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Autore: Aesir    18/12/2011    5 recensioni
Dopo aver letto la "Medea" di Euripide, mi è venuta questa one-shot da cui traspare tutta la simpatia che ho per Learco. Scusate il linguaggio di Dubhe, ma la poverina è sconvolta.
 
So che tu non scherzeresti mai su una cosa del genere. Purtroppo. 
P.S.: Che bello, la mia fic è la duecentesima pubblicata in questo fandom!
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dubhe
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Euripide, Dubhe

 Resto con la bocca aperta per la sorpresa.
Forse ho capito male, penso disperatamente, forse è uno scherzo.
Mi aggrappo in questi pochi secondi alla vana speranza. Ma so che tu non scherzeresti mai su una cosa del genere.
Purtroppo.
Il mio sguardo deve valere più di mille parole, perchè ti chini verso di me, mi metti la mano sotto il mento, sollevi il mio capo verso di te e mi chiedi se va tutto bene.
No, non va tutto bene, Learco.
Ti facevo più intelligente, dovresti capirlo.
Stai... stai scherzando, vero?” chiedo. Mi rifiuto di accettare la realtà, punto e basta.
Tu sospiri. “Vorrei tanto che fosse così...”
Mi guardi. “Dai... non piangere...”
Oh. È vero, sto piangendo. Per un attimo cerco di contenermi, di evitare di urlarti addosso quanto ti odio, quanto male mi hai fatto. Poi non ce la faccio più.
Non piangere?! Dieci anni, dieci anni che mi hai portata fuori dall'inferno, mi hai fatto tua sposa, e adesso!
Tutto perchè ti impongono di scoparti una puttana...”
È la figlia del re della Terra del Fuoco, si chiam...”
Adesso perdo davvero le staffe. Il mio schiaffo ti raggiunge la guancia con un sono secco. Fino a dieci minuti fa, questo gesto mi avrebbe fatto star male come se l'avessi ricevuto io stessa. Ora non più. “Non me ne importerebbe neanche fosse la figlia di Aster il Tiranno, bastardo!” A tuo onore devo dire che incassi l'insulto senza fare una piega. Non soddisfatta, riprendo: “Mi lasci per POLITICA, per una FOTTUTA TROIA che per sfiga è figlia di...”
Non ne posso più. Me ne vado, sbattendo la porta furiosamente alle mie spalle. Tu mi insegui. Ma non mi prenderai se non voglio, e adesso proprio non voglio.
Mi trincero in camera, chiudo a chiave la porta.
Mi guardo intorno: la nostra stanza, tutta la nostra vita...
È andata. Qualunque cosa accada, non potrà tornare indietro.
Mai più.
Afferro un vaso di cristallo, e lo mando in frantumi scagliandolo al suolo. Una scheggia rimbalza e mi ferisce il braccio. L'odore metallico del sangue si sparge nell'aria. Che me ne importa? Ben presto tutti i suoi simili patiscono la stessa sorte. Mi guardo intorno. Cos'altro potrei fracassare? La libreria. Faccio per avventarmi, poi mi fermo di botto. No, certe cose sono sacre. Il letto! Sguaino il pugnale e mi metto metodicamente a farlo a pezzi, sventrando il materasso, tagliando le lenzuola in minuscole striscioline. Inizio a polverizzare sistematicamente ogni singola cosa incontri il mio cammino. Agisco con metodo, accuratamente. È come avere di nuovo la Bestia nel cuore. Arrivo a strappare le mensole dalle pareti, a scagliare le sedie fino a ridurle a schegge di legno che si piantano nelle mie braccia pallide. So che dopo farà molto male, ma non mi interessa. Già dai miei arti scorrono sottili linee rosse. Una parte di me, che credevo morta e sepolta, gioisce all'odore del sangue.
Tu chiami il mio nome, lo sento.
Vorrei ignorarti, ma non ce la faccio. Mi tappo le orecchie con le mani, chiudo le tende con forza, facendole quasi cadere, e finalmente, dopo aver fatto a pezzi tutto ciò che ho potuto, nel buio, appoggiata al pavimento, mi concedo di piangere in silenzio.

