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Autore: LelleLaFolle    11/12/2011    14 recensioni
Annaspai ancora, cercando di ingoiare meno acqua possibile.
- Dammi un bacio! –
- Va a quel paese! –
Mi rispinse sotto, ma dopo pochi secondi ritornai a galla.
- Allora, me lo dai questo bacio? -
- Stronzo! -
Proprio io dovevo venir rapita dai pirati nel XXI secolo?!
E, per di più, tutti don giovanni!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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18                                              FA MALE



Non vedendo arrivare nessuno dopo l’uscita di Philip, decisi che era il momento giusto per confermare quali fossero le mie vere condizioni.
Eccetto qualche lieve bruciore in alcuni punti, sentivo il corpo in generale intorpidito e lento. Probabilmente mi avevano somministrato qualche morfina il cui effetto non era ancora terminato.
Su due gambe traballanti che tremavano al più piccolo passo, raggiungere il bagno fu una vera impresa. Accesi la luce sopra lo specchio e mi concessi un paio di respiri profondi prima di osservare la mia immagine riflessa.
Ebbi paura. Paura del mio stesso aspetto.
Ero davvero io quella ragazza nello specchio?
Sollevai una mano, portandola alla guancia violacea e lei fece lo stesso, quasi volesse dissuadere qualsiasi mio dubbio.
Ero io.
Quelle stesse dita che stavano accarezzando la mia pelle iniziarono a tremare.
Ero io. Ma una io diversa. Una io orribile.
Non volevo essere così.
Scivolai lungo la mandibola, e il collo, e le scapole. Tutto, ogni singolo centimetro di pelle era segnato, più o meno evidentemente. I ricordi sfumavano sotto il tessuto bianco di un’enorme camicia che mi arrivava a metà coscia, dalla taglia doveva appartenere senz’altro a Dastin; sapere chi me l’aveva messa era l’ultimo dei miei problemi in quel momento.
Sbottonai a fatica i primi bottoni, le mani non volevano collaborare, le dita si incastravano fra di loro e il desiderio di fermarmi era serpentino fra quei movimenti. Esasperata strappai le ultime setole, i dischetti d’avorio si accumularono ai miei piedi nudi con un leggero tintinnio.
Alza gli occhi! Mi ordinai. Alza gli occhi e guarda!
Ma ero codarda e rimanevo lì, con lo sguardo basso a contemplare quei bottoni abbandonati sulle piastrelle. Tutto ciò era terribilmente deprimente.
Non ti fai ancora più schifo così?
Sì, mi facevo schifo. Mi facevo terribilmente schifo.
È per questo che devi guardare…
Mia sorella una volta disse che io avevo fegato, che ero capace di mostrare la mia bella faccia tosta a tutti, indipendentemente da chi avessi davanti.
In quel momento avevo paura di guardare la mia stessa immagine.
Si poteva cadere così in basso?
Afferrai i lembi della camicia e li scostai, piano, scoprendo poco alla volta la fasciatura che mi ricopriva l’intero stomaco. Era una medicazione accurata, si vedeva a prima vista, e quasi mi dispiacque dover togliere la garza. Ο forse era solo un’altra misera scusa per non farlo.
Quando arrivai agli ultimi giri trattenni il fiato, combattendo contro l’istinto di chiudere gli occhi.
Ma poi lo vidi. E non ci fu più niente da fare.
Mi ritrovai piegata sul water a vomitare l’anima. Ad ogni conato tossivo quei pezzi di me stessa che erano andati in frantumi. Vomitavo e piangevo, fino a non avere più fiato e rischiare veramente di soffocare.
Disgustoso. Disgustoso. Disgustoso.
Che cosa mi aveva fatto?
Finii di rigettare e mi sentii completamente svuotata. Se era rimasto qualcosa dentro di me, di certo non lo sentivo.
Dovevo alzarmi, non potevo passare la giornata piegata da sola, ma non ce la facevo. Non se sapevo di dover rivedere quell’orrida vista.
Anche se non ti vedi, fai schifo lo stesso.
Singhiozzai, mordendomi le mani per non gridare.
Perché mi aveva toccata in quel modo? Perché mi aveva lasciato tutto quello sporco addosso? Maledizione, perché?!
Costrinsi il mio corpo a risollevarsi e mettersi nuovamente di fronte allo specchio.
Avevo iniziato. Dovevo finire.
E anche se cercavo di seguire questa filosofia, tutto quello rimaneva ugualmente una tortura.
Sfiorai il più delicatamente possibile quei segni quasi neri che mi percorrevano da un lato all’altro del corpo, scurendosi maggiormente lì dove dovevano esserci delle costole rotte o incrinate.
La ferita sul fianco non era ancora rimarginata, fra il sangue rappreso erano visibili dei piccoli punti di sutura.
Disgustoso.
Non indossavo la biancheria e me ne rammaricai. Non c’era un limite a quella distesa di lividi e segni violacei. Non c’era un confine a tutto quell’orrore.
Disgustoso.
Forse dovevo vederlo con un po’ di positività. Nonostante le sue intenzioni, le sue carezze – che di carezze non avevano proprio niente – e i suoi colpi, non era riuscito a violentarmi. In un certo senso potevo considerarmi illesa, quasi.
Allora perché mi sentivo come se fossi stata violata?
Disgustoso.
Gridai
Gridai più forte che potevo, mentre le corde vocali bruciavano e gli occhi versavano lacrime autonome.
Gridai e volli cancellare tutto.
Le mie mani scivolarono sul corpo, una all’altezza dell’addome, l’altra nell’interno coscia, e iniziarono a graffiare, scorticare, squarciare quella pelle che era già stata toccata da qualcun altro di indesiderato.
La ferità si riaprì, gettandomi addosso altro sangue. Sulla mia pancia si formò un intricato intreccio fra viola e rosso.
Disgustoso.
Gridai di nuovo, terminando in un roco rantolo che bloccava tutta la mia rabbia in gola.
Faceva tutto troppo male.
La camicia si era intrisa di quel colore scarlatto, aderendo dolorosamente alla ferita.
Ma io non vedevo più niente, c’era solo quel rosso e quel viola che mi sommergeva con i suoi colori violenti.
Disgustoso.
La porta si aprì di colpo, distraendomi da quel labirinto stomachevole.
Dastin si catapultò nel bagno con uno sguardo terrorizzato. Ma il suo terrore non fu niente in confronto a quello che provò nel vedermi.
Fai schifo anche a lui.
Ammutolì, lasciando che fossero solo i miei singhiozzi a parlare.
Non ti vuole più.
Le labbra serrate, nessun suono che provenisse da esse se non un verso strozzato.
Sei sola.
Strinsi le braccia al petto e mi piegai in avanti, gridando ancora e ancora.

