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Autore: secretdiary    17/12/2011    2 recensioni
Ho scritto questo racconto per un contest di Halloween, il cui tema doveva essere esattamente quella festa.
La storia è basata su fatti realmente accaduti, o su leggende metropolitane sussurrate e mormorate dalla gente del posto, o da coloro che si recano in visita al castello di Trezzo sull'Adda.
Se siete interessati alle apparizioni di fantasmi, vi consiglio di visitare il luogo, è magico, particolare.
La storia parla di due ragazzi comuni, che cercano una location perfetta per girare il loro film horror-parodistico.
Spero che vi piaccia!
Bisous
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola annotazione prima di iniziare:
Cari lettori, innanzitutto vi ringrazio per aver aperto questa storia e per aver scelto di spendere un po' del vostro tempo per leggerla.
Vi rubo solo un paio di righe prima di lasciarvi al racconto: è finalmente uscito il mio primo romanzo.
Ora, finalmente, sono un'autrice pubblicata.
Se amate le storie fantasy, nel campo destinato al mio profilo, trovate tutte le informazioni relative al romanzo.

Grazie per l'attenzione ;)
Buona lettura!!
Bisous *-*

Il velo nero

Trezzo sull'Adda, 31 Ottobre 1377

Le urla della fanciulla echeggiarono per le fredde pareti di pietra, scalando il castello, abbandonando le segrete per raggiungere la sala del trono.

Il Signore chiuse gli occhi, massaggiandosi le palpebre con una mano guantata.

Movimenti concentrici che, egli sperava, avrebbero lenito il mal di capo da cui era affetto da quella mattina.

Quelle urla, acute, stridenti grida disperate non facevano altro che aumentare il suo malessere.

«Fatela tacere!» ordinò ad un valletto che si incaricò di riportare l'ordine fino alle segrete abbracciate dal fiume Adda.

«Com'è possibile che non abbiano ancora finito?» continuò il Signore fissando con i suoi intensi occhi d'ossidiana un altro servitore.

La sua domanda era puramente retorica, pertanto l'uomo non fu tenuto a dargli una risposta.

Egli fu lieto di tale giustificazione poiché prestava servizio a Trezzo da abbastanza tempo per conoscere perfettamente il carattere del padrone del luogo, un carattere devoto all'ira, alla furia e alla irragionevolezza.

Una risposta differente dalle parole che Bernabò si aspettava avrebbe significato morte certa per lo sfortunato interlocutore.

Con un sospiro sollevato il nobile si rese conto che più alcun segno di disperazione giungeva dalle segrete e pochi attimi dopo il valletto mandato a difendere la salute mentale del conte, fece il suo ritorno nella sala del trono.

«Finalmente» commentò il nobile.

Sfortunatamente la sua contea non poteva certo definirsi popolata dai più obbedienti abitanti.

Egli riteneva i suoi sudditi inaffidabili, pigri, laidi bifolchi e il sovraffollamento delle sue segrete e delle sue prigioni era un segno tangibile di quanto egli disprezzasse il suo popolo, di quanto non lo amasse e di quanto egli fosse propenso alla punizione piuttosto che al perdono.

La pena inflitta quella mattina era votata ad insegnare ai suoi sudditi che la fedeltà era necessaria a Trezzo, che i traditori venivano sempre scoperti, sempre puniti, anche se facevano parte della sua famiglia.

Era il caso di Donnina Visconti, sua figlia illegittima, che aveva commesso l'imperdonabile colpa di innamorarsi di uno stalliere.

Donnina era stata ovviamente scoperta e prontamente condannata.

Sarebbe stata torturata ed infine murata viva.

L'umidità, le esigue gocce d'acqua che sarebbero filtrate tra le congiunzioni tra i blocchi di pietra che costituivano le pareti del pozzo l'avrebbero accompagnata nella lenta agonia della sua morte.

 

Castello di Trezzo, 31 Ottobre 2011

Alberto si voltò indietro per accertarsi un'ultima volta della condizione della sua automobile.

L'aveva ritirata quattro giorni prima, venerdì, dalla concessionaria, e ancora non gli sembrava vero di essere riuscito ad averla acquistata completamente da solo.

Non era una macchina di chissà quale cilindrata o valore, era una semplice utilitaria nera, ma per lui era assolutamente perfetta.

«Ehi, stai pur tranquillo che i fantasmi non si avvicineranno mai a quel catorcio» esclamò Luca notando lo sguardo dell'amico.

