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Autore: LadyInDark    08/12/2011    11 recensioni
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fiction, siate comprensivi ^^ Lasciate un commento se vi va.
"Si può sapere che diavolo ti prende?". Bulma osservò Vegeta per dei secondi che le parvero interminabili.
"Non mi prende proprio niente…", riuscì a rispondere alla fine. "E adesso", continuò fissando il suo braccio. "Saresti tanto gentile da lasciarmi andare? Sono stanca".
Vegeta strinse maggiormente la presa, inarcando un sopracciglio, in attesa di una risposta. Bulma si morse il labbro inferiore, cercando di inventare una scusa credibile. Lui la strattonò, irrigidendo la mascella...
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bulma si lasciò cadere sul divano. Quella giornata era stata incredibilmente faticosa, ma non per il gran numero di progetti incompiuti che attendevano di essere finiti e collaudati. Fin da quando si era svegliata, una strana sensazione le aveva smorzato il respiro. Majin-bu era stato sconfitto da ben due mesi, lasciando al posto del terribile incubo di cui era l’artefice, una bellissima condizione di pace. Ma quel giorno Bulma, aveva la gradevolissima sensazione che quella pace non sarebbe durata ancora per molto. Sentiva che presto un nuovo nemico sarebbe piombato nella sua vita, pronto a strapparle tutto ciò che per lei contava davvero: la sua famiglia. Al solo pensiero di dover vivere senza gli impenetrabili occhi del marito e del dolcissimo sorriso del figlio, le erano venute le lacrime agli occhi…Aveva scosso violentemente la testa, ritornando a collegare fra loro cavi elettrici e ad assemblare componenti di quello che a lavoro ultimato sarebbe stato il nuovo prototipo di air-car. Era rimasta a lavorare nel laboratorio tutto il giorno pur di evitare di pensare a quello spiacevole presentimento. Non si era fermata nemmeno per pranzare, preoccupata che il silenzio che incombeva in casa potesse renderla ancora più nervosa. Solo dopo aver abbozzato su un foglio gli appunti per un nuovo progetto, si era decisa a preparare qualcosa da mangiare. Vegeta e Trunks erano usciti la mattina presto per andare ad allenarsi in chissà quale landa desolata; e questo non faceva che aumentare la sua preoccupazione. Non le piaceva stare in casa da sola, senza nessuno pronto a proteggerla. Il sole era ormai tramontato. Dopo aver preparato la cena, aveva deciso di concedersi una piccola pausa, sedendosi sul divano. Ed ora eccola lì, a riflettere sull’intera giornata e su quella stupida sensazione che la faceva sentire così triste e fragile. Sospirò profondamente e chiuse gli occhi, nel tentativo di rilassarsi. Non fu in grado di capire quanti minuti erano trascorsi, quando sentì la porta d’ingresso aprirsi. Scattò in piedi, sforzandosi di assumere un atteggiamento il più pacato possibile. Accennò persino un lieve sorriso, giusto in tempo prima che Trunks piombasse in salotto.
"Ciao mamma!", esclamò il piccolo. La sua tuta era ridotta a brandelli, le braccia ricoperte da tagli ancora sanguinanti, ed un occhio appariva più gonfio rispetto all’altro.
"Trunks, tesoro! Guarda come sei ridotto", lo ammonì lei, lanciando un’occhiataccia verso Vegeta, che se ne stava tranquillamente appoggiato a braccia conserte su un muro.
"Sono solo dei graffi. Sto bene", rispose lui, senza smettere di sorridere. Bulma non riuscì ad essere arrabbiata. Bastava fargli trascorrere un po’ di tempo con suo padre, che anche il più faticoso degli allenamenti lo faceva sorridere.
"Va a disinfettarti e a lavarti le mani. La cena è pronta".
"Subito!", e schizzò fuori. Bulma si diresse in cucina, evitando di incrociare lo sguardo del marito. Avrebbe subito capito che qualcosa la turbava. Dopo aver preparato la tavola, mise la cena nel microonde, per riscaldarla.
Nel frattempo Vegeta, l’aveva raggiunta in cucina e si era accomodato a tavola. Guardò la moglie che gli dava le spalle, intenta a preparare i piatti. Sembrava facesse di tutto pur di non guardarlo in faccia. C’era qualcosa che non andava. Di solito, quando lui e Trunks ritornavano dagli allenamenti, era sempre pronta ad aggredirlo per aver ferito il suo adorato figlioletto. Ma quella sera, non riusciva a leggere nei suoi occhi color del cielo. Anche quando posò il piatto davanti a lui, continuò a tenere lo sguardo basso. Stava per imprecarle contro, quando Trunks ritornò improvvisamente, occupando posto a tavola e cominciando a raccontare ogni singolo particolare della giornata appena trascorsa. Bulma si limitava ad annuire e a sorridere, lasciando parlare il figlio.
