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Autore: ValeEchelon    17/12/2011    6 recensioni
"La sabbia fredda sotto le sue dita sembrava vetro, tagliava, faceva male. L’odore di salsedine, quell’odore che aveva sempre amato e desiderato, quell’odore intriso di ricordi ed emozioni, ora era così sgradevole e urtante. Se non fosse stato per la speranza che lo legava a quella spiaggia e per la sbornia appena avuta, se ne sarebbe già andato, avrebbe preso un aereo per Los Angeles e avrebbe lasciato quel posto e quei ricordi per un po’. Il problema era che, fondamentalmente, nel profondo nel suo cuore lui ci sperava, sperava che lei, quella donna che tanto aveva cercato e tanto ardentemente amato, tornasse."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Personaggio principale: Shannon
Scritta da : Me.
Tema: non c'è un tema preciso, ma penso l'amore.
Shannon non mi appartiene, purtroppo, e il resto lo sapete. 
Non è una oneshot erotica, stranamente.
Buona lettura, Vale.

E' LEI, E' LEI.


Il cielo di Rio de Janeiro era illuminato di un migliaio di luci provenienti dal centro della città ma, allargando lo sguardo, era possibile avvistare qualche stella solitaria che splendeva pigramente in quel lontano angolo  oscuro. Il confine tra la terraferma e le acque scure dell’oceano era impalpabile, difficilmente distinguibile, tranne quando qualche onda movimentata dalla corrente si infrangeva sui i frangiflutti. Rio non dormiva mai: era sempre trafficata, sempre popolata, con quelle luci sempre accese e la gente giù nelle strade a festeggiare.
La sabbia fredda sotto le sue dita sembrava vetro, tagliava, faceva male. L’odore di salsedine, quell’odore che aveva sempre amato e desiderato, quell’odore intriso di ricordi ed emozioni, ora era così sgradevole e urtante. Se non fosse stato per la speranza che lo legava a quella spiaggia e per la sbornia appena avuta, se ne sarebbe già andato, avrebbe preso un aereo per Los Angeles e avrebbe lasciato quel posto e quei ricordi per un po’. Il problema era che, fondamentalmente, nel profondo nel suo cuore lui ci sperava, sperava che lei, quella donna che tanto aveva cercato e tanto ardentemente amato, tornasse.
Un altro capodanno era andato così, un altro capodanno passato da solo, di città in città, senza nessuno, nessuno che volesse davvero. Un’infinita tristezza si era impossessata del suo animo, aveva attanagliato il suo cuore e lo stava trascinando giù, giù verso una dimensione dove né tempo né spazio importavano, dove l’unica cosa da fare era respirare, vivere, andare avanti.
Il ricordo di quegli occhi verdi, quei magnifici occhi verdi, il ricordo di quel naso perfetto, di quelle labbra carnose e calde, così accoglienti e provocanti, il ricordo di quelle carezze bollenti e di quei sospiri stimolanti, il ricordo di quel contatto maledetto gli provocava una stretta allo stomaco, al cuore, e non lo lasciava respirare.
Perché lei l’aveva lasciato?
Perché lei se n’era andata?
Perché l’aveva tradito?
Non se lo spiegava, non si capacitava dell’accaduto, eppure la voglia di averla lì, accanto a lui, era più forte del resto, più forte di tutto, persino dell’orgoglio. Che senso aveva andare avanti se vedeva solo sconforto e rancore senza lei? Che senso aveva andare avanti così, egoisticamente, senza uno scopo e senza alcuna necessità? Non era una vita degna di essere vissuta. “Una vita senza amore è una vita sprecata”, gli aveva detto una volta, fra le risate ed i sorrisi, quel pomeriggio di primavera, mentre facevano l’amore sulla gelida erba bagnata del giardino del fratello.
Il pianto che piano piano sgorgava dai suoi occhi faceva male, bruciava la gola come acido, annebbiava la vista come fumo.
Perché non poteva semplicemente dimenticare, perché non poteva semplicemente rinchiudere quei ricordi da qualche parte nel suo cervello e non rivederli mai più?
Perché non riusciva più a guardare altra donna senza pensare a lei?
