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Autore: ellephedre    16/12/2011    6 recensioni
Il sogno della nuova Lady, principessa finalmente divenuta grande, era uno solo: rivederlo.
Per Helios le cose erano più complicate.
Sarò in grado di affrontare la realtà? Sarò quello giusto per lei?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chibiusa, Helios/Pegasus | Coppie: Chibiusa/Helios
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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sogno reale 4

 

 

Sogno reale

   

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

   

4 - Realtà/Helios

   

«Ciao.»

«Ciao!»

«Come stai?»

«Bene, grazie. E tu?»

«Non me la passo male. Ma in questi giorni mi sta succedendo una cosa che... E via dicendo con la questione di cui ti interessa parlare, capito? Questi» precisò CereCere, «si chiamano convenevoli

Helios rimase con lo sguardo su ParaPara, che aveva partecipato assieme a lei alla dimostrazione.

«Quindi... a ParaPara non è permesso parlarti direttamente di quello che è venuta a dirti. Prima deve chiederti informazioni sul tuo stato di salute?»

«Non è la salute» fu costretta a ripetere CereCere. «Ti ho già detto che noi non ci ammaliamo.»

L'espressione dubbiosa di lui la lasciò con l'impressione che Helios - officiante ancora in carica di Elysion - potesse diventare un ipocondriaco. Da quando aveva saputo di malattie e minuscole particelle che si infiltravano nel corpo umano per attaccarlo, aveva infilato in qualunque discorso domande su microbi, batteri e virus. Quantomeno, era stato crescentemente discreto nel tentare di soddisfare la sua curiosità, a testimonianza del fatto che stava imparando a comportarsi come una persona normale.

Forse era lei ad esagerare: non era passato che un giorno da quando Helios aveva preso coscienza che la realtà esisteva anche laddove era invisibile (una frase sventurata che lo aveva portato a lanciarsi in un discorso filosofico che nessuna di loro aveva seguito).

«Perciò» riprese lui, appoggiandosi coi gomiti sul tavolo, «se vado a trovare ParaPara non posso limitarmi a parlare di quello che sono andato a dirle?»

Quante volte era necessario ripeterlo?

«Almeno in questo non è strano» decretò annoiata VesVes. Un'occhiata alle unghie laccate di rosso la lasciò insoddisfatta. «Elly sta solo dicendo ad alta voce quello che pensano tutti gli uomini. Per loro i convenevoli sono completamente inutili, badano al sodo.»

«È troppo ingenuo per capire che 'Elly' è un nome da donna.» Prenderlo in giro rischiava di essere controproducente. «Ha ancora troppe cose da imparare, non dobbiamo confonderlo.»

«Posso fare un'altra domanda?» Il dito alzato fece di lui uno scolaro modello e di CereCere una maestra fiera.

«Certo.»

«Ho notato che per voi le differenze tra maschi e femmine sono importanti in molti frangenti. Nel comportamento, come hai detto tu adesso, o nei nomi. Perché?»

Invece di preoccuparsi della voragine che minacciava di inghiottirli tutti, JunJun abbozzò una risata.

Sconsiderata che non era altro, pensò CereCere. Come avrebbero potuto spiegargli una questione di tale immensa complessità?

VesVes non si pose il problema. «Abbiamo concordato che per tanti versi lui è ancora un bambino, giusto?»

Helios mandò giù una protesta.

«... sì» ammise CereCere. Per il loro allievo di vita era importante abituarsi a gestire con calma le frecciate.

«Be', su questa faccenda dobbiamo comunicare facile facile con lui, senza imbarazzi. Lasciate fare a me. Elly - anzi, Helios. Hai visto quella cosa che hai tra le gambe?»

«Eh?»

Ommiddio! CereCere torturò il legno del tavolo con la fronte. Non poteva essere vero, VesVes non aveva detto-

«Ecco, quella è la principale differenza: noi che siamo donne non l'abbiamo.»

Un'occhiata rapida al volto di lui fece scorgere a CereCere la coda di una brevissima riflessione. Quel mistero dell'universo non lo aveva sconvolto.

«Mi sembrava di saperlo, ma... l'altro giorno non ne ero più sicuro. ParaPara mi ha fatto vedere le sue bambole. So che voi avete queste.» Helios si portò due mani sul petto e curvò i palmi. «Le aveva anche la bambola femmina, coi capelli lunghi.»

CereCere giudicò opportuno sotterrarsi.

«La bambola maschio non aveva niente sul petto, ma sotto erano uguali.»

Santo cielo! «ParaPara! Hai cercato di insegnargli anatomia con le tue bambole?!»

Lei contorse le mani attorno al collo, in una grattatina nervosa. «Ho dovuto! Mi diceva che si sentiva strano là sotto, ho capito che doveva andare in bagno. Non potevo andare con lui, ho cercato di spiegargli!»

«Basta!» Era inconcepibile! «Non si parla di queste cose tra la gente!»

«Tra persone normali» ribatté VesVes, come se dovesse essere paziente tanto con lei quanto con Helios. «Lui non ha avuto dei genitori che gli spiegassero come funzionano queste faccende, dobbiamo pensarci noi. ParaPara secondo me ha fatto bene a usare le bambole.»

Forse, ma CereCere avrebbe preferito non parlare mai di certe questioni. «Non è educato fare simili discorsi in pubblico» gli spiegò. «Adesso va bene perché... be', perché è la prima volta che tu ne senti parlare, e sei con noi.»

«Quindi» ridacchiò JunJun rivolgendosi a lui, «credevi che anche noi donne avessimo l'affare che hai tu là sotto?»

«Più piccolo?» tentò Helios, prima di guardare tutte loro. «Ci sono diverse dimensioni?»

La risata sconnessa di JunJun fece venire a CereCere un attacco di bile. «Tracciamo una linea, di questo non si discute!»

«Non essere bigotta!» rise VesVes. «Se vuoi gliene parlo io dopo, in privato. Ma tu non puoi farlo sentire in colpa per queste curiosità.»

«È importante che impari che ci sono argomenti su cui si fa silenzio! Altrimenti collezionerà una serie di figuracce che-» Immaginarle in fila le tolse la voce. La Regina! Il Re! Sarebbero morti di vergogna!

Helios si era rannicchiato nelle spalle, incerto se aprire ancora bocca. Era infelice e frustrato.

«Esagerata.» VesVes ignorò i suoi timori con un colpo di mano. «Comunque stiamo divagando. Volevo solo dire ad Elly - Helios - che quella differenza anatomica è solo la più importante. Seguono caratteristiche come voce, altezza, dimensione della muscolatura. Carattere. Dipendono dargli ormoni, altre particelle che ci scorrono nel corpo. Buone, fanno parte di noi.»

«Sì» annuì attento lui, desideroso di capire.

«Da tutto questo, in tempi antichi, è derivato un diverso ruolo per le persone a seconda del loro sesso. Gli uomini, che erano più forti fisicamente, si impegnavano in tutte le maggiori attività che richiedevano movimento, tra cui la caccia. Dovevano essere sprezzanti del pericolo e coraggiosi per sopravvivere. Fuori di testa, diremmo oggi. Anche le donne procuravano da mangiare, ma tramite l'agricoltura, che richiedeva pazienza e costanza. Passavano tanto tempo con altre donne in situazioni tranquille, perciò hanno imparato a discutere di tutto e a spettegolare. Alcune non hanno mai smesso.»

CereCere si trovò a ricevere un'occhiata in tralice.

«In sintesi, uomini e donne avevano una diversa funzione che ha determinato quello che sono diventati qui sulla Terra, dove non esisteva per nessuno il potere che abbiamo noi oggi.»

L'evoluzione in due parole.

