Good old fashioned lover boy.
Ad Ivana,perché
senza di lei avrei smesso di scrivere più o meno un secolo fa.
Ad Aika, perché ha sopportato le mie lagne e le mie
incertezze.
Ad Arky, perché mi ha spinto a credere in me stessa.
1.Every breath you take.
Every move you make,
Every vow you break,
Every smile you fake,
Every claim you stake,
I’ll be watching you.
Every breath you take,
The Police
La prima volta che si era innamorato, Mattia aveva cinque
anni. Qualcuno non considererà amore qualcosa di tanto precoce e più vicino al
legame tra il Corsaro Nero e Arianna che ad un sentimento vero e proprio, ma
per comodità diremo così. I sintomi, oltretutto, c’erano tutti: battito del
cuore accelerato, movimenti inconsulti nello stomaco che ancora non andava di
moda chiamare farfalle, gambe molli e
occhi che brillavano alla sola vista dell’amato.
Simone aveva otto anni, capelli biondi e ricciuti, occhi
verdi e luminosi. A Mattia piaceva perché sapeva contare fino a cento senza
perdere un colpo, anche all’incontrario, e lanciava la palla più in alto di
tutti, più in alto dei pali della luce del vicoletto in cui erano soliti
giocare.
Simone era anche il suo vicino di casa, e la sua cameretta
era proprio di fronte a quella di Mattia, le loro finestre separate soltanto
dai pochi metri del suddetto vicolo. Così capitava che qualche sera, dopo che
le loro mamme li avevano messi a letto, si affacciassero di comune accordo alle
rispettive finestre e trascorressero ore con il viso incollato al vetro, a
farsi le boccacce e le smorfie più strane. Era andata avanti per un paio di
settimane, fin quando mamma Rossella non l’aveva beccato addormentato sul
davanzale, la tendina blu tirata addosso a mo’ di coperta, e aveva preso ad
abbassare l’avvolgibile ogni sera e portare la manovella con sé, in modo che
Mattia non potesse alzarlo. Allora quel passatempo era giunto al termine, ma si
sa: il gioco è bello quando dura poco, e poi Simone e Mattia non erano certo
privi di idee per divertirsi.
Una volta avevano rubato un copertone dal signor Russo, che
possedeva un’officina all’angolo della strada, e l’avevano fatto rotolare giù
per tutta la discesa fino alla piazza della Chiesa, rincorrendolo tra le
risate. Il signore li aveva inseguiti e, dopo aver fatto loro una lunga
ramanzina sull’importanza di chiedere le cose per favore piuttosto che rubarle, aveva sorriso bonario e aveva
detto che potevano tenerlo. Così
l’avevano legato ad una vecchia corda e appeso ad un ramo del noce che stava
nel giardino di Mattia, ottenendo un’altalena invidiata da tutti i bambini del
vicinato.
Una volta, poi, lui e Simone si erano anche baciati. Era
successo una sera di giugno, e Mattia non se lo sarebbe mai dimenticato. Il
giorno dopo il più grande sarebbe partito per le vacanze estive, andando a
trovare i nonni che abitavano al mare, per non tornare fino al settembre
successivo. Mattia gli aveva anche preparato un regalo di buon viaggio: un
portapenne ricavato da un rotolo di carta igienica finito e ricoperto di
pittura verde brillante, come gli occhi del destinatario.
«Per te, » aveva detto Mattia, e l’aveva trascinato in un
angolo della stradina affinché gli altri bambini non potessero vederli «è verde
verde come i tuoi occhi, vedi! Volevo darti anche la
penna brillantata di mia sorella Elisa, ma lei non ha voluto... »
«Non fa niente, è bellissimo! » Aveva risposto Simone,
sorridendo, e poi l’aveva baciato.
