Fandom: The World Ends With You - TWEWY
Personaggi: Sho Minamimoto; Nuovo Personaggio
Rating: Verde
Genere: Commedia; Fluff; Slice of life
Altro: Het; One-shot
Note: Come mi è venuta? Boh. Non lo so. So solo che dovevo farla. Mi dispiace davvero continuare a tirare fuori idiozie come questa ma, oh, non ci posso fare nulla. Sho poi, mi farà sempre morire dal ridere, è inutile. Non lo prenderò mai sul serio.
Un
pessimo insegnante
«Sei
proprio lenta!»
Come
suo solito, Sho impresse fin troppo entusiasmo nel proprio tono di voce
mentre,
agitando in giro le mani manco stesse facendo segno a qualcuno a
distanza, si
piegava ancora una volta sulla scrivania, rimanendo alle spalle della
ragazza
che stava cercando di ascoltarlo senza dare di matto.
Lei
alzò gli occhi al cielo dinanzi a quell’azione e,
scuotendo il capo, appoggiò
il mento al palmo della mano prima di decidersi a rispondere a
quell’ennesimo,
velato insulto.
«Mai
pensato che forse non sono io ad
essere lenta, ma tu ad essere un
pessimo insegnante?»
La
buttò lì, quella frase, aspettandosi da un
momento all’altro che il suo
carissimo tutor scoppiasse nella sua fragorosa e cinica risata.
Certo,
anche lei conosceva bene la sua fama di Re della matematica, e aveva
avuto
molte occasioni di osservare il genio in azione, però in
quanto ad insegnare
ciò che sapeva il signorino lasciava un poco a desiderare:
da quando lo aveva
incontrato la sua media non si era minimamente alzata. Anzi, se
possibile si
era addirittura abbassata.
E
dire che da ‘insufficiente’ ce ne voleva per
peggiorare.
«AH!
Se tu ascoltassi le mie spiegazioni, i tuoi voti non ti
etichetterebbero come
tonta.» disse il ragazzo, riprendendo a camminare dietro di
lei per la stanza,
le mani incrociate al petto «Non capisci? Ad ogni azione
corrisponde una reazione,
è il principio fondamentale su cui si basa
l’universo.»
L’altra
gli fece il verso, muovendo la mano candida come fosse una bocca.
Ancora
con quelle frasi assurde che nessuno, ma
proprio nessuno, usava più nel ventunesimo secolo.
Davvero non capiva come
uno così potesse esistere: insomma, Sho Minamimoto era tutto
fuorché normale e
non faceva assolutamente niente per nasconderlo. Piuttosto lo metteva
ancora
più in mostra, urlando in quel suo dannato megafono,
scrivendo formule
aritmetiche sui muri della città quando più lo
aggradava, sproloquiando di cose
che i più – se non l’interno mondo
– non comprendeva.
Se
almeno si fosse sforzato di dire cose un filino più
comprensibili per una che
di matematica non ci capiva niente!
No,
neanche quello.
Sho
parlava, parlava e parlava – alle volte senza neanche
respirare, secondo lei –
dando per scontato che lei lo seguisse alla perfezione nei suoi fili
logici. Bah.
Quello non aveva tutte le rotelle a posto.
E
ciò che era peggio era che non accennava a volersi fermare.
Urgeva
una soluzione, altrimenti sarebbero scoccate le sei di sera e lei non
avrebbe
visto risolto neanche uno dei problemi che le avevano dato come compiti
per
casa: la giovane si guardò attorno, frustrata visto il
continuo ed implacabile
chiacchiericcio del suo per così dire insegnante. In quella
stanza non c’era
niente di interessante, nulla che l’avrebbe potuta aiutare ad
interrompere quel
supplizio. Il caro Minamimoto era strambo anche nella scelta
dell’arredamento.
Diceva
cose del tipo “Simple is better”, e con questa
scusa comprava il minimo
indispensabile per rendere un minimo vivibile quel tugurio che lui
aveva la
faccia tosta di chiamare ‘appartamento’.
La sua stanza, ad esempio, era di uno spartano sconvolgente. Un letto,
un
lenzuolo, la sedia su cui lei si era accomodata e la scrivania sulla
quale
aveva posato le proprie cose.
Basta.
Chissà
quando chiamava una ragazza cosa facev-
Il
suo volto si illuminò a questo pensiero interrotto proprio
sul gran finale.
Lui
era un ragazzo, un ragazzo bello ed aitante, e come tale non sarebbe di
certo
rimasto impassibile di fronte ad una donna – ma
sì, facciamo finta che lei
avesse più di sedici anni – che gli si offriva
così, su un piatto d’argento.
Non che volesse arrivare a qualcosa come fare l’amore, sia
chiaro, solo
distrarlo un attimino, con qualche moina magari, o…
Beh,
con un bacio.
Si
alzò di scatto e si pose di fronte a Sho, gli occhi forse un
po’ troppo
luminosi visto e considerato che, almeno a sua detta,
l’azione che si stava
apprestando a compiere era dettata unicamente dalla disperazione e non dal suo desiderio personale di
posare le proprie labbra su quelle di lui. Anche perché Sho
non era il suo
tipo. Quegli occhi chiari non l’aveva affatto rapita e quel
suo corpo
slanciato, nonché perfetto, non aveva la malsana
capacità di farla rabbrividire
di piacere alla sola idea di potervici stringere addosso.
Fu
un attimo.
Posando
quel bacio sulla sua bocca ebbe modo di cadere in un turbinio di
emozioni che
aveva tenute nascoste a tutti, perfino a se stessa. Improvvisamente il
mondo
sembrò assumere diverse sfumature, facendo diventare
ciò che un tempo era stato
o bianco o nero, di un grigio prima chiaro e poi un poco più
scuro.
Aveva
perfino portato le braccia al collo dell’altro, mentre lo
baciava, cosa che non
mancò di sorprenderla non appena tornò in
sé.
Non
disse niente, si staccò e basta, sentendo di non avere
neanche la forza di
smettere di guardarlo.
Moriva
dalla voglia di capire che pensava di ciò che era appena
accaduto.
«…»
Passarono
altri secondi e poi, finalmente, Sho si riscosse, squadrandola da capo
a piedi
con occhi scettici.
«Davvero
non comprendo cosa ti abbia spinta a tanto.»
mormorò, quasi infastidito «Cosa
ha a che fare questa cosa con la
matematica?»
A
sentire questa risposta, lei raccolse astuccio, quaderni e libri, li
mise nello
zaino, e poi uscì di volata dalla porta della stanza.
«Io
la odio la matematica!» sibilò, schizzando fuori
dall’ingresso con una velocità
record.
Inutile
dire che, se solo si fosse girata, avrebbe notato un piccolo sorrisetto
compiaciuto a comparire sul volto nocciola del peggiore
degli insegnanti.
Di
fatti, Sho, sapeva bene che cosa significasse quella
‘cosa’, come l’aveva
chiamata lui.
Lo
sapeva e non vedeva l’ora che ciò accadesse di
nuovo.
E,
se ve lo state chiedendo, anche il fatto che quel bacio si sarebbe
ripetuto
ancora ed ancora era un’assoluta certezza per Minamimoto.
Lui
non sbagliava mai ed era matematicamente impossibile che la sua
allieva, già
palesemente attratta fisicamente, si sarebbe ancora trattenuta. I suoi
calcoli
non mentivano.
“AH!”
pensò, affacciandosi alla finestra ed osservandola divertito
mentre la vedeva
intenta a correre per la strada “Ecco perché amo
la matematica. Di lei mi posso
sempre fidare.”.