Helios stava annuendo. «La vostra storia è affascinante. Ne ho molti frammenti tra le mie conoscenze, ma non è semplice dare loro unità. Sarà meraviglioso imparare.»

Ovvero poter leggere, nel suo caso. Non ne era capace, come avevano scoperto solo qualche giorno prima. Era stato Helios a voler rimediare subito: ricordava già a memoria l'alfabeto neo-europeo e leggeva qualche parola; c'era di che essere orgogliosi.

«Ecco...» VesVes fece scricchiolare il collo. «Hai visto come CereCere mi ha sgridato per averti chiamato 'Elly'? È un nome dal suono femminile. Se altri uomini vedessero che lo accetti, si farebbero beffe di te. Succederà la stessa cosa se continui a parlare in quel tuo modo.»

Era ingiusto lanciargli quell'accusa. «Non parla male. Non cerchiamo di influenzarlo anche su questo.»

«Gli sto solo dicendo che il termine 'meraviglioso' è da usare esclusivamente a bassa voce, quando è da solo con una ragazza.» VesVes lo squadrò con occhi sottili. «Usagi, si intende. In altri momenti devi dire... Bello. Grande. Forte. Persino 'fantastico'. Ma 'meraviglioso' è... aulico. Antico. Effemminato.» Fu soddisfatta dell'ultimo aggettivo.

«Quindi è male» azzardò lui.

«Per un ragazzo? Sì.» Ma - VesVes ne era convinta - tutto per Helios sarebbe stato più chiaro quando avesse iniziato a provare quelle pulsioni naturali che, al momento, non sembravano colpirlo nemmeno di striscio. Lei aveva parlato di evoluzione, ma nel presente i fatti assodati erano semplici: gli ormoni condizionavano il comportamento di una persona, soprattutto di un uomo giovane. Era innaturale per lui continuare a comportarsi come un ragazzino; prima o poi quella faccenda si sarebbe dovuta sistemare. Magari sarebbe accaduto quando lui avesse smesso di saltare qua e là tra realtà e mondo onirico.

«Un'altra convenzione.» Lo sguardo di Helios era andato alla finestra aperta. Si alzò, avviandosi verso il balcone. L'alba stava sorgendo da qualche minuto.

«Tutte queste regole non mi piacciono molto, ma... qui avete il cibo.» Sorrise e VesVes ricordò l'abbuffata che si era fatto il primo giorno che gli avevano offerto un piatto di riso. Se non gli era venuto mal di stomaco era solo perché era tornato su Elysion in tempo, sparendo nel nulla come suo solito.

«Qui avete l'aria» proseguì lui, respirando a pieni polmoni. Con i primi raggi di luce non iniziò a dissolversi come era accaduto le notti precedenti; rimase un corpo concreto, vestito di bianco da capo a piedi.

Aveva l'aspetto di un principe, gli concesse lei. Non avrebbero dovuto lavorare sulla sua propensione alla regalità: nei suoi silenzi riflessivi Helios di Elysion ispirava rispetto.

Lui chiuse gli occhi. «Avete i profumi, con un odore vero.»

Aveva anche un'anima da poeta.

«Il sole. L'ho visto alto in cielo solo nei sogni, ma persino in questo momento, che lo intravedo solamente... Più lo sento sulla pelle e più mi sento vivo. Fuori avete... tutto. Alberi, gente, case.»

Parlava del loro mondo con un'ammirazione che per VesVes era impossibile racimolare.

Come gli avevano ordinato, lui non uscì sul balcone; rimase coi piedi saldamente all'interno della stanza, le mani sulle ante della porta-finestra. Era importante che nessuno lo vedesse, non era ancora pronto ad essere presentato al mondo.

«Rimanere qui dentro è sicuro. Se esco, sento che non potrò più tornare su Elysion.»

Mancò a tutte il fiato.

Veramente?

«È sempre più difficile tornare indietro.» La voce di lui era bassa, ma spezzava il silenzio della stanza. «Mi manca il senso di quello che accadrà, non è più...» La confusione pesò sui tratti del suo viso. «Non lo so più.» Rimase in silenzio, gravato dalla propria dualità, sperduto.

«Stai bene?» gli domandò CereCere.

«Sono... stanco.» Il sorriso pigro a cui diede vita mise in risalto la prima imperfezione che VesVes avesse mai notato sul suo volto: ombre scure sotto gli occhi.

«È piacevole dormire?» chiese Helios.

«Sì» rispose ParaPara. «Vuoi sdraiarti sul divano?»

Lui scosse la testa. Si sedette lentamente, abbandonando la schiena contro l'anta di vetro. «Questo è il mio confine, questa finestra. Sono ancora di là e già... di qua.» Inspirò e abbassò le palpebre. «Anche se non devo dirlo, VesVes, ciò che avete là fuori è meraviglioso. Proprio questa parola, non ne esiste una diversa.»

Il mormorio si era preso un sorriso di CereCere, lo stesso che marchiava, delicato, i visi di ParaPara e JunJun. VesVes si arrese all'evidenza: quell'animo romantico avrebbe portato Helios di Elysion molto lontano.

«Fa paura» disse lui.

Cosa?

«Il desiderio di restare.» Era per metà già nel mondo dei sogni. Iniziò a dissolversi nel rosa dell'alba.

«Qui c'è Usagi» gli ricordò a bassa voce CereCere, avvicinandosi.

«Lo so» furono le ultime parole di lui.

 


  

«Il sole...»

Il sussurro la destò con la chiarezza di una piuma passata sul collo.

Usagi si portò le dita sulla pelle, a sedare il ricordo del lieve solletico. Seppe prima di toccarsi che nulla l'aveva sfiorata. Nei sogni le percezioni dei suoi sensi si mischiavano, ma un'unica persona aveva una voce tanto elettrica da toccarla con le sole parole.

Si girò.

Di spalle Helios teneva la testa alzata, rivolta verso quel cielo in cui vi erano solo altre fantasie.

«Helios?»

Lui non sorrise nel vederla. Esitò, incerto sui propri pensieri. «Ti ho richiamata qui» disse infine. «Non volevo. Perdonami.»

Perché? Era un male incontrarsi due volte in una sola notte? «Cos'hai?»

Helios era rimasto fermo, non aveva accennato a raggiungerla. Era persino tornato a guardare lontano.

L'orizzonte dietro di lui era lucente come se il sole si fosse appena stagliato sui suoi confini. Se i loro occhi fossero stati reali, sarebbero rimasti entrambi accecati.

Era un sogno più onirico di altri. Il silenzio di lui era anomalo, lo scenario incomprensibile, l'atmosfera... sfumata.

Il loro ultimo sogno era stato molto più reale. Avevano parlato come in un appuntamento qualunque, osservando insieme le forme di molteplici animali. Avevano giocato ad associare i ricordi di lei a ciascun nuovo leone, panda, orso o giraffa che fosse apparso al suo comando. Aveva rivissuto con lui esperienze preziose perché minuscole, tanto lontane nel tempo da essersi quasi perse nella sua mente. Suo padre e sua madre che la portavano, in incognito, nei più grandi zoo del mondo; suo padre che le raccontava la favola del piccolo panda triste; sua madre che le insegnava a giocare con Diana; loro tre, tutti insieme, che guardavano film per bambini con animali parlanti, con la risata di sua madre che sovrastava la sua.

Per Helios era stato un modo di conoscerla meglio; per lei, di introdurlo attraverso frammenti della propria vita in quel mondo in cui lui intendeva vivere.

