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Autore: veronica85    17/12/2011    8 recensioni
Cosa avvenne dopo che Sailor Moon sconfisse Galaxia? Come le senshi, e in particolare una di loro, affrontarono il ritorno alla vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Outer Senshi, Setsuna/Sidia, Usagi/Bunny
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Dunque... che dire di questa storia? Che è sicuramente una di quelle fanficiton su cui avevo fatto meno affidamento, scritta di fretta e non riletta. Non mi piaceva e non mi piaceva, non sapevo neanche perché mi stessi costringendo a scriverla, ma ho continuato: era per un contest e volevo vedere se riuscivo a cavare qualcosa di buono. Alla fine, non so come, l'ho conclusa e spedita e nonostante le mie paranoie ha fatto 36 punti su 43. Considerato che credevo di arrivare più ultima dell'ultima, è stato un ottimo piazzamento. Sono stata penalizzata a quanto pare, dalla punteggiatura, con cui, da un po' di tempo a questa parte, ho litigato seriamente ma spero che ricuciremo il rapporto il prima possiible. Non vi posto quindi il giudizio, perché è prevalentemente una correzione degli errori, che ormai non esistono più. Il titolo del contest era "Pillole d'ispiraizone" ed io ne ho scelte tre, integrate nel testo. Questa storia parla delle Outer e di una in particolare e di come è stato vissuto il ritorno alla vita dopo Galaxia.


Viva! Viva! Non poteva ancora crederci, ma era così: era viva, il suo cuore batteva, pompando il sangue in tutto il corpo, il petto si alzava ed abbassava per far entrare ed uscire l’aria. Non aveva mai avuto paura della morte, anzi: era grazie ad essa, in parte, se aveva i suoi poteri. Erano sempre state buone amiche e ogni volta che la nera signora l’aveva chiamata a sé, lei l’aveva ricevuta di buon grado, sapendo che il suo sacrificio avrebbe comportato la sopravvivenza di altre persone. Così era stato quando era andata con le inner nel futuro e aveva fermato il tempo per impedire che Demando facesse entrare in contatto il Silver Moon Crystal del futuro e quello del ventesimo secolo di Sailor Moon causando un paradosso temporale, e anche quando si era trovata contro quelle due sailor che non conosceva, che l’avevano colpita con quelle luci abbaglianti: si era sentita leggerissima, quasi impalpabile. Non aveva avuto paura di morire, anzi… ricordava di aver pensato che se quella era la morte, allora non le era andata poi così male. Aveva chiuso gli occhi con un ultimo pensiero per Hotaru, che amava come una figlia, per Haruka e Michiru, quelle sorelle che non aveva mai avuto, per la piccola Lady, che non avrebbe più rivisto… e per lui, partito mesi prima, che non le era stato concesso nemmeno di salutare.
Come sempre, non poté fare a meno di osservare, in fondo, la sua vita non era nient’altro che questo: una serie di perdite e di addii mancati che ogni volta le lasciavano un segno sempre più profondo, sempre più doloroso. Ma per fortuna, quella situazione si era risolta, l’addio non era stato definitivo e tutte loro erano tornate in vita, lui compreso. E anche se il primo pensiero che lui aveva avuto era stato per Usagi… anche a lei era stato concesso salutarlo, parlagli di nuovo, vederlo vivo respirare la sua stessa aria a pochi passi di distanza da lei. Aveva trattenuto l’impulso di gettargli le braccia al collo, sarebbe stato assolutamente fuori luogo, nonché l’ultima cosa che le altre, tutte presenti in quel momento, si sarebbero aspettate da lei. Inoltre, non avrebbe mai voluto che Usagi ci restasse male. Per questo, l’unica cosa che era riuscita a biascicare, era stata:
“Sono davvero felice di rivederti, Mamoru-san” accompagnata da un dolce sorriso intriso di commozione. Nessuna aveva trovato nulla di strano in quell’atteggiamento: erano tutte commosse, felici per essere tornate in vita e grate per poter riabbracciare le loro compagne. Erano rimaste insieme ancora per due ore, riunite al tempio Hikawa a raccontarsi le loro sensazioni davanti ad una tazza di the a riassaporare quella complicità e quella dolcezza che temevano di aver perduto per sempre… poi, si erano rese conto che c’erano altri doveri, altre persone da rivedere, riabbracciare e tutte avevano fatto ritorno alle loro case.
Così, lentamente si erano divise: Rei le aveva accompagnate alla porta, guardandole allontanarsi, Minako e Makoto avevano imboccato la stessa strada, diversa da quella di Ami che si allontanava serena nella luce del tramonto mentre Usagi, con un dolce sorriso, prendeva sottobraccio Mamoru e, poggiando la testa sulla sua spalla, si dirigeva con lui verso casa sua.