Mattia non avrebbe mai più dimenticato il gusto delle sue
labbra: sapevano di morbido, di spremuta all’arancia e di felicità. Era durato
un secondo, forse due, poi Simone si era allontanato e loro due avevano ripreso
a giocare come se nulla fosse accaduto. Mattia non era riuscito a cancellare il
sorriso dalla sua faccia per tutta la sera, e aveva pensato che era proprio una
bella cosa, l’amore.
Il giorno dopo Simone era andato dai nonni, e Mattia,
quell’estate, non aveva avuto altro passatempo all’infuori del crociare sul
calendario i giorni che lo separavano dal suo ritorno. Quando però settembre
era finalmente arrivato, dopo giornate torride e interminabili e fin troppi
pennarelli rossi sacrificati alla missione, le cose erano ormai cambiate.
Simone aveva tagliato i capelli, innanzitutto, la chioma riccioluta
aveva lasciato il posto a dei ciuffi corti e tenuti su col gel, e c’era una
durezza nei suoi occhi che Mattia non aveva mai visto prima. Aveva preso ad
uscire con quelli più grandi, di dieci e undici anni, che avevano ormai finito
le elementari e anziché copertoni al meccanico rubavano petardi e sigarette al
tabaccaio, senza che nessuno li rimproverasse mai.
Così si erano allontanati: Simone era troppo occupato coi
suoi nuovi amici per curarsi di un piccoletto come lui, e Mattia era rimasto
solo, con la sua altalena e nessuno che lo spingesse, e il cuore infranto per
la prima volta in vita sua.
La prima volta che si era innamorato, Mattia aveva cinque
anni, e, anche se le cose non erano andate a finire molto bene, non c’era
niente di preoccupante in tutto questo.
La prima volta che si era innamorato, Mattia aveva cinque
anni, e non c’era niente di preoccupante, a parte il fatto che adesso di anni
ne aveva diciotto, e non era ancora riuscito a dimenticare quello stesso
bambino che aveva amato tanto tempo fa.
*
«Mattia, tutto bene? »
Sofia era stesa supina sul letto, i riccioli ramati
sparpagliati sul cuscino e il libro di fisica tra le mani. Mattia sedeva alla
scrivania, alle prese con un problema sull’accelerazione di gravità dall’aria
parecchio complicata. Avevano preso entrambi il debito, quell’anno, per colpa
di quella stronza della Moretti, e avrebbero dovuto sostenere l’esame di
riparazione a fine luglio.
«Sì, perché? » rispose Mattia, sollevando gli occhi dal
foglio.
«Sei... silenzioso. »
Sofia si mise a sedere, chiudendo il tomo e posandolo sul
copriletto colorato, e prese a fissarlo preoccupata. Era la sua migliore amica
fin dall’inizio delle superiori, quando il primo giorno di scuola si erano
seduti l’uno accanto all’altra senza nemmeno conoscersi, ma semplicemente
perché era sembrata la cosa giusta da fare, in quel momento. Sofia era una
bella ragazza, ma preferiva una discussione sulla poetica di Montale ad un giro
in moto col tipo di turno, e forse era questo il motivo per cui era finita ad
essere sua amica. Mattia non era esattamente il tipo più popolare della scuola,
né il più carino, con quei suoi occhi banalmente castani e il suo essere pelle
e ossa e tutto il resto, ma non era neanche uno stronzo, e tanto bastava.
Sofia era l’unica a sapere della sua omosessualità, e,
soprattutto, di Simone. Sorprendentemente, quando Mattia gliel’aveva
confessato, più o meno a metà del secondo superiore, la ragazza non era
scoppiata a ridere, ma anzi aveva sorriso intenerita e aveva detto che amare
qualcuno per così tanto tempo era una cosa assai romantica. E figurarsi che
durava da solo dieci anni, allora.
Mattia sapeva bene che quella sua cotta – come si ostinava a
definirla – di normale aveva ben poco, per questo le aveva taciuto l’esistenza
del cassetto o il fatto che lui,
della vita di Simone, conoscesse ogni più piccolo dettaglio.