Fra quanto tempo arriverai? Era una curiosità che le martellava in testa, senza lasciarla in pace. Di quell'impazienza non gli avrebbe mai parlato. Il tempo non era uguale per loro due, lo aveva constatato con crescente riluttanza: per lui i giorni erano un battito di ciglia e le settimane pochi passi. A breve, le aveva detto, riferendosi al momento in cui si sarebbe unito a lei nella realtà. Ma, per raggiungerla nel mondo reale, a Helios sarebbero occorsi... anni? Era la risposta che più si avvicinava alla verità, lo temeva.

Non importa, mormorò di nuovo senza voce, tendendo le mani verso le sue spalle.

Quel vuoto che aveva sentito svegliandosi ogni mattina, vivendo di giorno in giorno, si era colmato senza sforzo. Non si sentiva più una bambina desiderosa di provare esperienze che non conosceva, partendo di corsa e andando, ovunque fosse. Lei era arrivata, da Helios. Forse sarebbe persino diventata una donna sognando con lui e non sarebbe mai stata una ragazza qualunque che, giovane e senza responsabilità, si sarebbe potuta permettere di uscire con il ragazzo che amava, a divertirsi senza pensieri. Poteva essere già una Regina per quando Helios fosse giunto da lei.

Non era mai stata normale, pensò, abbracciandolo da dietro. Andava bene proseguire su quella strada. Sarebbe stata la Regina felice di lunghissimi sogni, sino a che essi non fossero rimasti veri al di fuori della notte.

«Ho mai visto il sole?»

La domanda di lui la confuse di nuovo.

Helios ancora non la guardava. Teneva lo sguardo fisso sul cielo, quasi che in quella volta avessero trovato riparo le sue risposte.

«... nei sogni?» gli domandò lei.

«Quando avevo un corpo. Nei giorni in cui...» Abbassò gli occhi e con uno scatto la afferrò per le spalle. «Quando eravamo piccoli. Quando esistevo, quando-»

La forza della presa le tolse le parole. Gli toccò le mani, calmandolo. «Sì» ricordò. Perché era tanto importante? «Quando mi hai salutato e sei tornato qui. Era una giornata di sole. C'eravamo io e tutte le altre, ricordi? Ti ho abbracciato mentre non ci guardavano. Tu ti sei trasformato e sei volato via.» Sentiva ancora la criniera morbida di lui sulle guance, delicata, che profumava già di nostalgia.

La sostituì d'improvviso la sensazione di un palmo che la percorse su tutto il collo, prendendole la nuca, aggrappandosi a lei e allo stesso tempo... tenendola.

Helios affondò gli occhi nei suoi. «È confuso. Non ricordo.»

Il battitto di Usagi perse colpi. «... c-che cos'hai?» Aveva balbettato?

«Non ricordo.»

Lo smarrimento di Helios la riportò alla realtà. «Aspetta, cosa...? Siediti.» Lo costrinse a piegare le gambe assieme a lei, senza rompere il contatto che gli dava sicurezza. «Cosa succede? Qual è l'ultima cosa che ricordi?»

«Prima sognavo.» Il vetro nei suoi occhi si sciolse. «No... stavo là. Da te. Nel tuo mondo.»

Fu come ricevere un calcio in pieno petto. «Nel mio...»

Lui inspirò, riempiendosi di aria come se non l'avesse mai sentita prima dentro di sé. «Nel tuo mondo.» Riprese ulteriore consapevolezza. «Da quando ci siamo rivisti ho messo in atto delle prove. Sono andato dalle tue amiche.»

Da chi?

«CereCere. VesVes. ParaPara. Jun-»

L'elenco le mandò in cortocircuito il cervello. «Nei sogni, vero?» Non nella realtà. O sì?

«Nella realtà» ribadì lui e parve più stabile che mai. «Per questo ora non ricordo. Il tuo mondo si prende una parte della mia testa tutte le volte che-...» Si bloccò e diede alla propria confusione un nome. «Ho paura.»

La vulnerabilità lo rese più umano che mai.

«No.» Lei nascose il suo viso contro il petto. «È il mio mondo. Non c'è niente da temere...» Ma c'era. «Ti proteggerò io. Che cosa ti fa paura?»

I muscoli delle spalle di lui persero tutta la loro forza, ma Helios si aggrappò a lei con le braccia.

«Non doveva accadere in questa maniera. Per questo...?»

Cosa?

«Qui è arrivato il tempo per me di andare, ma.... Non dovevo passare in questa forma, dovevo... spegnermi. Riaccendermi nella realtà. Nascere.»

La puntura alla gola fu così vivida da indurla a tamponare l'inesistente ferita. «Daccapo? Dovevi essere un bambino?»

La risposta di lui fu solo un movimento del capo, lento. L'argento dei suoi capelli mandò riflessi di luce che parvero lacrime.

«Stai accelerando tutto quanto, vero?» Era lei a piangere?

«Credevo fosse più facile. Non sapevo che andando avanti, sempre più avanti...»

Lei non lo aveva aiutato. Aveva pensato solo a quanto era stata felice di averlo di nuovo accanto a sé.

Lo abbracciò con tutta l'energia delle sue oniriche braccia, pronta a salutarlo. «Ti perderai se continui.» Che vita avrebbe avuto in quelle condizioni? Avrebbe smarrito se stesso nelle incertezze che lo avrebbero invaso, non avrebbe saputo cosa essere. Non era preparato, era troppo presto perché fosse adulto. Era sbagliato. «Torna giovane.» Tremò. «Torna bambino.»

Quando eravamo piccoli, aveva detto lui. Piccoli insieme, un ricordo lucente che non si sarebbe spento. Quel passato era un sogno che avrebbe dovuto attendere ancora molto tempo per realizzarsi.

«Ti aspetterò.»

Lui aprì la mano sulla sua schiena. «Non voglio aspettare.»

Nemmeno lei, la pazienza sarebbe stata una tortura. «È meglio così. Saranno... vent'anni. Venticinque? Passeranno in un attimo.» Con che forza riusciva a dirlo?

«No, non hai...» Lui sollevò il volto, nascondendolo non più nel suo petto, ma nell'incavo del suo collo. Diventò un abbraccio reciproco, in cui non era più lei a sostenerlo.

«No» ribadì Helios. «Questo terrore è confuso, è confusione. È paura di andare via da qui. È stata tutta la mia vita. Si avvicina il passaggio, è il motivo.»

Il senso della risposta spezzata le sfuggì. «Sta' calmo.» Tentò di sedare il tremore che era tornato a scuoterlo. «Sta' tranquillo. Non avere paura.»

Il respiro di lui era affannoso. «Amo il tuo sole, fanciulla.» Raccolse due minuscoli lembi di tessuto sulla sua vita, accarezzò loro e lei. «Amo tutti quei suoni e come profumi. Voglio che sia vero toccarti.»

Perché, perché sembrava disperato?

Lo sentì irrigidirsi, di colpo.

Tra loro calò un silenzio assoluto. In due non mossero un singolo muscolo.

Usagi aveva il nome di lui bloccato in gola.

«Mi sta aspettando» disse infine Helios.

Chi?

«Vado. Devo farlo da solo.»

Lo sentì sorridere e le parve così assurdo che volle vederlo con i propri occhi. Non riuscì a farlo.

«Dormi, fanciulla.»

Il bacio sul lobo dell'orecchio le fece perdere l'equilibrio. Cadde senza traumi, con tutta la mente, verso un sonno profondo. A palpebre chiuse, sentì la mano di lui che stringeva la sua.

«Ci rivediamo nel nostro mondo.»

   

Infuso di pace, Helios osservò la sua fanciulla sparire, diretta alla realtà.

Non l'avrebbe più chiamata 'fanciulla', si ripromise. Era un nome legato ad un luogo che stava per lasciare.