Lei si era allontanata con le altre guerriere del sistema solare esterno con quell’immagine negli occhi che le aveva fatto più male di quando le era stato strappato lo star seed. In quel momento, mettere un passo davanti all’altro le era parso lo sforzo più incredibile che avesse mai dovuto compiere: una potente sensazione di bruciore si era propagata nel suo petto, mentre il cuore sembrava ardere e consumarsi inesorabile come una sigaretta accesa. Ma non ci volle molto tempo perché Usagi e Mamoru scomparissero dal suo campo visivo e lei potesse tornare a concentrarsi sulle sue coinquiline dirette alla loro casa, nella loro inseparabile macchina sportiva gialla: si chiedeva, ironicamente, come avesse potuto non consumarsi sotto lo sguardo di Haruka che l’aveva rimirata e carezzata come si fosse trattato di un’amante perduta e ritrovata dopo troppo tempo. Questo atteggiamento aveva provocato un leggero disappunto in Michiru, poiché la guerriera dei mari aveva sostenuto che nemmeno a lei, che era la sua compagna, Haruka riservava tante attenzioni quante ne aveva per la sua auto. Setsuna ed Hotaru a quelle parole non avevano potuto nascondere un sorriso, trasformatosi poi in un’allegra risata che le aveva accompagnate per tutto il tragitto e alla quale, alla fine, anche la guerriera dei mari aveva ceduto.
Giunte finalmente a casa, era stato inevitabile per tutte e quattro fermarsi sulla soglia e fiondarsi di corsa ognuna nella stanza che più amava. E così, neanche a dirlo, Haruka era filata in garage a sistemare la macchina e lucidare la moto mentre Michiru, dopo aver sbuffato leggermente, aveva rivolto a lei ed Hotaru un sorriso dolcissimo scappando di corsa nel suo studio da cui, pochi istanti dopo, erano fuoriuscite le dolci note di un brano di un qualche compositore a lei sconosciuto, espandendosi per tutta la casa. Hotaru l’aveva guardata con un sorriso che le aveva fatto ricordare tutte le sensazioni provate durante la battaglia e il senso di colpa che l’aveva attanagliata a doverla lasciare sola in compagnia di due gatti: era stato questo il motivo che l’aveva spinta a chinarsi e stringere forte la piccola contro il suo petto senza dire neanche una parola, lasciando che le lacrime della guerriera di Saturno bagnassero la giacca del suo vestito.
Il silenzio aveva parlato per loro accentuando la commozione e l’affetto presenti nella stanza e Setsuna aveva preso a cullare piano la figlia adottiva, come faceva quando era solo una bambina di pochi giorni, bisbigliando scuse e richieste di perdono una dietro l’altra per non essere stata in grado di proteggerla, per averla dovuta lasciare sola, per non essere stata una buona madre. Erano rimaste strette l’una all’altra per un tempo che nessuna delle due aveva potuto o voluto quantificare finché, dopo un po’, Hotaru si era staccata scuotendo la testa e, rivoltole un lieve sorriso, le aveva fatto intendere che non aveva nulla da farsi perdonare che era consapevole che per tutte loro ci fossero doveri più importanti di una figlia adottiva e che per lei contava già moltissimo quel tentativo di proteggerla lasciandola lontana dalla battaglia.
Quindi, dopo averla abbracciata nuovamente e aver ricevuto un bacio in fronte e una carezza, si era diretta in camera sua, probabilmente per circondarsi di nuovo del suo mondo di bambole e di abat-jour, lasciandola sola, in balia dei suoi pensieri. Ne aveva bisogno, in fondo, tutte loro avevano la necessità di un attimo solo per loro stesse… ma allo stesso tempo lei non aveva alcun desiderio di concederselo così presto, conscia che avrebbe finito col farsi più male di quanto sarebbe stata disposta a tollerare.