- NON GUARDARMI! NON GUARDARMI!

Lui serrò la mascella, un lampo scuro nelle iridi.
Mi afferrò per le spalle, spingendomi con forza nella cabina doccia alle mie spalle.
Girò la manipola sul segno azzurro e mi chiuse le braccia in una morsa sopra la testa, mentre l’acqua fredda ci colpiva quasi violentemente. Anche lei voleva punirci.

- COSA CAZZO STAI FACENDO?!

La presa sui miei polsi si strinse fino a bloccarmi la circolazione.
Dastin era a dir poco furioso.


Angolo dell'Autrice:

Premetto che non ho mai avuto a che fare con casi di violenza diretta, quindi sono del tutto incompetente in tale campo. Ma posso immaginare, come qualsiasi altra donna d'altronde, cosa si possa provare in un esperienza così devastante e ho voluto renderlo chiaro nella reazione di Vivi.
Sebbene lei non sia stata violentata, ciò che ha provato, i segni di Jerald, tutti quei ricordi non l'abbandoneranno mai. È questo a farle più male in assoluto, il sapere di non essere in grado di cancellare tale avvenimento, il dover rivivere la paura di quegli attimi ogni volta che si guarda allo specchio, finchè anche il più piccolo livido non scompare.
È un terrore più simile alla rabbia che alla disperazione, ma è pur sempre terrore.
Spero di non essere stata fraintesa e che nessuno sia rimasto offeso da questo capitolo.
In caso contrario, mi scuso immediatamente.
Grazie per aver letto.
   
 
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