«Non comprendo quello che provi» disse un eco alle sue spalle.

Si era fatto tutto luce, come l'alba che aveva visto nell'ultimo attimo di universo concreto in cui aveva vissuto.

Non era più custode dei sogni. Stava sognando lui stesso.

Si voltò.

«Non comprendo quello che provi» ripeté il ragazzino che lo fissava sereno, a pochi passi di distanza. «Ma il tuo timore è superfluo. Questo passaggio è nella nostra natura.»

«È per merito tuo se ho pace?»

«No» gli rispose il bambino dai capelli color cielo - il cielo di un giorno di sole - sicuro nella propria saggezza. «La mia vicinanza ti ha ricordato che cos'eri qui.»

E ciò gli aveva dato calma.

Gli piacque sentirsi Helios di Elysion per quei pochi altri momenti che gli rimanevano. Aveva vissuto in un universo di certezze. «Come sei arrivato in questo luogo?» Era curioso - proprio come un essere umano.

«Se non lo ricordi più, non ha importanza per te saperlo.»

... esatto. Non lo ricordava più. Si sentiva perso in un modo che non riusciva più a decifrare.

Era tutto confuso e, al tempo stesso, cristallino. «Non sarò pervaso dal timore quando sarò un essere umano.» La confusione era nata dalla dualità a cui si era costretto, per un seppur breve periodo.

«Quando verrà il mio momento, sceglierò il percorso più semplice.» Il nuovo giovane custode dei sogni sembrò incerto. «Non so cosa comporti, ma ho la consapevolezza che tu abbia creato difficoltà di cui non avevi bisogno.»

«Avevo bisogno di qualcos'altro.» Helios si alzò in piedi e avanzò verso il ragazzo. Sollevò un braccio.

Annuendo, il giovane si avvicinò a lui.

Prima di toccarlo sulla fronte, Helios ritrasse le dita tese. «Abbi cura del mio mondo.» Suo per infinite ere.

«È tutta la mia anima.»

Le parole che aveva pronunciato lui stesso agli inizi di ogni cosa.

Si inginocchiò e con un dito accarezzò il centro della fronte del suo successore, indugiando sul simbolo che brillò sulla pelle diafana.

Il giovane sollevò le palpebre. «Ben fatto, Elysion.» Lo toccò in mezzo agli occhi. «Il tuo compito è terminato.»

Gettato nel sonno diretto alla realtà, Helios ebbe come ultimo ricordo del suo mondo la sensazione immensa delle proprie mani che lo muovevano, accarezzando meraviglie inconcepibili che aveva avuto il dono di vedere.

Tornerai, gli disse una voce lontana. Sognerai anche tu.

Addormentato, sorrise.

  


   

Due dannatissime ore.

A tanto ammontava il sonno che VesVes si era fatta quella notte. Anzi, quella mattina! Uscendo, si trattenne dallo sbattere la porta della sua stanza.

L'equino umano non più tanto beato - e neppure così equino - veniva da loro da ben due settimane a prendere lezioni di vita. E CereCere tutta carina e gentile gli diceva 'Massì, ti aiuteremo', 'Massì, dobbiamo farlo per Usagi'. Intanto però dormivano tutte quanto pipistrelli senza una caverna oscura.

Di giorno dovevano stare sveglie per non insospettire nessuno e di notte - a notte fonda, dopo essere stato da Usagi - arrivava lui, Elly dai capelli d'argento. Quel maledetto le stava persino diventando simpatico. Da umano, col passare dei giorni, si era fatto meno santo e meno sciocco di quanto le fosse sembrato all'inizio. Lui aveva sempre la mentalità di un bambino di cinque anni, ma non possedeva l'indole perfettina che gli aveva affibbiato da principio. Era permaloso, incline a dire la sua, persino più curioso di Apollo - il gattino che sua maestà il Re aveva piazzato accanto a Usagi.

Quel giovanotto felino le preoccupava: dietro i suoi occhioni blu si nascondeva un'ingenuità pericolosa. Il piccoletto si era messo in testa di dormire vicino alla testa di Usagi e, naturalmente, la principessa non aveva opposto obiezioni. Era stata CereCere a doverle ricordare che di notte, tutte le volte che sognava il suo bello, le accadevano fenomeni particolari.

Se il gattino l'avesse vista con abiti da ballo dopo che era andata a dormire in pigiama, non si sarebbe forse insospettito?

Magari lui neppure sapeva cos'era il sospetto, ma di sicuro non era capace di tenere a freno la lingua. Avrebbe raccontato tutto quello che era successo con la principessa alla mammina Luna, al papino Artemis e allo zietto Mamo-chan, come chiamava sua maestà il Re. Il sovrano aveva insistito sull'affettuosa familiarità di quel nome. Tramava qualcosa.

ParaPara era stata geniale nel trovare un modo per risolvere il problema.

«Ti farò un regalo!» aveva detto al piccoletto, creando per lui un giaciglio a forma di castello sotto il letto di Usagi. Apollo si era fiondato felice sui voluminosi cuscini.

«Se non lo dici a nessuno, avrai un castello diverso ogni sera!» ParaPara non si era fatta impensierire dalla curiosità di lui, aveva avuto la risposta pronta. «Deve restare un segreto perché nessuno vuole che tu sia viziato troppo. Io voglio tanto essere buona con te, ma se lo dici alla mamma, non potrò più farti regali!»

La logica era sembrata ineccepibile per il piccolo Apollo.

Sospirando, VesVes si fermò davanti alla camera di Usagi. Chiuse gli occhi e, mettendo al lavoro i due neuroni svegli che aveva in testa, si teletrasportò all'interno della stanza.

Riapparve in posizione orizzontale, parallela al letto e a meno di mezzo metro dal pavimento. Attenta a non toccarlo, guardò per prima cosa sotto il materasso di Usagi. Nel suo castello di cuscini, Apollo dormiva sereno e ignaro.

Bene.

Trattenendo a forza uno sbadiglio, VesVes si rimise piano piano in verticale, attenta a non muovere troppa aria nella stanza. Certo che - notò - l'atmosfera era proprio carica per essere la camera di una persona che dormiva.

Gettò un'occhiata ai dintorni illuminati dal sole ormai alto.

Soffocò un urlo.

Addormentata sul divano c'era sua maestà la Regina.

Uno sguardo ad Usagi fece morire VesVes di crepacuore, sul colpo: sul letto la principessa non era sola!

La luce proveniente dalla finestra aperta illuminò di striscio una ciocca di capelli argento.

Elly!!

Col respiro bloccato dalle sue stesse mani, VesVes divenne così blu che per poco non perse i sensi. Si precipitò fuori dalle ante aperte, schizzando in cielo.

Solo a trenta metri di distanza si azzardò a inspirare a pieni polmoni.

Era morta, la sua carriera di guardiana era finita!

La Regina! Usagi ed Elly nella stessa stanza! Con la Regina! E dormivano insieme! Non con la Regina. Uccidere la risata la riportò alla realtà.

La Regina dormiva, non era ancora tutto perduto. Doveva portare Elly e Usagi fuori da quella camera.

Doveva solo toccarli per teletrasportarli da un'altra parte - nella sua stanza, decise.

Tornò indietro. Doveva toccarli pianissimo, era ovvio. Se solo uno di loro avesse mormorato svegliandosi, la Regina o Apollo avrebbero aperto un occhio e... sarebbe scoppiato il finimondo.

Volando circospetta, riuscì a posizionarsi sopra Usagi e il suo bello, che dormivano abbracciati, stretti stretti.

Elly, mandrillo che non sei altro. Lo aveva sottovalutato.