Ad ogni modo, la loro poteva considerarsi un’amicizia
sincera, tanto più che Sofia non sembrava mai risentirsi di questa sua
ossessione, e anzi accoglieva sempre le sue paturnie amorose con un sorriso
indulgente.
«Nulla. E’ solo che... oggi fanno dodici anni. » Si decise a
confessare Mattia.
«Dodici anni da che, Mattì? Spero
non si tratti di qualcosa come l’anniversario di morte del tuo primo
gattino...»
«No, no. Niente gattini. »
«E cosa, allora? » Sofia lo fissava con aria preoccupata, e,
anche a costo di fare la figura dello stupido, Mattia non aveva voglia di
mentirle.
Si mise in piedi e raggiunse la ragazza sul proprio letto,
sedendosi al suo fianco.
«Dal bacio, » sospirò «te l’avevo raccontato, vero? »
Sofia ci mise qualche secondo a ricollegare, poi spalancò gli
occhi, improvvisamente consapevole.
«Lo so che non è tanto normale – anzi diciamo pure che non è
normale per niente – stare male per
una cosa successa quando avevo cinque anni. E’ patetico e mi sento un povero
scemo ogni volta che ci penso, ma... » Mattia si morse un labbro, pensieroso,
poi continuò: « è quanto di più vicino ad una storia sia mai arrivato ad avere
con Simone, e probabilmente molto più di quanto possa sperare di ottenere in
futuro. »
«Su, su...» fu tutto ciò che disse Sofia, e poi lo strinse in
un abbraccio.
Mattia si rilassò al contatto, posando il capo sulla spalla
dell’altra e inspirando a piene narici il suo profumo fruttato e fresco. Doveva
essere una curiosa immagine, tutto il suo metro e settantacinque stretto alla
figura minuta di Sofia come un bimbo ad un salvagente, ma non gli
importava.
Non aveva molti altri amici, all’infuori di lei, di certo non
i suoi compagni di classe o i ragazzi del paese, che l’avevano marchiato come frocio già in prima media ed evitavano
la sua compagnia da allora. Sofia era l’unica a conoscerlo davvero e, se Simone
non fosse mai esistito, loro due avrebbero sicuramente finito per mettersi insieme.
«Dovresti dirglielo, prima o poi. » suggerì la ragazza,
rompendo l’abbraccio.
«Sì, e poi segregarmi in casa a vita per evitare che lui e i
suoi amici omofobi mi facciano il culo a strisce, come no. »
«Sono anni che non fai altro che ripetermi quanto Simone sia
diverso dai suoi amici, quanto sia dolce e gentile in confronto a loro! »
«Seriamente, Sofi, mi metterei
soltanto il ridicolo. E poi non è che gli piace il cazzo, quindi... »
«Be’, se non ricordo male è stato lui a baciarti.» si intestardì
Sofia.
«Ma eravamo dei bambini. Io a cinque anni sapevo tutte le
evoluzioni dei Pokemon a memoria, non è che per questo voglia farmi Charmander! »
Sofia scoppiò a ridere, e fece per colpirlo con un cuscino.
«Eravate dei bambini, sì, ma non mi sembra che questo ti
abbia fermato dall’innamorarti di lui. Dovresti almeno provarci, o altrimenti
passerai tutta la tua vita a chiederti che cosa sarebbe potuto succedere. »
«Ma lo so, quello che succederebbe. Tanti lividi per me,
tante risate per loro. E poi ci salutiamo appena, non è che posso fermarlo per
strada e spiattellargli in faccia tutto quello che provo. »
Mattia sospirò rumorosamente e si alzò in piedi per ritornare
alla scrivania, segno che la discussione poteva dirsi conclusa. Stava per mettersi
seduto, quando Sofia richiamò la sua attenzione.