A quanto pareva, però, non poteva più rimandare e tentare di farlo sarebbe stato da vigliacchi e lei non lo era mai stata; si diresse quindi anche lei in camera sua, stendendosi a letto, lasciando una serie di suoni, parole e immagini fluire liberamente: ricordi vividi che desiderava rivedere, si alternavano ad immagini più sfocate e blande che non riusciva a controllare, portati a galla a caso da ogni respiro. E in pochi istanti rivisse tutto: la percezione del pericolo, la decisione di partire lasciando Hotaru a casa, accudita da Luna ed Artemis, la separazione forzata dalle compagne la lotta contro la stessa Galaxia, il terrore di non farcela e poi… si era sentita leggera come un fuscello e aveva capito di essere stata sconfitta. Usagi aveva poi colmato le lacune di tutte loro appena poche ore prima narrando di come le avesse viste tutte materializzarsi di fronte a lei ed attaccarla, di ciò che aveva provato vedendole eseguire ciecamente gli ordini di colei che le aveva uccise e le aveva rese poco più che fantocci, di quanto avesse sofferto nel rendersi conto che l’unico modo per salvarle era quello di togliere loro la vita… e quanto le fosse costato colpirle una ad una, Mamoru compreso. In quel momento, un silenzio pesante era sceso sul gruppo, ognuna si era chiusa nel suo silenzio mentre le lacrime rigavano il volto di ognuna e sopra di loro sembravano aleggiare come grossi pipistrelli quelle figure di cui parlava la mitologia classica, le Erimi, anche dette le tre Furie: Paura, Colpa, Vergogna. Ma Usagi aveva sorriso e tutte si erano sentite perdonate e rasserenate: quella battaglia si era finalmente conclusa e avevano avuto la possibilità di pensare a loro stesse. Lo squillo del telefono la destò da quelle riflessioni, costringendola ad alzarsi per rispondere
“Moshi moshi?”. Una voce al limite dell’eccitazione esplose contro il suo orecchio sinistro, costringendola ad allontanare la cornetta
“Setsuna–san… non ci crederai… è successa una cosa meravigliosa!”.
“Usagi-chan? Ma cosa…?”.  Non poté fare a meno chiedersi a cosa fosse dovuta quella chiamata: erano state insieme fino a due ore prima, cosa poteva essere successo in così poco tempo? La voce super eccitata della sua Princess la distolse da quei ragionamenti:
“Si tratta di Mamo-chan… lui... noi.. abbiamo deciso di sposarci, Setsuna-san… tra un paio di settimane… non vogliamo più aspettare, capisci?”. E rideva, Usagi, rideva di cuore, sinceramente eccitata per quella notizia: poteva immaginarla saltellare per la stanza e battere le mani senza troppe difficoltà. A lei, invece, per poco non era caduta la cornetta di mano dalla sorpresa: sapeva che quel giorno sarebbe arrivato, ma non lo aveva mai immaginato così vicino. Eppure, si derise, lei era l’unica che avrebbe potuto prevederlo, lei conosceva il futuro… Una voce lontana la distolse da quei pensieri:
“Setsuna-san.. ci sei?” Usagi… già, si era completamene dimenticata di stare ancora parlando con lei. Strinse saldamente la cornetta prendendo un respiro profondo:
“Sì, scusami, Usagi-chan… sono molto felice per voi, davvero. Ci dovrai raccontare tutto la prossima volta che ci vedremo” aggiunse, tentando di mostrarsi convinta delle sue parole.
“Certo! Non vedo l’ora! Anzi… che ne dici se ci incontriamo già domani al Crown? Tu e le altre avreste problemi? Perché vorrei che mi aiutaste anche ad organizzare il matrimonio, siete le mie migliori amiche….”
“Ecco….” Biascicò Setsuna completamente sorpresa, investita da quell’inarrestabile fiume di parole.
“Sapevo che non avreste avuto problemi! Ci vediamo domani alle 10 al Crown” esclamò la giovane biondina riattaccando velocemente senza dare all’altra neanche il tempo di rispondere. La senshi di Plutone rimase per alcuni istanti con la cornetta tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, tentando di riprendersi dalle informazioni piovutele addosso nel giro di cinque minuti. Una mano gentile le prese il telefono, riponendolo nella sua postazione e risvegliandola da quel torpore: si voltò, incontrando lo sguardo tranquillo di Michiru e notando, poco dietro, anche Haruka e Hotaru. Ma fu la guerriera del mare a dare voce al dubbio di cui tutte erano preda:
“Che succede, Suna-chan? C’è qualche problema? Chi era al telefono?”. La custode del Time Gate si riscosse, votandosi in direzione delle amiche esibendo un pallido sorriso. L’ultima domanda le era congeniale, e decise di partire da lì
“Era Usagi-chan… ha detto che vorrebbe ci incontrassimo al Crown domattina con le altre… sapete… Mamoru-san le ha chiesto di sposarlo”. Riuscì ad esibire un sorriso dopo quelle parole, non seppe neanche lei come, ma in fondo non aveva importanza: gli occhi di Michiru ed Hotaru già brillavano di gioia sognando dichiarazioni romantiche, matrimonio, annessi e connessi. Sorrise impercettibilmente anche lei per poi darsi mentalmente dell’egoista: perché non riusciva ad essere felice per la sua più cara amica? Sospirò, mentre la risposta più sincera affiorava alla sua mente: perché Usagi NON era la sua migliore amica, quel posto spettava a Michiru, seguita da Haruka… e prima ancora di loro due, le persone a cui in assoluto era più affezionata erano Hotaru e Chibiusa che amava come fossero figlie sue e che relegavano quindi Usagi al quinto posto nella sua personale classifica di affetti. Qualcuno le scosse leggermente una spalla, riscuotendola da quei pensieri, di nuovo: stavolta, però, si trattava di Haruka.