Sfiorò entrambi su una spalla. Quando fu sicura di avere una connessione stabile, chiuse gli occhi e li portò via.

Riapparendo in camera sua rilasciò il più grosso sospiro di sollievo della sua vita.

Rannicchiata sul letto, Usagi emise un mormorio confuso, nascondendo il viso contro il petto di Helios di Elysion. 

Lui è ancora Helios di Elysion? si domandò VesVes.

Lo avevano salutato meno di tre ore addietro e, prima di quel momento, lui non era mai apparso di giorno. Soprattutto, non era mai andato da Usagi.

Urgeva un consulto con le altre.

  

Mamoru squadrò la scena davanti ai suoi occhi. «Cosa ci fai qui?»

Sua moglie schizzò in piedi. «Ahhh! Mamo-chan!» La sua Regina dai capelli scarmigliati sgranò gli occhi e si guardò intorno. «Come, quando? Chi?»

Non aveva mai smesso di essere pazza. «Per quale ragione sei venuta a dormire in questa stanza?» Durante la notte, supponeva. «Per controllare Chibiusa?»

Lei si svegliò in un istante. «Dov'è?» Puntò lo sguardo sul letto. «Noo, l'ho mancata! Volevo vegliare sul suo sonno sereno-»

«Raccontala a un altro.»

«Non la stavo controllando!»

«Bene, perché hai detto a me di non farlo.»

«... maestà?»

La vocina paralizzò entrambi.

Uscendo da sotto il letto, Apollo stiracchiò le piccole zampe. Dopo uno sbadiglio gigante che terminò in un mezzo miagolio, si mise composto e chinò la testa. «Maestà, buongiorno!»

«Apollo?»

Mamoru si morse le labbra.

«Come mai sei qui?» proseguì Usagi.

Il gattino le offrì un sorriso. «Zio Mamo-chan mi ha detto di fare da amico a Usa-chan! È un onore!»

«Ah sì?» biascicò lei, la bocca serrata in un sorriso maligno. «Che bravo zio. Interessatissimo alle amicizie di sua figlia.»

Mamoru non volle più spettatori. «Apollo-chan, torna da tua madre.»

Lui annuì e si diresse zompettante verso la porta. «Oh? Usa-chan non c'è più?»

«È con il quartetto amazzonico» lo tranquillizzò Mamoru. Quando non aveva visto sua figlia, la prima cosa che aveva fatto era cercare l'energia di lei in giro per il castello. L'aveva trovata nella camera di Sailor Vesta. Poiché erano le nove e mezza di mattina, non si era preoccupato; a differenza di sua madre, Chibiusa non era mai stata una dormigliona.

«Col quartetto?» ripeté Usagi. «Allora tramano qualcosa?»

Educatamente, Apollo uscì dalla stanza.

Mamoru si avvicinò di un passo a sua moglie. «Anche se fosse così, dovremmo rispettare la privacy di Chibiusa.»

«Da quale pulpito? Hai infiltrato un tuo uomo in camera sua.»

«Stiamo parlando di un gattino di sette anni.»

«Lo hai usato! Cosa pensi che ne dirà Luna?»

Mamoru riuscì a non tremare. «Avevo il consenso di Artemis.»

«Lei ti farà a fette lo stesso.»

«Sono il Re!»

«E lei è la sua mamma!»

Era ridicolo! «L'ho solo fatto diventare amico di Chibiusa!»

Usagi perse interesse nella lite. «Ha scoperto qualcosa?»

Mamoru sospirò. «Niente. Pare che non stia succedendo nulla di strano.»

«Ah-ha!» gridò trionfante Usagi. «Vedi che ho fatto bene a venire qui? Ti sbagli, tesoro mio.»

Cosa?

«Certo che succede qualcosa. I sogni di una ragazza sono lo specchio del suo cuore.»

Mamoru trasalì. «Sei entrata nella sua testa?» Era troppo!

«No, sono solo venuta qui a notte fonda. L'ho sentita bofonchiare.» La risatina di Usagi sparì in un grugno esitante. «Be'... sogna di ragazzi.»

... gli stava nascondendo qualcosa. «Non mentire.»

«Omettere non è mentire.»

«Il motto dell'onestà.»

«Cerco solo di rispettare la privacy di nostra figlia.»

Proprio ora? «Usako, fuori il rospo.»

Lei pensò a lungo prima di arrendersi. «Niente, l'ho sentita dire...» Si abbracciò da sola. «Oh! bofonchiava. Oh! Helios!»

Mamoru spalancò gli occhi.

... Helios?

«Ehh» minimizzò Usagi. «Sarà stato un sogno del passato.»

«Allora perché ti sei abbracciata?»

«Perché lei sembrava molto appassiona- No! Felice!»

Mamoru ebbe voglia di torcere il collo a qualcuno. Poiché la rabbia che provava era illogica, benché giustificatissima, pensò di provare con se stesso.

«Dai, Mamo-chan. Anche io alla sua età facevo quei sogni.»

Non aveva bisogno di pensare a sua figlia in quella situazione. «Usciamo di qui.»

«Sei arrabbiato?»

«Sono in ritardo. Anche tu. Non ricordi la colazione fissata con gli ambasciatori?»

«Ahhhh!!!!» Sua moglie volò fuori dalla stanza.

Pensieroso, Mamoru la seguì senza entusiasmo.

 

Helios, il suo Helios. Addorolorata, Usagi lo abbracciò forte. Quando lo avrebbe rivisto? Come aveva potuto salutarlo?

Sospirò nel sonno. L'aria che le entrò nelle narici seppe di un tale buono che...

Doveva dormire per sempre con quelle lenzuola. E con quel cuscino, che era caldo e morbido - non come piume, bensì come un corpo solido che-

Bloccò i pensieri, iniziando a svegliarsi.

Era una delle ragazze? Perché dormiva con una di loro?

Aprendo gli occhi si ricordò che non era stata la serata della festicciola notturna. Da quando nei suoi sogni era arrivato Helios, non vi aveva più partecipato. Allora cosa...?

Dormiva con la testa contro un petto sorprendentemente ampio e piatto. Niente seni.

... non dormiva con una donna? Ma chi-?

Una mano si mosse sulla sua schiena, piano. Una mano grande, non di ragazza.

«Ahhh!!!» Si bloccò prima di riuscire a sferrare il primo calcio. La risata di sottofondo di JunJun divenne immediatamente un suono ovattato, quasi muto alla sue orecchie. Davanti a lei stava... Helios.

Fissandolo, Usagi serrò e aprì le palpebre, sempre più forte. Tremò senza controllo.

In lontananza, qualcuno tornò a parlare piano. «L'aveva scambiato per Adonis?»

Gli occhi ambra che si erano fissati su di lei, immobili, si voltarono verso JunJun, e ogni cosa divenne sorprendente reale. Helios si trovava ad un metro da lei, seduto sulle sue stesse lenzuola. Era confuso. Ignaro. Vero.

Tese le mani e riuscì a prendergli i polsi, affondando le unghie nella sua carne. L'ombra della smorfia di lui le causò un nuovo stato di choc.

Helios era vero. Vero.

«Usagi.» Fu un mormorio basso, una voce che fendette l'aria. Il suono, una nota sconosciuta, le solleticò le orecchie. Neppure quello era più un sogno.

Lui fece leva su un braccio per sedersi più dritto. La veste bianca che indossava si mosse sulle sue spalle, piegandosi sul suo petto. Le sembrò di non aver mai visto prima i suoi capelli, la consistenza di quei fili chiari. La pelle del suo viso, così compatta e - oh - calda. Doveva essere calda. Gli occhi. Ambra ma marroni all'ombra, riflettevano la luce creando decine di pagliuzze e sfumature. Erano occhi reali.