 Io sono Dubhe, regina della Terra del Sole.
Almeno, si suppone che lo sia. Fino a tre ore fa lo ero. Ho esaurito le lacrime, adesso resta solo un sordo rimpianto. Non è giusto.
Non me ne frega niente della politica. Ho conosciuto l'apparato del potere dall'esterno, come l'ho visto nei miei anni di lavoro, e ne ho conosciuto anche la natura effimera. Li ho visti talmente tante volte, nell'intimità delle loro case, che ormai ai miei occhi gli uomini di potere appaiono tutti inermi e meschini.
Tutti tranne te, Learco, ma forse è il momento di riconsiderare il mio giudizio.
Non mi interessano i fottuti supremi interessi, puoi parlare quanto vuoi dietro quella porta. Non mi sono mai preoccupata del Mondo Emerso, ho badato sempre, e solo, a me stessa.
Potremmo andarcene, sai? Mollare tutto ciò, sparire, noi due. Nessuno sentirà più il nostro nome, e vivremo in pace.
Ma no, tu sei troppo legato a queste maledette mura dorate per pensare ciò.
Bene, cioè male.
Dove sono gli dei, quelli di Nihal, quelli di Theana, quelli della Gilda, persino, adesso?
Serro i pugni fino a piantarmi le unghie nel polso. Ancora dolore.
Non sono una regina, sono semplicemente Dubhe, la ladra... e l'Assassina.
Addio, Learco.

 Apro un armadio, muovendomi a tentoni. Dentro c'è la mia veste da Assassina, il corpetto, i pantaloni, il mantello.
E le armi. Arco, faretra, coltelli da lancio, un secondo pugnale.
Quegli oggetti con cui mi alleno ogni giorno, tutto ciò che resta del mio passato.
La indosso, nonostante il buio la conosco infatti a perfezione, so istintivamente come e dove vanno i vari lacci e i foderi delle armi.
Tu intanto hai smesso di chiamare, ti sei arreso.
Bastardo.
Mi calo dalla finestra, usando le lenzuola fatte precedentemente a pezzi. Apro in silenzio la finestra sotto la nostra stanza, e poso le labbra sulla fronte di un bambino che dorme in una culla.
Di nuovo le lacrime mi salgono agli occhi.
Addio, Neor.
Scivolo lentamente senza far rumore fino ad un'altezza di tre metri dal suolo. Il tessuto è finito, ma non importa.
Salto.
So come atterrare senza farmi male, e nel momento stesso in cui i miei piedi toccano il terreno, sto già correndo. Entro nelle scuderie.
Un cavallo”, ordino con fare imperioso.
Lo stalliere mi guarda stupito. “Siete voi, mia regina?”
Solo allora mi ricordo che ho il cappuccio addosso. Lo lascio cadere indietro. “Ovvio.”
Ora non più.
Buon viaggio.”
Sì, come no.

 La Fonte Scura. È esattamente come la ricordavo. Mi spoglio, con rabbia. È diverso da prima, al palazzo. Stavolta è la rabbia di chi sa cosa fare. Scivolo in acqua, sentendo quel meraviglioso freddo avvolgermi. Solo adesso capisco quanto mi è mancata la mia vita da ladra.
Va bene, ero senza Learco.
Ma adesso, non mi pare una gran privazione.
Stronzo, dovevi proprio rovinare tutto?
Respiro furiosamente, cercando di calmarmi. Quando finalmente il cuore (quello stesso cuore che tu ascoltavi fino a ieri sera!) smette di cercar di sfondarmi il petto, salto sul cavallo, e mi dirigo in città.
Mi fermo davanti ad una bottega che conosco bene. Batto furiosamente alla porta, e mi apre colui che per tanto mi h fornito le pozioni che servivano per i miei... 'lavoretti'.
Lo gnomo Torio è in vestaglia, e sbadiglia rumorosamente. Un tempo una simile scena m'avrebbe divertita, ora non più.
Dubhe!”, esclama, per poi correggersi: “Cioè, volevo dire Vostra Altezza...”
Sono Dubhe e basta. Quella che viveva al palazzo è morta e sepolta, anzi, non è mai esistita”, taglio corto. “Mi serve un favore.”
Ma lo sai che ore sono?”
“Senti, fammi questo favore e ti pagherò quel che vuoi.” Sbatto una borsa piena di monete davanti a lui. “Settemilaquattrocento carole. Dimmi se vuoi di più.”

Mi guarda come se fossi pazza... cosa che non dev'essere troppo lontana dal vero. “Cosa ti serve?”, chiede con tono quasi reverenziale.
Per cominciare, Datura stramonium... una buona provvista.”
Qualcuno ti ha fatto un torto?”
Direi. No comment”, rispondo con tono truce.
“Beh, questo ce l'ho. Ma poi, dato che sicuramente c'è qualcos'altro?”