Un sorriso tra il divertito e l'ironico affiorò sulle labbra di Alberto che insultò giocosamente l'intelligenza del compagno di 'idiozie' prima di raggiungerlo.

Idiozie, sì, perché Luca e Alberto erano famosi nel loro cerchio di amicizie per le azioni avventate, le stupidaggini che erano soliti fare.

In genere qualsiasi cosa desiderassero fare, essi facevano.

Qualsiasi idea solleticasse la loro fantasia, essi la mettevano in atto con il più goliardico spirito mattacchione che i venti anni potessero accompagnare.

Inoltre i due amici sembravano incuranti e delle conseguenze che le loro azioni comportavano, e delle regole che una società civilizzata imponeva alla comunità.

Perciò a nulla interessava l'opinione pubblica ai due ragazzi, tanto che non avevano badato agli sguardi compatiti e divertiti che li avevano osservati mentre riproducevano (fedelmente) lo scontro tra Anakyn Skywalker ed Obi Wan Kenobi con le spade laser, o quando improvvisavano il drammatico momento durante il quale Edward Cullen lasciava Isabella Swan all'inizio di 'New Moon', rivisitato secondo il loro personale senso dell'umorismo e riprodotto in metropolitana.

Le loro scenette venivano sempre registrate su una videocamera e donate generosamente alla comunità di internet grazie a Youtube.

Il loro canale contava migliaia di visite e di commenti (talvolta insulti, talvolta proposte di matrimonio).

Per Halloween Luca ed Alberto erano pronti ad un nuovo 'film' e avevano deciso di ambientarlo proprio nel famosissimo castello visconteo di Trezzo d'Adda.

Il luogo era celebre per le azioni di efferata crudeltà compiute tra le sue mura, e ai due amici sembrava il luogo adatto per inscenare una nuova versione di 'The ring'.

Il sole era tramontato da diverse ore e per i ragazzi non fu difficile introdursi all'interno del castello.

Una volta impadronitisi di una stanza, essi cominciarono a preparare il set.

«Non capisco perché debba interpretare sempre io i ruoli femminili» commentò Luca agitando una lunga parrucca nera, acquistata solo per potersi calare meglio nel ruolo di Samara.

Alberto si finse coinvolto e solidale, appoggiandogli pesantemente una mano sulla spalla.

«Perché tu sei più esile.

Sembri una femmina» rispose con noncuranza.

Alberto e Luca optarono per aprire il loro personalissimo film di Halloween in quella che era la camera da letto del signore di Trezzo.

I due ragazzi spostarono dunque il materiale che occorreva loro per girare il video e lo adagiarono sopra una cassapanca rinascimentale.

Mentre Luca posava le borse contenenti sacche di sangue finto, moncherini di plastica e candele, notò un volantino apparire da sotto una sedia imbottita di velluto.

Il giovane raccolse l'opuscolo e lo lesse velocemente.

«Ehi, senti qui: si dice che questo castello sia infestato dalla figlia di Bernabò Visconti!

Pare ci siano testimonianze della presenza del suo spirito.

E non solo del suo.

Ci sono testimonianze di apparizioni di diversi fantasmi, appartenenti alle molteplici vittime di Bernabò».

Alberto raggiunse l'amico, posandogli entrambe le mani sulle spalle.

«Sono solo assurdità» esclamò con tono divertito.

Non aveva mai creduto alla presenza di spettri o creature simili e certamente non si sarebbe lasciato influenzare da un opuscolo il cui unico scopo era quello di attirare a visitare il castello turisti impressionabili.

Luca si liberò della pesante e pruriginosa parrucca nera e guardò Alberto negli occhi.

«Perché limitarci al remake di un assurdo film quando potremmo girare un documentario?».

I suoi occhi castani brillavano di un'intensa luce gioiosa, prodotta dalla frenesia e dal desiderio di lasciarsi andare ad una nuova avventura.

Alberto però non sembrava dello stesso parere, o meglio, non sembrava della medesima opinione il suo sopracciglio corvino che si inarcò producendo le prime lievi e superficiali rughe di espressione sulla sua fronte.

«Tipo 'La strega di Blair'?» chiese scettico.

Luca annuì con determinazione.

Ormai aveva abbracciato quell'idea e nulla al mondo l'avrebbe distolto dal desiderio di metterla in pratica.

Alberto conosceva più che bene l'amico e fu costretto ad accondiscendere alla sua volontà, altrimenti avrebbero rischiato di trascorrere l'intera notte di Halloween a discutere sul da farsi.

Luca accese la videocamera e la puntò prima su Alberto, presentandolo, infine su se stesso.