«Sotto quella roba indossi qualcosa, giusto?»

La domanda di VesVes ruppe lo stallo.

Usagi gli si buttò addosso, per soffocarlo tra le braccia. Non riuscì a toccarsi i polsi oltre le spalle di lui e scoppiò a ridere. Aveva sbagliato i calcoli, sino a quel momento aveva abbracciato solo un sogno. Mai più, pianse. Mai più.

«Io mi preoccupo che sotto sia nudo.»

«Zitte» bofonchiò Usagi, mormorando il nome di lui in una sequenza senza pause. Sentì delle braccia che cercavano di sistemarsi sulla sua schiena. Partì un dondolio anomalo, che forse era una stretta, forse era niente. Era Helios.

«È l'abbraccio più strano che abbia mai visto» commentò JunJun.

«Shh» fece CereCere.

E silenzio fu, per quell'incontro che aveva atteso un'eternità.

  

Aveva bisogno di scappare, pensò Helios.

Abbassando la testa, cercò l'orecchio di lei. «Usagi.» Venne invaso da un effluvio di aromi.

Stordito, schiacciò il naso contro la tempia di lei, inspirando fino a riempirsi la mente. Sentì il viso accarezzato da una massa morbida e rosa, capelli che sulla radice erano un concentrato di profumo inebriante. Fu sufficiente il movimento di un centimetro perché le sue narici venissero a contatto diretto con la pelle di Usagi. Ne morì felice.

«Oookay!»

Mani sconosciute lo strattonarono via, facendolo scivolare lungo il letto, all'indietro. Il vuoto improvviso sotto i suoi piedi lo portò a muovere furiosamente le gambe. Riuscire a non cadere fu un'impresa; tutti i suoi sensi erano concentrati a sfuggire al suo controllo e a generare una sensazione corporea così...

Il mondo vorticò instabile.

JunJun e VesVes gli furono davanti. Fu costretto ad appoggiarsi alle spalle di VesVes, solo per accorgersi che sarebbe caduto assieme a tutte e due. Ignara, JunJun lo squadrò dall'alto in basso; d'improvviso spalancò gli occhi.

«Seduto!»

Cosa?

«Siediti subito!» La pressione improvvisa sulle spalle gli fece perdere l'equilibrio. Cadde, atterrando su muscoli che pararono il colpo. Fece male lo stesso e capì solo in quel momento la ragione per cui, durante le sue prove, aveva evitato per istinto quel tipo d'incidente. Il dolore era una sensazione intensa e profondamente spiacevole.

«Cosa gli state facendo?!»

Usagi.

Lei cercò di farsi largo tra le sue amiche, ma CereCere la tenne per le spalle. «Un attimo. Sembra che siano i suoi primi momenti da sveglio, lascialo respirare.»

ParaPara annuì ripetutamente. «Ci vuole un controllino!»

Lui serrò le palpebre, disturbato dalla troppa luce. Era quello l'effetto del giorno sugli occhi?

Aveva davvero bisogno di un controllo: era tutto diverso dalle sue prove, più nitido, più vivido. Più strano - la sua testa continuava a girare. 

Il suono di una voce che canticchiava si avvicinò alle sue orecchie. Una mano si intrufolò dentro i suoi vestiti dallo scollo della veste, strappandogli un lamento. Era fredda. No, stringeva qualcosa di freddo. Metallo? Il ricordo della nozione gli regalò un istante di serenità.

«Ascolto il cuore» gli sussurrò rassicurante ParaPara.

«Sarà veloce» disse ancora più piano VesVes. «Non guardare in basso.»

«Perché?»

Le dita di JunJun sotto il mento impedirono a ParaPara di rispondere da sola alla propria curiosità. Non capì neppure lui, ma in un certo senso... capì.

Era la sensazione. L'effetto. Bisognava nasconderlo?

VesVes stava scuotendo la testa. «Io e te dovremo proprio fare un bel discorso.»

Due dita gli aprirono l'occhio destro a forza. «E ora un'occhiata ai bulbi oculari!» ParaPara lo accecò con una luce.

«Gli state facendo male!»

Usagi.

«Usa-chan, lo sto facendo per il suo bene!»

CereCere rilasciò un sospiro. «Se solo fossi stata così efficiente anche la volta scorsa, invece di usare le bambole per spiegargli...»

VesVes tornò in piedi. «Sta' tranquilla. La differenza più grande l'ha appena vissuta in prima persona.»

Eh?

Helios si ritrovò un bastoncino infilato in bocca.

«Fai 'ahhh'!»

La sua gola si ribellò all'intrusione.

«Scusa!» ridacchiò ParaPara, ritraendo lo strumento. «Non volevo farti scoprire il riflesso del vomito, so che è orribile!»

«Basta!» Usagi le spostò tutte di lato e gli fu davanti. «A lui penso io.»

«Finora ti sei rifiutata di studiare medicina, Usa-chan.»

Il commento di ParaPara non preoccupò Usagi. «Non serve, adesso gli trasmetto la mia energia.» Incrociò i suoi occhi. «O studierò medicina per te. Ma non starai male, vedrai. Concentrati sulla mia mano, ora passa tutto.»

La morbidezza della voce di lei mise a riposo tutti i suoi sensi offesi. Il timbro che le era uscito dalle labbra era stato molto più maturo di quello che aveva udito nei sogni. La fanciulla Chibiusa era cresciuta più di quanto avesse creduto.

Le sfiorò la mano libera e chiuse gli occhi.

Era umano.

Era rinato.

Finalmente.

  


  

«Cosa stai scrivendo?» Helios si sporse sopra la scrivania.

CereCere alzò lo sguardo. «Giorno uno. Oggi è il trenta agosto. Sarà il giorno del tuo compleanno.»

Compleanno. Una ricorrenza di festeggiamenti.

Comple-anno. Compie anno. Giusto, con ogni anno che passava si misurava la maturità di una persona.

Ricostruire il concetto in autonomia gli strappò un sorriso. Gradiva immensamente sorridere. Si piegavano i muscoli delle sue guance e il suo corpo veniva attraversato da una sensazione piacevole, di soddisfazione e contentezza.

Sospirò, ma ciò gli piacque meno.

Convincere Usagi ad andare, sostenendo l'invito delle altre, era stato spiacevole. Lei aveva desiderato annullare tutti i suoi impegni, ma le sue amiche l'avevano convinta a non rimanere con lui. Per non insospettire le loro maestà, avevano detto. Se avessero scoperto che lui era arrivato, non li avrebbero lasciati trascorrere del tempo insieme con facilità.

La ragione di quel possibile atteggiamento per lui era abbastanza chiara - ai genitori piaceva proteggere le figlie e supervisionare le loro future relazioni - ma non era il motivo per cui aveva preferito allontanarsi da Usagi. Si era reso conto di avere bisogno di qualche ora per... stabilizzarsi.

Camminava bene - le prove erano servite almeno a questo - e si sentiva sufficientemente capace di intrattenere una conversazione in cui non avrebbe stupito il suo interlocutore con osservazioni ridicole. Tuttavia, portando tutto il suo essere nel mondo concreto, si era aperta per lui una percezione della realtà sconosciuta.

Solo ora sentiva davvero gli odori. Solo ora sentiva che i suoi occhi funzionavano e che i suoi muscoli si muovevano.

Il suo corpo era stato completamente funzionante anche nelle sue visite precedenti, ma la sua testa non lo aveva accompagnato appieno in quei momentanei trasferimenti nella realtà, rimanendo per una parte nel mondo dei sogni.

La consapevolezza che aveva ora del proprio fisico... non era semplice gestirla. Con Usagi accanto era stato impossibile.

