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Autore: ChiaraDanger    09/12/2011    5 recensioni
"Presi la sua mano nella mia. Così fredda, così pallida, così delicata. Una lacrima scese dal mio viso e si posò su quelle dita perfette, lo smalto ancora intatto, la fede ancora al suo posto."
One Shot su Jemi.. spero vi piaccia =D
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Joe Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Presi la sua mano nella mia. Così fredda, così pallida, così delicata. Una lacrima scese dal mio viso e si posò su quelle dita perfette, lo smalto ancora intatto, la fede ancora al suo posto.
Eppure quel dolce angelo che adesso sembrava riposare tranquillo davanti a me rischiava di andarsene da un momento all’altro. Ancora una volta aveva dimostrato il suo coraggio e la sua forza rischiando la sua vita per salvare quella di nostra figlia.
Alzai lo sguardo e lo posai ancora una volta su quel viso che adesso sembrava riposare in pace, lontano da ogni dolore ed ogni sofferenza; lontano da me e dall’unica ragione che mi aveva impedito di commettere qualche gesto folle, quella ragione per la quale lei aveva dato la sua vita.
Le spostai una ciocca che le era caduta sul volto lasciandole un bacio su quelle guancia che ogni qual volta sorrideva si distendevano dando vita a due adorabili fossette.
Era incredibile ma la sua bellezza era rimasta intatta, nonostante il volto affaticato.
Era un fiore così delicato e fragile che si sarebbe potuto distruggere da un momento all’altro, ma lei aveva scelto di lottare e di non abbandonare la sua famiglia, di non abbandonare me che senza di lei ero nulla.
Mi staccai un attimo, giusto il tempo di afferrare la mia chitarra e tornare da lei.
Lei che era la ragione della mia musica; Lei che era la forza che mi spingeva ogni giorno a essere una persona migliore; Lei che era il pilastro portante della mia vita; Lei senza la quale il mondo non avrebbe avuto alcun senso.
Mi sistemai quanto più vicino possibile e dopo averle lasciato un delicato bacio sulla mano mi preparai a far scivolare le mie dita tra le corde di quella chitarra sulla quale era inciso il suo nome, ma fu proprio in quel momento che mi bloccai e mi resi conto che senza di lei non ce l’avrei fatta.
Riposai quello strumento melodioso sul pavimento e nuovamente con le lacrime agli occhi tirai un pugno contro uno specchio che era attaccato al muro frantumandolo.
Con la mano sanguinante mi accasciai a terra continuando a dare pugni al pavimento e a maledirmi per questa mia impotenza davanti alla sua sofferenza, per questa mia incapacità di aiutarla, per questa mia enorme paura di perderla che mi bloccava dal fare qualunque cosa.
Restai lì fermo, attaccato al suolo per un tempo che oserei dire infinito fino a che mi alzai di scatto e scappai via. Iniziai a correre veloce, scappavo ma non avevo una meta.
Scappavo dalla paura, dalla tristezza, dal senso di inutilità e solitudine. Scappavo dall’unica persona che al momento aveva bisogno di me e della quale io avevo bisogno.
Dopo quasi dieci minuti  mi fermai e mi lasciai letteralmente cadere su una panchina. Osservai i miei vestiti sporchi di sangue, poi concentrai la mia attenzione sulla mia mano destra che ancora perdeva sangue.
Passai l’indice dell’altra mano sulla ferita più ampia e profonda, provando dolore al solo contatto. Rifeci la stessa operazione un paio di volte poiché quel dolore fisico sembrava poter alleviare quello più profondo che portavo dentro di me.
Preso da quella follia estrassi un pezzo del vetro dello specchio che avevo in tasca e iniziai a farlo scivolare sulla mia carne incidendo il suo nome.
Il sangue scorreva fluido e cristallino creando piccoli fiumi rossi che mi ipnotizzavano. Mi stavo distruggendo con le mie stesse mani.
Il dolore, il sangue, le ferite davano sollievo alla sofferenza interiore. Mi indebolivano avvicinandomi sempre di più a quello che fino ad ora avevo evitato di fare.
Poi però ci fu come un lampo nella mia testa. In quel sangue vidi nostra figlia, sentii il bisogno che lei aveva di me adesso più che mai. In quel sangue vidi la mia famiglia, la disperazione per quello che stavamo affrontando e quella che sarebbe accorsa nel caso io avessi continuato questo gioco masochista. In quel sangue  vidi la donna della mia vita che in quel momento stava lottando da sola contro la morte su un letto d’ospedale, mentre io ero troppo debole e troppo vigliacco per starle accanto.
Risvegliatomi come da uno stato di trans presi quell’oggetto di colorito ormai rosso e lo gettai via, dopodiché mi alzai e inizia a ripercorrere la strada fatta precedentemente, stavolta però con una meta precisa e soprattutto con un obbiettivo.
Spalancai la porta dell’ospedale e mi precipitai su per le scale per raggiungerla.
I medici cercarono di fermarmi notando che avevo i vestiti sporchi di sangue e quest’ultimo che scorreva libero dalle mie vene, ma io li ignorai e proseguii nella mia corsa.
Una volta arrivato davanti alla sua porta mi fermai di scatto rimanendo immobile con gli occhi fissi sul pomello della porta. La tentazione di scappare di nuovo era forte ma poi vidi il suo viso attraverso il vetro e mi bastò questo per prendere coraggio ed entrare.
A causa della notevole quantità di sangue che avevo perso e stavo tutt’ora perdendo le forze stavano iniziando ad abbandonarmi, ma cercai di non pensarci e mi avvicinai di nuovo a lei.