“Beh Non sei contenta? Finalmente ci sarà questo matrimonio e a breve nascerà Chibiusa.. Usagi se lo merita dopo tutto quello che ha passato, non credi?”. Era la prima volta, constatò stupita Setsuna, che Haruka si concedeva una gioia così palese, che abbassava le difese per permettere alla felicità di entrare nella sua vita.. e lei non era nessuno per distruggerla. Sorrise quindi all’amica, annuendo.
“Hai ragione, se lo merita. Però… ora scusatemi ragazze, me ne vado un po’in camera mia, ho bisogno di liberare la mente da tutti questi pensieri: finora è stato quasi impossibile…”.Una scusa che poi in realtà non lo era più di tanto: in quell’ultimo periodo c’era stato poco spazio per riflessioni ponderate e gli ultimi minuti che si era concessa non le erano bastati. Nella sua mente continuava un incessante turbinio di immagini, suoni e sensazioni con cui, ne era consapevole, era arrivato il momento di fare i conti. Le compagne annuirono, quindi, mentre loro restavano in salotto sedute sul divano, Setsuna apri e richiuse la porta della sua stanza, stendendosi sul letto, al buio, con la precisa intenzione di mettere un po’ d’ordine in quel guazzabuglio che erano i suoi pensieri.
Un torrente di emozioni poteva ora leggersi sul suo volto, finalmente le era concesso manifestarle, per poi rimettere la sua abituale maschera e gioire con le altre per la gioia della Princess. Era proprio questo il punto, il vero problema, il motivo per cui non era mai riuscita a considerare Usagi la sua migliore amica: aveva vissuto al Time Gate troppo tempo, era ormai abituata a vederla come Serenity,  la Princess da proteggere, la Queen da rispettare, lontana da lei, unica e irraggiungibile sovrana dell’universo. E il fatto che fosse tutto quello anche grazie a lei, non le importava, non in quel momento: voleva concedersi di essere egoista per una volta, almeno nella sua mente.
In fondo, anche lei lo era stata: aveva accettato quella promessa fatta dalle Guardian senza troppi problemi senza probabilmente rendersi conto davvero di ciò a cui stavano rinunciando per lei le sue migliori amiche. E forse, neanche Minako, Rei, Ami e Makoto se ne rendevano conto a pieno, non capivano a cosa avessero rinunciato veramente… o forse non temevano la solitudine perché avevano già perso da troppo tempo l’unico uomo che avrebbero mai potuto amare.
Come in fondo, era successo a lei, anzi… a lei non era stato concesso di vivere quell’amore neanche per un attimo: anche il solo desiderarlo sarebbe stato considerato alla stregua di un sacrilegio. Ma ora… ora che si trovava da sola nella sua stanza… che male ci sarebbe stato a fantasticare? Solo una volta ancora, l’ultima, poi avrebbe smesso e avrebbe permesso a se stessa di andare avanti. Doveva farlo, non poteva certo vivere di rimpianti per tutta la vita… e non poteva neanche dare troppo spago agli assurdi scherzi che il suo cuore le giocava da mille anni a quella parte. Perché lei, in tutte le sue vite, si era innamorata e quell’uomo le aveva fatto perdere letteralmente il sonno, a causa sua aveva passato ore a fantasticare su ciò che avrebbe potuto essere, su un futuro alternativo per lei, lontana dal Time Gate. Ma sapeva fin troppo bene che questo non sarebbe mai stato possibile: lui non l’avrebbe mai guardata nel modo in cui lei aveva sperato, che quel bacio, sognato tante volte, non l’avrebbe mai ricevuto… e tentava di convincersi che fosse giusto così, che andasse bene, che non esistesse alternativa ad eccezione di quella.