«Ehi! Guarda là, » la ragazza accennò col mento alla
finestra, tenuta aperta per far entrare il fresco della sera « no, non
affacciarti. Solo... guarda. »
Mattia obbedì, volgendo gli occhi dove gli era stato detto, e
si accorse che in camera di Simone, dirimpetto alla sua, la luce era stata
accesa. Le tende chiare erano chiuse, ma attraverso di esse si potevano
distinguere in controluce le sagome nitide di due corpi, in piedi l’uno di
fronte all’altro al centro della stanza.
Riconobbe immediatamente il profilo di Simone: la linea
dritta del naso, la sporgenza morbida delle labbra, la lieve prominenza del
pomo d’Adamo meravigliosamente nitida anche da quella distanza. Lasciò che i
suoi occhi si muovessero più in basso, l’addome piatto e probabilmente coperto
da una delle sue solite magliette sportive, la curva deliziosa del
fondoschiena, le gambe lunghissime e muscolose. Sorrise appena, notando come la
testa di Simone fosse quasi troppo in alto per rientrare nel suo campo visivo.
Stupido gigante bellissimo.
Si costrinse a spostare gli occhi all’altra figura, più
minuta e senz’ombra di dubbio una ragazza. Doveva sicuramente trattarsi di
Lauretta, la sua fidanzata. Stavano insieme da quasi cinque mesi, e Mattia non
poteva davvero biasimare Simone: era bella, Lauretta, con occhi grandi e
azzurri e lineamenti delicati come quelli di una bambola.
Prima di lei, Simone non aveva mai avuto storie che durassero
più di un paio di settimane. Mattia si sentiva mangiare il cuore dalla gelosia
ogni volta che li vedeva uscire da casa di lui mano nella mano, ogni volta che
scorgeva un bacio rubato o una carezza da dietro alla sua finestra. Avrebbe
voluto odiare Lauretta, essere capace di mandarle i peggiori insulti e maledizioni
– sarebbe stato tutto molto più facile – ma non ci riusciva. Desiderava con
ogni fibra del suo corpo di poter essere al suo posto, ma non avrebbe mai fatto
nulla per prenderselo.
«Togliti quell’espressione tragica dalla faccia, Mattì » Sofia lo richiamò alla realtà, si alzò in piedi e
lo raggiunse in due passi «non vedi che stanno litigando? »
Mattia riportò la propria attenzione sulla scena: dai
movimenti delle loro labbra, sembrava stessero discutendo animatamente; le mani
di Lauretta si muovevano in tutte le direzioni, come se, presa dalla
discussione, stesse gesticolando con furia.
«Mi venderei un rene per sapere che stanno dicendo. »
«Che t’importa? Litigano, dovresti esserne contento. »
«Nah, tanto che cambia? E poi
massimo venti secondi e Simone le ficca la lingua in gola. » Sofia gli rifilò
uno sguardo scettico; Mattia alzò gli occhi al cielo e si mise a contare: «
Uno... due... tre... »
Era appena arrivato a quindici quando Lauretta diede
finalmente riposo alle proprie mani, stringendole attorno al collo del
fidanzato, e Simone chinò il capo per baciarla.
Mattia sbuffò vistosamente, chiuse la finestra e tirò la
tenda blu a coprire i vetri. Un altro giorno sarebbe rimasto a guardare, a
tormentarsi nel piacere malsano di avvertire un’erezione crescergli tra le
gambe mentre la tristezza gli divorava il cuore. Oggi no, però. Perché il
pensiero che Simone stesse per scoparsi la sua fidanzata il giorno del loro anniversario – per quanto assurdo,
e stupido, e patetico potesse sembrare – gli tagliava l’aria a metà. Gli
tagliava tutto a metà.
«Torniamo a studiare, che è meglio » disse Sofia, con un
sospiro «Quei dannati problemi non si risolveranno da soli. »
Mattia provò a sorridere, ma tutto ciò che venne fuori fu una
smorfia esitante che non coinvolgeva neanche un po’ i suoi occhi.
