più grandi di me, così mi sono sentita un po’ sola, anche se mi hanno detto che sembro più grande. [cit.] Ho conosciuto Erika, la webmistress, e anche Erika De Vivo, l’autrice di “La vita che avevo” del libro “Niente è come prima”! Mi congratulo con te, è stata una storia davvero profonda e toccante :) (Anche se dubito che mi leggerà qui dentro XD)
Bene, direi che è tempo di salutarsi. Spero che continuiate a supportarmi! Tra l’altro, ho bene in mente l’epilogo – l’ho già scritto, ah ah.
Noth aka Rainy/Ameshiri!
   
 
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