Questo è più difficile. Rekla, la Guardia dei Veleni della Gilda, aveva una pozione che la manteneva sempre giovane.” Gliela descrivo. “Hai niente del genere?”
Mi guarda, stavolta ancora più circospetto. “Vieni con me.”
Lo seguo, fino al retrobottega che ben conosco, è il luogo in cui mi procuravo veleni e sonniferi, e smerciavo la refurtiva. Tira fuori una chiave e apre un cassetto nascosto. Dentro c'è una bottiglietta simili a quelle dei liquori. Me la da.
Il liquido che contiene è verdastro, opalescente
È nata quasi per caso”, spiega intanto. “Stavo cercando di fare tutt'altra cosa, l'ho testata su un topo abbastanza vecchio... non credevo ai miei occhi, pensavo di aver confuso le gabbie.”
Lo guardo con gratitudine. “Ti ringrazio.”
E di che?” protesta. “Tutto per un'affezionata cliente. Spero di rivederti presto.”
Contaci.”
Non penso proprio che ci sarà l'opportunità di incontrarci ancora, alla fine di questa storia.

 Il palazzo della Terra del Fuoco è ridicolarmente poco protetto. Sembra quasi vogliano farmi un favore. All'inizio il mio piano è di scivolare in cucina senza lasciare traccia. Un demone però mi prende, e mi spinge prima a entrare nella camera in cui dorme la puttana che dovrebbe prendere il mio posto. Il suo sonno è tranquillo. Scivolo nella stanza, la guardo. Una pelle quasi diafana, lunghi capelli color del grano. Non posso saperlo con certezza, ma dall'incarnato e dalla chioma suppongo che abbia gli occhi azzurri. Per un attimo mi sento in colpa. È solo una ragazzina, non è colpevole per ciò che sta accadendo, probabilmente il matrimonio è stato deciso da suo padre senza neanche consultarla.
Poi vedo un oggetto sul comodino che mi fa trasalire. Una pergamena, coperta da una calligrafia che conosco bene. Una lettera. Il resto è coperto - per fortuna - ma si leggono le ultime parole: Ti amo, Learco.
Avvampo.
Tu morirai.

 Sorprendo una delle cameriere, quella che più mi somiglia, in un vicolo.
Indosso la sua divisa, tenendo però sotto i miei abiti.
Sono come una seconda pelle per me, ormai, un nero che conforta, pronto ad avvolgermi e a consolarmi.
Entrare nel palazzo è ancora più semplice, fingere di aiutare una collega una stupidaggine.
Nel cibo di suo padre ho messo una dose diversa, se ne accorgerà dopo, ma la troietta voglio vederla soffrire sotto i miei occhi.
Non guardo nemmeno il re, e lui non si aspetta che io lo faccia. Non lo guardo, perchè potrei sgozzarlo seduta stante.
Ora sono davanti alla sua camera. Metto l'essenza nel piatto, nelle bevande, su tutto ciò su cui riesco a mettere le mani. Ho scelto lo stramonio apposta, non solo si muore fra atroci dolori, ma prima si soffre anche di terribili allucinazioni. Lei si sta lagnando su cosa mettersi con una serva. Io non mi sono mai fatta problemi del genere. È incredibile quanto i Consiglieri ti prendano più sul serio se ti presenti vestita da Assassina. Lei congeda la serva, mi fa cenno di avvicinarmi.
Le porgo da bere. Indietreggio. Uno, due, tre.
Urla disumane scuotono la stanza.
Soffri come sto soffrendo io.
Mi libero dalla veste, lascio che i suoi occhi si riempiano di terrore. È giovane, ma deve aver sentito parlare della Gilda.
Salto dalla finestra, prendo il cavallo e scappo via. In breve tempo sono lontana.
Rido.
E adesso, tocca a te, amore mio...

 Sono al palazzo, è notte. Un servitore fedele mi ha detto che il re non dorme più, è tormentato e sembra invecchiato di colpo. Se è vero, ho per lui una bella sorpresa.
Stappo la boccetta, e bevo.
Mi specchio un istante. Sì, sono la giovane ladra diciassettenne di quando tutto ciò è iniziato.
Inizio ad arrampicarmi.
Giungo alla stanza di Neor. Tentenno un attimo. È proprio necessario? Sì, mi risponde una voce.
Scivolo dalla finestra. Lui dorme. Sarà tutto più facile. Sto per calare il pugnale, che mi fermo. Non posso! Vai via. Lui non ha colpa. Vattene. Prenditela con suo padre.
Sarebbe come ammettere la mia debolezza. E non posso permettere che mi considerino una debole. Non lo sopporterei, dopo quel che ho fatto e sto per fare. Come in un sogno risento le parole del Maestro. La persona da uccidere è un animale, o meglio un sasso, un pezzo di legno.
Singhiozzo, uno soltanto.
Addio, penso. Se esistono gli dei di Theana, spero ci rivedremo. Se, come penso io il cielo è vuoto... non si può soffrire per ciò che non si è conosciuto.
La lama cala.