Perché ogni volta che si scopava una perfetta sconosciuta finiva col sentire la sua voce?
Perché tutto era così strettamente, inevitabilmente, fottutamente, collegato a lei e a quello che gli aveva trasmesso in quel poco tempo trascorso insieme?
Quella spiaggia era troppo fredda e troppo deserta anche se c’erano ventotto gradi, quella spiaggia era troppo ed era arrivato il momento di farsi forza.
Avevano trovato l’amore, l’avevano trovato per caso. L’avevano trovato in un luogo senza speranza, senza alcuna luce, senza sogni o desideri. L’avevano trovato così, per pura fortuna. Si erano fatti forza, insieme, si erano promessi di cambiare.
Non erano cambiati, ma si erano amati. Si erano amati come solo due innamorati sanno fare, come se fossero delle anime pure, come se non avessero mai commesso nessun peccato, avevano trasformato il sesso più sfrenato nel più tenero e dolce degli atti. I posti più strani, più assurdi e meno accoglienti erano state teatro dei loro più profondi sospiri, del piacere più puro, e delle voglie nascoste.
Supermercati, negozi, camerini, lavanderie, spiagge: non c’era più alcun luogo che frenasse la loro voglia, il loro desiderio e la loro frenesia.
Poi, però, come tutte le cose mortali che sono destinate a finire, qualcosa all’interno di quel rapporto si era incrinato, come un bicchiere di cristallo che, urtato, si disintegra a mano a mano in tantissimi piccoli pezzi.
Lei era stata l’unica per lui, l’unica per cui valesse la pena stare da soli anche quando i tuoi amici sono fuori a scoparne una diversa ogni notte.
E lui, per lei cos’era stato? 
Uno di quelli che incontri, scopi e butti?
No, Shannon non era questo.
Shannon era l’uomo, la rockstar, quello che faceva quel che il cazzo gli imponeva, quello che faceva gemere le donne, che le faceva male, che le portava al limite e ce le lasciava.
Era, esatto, non è.
Da quel momento in poi era cambiato, tutto era cambiato, lei l’aveva cambiato. Le mani fredde, le dita gelate, poggiate su quelle ginocchia ossute rannicchiate fino al petto, la testa poggiata sulle stesse.
Ed improvvisamente fu come se milioni di spilli si fossero conficcati sulla sua pelle, come se una pioggia di spine l’avesse colpito e affondato, come se il cielo piangesse cristalli di vetro acuminati che finivano dritti al cuore.
L’alcol gli faceva uno strano effetto, mischiato a quelle due canne che si era fumato, le allucinazioni avevano rapito tutti i pensieri sensati ed ora si trovava veramente in pericolo, visto che l’unica cosa che vedeva era il suo viso, il viso di quella donna che gli aveva spezzato il cuore migliaia e migliaia di volte e, non contenta, l’aveva trafitto con un pugnale intriso del suo veleno, quel veleno che si era diffuso per tutto il corpo.
Non aveva né la forza, né tantomeno la volontà per reagire. Era debole, indifeso, vulnerabile. Si contorse violentemente a quegli spasmi, a quei dolori. Si accasciò sulla spiaggia, chiudendo gli occhi, piangendo, pregando, sperando che tutto finisse il più presto possibile. Il suo volto ancora una volta era davanti a lui, i suoi occhi e le sue labbra, quel fantasma che sentiva tanto suo ma che in realtà non gli apparteneva più. Gridò, svuotandosi i polmoni, buttando via tutta l’aria, il dolore, la tensione, la paura che aveva dentro. Gridò perché era l’unica cosa da fare, lei era diventata un’ossessione, una malattia, un demone che non voleva lasciarlo in pace.
Aveva sempre creduto che l’amore non esistesse, che non facesse male, che fosse soltanto un’invenzione dell’uomo, creata affinché non si sentisse troppo solo ma la risposta era arrivata, violenta e cruda, puntualmente e ora chiedeva il conto, il conto di tutte quelle ingiurie e di tutte quelle prese per il culo.
Forse, stavolta, era arrivato il momento di andarsene, forse stavolta era arrivato il momento di scontare le pene.