*
Il cassetto si aprì dolcemente, con un rumore basso che pure
risuonò forte nel silenzio notturno. A Mattia tremavano le mani, e il cuore gli
batteva veloce nel petto al pensiero di ciò che sarebbe seguito.
Ad un occhio esterno, non sarebbe sembrato nient’altro che un
normale cassetto appartenente ad un adolescente altrettanto normale. Nemmeno
sua madre, nel fare le pulizie, aveva mai sospettato nulla, ma per Mattia
questo era il più grande segreto, oltre che la cosa più cara in suo possesso.
Il cassetto non conteneva poi molto, in realtà: una vecchia
copia di (What’s
the story) Morning glory? degli
Oasis, un asciugamano da palestra, un calzino di
spugna bianco, una Bic dal cappuccio mangiucchiato, una bottiglia di birra
vuota, un braccialetto di perline nere, un diario.
Nulla di strano, davvero, se non fosse stato che tutti quegli
oggetti appartenevano a lui. La prima a finire nel cassetto era stata la
penna; Mattia l’aveva trovata sul marciapiede sotto casa di ritorno da scuola –
doveva avere sette anni, forse otto – e raccogliendola si era accorto che sul
cappuccio blu era stata apposta un’etichetta: “Simone Marino”. Aveva pensato di restituirgliela, visto che
probabilmente doveva essergli caduta dallo zaino nel tragitto, ma poi aveva
pensato che a Simone non sarebbe importato nulla di una stupida penna, e
l’aveva portata a casa con sé, per poi abbandonarla sul fondo di quello che
anni dopo sarebbe diventato il cassetto.
Solo alle soglie della
pubertà, infatti, Mattia aveva scoperto il piacere proibito di posare labbra su
quella stessa penna che tempo prima i denti di Simone dovevano aver
mordicchiato, di fare suo qualcosa che l’altro aveva posseduto. Allora aveva
iniziato a raccogliere altri tesori: un calzino caduto in strada mentre la
madre di Simone faceva il bucato, un bracciale gettato via per chissà quale
motivo, una Tennent’s abbandonata sul ciglio del
marciapiede di ritorno da una festa.
L’ultimo era un asciugamano
da palestra, che era scivolato fuori dalla borsa di Simone un paio di settimane
prima, senza che lui se ne accorgesse. Era uno dei cimeli più preziosi: molti
di quegli oggetti – come il bracciale, o il CD –
erano sì appartenuti a Simone, ma non mostravano alcuna traccia di lui;
l’asciugamano, invece, era entrato a contatto con la sua pelle, era impregnato
del suo odore.
Mattia lo tirò fuori con cautela, quasi stesse osservando una
specie di rituale, e si rimise a letto, ancora stringendolo in mano. Poi se lo
portò al viso, e inspirò a fondo.
Il tessuto di spugna gli solleticava il naso, odorava di
sudore, di bagnoschiuma, e di Simone. Mattia sentì l'erezione crescergli tra le
gambe, e si morse un labbro per trattenere un gemito di piacere. Insinuò una
mano sotto l'elastico dei boxer, e prese ad accarezzarsi piano.
In fondo, possedere quel poco di Simone nascosto in un
cassetto era meglio che non averlo affatto.
Note:
Questa storia nasce dall’ascolto prolungato di Every breath you take dei Police (che originariamente sarebbe dovuto
essere il titolo, ma poi si sono messi in mezzo i Queen xD),
dal mio amore per il Corsaro Nero e Arianna, dal mio odio per la fisica, e
dalla voglia di produrre qualcosa di leggero, per una volta.
Non è niente di che, ma mi sono divertita incredibilmente a
scriverla e mi sono affezionata a quei due scemi di Simone e Mattia più di
quanto non mi aspettassi. Spero solo che la lettura sia riuscita a strappare un
sorriso anche a voi, e che vogliate farmelo sapere con una recensione, se vi
va.
Un abbraccio (e al prossimo capitolo)
Bibby