Quante volte aveva desiderato fermare il tempo e poggiare le sue labbra su quelle dell’uomo dei suoi sogni… ma, in fondo, a cosa le sarebbe servito? Sarebbe stato soltanto un palliativo, un furto, una cosa orribile e scorretta strappata contro la volontà dell’altro: l’avrebbe irrimediabilmente perso per una manciata di secondi… e  non poteva permetterlo. E così permetteva ai suoi pensieri di continuare a ruotare attorno a lui, alla mente di costruire fittizie immagini di loro due alle labbra di pronunciare a mezza bocca, nell’assordante silenzio della stanza “Ti amo, Mamo-chan, anche se non te l’ho mai detto”.
Già… lui non poteva certo saperlo… ma il suo cuore l’avrebbe gridato a tutti... quel cuore profondamente connesso con la parte irrazionale di lei che la spingeva a sperare, ad analizzare anche il segno di stizza più insignificante di lui nei confronti di Usagi per trovarci noia, irritazione, rabbia… qualsiasi sentimento che lo avesse in qualche modo allontanato dalla sua ragazza e lo avesse un po’ avvicinato a lei. Ma ora, questo non sarebbe più stato possibile, quei due si sarebbero sposati, non esisteva più alcuna possibilità di allontanarli né lei d’altronde lo avrebbe fatto: tutti quei discorsi erano sempre rimasti solo nella sua mente e solo a livello ipotetico, solo per il desiderio di vivere un sogno, di trovare qualcuno come Mamoru che l’amasse come lui amava Usagi. Eppure, memore di quanto accaduto nel XXX secolo, la sua speranza non voleva saperne di abbandonarla, restando aggrappata con le unghie e con i denti ad ogni minimo appiglio: in fondo, non riusciva a considerare del tutto quell’amore come qualcosa di sporco, non l’avrebbe mai frenato, anzi… probabilmente gli avrebbe permesso di continuare a crescere e divenire sempre più forte nel suo cuore. Il desiderio che lui un giorno la ricambiasse, forse non se ne sarebbe mai andato ma anche quello, sarebbe rimasto inascoltato ed inespresso.
“Sei una stupida”. Si rimproverò sottovoce, ma non poté fare a meno di rannicchiarsi chiudendosi su se stessa e continuando a tenere gli occhi chiusi. Un osservatore esterno avrebbe pensato dormisse.
E fu infatti proprio questo il pensiero di Hotaru, quando le si avvicinò per chiamarla
“Setsuna-mama, sveglia”. Gli occhi rubino della Custode del Time Gate si spalancarono immediatamente, incontrando le iridi ametista della figlia
“Sono sveglia, hime-chan” mormorò sollevandosi e carezzandole piano una guancia “Dovevi dirmi qualcosa?”
La piccola annuì, salendo sul letto vicino a lei: “Haruka-papa e Michiru-mama hanno detto che andiamo a cena fuori, per festeggiare… vieni?”. Setsuna la osservò, indecisa sulla risposta: non aveva molta voglia di festeggiare, il suo entusiasmo per essere nuovamente viva era stato fatto a pezzi nel giro di pochi istanti… ma poteva davvero deluderla così?. Osservò gli occhi di Hotaru incupirsi e in quel momento seppe che c’era una sola risposta che poteva dare.
“D’accordo tesoro: dammi il tempo di cambiarmi e arrivo”. Uno splendido sorriso tornò ad illuminare il volto della bambina che scappò in cucina  chiamando a gran voce il papà e l’altra mamma, avvisandoli del suo assenso. Le labbra della custode del Time Gate si sollevarono in un sorriso che non raggiungeva del tutto gli occhi... ma per il momento andava bene così.
Si cambiò rapidamente e nel giro di pochi istanti raggiunse le sue amiche: forse era quello il modo per smettere di pensare, dedicarsi di più alla sua famiglia, quella che si era inevitabilmente creata in tutto quel tempo: aveva una figlia e due amiche meravigliose che erano quasi al pari di due sorelle, poteva e voleva ricominciare da lì, dedicandosi totalmente a loro che con la loro semplice esistenza avevano reso la sua vita più degna di essere vissuta.
“Sei pronta, Suna-chan? Andiamo”. La invitò gentilmente Michiru e lei annuì seguendole fuori da quella casa, tutte e quattro insieme ancora una volta, incontro a quella vita che avrebbero sempre affrontato insieme, nonostante tutto. E se Endymion era stato colui che le aveva permesso di diventare più aperta, di scoprire cosa si provava ad amare qualcuno, ora doveva mettere da parte quel ricordo e lasciarlo andare incontro al suo futuro. E non importava, non doveva importare, se non avrebbe potuto trascorrerlo al suo fianco perché, ora lo sapeva, gliene aspettava uno altrettanto meraviglioso che avrebbe iniziato a costruire con le persone a lei care a partire da quella stessa sera.
   
 
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