 “Ciao, Learco.”
Tu trasalisci. Sono vestita interamente di nero, con il pugnale in mano, il viso già naturalmente pallido, ma ora cadaverico, e quegli occhi che tanto ti piacciono, adesso arrossati dal dolore, devo apparire come l'incarnazione della Morte. In più, ho dieci anni di meno.
Dubhe, ma sei...”
Sono. Sssst, non parlare, Learco. Hai commesso un errore, ma io i voglio bene, e ho messo a posto tutto. Adesso siamo solo noi due.”
Cosa vuoi dire?”
Vai a vedere il tuo figlioletto adorato, amore mio.”
Ti dondolo sotto il naso il pugnale macchiato di sangue. “Non avrai...”
Ho.”
I tuoi occhi si riempiono di lacrime. Non urli, non cerchi di colpirmi. “Perchè?”, chiedi soltanto.
E questo mi fa davvero infuriare. La Bestia ruggisce di nuovo dentro di me. “Perchè? Mi chiedi perchè? Eccoti, perchè!” Gli mostro la 'lettera alla fidanzatina'.
Come hai avuto quella?”
Indovina! Adesso piantala, sono stufa di giocare agli indovinelli. Prendi un cavallo, e va a seppellire la tua sposa, va!”
La mia voce s'incrina.
Seppellire?!” Sei inorridito, amore mio. Adesso, non puoi più negare. Mi dispiace, avrei voluto che le cose fossero andate diversamente.
Seppellire, sì. Non fare il finto tonto, hai capito cosa intendo.”
Chini il capo. “Mi... mi dispiace”, mormori, ed è l'ultima cosa che m'aspetterei.
No riesco a seguire il copione che mi ero imposta.
Fai per abbracciarmi. Io mi ritraggo, ma capisco che alla fine, in fondo in fondo, è ciò che voglio.
Ci stringiamo.
Vorrei che questo momento non finisse più.
Quando ti stacchi da me, avverto un vuoto al fianco. Il pugnale!
Tu sorridi triste, ma hai già iniziato l'arco.
No!”, esclamo.
È un attimo. La lama penetra nel tuo petto, dove mi sono stretta un attimo fa. È come se avesse colpito me. Crolliamo a terra insieme. Estraggo l'arma, strappo un lembo del mio mantello, faccio per bendare la ferita, poi mi rendo conto dell'inutilità dei miei sforzi.
Ormai mi scendono lacrime copiose dagli occhi, bagnano la striscia rossa che piange sangue dal tuo stesso corpo.
Un tuo sussurro: “Io ti ho sempre amata, ho commesso un errore ed è giusto che paghi... Addio Dubhe... ti amo...”
Fa male, fa male, fa male! Devo farmi forza con tutta me stessa per non correre fuori dalla stanza.
Ti distendo sulle mie ginocchia.
Cerco le tue labbra per un bacio, l'ultimo.
La tua bocca sa di ferro, sa di sangue.
Ti tengo stretto a me finchè non cessi di respirare.
Serro gli occhi.
Bruciano e sono arrossati, ma adesso ho smesso di piangere.
Sorrido anch'io, tristemente.
Sollevo il pugnale, è ancora caldo del tuo sangue.
Lo guardo come in un sogno, come se lo vedessi la prima volta..
È il pugnale del Maestro, hai preso questo, non l'altro.
Buffo come le cose girino in cerchio.
Me lo appoggio al seno sinistro, dove sempre più calmo, sento battere il mio cuore.
Il cuore di una ragazza che non ha mai saputo amare.
La mia mente, sopraffatta dal dolore, si è all'improvviso schiarita. Nelle Cronache ho letto che una volta Ido disse a Nihal: Cosa credi, che ci voglia coraggio per morire? Morire è facile. E’ vivere che richiede coraggio.
Mi dispiace, ma io non ne ho più. Ho avuto coraggio per tutta la mia vita, ho sempre compiuto le scelte più difficili, sono sempre andata avanti. Adesso basta. Sono stanca di vivere. In realtà, sono morta quando mi hai detto di dovermi lasciare, Learco. Ero tornata a vivere, per la prima volta da quando ho lasciato Selva, e tu me l'hai portata via, quella vita, con le tue parole. Tutto ciò che ero, tutto ciò in cui credevo si è frantumato, disgregato, è sabbia del deserto da tanto tempo, ormai.
È ora che incontri colei che ha camminato al mio fianco per tutta la mia vita, e da anni, è la mia unica amica, l'unica che possa starmi vicina e accompagnarmi, ora.
Addio, Learco.

 

 


 

   
 
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