"Va bene, Trunks!", disse all’improvviso. "È ora di andare a dormire".
"Ma mamma…".
"Niente storie! Si è fatto tardi!". Trunks non si oppose. Quando sua madre parlava con quel tono, niente e nessuno poteva farle cambiare idea.
"Buonanotte", borbottò, mentre si dirigeva a testa china verso la sua camera. Subito dopo, Bulma si alzò e cominciò a lavare i piatti.
Quando chiuse il rubinetto d’acqua, le arrivò il basso borbottio del televisore. Vegeta, infatti, non era più seduto a tavola, ma fissava il televisore con aria annoiata. Era a torso nudo, indossava soltanto i pantaloni di una tuta pulita, probabilmente doveva aver appena fatto la doccia.
Anche lei aveva assolutamente bisogno di una doccia calda, così, si diresse silenziosamente verso il bagno della sua camera. Dopo aver lasciato che il getto d’acqua le scorresse addosso per interminabili minuti, si era avvolta in un asciugamano di spugna e aveva cominciato a cospargersi di creme idratanti. Indossò il pigiama e spazzolò per bene i capelli, senza alcuna fretta. Districati per bene tutti i nodi, uscì dal bagno. Era stanchissima. Aveva bisogno di una bella dormita. Stava per infilarsi sotto le coperte, quando una morsa d’acciaio si strinse intorno al braccio, costringendola a voltarsi. Si ritrovò puntati addosso due occhi neri, profondi e densi come il petrolio.
"Si può sapere che diavolo ti prende?". Bulma osservò Vegeta per dei secondi che le parvero interminabili.
"Non mi prende proprio niente…", riuscì a rispondere alla fine. "E adesso", continuò fissando il suo braccio. "Saresti tanto gentile da lasciarmi andare? Sono stanca".
Vegeta strinse maggiormente la presa, inarcando un sopracciglio, in attesa di una risposta. Bulma si morse il labbro inferiore, cercando di inventare una scusa credibile. Lui la strattonò, irrigidendo la mascella.
"E va bene!", sbuffò lei. "Lasciami, però. Sai, quel braccio potrebbe ancora servirmi".
Lui allentò la presa, senza mollarla.
"Allora?".
"Beh ecco…", distolse lo sguardo dai suoi occhi. "Il fatto è che…".
"Pochi giri di parole", digrignò lui, infastidito.
"Ho uno strano presentimento, va bene?!". Lui la guardò perplesso. "Ho paura che un nuovo pazzo con manie di grandezza, venga per distruggere il pianeta", disse tutto d’un fiato.
Vegeta ghignò divertito. "Tutta questa scena per uno stupido presentimento?", le disse sarcasticamente, senza che quel sorriso arrogante sparisse dal suo volto.
Bulma si sentì profondamente umiliata. "Sei il solito idiota!", gli urlò in faccia, riprendendosi il braccio. "Prima vuoi sapere cosa mi fa stare male e poi mi prendi in giro!". Gli diede le spalle e s’infilò sotto le coperte, senza degnarlo di altre attenzioni.
Vegeta la guardò, continuando a sorridere. Poi, la raggiunse sotto le coperte. Vedendo che non faceva niente per farsi perdonare, Bulma s’infuriò ancora di più. Prese il cuscino su cui era comodamente poggiata, e gli e lo lanciò contro. L’oggetto lo colpì in pieno, senza scomporlo minimamente.
"Hai finito?", le chiese lui, lanciando il cuscino per terra.
Bulma si avventò su di lui, provando a colpirlo con dei pugni. Non ebbe nemmeno il tempo di alzarli in aria, che si ritrovò entrambi i polsi prigionieri nella sua mano. Vegeta se li portò al petto nudo, costringendola a sdraiarsi accanto a lui e con l’altro braccio la strinse a se.
Bulma, che all’inizio era rimasta scioccata da una simile reazione, lo strinse a sua volta. La stanchezza era sparita, e con lei,  anche quella spiacevole sensazione. Nessun essere vivente, umano e non, poteva spaventarla in quel momento, perché se c’era un posto in cui lei si sentiva al sicuro, era lì. Nelle sue braccia.

  
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