Usagi sorrideva. Parlava. Profumava. Si muoveva, voleva stringerlo. E lui voleva ricambiarla, ma secondo VesVes la prima volta aveva quasi combinato un disastro. Le volte successive - questione di pochi momenti - se n'era accorto da solo e lo aveva evitato in tempo.

Il suo corpo lo metteva a disagio; sembrava comandarlo invece che sottomettersi alla sua volontà. Non era riuscito a concentrarsi neppure su un discorso di Usagi. Aveva desiderato in maniera disperata un contatto fisico che non sapeva controllare. Era frustrante.

«Quel broncio mi piace» sorrise VesVes, sedendosi sul tavolo assieme a lui, di fronte CereCere - che ancora scriveva - e di lato JunJun - che invece stava a braccia incrociate. Avevano mandato via ParaPara.

«Quando sei imbronciato tiri fuori un po' di carattere.»

Lui aveva del carattere. «Riflettere non equivale a non saper agire.» Decise di ignorarla e spostò l'attenzione su CereCere. «Perché stai scrivendo? Temi di scordarti il mio compleanno?»

Lei nascose un sorriso. «Questa pareva una battuta cattiva.»

Cosa?

«Ma mi sembri ancora incapace di produrti in certi artifizi» continuò lei. «Comunque non è il caso di perdere tempo. Usagi non ce ne lascerà molto.»

«Infatti» concordò VesVes, picchiettandosi le ginocchia coi palmi aperti delle mani. «Al sodo.»

Al sodo? Al centro della questione, corretto?

VesVes puntò gli occhi sui suoi. «Oggi parliamo di api e fiori.»

Veniva preso per stupido. «Le api sono insetti gialli e neri, con piccole ali. I fiori sono vegetali che possono assumere forme e colori diversi.» Non erano servite nemmeno le lezioni oniriche di Usagi per imparare concetti tanto basilari. Con lei aveva appreso della divisione tra specie faunistiche; almeno Usagi lo aveva ritenuto più intelligente.

Sulla bocca di VesVes si era dipinta una risata... cattiva. No, capì subito: ironica. Il concetto gli saltò in testa dal ricordo di molteplici sogni che aveva supervisionato.

Si era dovuto trovare nella situazione per capirlo. Con tutta la testa nel mondo reale.

«Elly, siamo chiari.»

«Non chiamarmi Elly.»

Lei spalancò gli occhi.

«Hai detto che non dovevo accettare il nome.» Non spettava a lui difendersi?

«Già.» VesVes cambiò tono.

Il tono era una modulazione della voce che mostrava l'atteggiamento di chi parlava.

Con ogni nuovo concetto che definiva, Helios si sentiva sempre più sicuro.

«Come si riproducono gli esseri umani, Helios?»

Come?

«Da dove saltano fuori le persone?» VesVes scrollò le spalle. «Tu vieni dal mondo dei sogni, noi altri invece...?»

La domanda lasciata in sospeso presupponeva una risposta da parte sua. «Esiste un sistema di... riproduzione, come l'hai chiamato tu. Di copia.» Si era espresso male. «Per fare una persona ce ne vogliono due.»

L'espressione nel viso di CereCere fu incoraggiante.

«Nei sogni ho assistito molteplici volte allo svolgersi di questo evento. Si chiama... Il nome tecnico è 'sesso'. L'atto viene di sovente esaltato... costruito. Molti dicono che sia un modo per mettere in pratica l'amore.» 'Fare l'amore', poiché era necessario amare la persona che si sceglieva per la riproduzione, considerando che l'atto presupponeva molta vicinanza.

Sentì che nella sua testa si apriva un mondo di comprensione.

Per forza! capì. Il sistema di riproduzione era legato ad un sentimento d'amore perché era impossibile sentirsi a proprio agio con una persona di cui non ci si fidava. I corpi umani erano troppo sensibili e incontrollabili per condividere un'esperienza simile con degli sconosciuti. Per talune persone, difatti, l'esperienza era al centro di incubi terrificanti. Rabbrividì.

«A che cosa stai pensando?» gli chiese VesVes. «Sei meno ingenuo di quello che credevo, ma preferisco esserne sicura.»

«Non è un'esperienza in cui ci si sente a proprio agio, perciò è necessario sopportarla con la persona amata.»

Alla sua destra JunJun scoppiò in una risata.

Lo invase una sensazione spiacevole - di vergogna - che si tramutò in un fiotto di calore al viso.

«Ehm...» CereCere precedette il chiarimento di VesVes. «Sei stato custode dei sogni, non hai visto che questo 'atto' era giudicato... piacevole?»

Sì, in generale. Ma la sua personale esperienza, per quanto breve, gli diceva qualcosa di diverso. Non che quelle sensazioni fossero state negative - o spiacevoli - ma non poterle controllare era stato estremamente frustrante. «Perché dobbiamo parlare di questo?» Aveva un intero mondo da scoprire. Voleva uscire!

«Sei stato tu a costringerci ad accelerare i tempi.» La voce di VesVes era ferma. «Ti avverto sin da ora che ti ritroverai spesso a fare i conti con reazioni del tuo corpo volte a iniziare l'atto di cui abbiamo parlato.»

«Quanto sei tecnica» ridacchiò JunJun.

«Sono seria!»

«Sapete che vi dico? Non si sono mai viste tre donne che cercano di insegnare queste cose ad un uomo. Dovrebbe pensarci un altro maschio.»

CereCere si profuse nella sua prima risata. «E a chi potremmo chiedere? Al Re?»

«Ci sarebbe una persona che saprebbe mantenere questo segreto. Secondo me, Adonis-»

«Venus-chan!» esclamò incredula VesVes. «Sei impazzita? Lo trasformerebbe in un perverso erotomane privo di ritegno! Dobbiamo tenere Helios lontanissimo da lui. Qualunque sua influenza può solo rovinarlo!»

«Adonis?» Helios aveva già sentito quel nome in precedenza. «Perché lo avete nominato quando mi sono svegliato?» Nel bel mezzo dei suoi primi momenti di vita vera, con Usagi davanti a lui, non solo aveva dovuto subire il fastidio di commenti intrusivi, ma persino la citazione di una persona estranea - assente, a quanto era risultato in seguito.

VesVes scuoteva la testa. «Adonis è l'ultimo figlio di Sailor Venus. Non interessarti a lui, è meglio. È solo un ragazzino che si fa chiamare Venus-chan. Ecco, vedi? Tu sei stato bravo a non accettare più il nome 'Elly', hai vinto la tua prima prova di mascolinità.»

Cosa?

JunJun sbatté una mano sul tavolo. «Visto che non accettate il mio consiglio, adesso mi permettete di dargli una spiegazione rapida.»

Da lei non la voleva.

«Caro ex-cavalluccio.»

Ehi!

«Poche regole di vita chiare e semplici: tutte le volte che starai vicino alla piccola, avrai voglia di saltarle addosso. Capirai cosa vuol dire quando ti ci troverai invischiato, ma non dev'essere una faccenda spiacevole. Per il tuo bene, ti consiglio di metterti dei freni e aspettare. Da questo punto di vista sei immaturo come un ragazzino incapace e, se ti spingi troppo in là, metterai in imbarazzo te stesso e lei. Sarai rozzo e Usagi ti odierà, credi a me.»

«Stai esagerando» commentò CereCere.

«Per te non sarebbe sentirti odiato se Usagi iniziasse ad evitarti, a non volerti vedere e a non cercare più di abbracciarti?»

Gli stava descrivendo un incubo. Lui voleva solo stare con Usagi!