Forse non sarebbe mai più tornato a casa, forse non avrebbe mai più rivisto i suoi occhi o le sue labbra.. o forse sì: all’inferno.
Ma, d’un tratto, la luce.
La luce della speranza, della forza. Si mise a ridere delle sue disgrazie, rise per quello che da solo si era provocato, rise perché sentiva di nuovo il contatto con la sua pelle, rise perché ancora una volta sentiva il suo calore, rise perché ancora una volta sentiva la sua risata, il suo profumo.
Aprì lentamente gli occhi, guardandola in tutta la sua bellezza, mentre gli tendeva una mano e lo aiutava a sistemarsi sul suo petto, mentre lo invitava a rifugiarsi fra la montagna di capelli profumati, mentre gli dava un bacio sulla guancia e lo consolava, cullandolo.
Il suo sorriso era un balsamo per le sue ferite, il suo profumo un potente calmante, il suo tocco un anestetico. Il tempo di incrociare i suoi occhi, però, il tempo di leggerle quello sguardo misterioso, che la consapevolezza che quella donna fosse una sconosciuta si fece padrona della sua mente.
Chi era quella donna che ora lo teneva fra le braccia, cullandolo?
Chi era quella donna dallo sguardo di ghiaccio che lo fissava quasi con disinteresse?
Chi era quella donna, quella sconosciuta?
La sua temperatura cambiò: era fredda, ghiacciata. Le labbra le si colorarono di viola, le mani si coprirono di sangue, gli occhi si svuotarono e diventarono bianchi come marmo paro. Ancora una volta, il terrore fece da padrone nel suo cuore e riuscì ad alzarsi, a correre verso il mare, verso quell’acqua che lo attendeva bramosa, minacciosa. Si voltò a guardarla, vide un ghigno dipingerle in volto una maschera grottesca: quella non era la donna che amava. Riprese la corsa, guardandosi indietro, temendo di essere seguito, ma andò a sbattere contro il suo petto, contro il suo seno che non profumava più né di fiori né tantomeno di donna, ma di morte.
Lei era la Morte, la mitica Morte, che aprendo le braccia lo prese e lo trascinò giù, giù in quel baratro, fra nuvole, fiamme e tenebre.
Gridò, ci provò, di nuovo,  ma nulla sembrava poterlo salvare.
Lei lo guardava ancora sogghignando, crudele, con quel suo odore di fiori morti e terra smossa.
Era la fine, la fine.. 


Shannon, SHANNON!"
Lei lo scuote violentemente per le spalle, poi quando lui apre gli occhi gli accarezza finalmente il viso madido di sudore. Gli prende le mani e le bacia, gli prende il viso e fa lo stesso. Lo stringe a sé, tranquillizzandolo, cullandolo, con amore e tenerezza.
 Il suo tocco lo calma, lo seda, gli infonde calma e serenità.
“Stai bene, amore, dimmi che stai bene.”, dice lei in preda al terrore.
Shannon annuisce, lo sguardo ancora perso, i battiti accelerati.
Vede in lei tutto quello che avrebbe voluto vedere: un futuro, un amore vero, dei figli, una famiglia. Capisce di amarla, capisce che non è passeggera come le altre, capisce che è l’unica.
“Grazie.”, sussurra dolcemente, prendendole il viso a sua volta e sfiorandole le labbra.
Lei sorride sollevata, lo bacia ancora con dedizione.
“Non te ne andare, dimmi che non te ne andrai.”, dice ancora lui.
Basta un cenno del capo, uno sguardo, per farle capire che lei non se ne andrà, che rimarrà con lui, che tutto questo non è stato altro che un incubo, un terribile incubo.
“Dove potrei andare senza di te?”
Con la voce un po’ incrinata risponde e con le dita tremanti traccia il contorno delle sue labbra carnose.
“Andrà tutto bene.”
Annuisce, sicuro. Andrà tutto bene.
Il tepore del fuoco si insinua dentro le sue membra, facendolo rilassare e riaddormentare fra le sue braccia. Si appoggia al suo seno e finalmente annusa quel profumo che ha sempre amato: quel profumo di donna, di amore, di amante, di madre.
 E’ lei, è lei quella giusta.
   
 
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