«Dimostreremo l'esistenza o meno di Donnina Visconti» decretò con tono grave e cupo.

Tutto ciò non era altro che una mera presa in giro alla miriade di programmi televisivi che asseriva di essere in grado di fornire una risposta alla moltitudine di domande della vita.

«Dividiamoci: io prendo le camere e tu le segrete -concluse Luca- Registra con il cellulare, poi monteremo il materiale più interessante».

Un sorriso sghembo tagliò le labbra di Alberto che tuffò una mano nella tasca dei jeans per pescare il telefonino e mostrarlo all'amico.

«Come nei peggiori film horror.

'I due protagonisti si separarono e solo uno sopravvisse'».

Luca diede in una risata fragorosa poi spinse l'amico per una spalla fuori dalla camera da letto.

«E siccome io sono quello più simpatico, schiatterò.

È sempre quello noioso che si salva, perciò non lamentarti e fai il tuo dovere».

 

Alberto conosceva bene il castello, come ogni giovane cresciuto nei paraggi, la maggior parte delle gite scolastiche si era svolta in quel palazzo, quindi per lui non fu difficile trovare le ripide scale di pietra che conducevano nelle segrete più umide della zona.

Esse erano al di sotto del livello del fiume, completamente abbracciate dall'Adda.

Alberto avvertì immediatamente il freddo penetrargli nelle ossa.

“Gli attaccherò il raffreddore; non mi ammalerò solo io” rifletté accennando un sorriso.

La flebile luce emessa dal led del cellulare donava una semplice idea della posizione in cui Alberto si trovava e probabilmente non gli avrebbe permesso di individuare alcun fantasma, a meno che questo non si fosse trovato ad un palmo dal suo naso, cosa della quale Alberto dubitava fortemente.

Improvvisamente la cella che il giovane stava visitando cadde nella più totale oscurità.

Alberto avvertì il suo cuore battere più velocemente nel suo petto, sbattere contro le costole, come un tamburo.

“Idiota” si disse, “E' il risparmio della batteria”.

Premendo un tasto qualsiasi sulla tastiera del cellulare, la segreta venne nuovamente parzialmente illuminata.

Alberto alzò gli occhi e vide un'ombra femminile.

Sbattendo le palpebre essa svanì.

Il giovane rise, infondendosi coraggio e accusandosi di codardia.

Riprese l'esplorazione delle segrete.

Non solo l'umidità trasudava dalle pareti, Alberto percepiva anche un velo di sofferenza, una patina di dolore abbracciare le mura di pietra ed espandersi, riempire la cella, artigliare la sua anima.

Terribili atrocità erano state commesse in quel luogo ed era innegabile che una personalità consapevole ne fosse rimasta turbata.

Involontariamente la mente di Alberto aveva recuperato i ricordi scolastici, gli aveva rammentato le torture spiegate dalle maestre.

Era ovvio e prevedibile che Alberto si sentisse a disagio nelle segrete, sapendo cosa quel luogo aveva visto secoli addietro.

«Il velo nero si è sollevato,

sollevato, e il confine ho varcato.

Il velo nero mi ha sfiorata,

sfiorata, e la mia morte sarà vendicata».

Tali erano le parole che Alberto credette di udire, cantate sulla melodia rallentata di 'Alouette'.

Era un unico verso, una nenia ripetuta ancora ed ancora, con una voce femminile che faceva il verso al tono di un bambino.

«Il velo nero si è sollevato...»

Alberto scosse il capo, schiacciando le orecchie con le mani.

“Stupido” si disse.

«Luca, piantala!» esclamò.

Una risata di scherno, flebile come se giungesse da una persona col capo coperto da un piumone vibrò nelle segrete, echeggiando.

«...sollevato, e il confine ho varcato.»

Questa volta la voce giunse alle spalle di Alberto.

Un alito glaciale soffiò sul suo collo, raddrizzando i peli alla base di esso.

Non poteva essere Luca.

Alberto deglutì due volte a vuoto mentre la prorompente forza della consapevolezza lo travolse come un'immane onda dirompente che si frange sugli scogli.

In quell'istante il giovane credette che ogni cosa fosse in realtà vera.

Le leggende, i racconti, gli spiriti.

Ogni cosa era vera.

Il fantasma di Donnina Visconti abitava quel castello, luogo della sua morte avvenuta per mano di suo padre.

«Cosa vuoi da me?» domandò il giovane con voce spezzata.

Una nuova risata echeggiò, rimbalzando tra le pareti.