La guardai senza però avere il coraggio di sfiorarla, non dopo la mia fuga e il modo da codardo in cui mi ero comportato.
Sul pavimento c’erano ancora le macchie rosse segno del mio dolore e della mia paura.
La chitarra li dove l’avevo lasciata, un pezzo di vetro ancora in bilico tra la cornice e il vuoto; la donna della mia vita in bilico come quel triangolino tra la luce e il baratro.
Mi avvicinai un po’ di più con gli occhi che tornarono ad essere lucidi di fronte a quel corpo privo di reazioni, privo di quel meraviglioso color pesca che lo contraddistingueva, privo di quella forza vitale di cui straripava e che faceva di lei la donna perfetta ai miei occhi e lo era, lo era davvero.
Con la mano non ferita trovai finalmente il coraggio di sfiorare quelle gote pallide e avvicinandomi a lei le sussurrai un lieve mi dispiace, facendo scorrere l’ennesima lacrima che si andò a posare sulle sue labbra rosa, così delicate e morbide ancora adesso.
Ripetei quelle parole un’infinità di volte dando sfogo ad un pianto che sembrava essere senza fine. La disperazione era ormai padrona di me e mi stava annientando dall’interno.
Mi asciugai gli occhi facendo cadere il mio sguardo sul suo nome inciso sulla mia pelle e automaticamente su quello stesso nome inciso tra il legno chiaro di quella chitarra che giacente sul pavimento sembrava chiamarmi.
La presi nuovamente tra le mani facendola sporcare del rosso cristallino del mio sangue che andò a posarsi proprio tra le cavità del suo nome facendolo risplendere alla leggera luce del sole che entrava dalla finestra.
La guardai ancora un momento poi me la posizionai tra le mani e finalmente le mie dita iniziarono a scorrere tra quelle corde incantate che immediatamente iniziarono ad emettere una melodia incantevole.
Sentii come una nuova energia pervadere il mio corpo non appena sentii quelle note e la paura man mano dentro di me iniziò a scemare per far spazio alla forza che lei mi stava trasmettendo.
Alzai lo sguardo dalle corde e lo diressi verso di lei intonando le prime note di una canzone che scrissi per lei qualche anno prima, quella canzone in cui era racchiuso il mio dolore, in cui erano racchiuse le mie scuse per averla fatta soffrire, allora come adesso, quella canzone in cui erano racchiusi i miei sentimenti per la persona più importante della mia vita.
C’era una frase di quella canzone che più delle altre sintetizzava il posto che lei occupava all’interno della mia vita, quello più importante che da sempre le era appartenuto.
<<’cause without you there’s nothing left of me Demi >> cantai con la voce che mi si bloccava in gola, con le lacrime che riempivano il mio viso, con il corpo che tremava e le gambe che stavano per cedere.
<< what can i do to show you i’m sorry? >> gridai chiedendomi cosa potessi fare per dimostrarle che ero lì vicino a lei, che il dolore mi stava uccidendo e che mi faceva male non poter fare nulla per lei.
Come avrei mai potuto farmi perdonare la mia vigliaccheria e la mia debolezza, il mio non essere il meglio per lei che era la persona più incredibile che i miei occhi avessero mai visto, l’unica ragione che il mio cervello avesse mai capito, l’unico battito che il mio cuore avesse mai ascoltato.
Finita quella canzone, rassegnato, posai quel dolce strumento e mi apprestai ad uscire da quella camera per recarmi dai medici per permettergli di curare le mie ferite che però sarebbero sempre rimaste aperte, ma proprio in quell’istante, come un miracolo sentii la voce di un angelo chiamare il mio nome.
Mi bloccai sull’uscio della porta tremante. Avevo una tremenda paura di girarmi e vedere che, come era già capitato, quel suono era solo frutto della mia immaginazione; frutto di quella frustrazione che ormai mi accompagnava da giorni.
Sospirai e decisi di non voltarmi ed uscire, ma appena mossi un altro passo sentii nuovamente quella voce e stavolta fui sicuro che non l’avevo immaginata.
Con gli occhi in lacrime mi girai verso di lei e ad accogliermi trovai quegli occhi scuri quasi come la notte, quegli occhi la cui luce mi era mancata come l’aria.
Vidi il suo sorriso, le sue dolci labbra distendersi e sorridere, le gote riprendere colore, il petto tornare a respirare in modo vivo, la forza vitale rimpadronirsi di lei.
Incredulo feci cadere un vaso che avevo in mano il quale toccato il suolo andò in mille pezzi spargendo tutti i fiori che vi erano contenuti.
Nella frazione di un secondo mi precipitai verso di lei in lacrime e la baciai. La baciai con tutto l’amore che mi esplodeva nel cuore; la baciai con tutta la forza che avevo in corpo; la baciai con tutta l’energia che mi attraversava le vene.
Strinsi forte quelle mani ancora così bianche, ma stavolta anche loro stringevano le mie in quello che fu il bacio più bello della mia intera vita.
Adesso la mia vita aveva di nuovo un significato, con lei accanto a me che avrebbe illuminato le mie giornate e avrebbe dato loro un senso, lei senza la quale un senso non c’era, lei che avrebbe permesso che di nuovo nella mia vita ci sarebbe stato qualcosa di giusto, quel qualcosa che senza di lei non c’era. Quel qualcosa che si identificava in lei e che sarebbe stato per sempre lei, lei senza la quale non era rimasto niente di me..
 
 
  
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