«Ecco, vedo che hai capito. Perciò quando senti una strana sensazione» indicò con un dito l'area colpevole del suo corpo, «allontanati e proponi di fare un giro. Pazienza sarà la tua parola d'ordine!»

Quindi poteva o non poteva stare vicino ad Usagi? «Non capisco.» Perché non si spiegava?

A JunJun non importò. «Inizia per te una via di incertezze. Dovrai essere stoico!»

VesVes scosse la testa. «E fortuna che dovevi fare di lui un vero uomo. Lo stai terrorizzando.»

«Secondo me questo è proprio quello che gli direbbe qualunque uomo adulto.»

«Helios.»

Il richiamo gentile di CereCere attirò la sua attenzione.

«Baci. Quelli vanno bene. Più ti eserciterai e più capirai molte delle cose che stiamo dicendo adesso, senza che te le spieghi nessuno. Quando sarai pronto, non spaventerai Usagi.» Esitò. «Solo quando sarai pronto, tienilo a mente.»

L'incertezza finale non lo aiutava.

«Eccomi di ritorno!» ParaPara spalancò la porta, chiudendola con un colpo secco dei fianchi. «Ho portato i vestiti!»

«Finalmente» esclamò VesVes. «Facci vedere!»

Lui tirò un lembo della veste bianca che lo ricopriva su tutto il torso, lasciando scoperte le braccia e le gambe, a partire dal ginocchio. «Questo abito non va bene?»

«Sembra una tenuta da trapasso. È indecente per andare in giro.» VesVes allargò tra le mani un indumento fatto di tessuto bianco.

Il suo colore preferito, pensò lui.

Lei lo buttò di lato. «Ci vuole un po' di vita, sei già pallido come un cencio. Avrai bisogno di prendere sole. A proposito, perché non sei apparso qui con le tue vesti da custode?»

La risposta stava nella domanda. «Erano le mie vesti da custode. Non mi appartenevano più.» Si alzò e si chinò a raccogliere l'abito buttato di lato. Lo prese tra le mani e lo rimirò. Non era un abito.

«Si chiama 'camicia'. Questa ha le maniche corte, siamo in estate.» CereCere gli offrì un sorriso incoraggiante. «Presto saremo in autunno, ma per ora fa ancora molto caldo.»

JunJun si avvicinò a loro, le braccia incrociate. «A proposito. Gli abbiamo dato un compleanno, ma non un'età. E nemmeno un cognome. Vogliamo fare Helios di Elysion? Ha un suono nobile.»

Helios ricordò un concetto. «Il nome è una questione importante.» Quel 'cognome' sembrava farne parte. «Vorrei rifletterci estesamente.» Per il momento non sarebbe stato presentato ad alcuno sconosciuto. Usagi e il quartetto concordavano su una cosa: dovevano tenerlo al riparo da altre persone. Finché non si fosse sentito più sicuro, concordava anche lui.

«E l'età?» rifletté CereCere. «Di solito non si inventa, ma nel tuo caso... Be', per fortuna non hai ancora un aspetto finito.»

Cosa voleva dire?

«Diciamo così delle persone che hanno terminato di invecchiare. È comune scegliere un'età limite vicina ai tre decenni. Tu non sembri molto più maturo di Usagi. Lei per ora ha fermato il proprio aspetto ai diciassette anni. Ne ha novecentoventitré.»

«Devo averne novecento anche io?»

«Nonono» rise piano CereCere. «Usagi è un caso molto particolare. Nessuno ti riterrà da meno se avrai... venticinque anni? Con un aspetto fermo sui venti, mi dai questa idea.»

Era sbagliata. «Ho vissuto per migliaia di anni. Imparerò coi tempi giusti ad adattarmi a questo mondo e a dimostrare ciò che so. Le mie conoscenze non mi hanno abbandonato, benché abbia difficoltà a conciliarle con la mia attuale situazione.» Ad accedervi, in realtà. La sua mente si era come ristretta, riempiendolo di dubbi e incertezze. Anche così, non riusciva ad essere pessimista sul futuro.

VesVes si lasciò andare ad una smorfia. «Non parlare in questo modo davanti ad Usagi, la farai scappare.»

«Usagi sa come parlo.» Lei accettava la sua natura.

CereCere era tornata a sedersi sul tavolo. Ripresa in mano la penna, stava scrivendo. Lesse a voce alta. «Helios, cognome da definire, nato a Crystal Tokyo il 30 agosto Two minus Thirty. Due anni prima del nuovo secolo» gli spiegò. «Usiamo un'altra lingua per gli anni. Dovrai impararla.»

«La conosco.» Conosceva molti idiomi di comunicazione e fu sollevato di non averli dimenticati. «Mi serve solo imparare a leggere. E scrivere.» Come stava facendo lei.

«Per questo ti sto preparando questo antico quaderno.» CereCere lo sventolò trionfante. «Lo useremo per i tuoi esercizi!»

«Intanto pensiamo a vestirlo» la interruppe VesVes.

Lui si tenne stretta la 'camicia'. «Voglio questa.» Voleva qualcosa di leggero e bianco.

VesVes buttò via uno dei due indumenti che aveva scelto. «Sei testardo. Ma nessuno va vestito di bianco da capo a piedi qui, perciò ti becchi questi pantaloni grigi e te li fai piacere. Anche queste scarpe.» Gli lanciò tutto. «Ppoi...»

«Voglio uscire.»

«Pretese a fiumi» fu il commento divertito di JunJun.

«Non puoi uscire, qualcuno ti vedrà.»

«Voglio un posto dove posso stare sotto il sole.» Voleva vivere al massimo, anche se gli avrebbero fatto male gli occhi.

«Possiamo portarlo nei giardini privati di Usagi» fu il suggerimento di CereCere. «Facciamo la guardia a turni, perché non entri nessuno.»

Le altre considerarono l'idea e alla fine la giudicarono una soluzione adeguata.

Fu così che Helios imparò una prima importante lezione: a insistere a sufficienza, otteneva tutto quello che si voleva.

 

CONTINUA...

 


 

 

NdA: questo capitolo doveva avere contenuti molto più estesi, ma stava diventando il doppio degli altri capitoli in lunghezza.

Inoltre, dopo averlo riletto, ho individuato un'unità narrativa importante: qui ho detto molto di quello che mi interessava raccontare sul personaggio di Helios.

Quindi il prossimo capitolo avrà come titolo 'Realtà/Usagi' e sarà sia il naturale proseguimento di questo, che la visione di Chibiusa sull'arrivo di Helios nella sua vita. Lui era sempre stato una figura da sogno, ma ora è una persona vera, con un carattere proprio, desideri e bisogni propri (non in quel senso, hentai! :D)

È il sogno di lei che diventa reale, ma forse non era tutto come si aspettava. Dev'essere un male? No :P

Come specificava la traccia iniziale della storia, proseguiranno le disavventure con Serenity ed Endymion mentre la loro sventurata figlia cercherà in tutti i modi di passare più tempo con Helios per conoscerlo, tra micini invadenti ed ex-pretendenti curiosi. Chibiusa avrà pace? Avrà guai, è la risposta, ma ne uscirà vincitrice :)

Oh, il nome di Venus-chan è saltato fuori dopo la lettura dell'ultimo volume di Sailor V. Appare un personaggio venusiano di nome Adonis. Avevo già pensato a nomi legati alla mitologia di Venere qualche tempo fa, ma Adone non mi piaceva. Mi hanno convinto la 'is' finale e l'intraprendenza del personaggio del manga con Minako :D Anche se era un cattivo, mi sapeva tanto di atteggiamento di Venus-chan :P

Sperando che questo capitolo vi abbia fatto sorridere. Alla prossima, molto presto :)

ellephedre

   
 
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