Nuovamente un alito ghiacciato accarezzò le guance del ragazzo che si schermì indietreggiando di qualche passo.

«Vendetta» sibilò la brezza.

Mille pensieri vorticarono in testa ad Alberto, mille voci, mille ricordi appartenenti al giovane ed appartenenti ad un'altra anima, uno spirito antico.

Era il 31 ottobre e Donnina Visconti veniva uccisa per aver amato, uccisa dalla persona che doveva amarla al di sopra di ogni altra cosa.

Lo spirito della fanciulla da allora non poteva trovar pace, non riusciva a chetarsi.

Desiderava solamente vendetta, desiderava solamente punire la sua famiglia che le aveva impedito di ascoltare il suo cuore, di onorare i sentimenti generati dalla sua anima.

Ogni 31 ottobre il velo nero che divideva il mondo dei vivi da quello dei morti si alzava, permettendole di oltrepassare quel confine.

Ogni 31 ottobre ella chiamava a sé gli eredi della sua famiglia, per saziarsi con il loro sangue.

Luca era l'ultimo.

Luca era l'ultimo erede.

Il sangue dei Visconti era presente in minima parte nelle sue vene, ma c'era.

Alberto sapeva cosa doveva fare.

I suoi occhi erano trascolorati nel bianco, completamente privi di iride e di pupille.

Il dolore e la rabbia di Donnina facevano ormai parte di lui; le emozioni della figlia di Bernabò si erano ormai fuse con le sue.

Alberto raggiunse con passi meccanici e privi di coordinazione ed eleganza la teca dove erano esposte alcune armi.

Con un pugno ruppe il vetro.

Frammenti di esso erano ormai incastonati nella sua mano, tra le nocche, ma Alberto non provava dolore fisico.

Le sue dita si strinsero attorno all'impugnatura di una mazza ferrata.

Facendola oscillare lentamente Alberto si allontanò dalle segrete.

Strisciando i piedi egli percorse i corridoi, incespicando talvolta, e raggiunse Luca, il suo migliore amico.

«Dove hai trovato quelle lenti a contatto? -domandò con tono divertito- Molto efficaci».

«Il velo nero si è sollevato,

sollevato, e il confine ho varcato.

Il velo nero mi ha sfiorata,

sfiorata, e la mia morte sarà vendicata» cantò Alberto.

La sua voce era mutata nell'intonazione, assumendo sfumature femminili.

Luca proruppe in una risata divertita e scosse il capo tornando a filmare una macchia su un arazzo mangiato dalle tarme e rovinato dal tempo.

Un cigolio singhiozzante accompagnò il movimento della mazza ferrata.

«Sì, sei molto convincente.

Ora puoi uscire dalla parte e puoi dirmi se secondo te quella macchia ha la forma di un volto».

Alberto caricò il colpo, portando la sfera chiodata alle sue spalle, dopodiché attaccò con forsennata violenza l'amico di spalle.

Il sangue schizzava, come il succo di un'arancia schiacciata al suolo.

Gocce cremisi aderirono al volto di Alberto, ormai ridotto ad una maschera di follia.

Il cranio di Luca era ormai spaccato, brandelli di cervello si mescolavano a ciuffi di capelli, frammenti di esso.

Quell'orrore era adagiato su un tappeto di sangue, talmente copioso che pareva nero.

Luca non aveva fatto in tempo a comprendere cosa gli era accaduto.

Nei suoi occhi ancora l'espressione divertita per la caccia al fantasma.

Alberto continuò a colpire il corpo ormai privo di vita dell'amico.

Ancora.

Ancora.

Con vibrante ferocia, travolgente pazzia.

In sottofondo la terribile filastrocca per bambini, tramutata in un inquietante canto di morte, cantata dal vento, o era forse la voce di uno spirito?

Improvvisamente Alberto inspirò rumorosamente ed annaspò, come se fosse stato in apnea e solo ora avesse ricominciato a respirare.

Con raccapricciante disgusto il giovane si rese conto dello scenario che gli si poneva innanzi.

Alberto si contorse, abbracciandosi lo stomaco ed inginocchiandosi accanto al corpo di Luca.

Il suo vomito giallastro si unì al parto dell'odio.

Una risata si librò nell'aria, accompagnata da una canzone dai toni inquietanti.

Era il 31 ottobre, il velo nero si era levato, permettendo a Donnina di portare a compimento la sua vendetta.

 

~♠~

 

 

Nota; racconto liberamente ispirato da fatti e leggende reali.

   
 
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