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Autore: Kioto    18/12/2011    8 recensioni
Emily deve affrontare una continua battaglia personale, cercando ogni giorno di vivere con le continue paranoie e preoccupazioni che affliggono la sua vita. Vorrebbe dare a suo figlio Kenny molto più di quello che ha, ma puntualmente tutti i suoi buoni propositi vanno in fumo. Kenny non ha un padre e lei vorrebbe tanto che non fosse così. Dovrà fidarsi di sé stessa e stare a sentire le necessità di suo figlio, prima di trovare l'uomo che sarà capace di fargli da padre.
Dall'altro lato, Tom è uno scapolo che gira di città in città alla disperata ricerca di un lavoro stabile e di una vita che gli piaccia, ma senza risultati. Finché sarà proprio quella vita a dargli le risposte che cercava.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Georg Listing, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Wishing I could find a way to wash away the past. Knowing that my heart will break, but at least the pain will last.

 

Emily aveva perso la speranza in molte cose, dopo l’arrivo di Kenny.
Suo figlio aveva ormai 4 anni, ed era l’unica sua vera gioia, ma non poteva negare che con il suo arrivo fossero scomparsi anche tutti i suoi sogni.
A 25 anni, Emily aveva un bambino di 4 anni da crescere, un mutuo da pagare ed un lavoro da mantenere, e faceva tutto completamente da sola.
Miami era una città così affollata che lei si trovava ogni sera ad ammirare suo figlio che dormiva, senza un uomo al suo fianco che potesse indossare i panni di un compagno per lei e, soprattutto, di padre per lui.
Il bambino aveva ereditato la carnagione da entrambi i genitori – scura da lui e chiara da lei – e aveva preso gli occhi della madre, mentre i capelli erano color miele. Aveva un sorriso raggiante ed era una creatura vispa e amichevole con tutti.
Emily amava suo figlio più della sua stessa vita, ma questo non le sembrava mai abbastanza.
Avrebbe voluto dargli un padre, una vita migliore di quella che gli stava facendo vivere.
Non era una brutta ragazza, bensì il contrario: diversi uomini si erano avvicinati a lei nel corso di quegli anni, ma quando poi lei aveva aperto l’argomento ‘Kenny’, nessuno si era più fatto sentire; così aveva deciso che nessun uomo sarebbe entrato a far parte della sua vita, e Kenny iniziava a capire che sua madre vestiva i panni di entrambi i genitori.
Tuttavia, per quanto Emily provasse ad autoconvincersi che meglio di così non poteva andare, si domandava sempre che cosa sarebbe successo se Kenny non fosse stato con lei. Prontamente, però, scacciava via quei pensieri e fissava Kenny con gli occhi di una mamma inesperta ed innamorata del proprio figlio.
Ogni tanto lo portava a New York dai suoi genitori, in modo da poter incontrare le sue amiche d’infanzia e staccare un po’ la spina dalla solita routine lavoro-casa-Kenny-lavoro-Kenny- lavoro-casa-Kenny.
La situazione era così drastica per via del padre di Kenny, Richard.
Richard aveva 10 anni in più di Emily, e l’aveva fatta cadere ai suoi piedi mentre lei seguiva dei corsi di recitazione; le sarebbe piaciuto diventare un’attrice.
Dopo qualche uscita da amici, Emily si era sentita immediatamente a proprio agio con Richard, e lui sembrava ricambiare i suoi sentimenti, mostrando delle avance e facendole apertamente dei complimenti per come aveva i capelli, o per la maglietta che indossava. Emily si era sentita davvero apprezzata con lui.
Quando poi aveva scoperto di essere rimasta incinta di Kenny, il mondo era crollato sulla testa di entrambi, ma più su quella di Emily: Richard era già sposato, e aveva già un bambino. Lui non voleva rovinare il suo matrimonio, così si era velocemente disfatto di Emily, lasciandola incinta ed emotivamente distrutta. Lei era stata costretta ad abbandonare il suo corso di recitazione per trovare un impiego e aveva dovuto adattare la sua casa di Miami all’arrivo di un bambino.
Dirlo ai suoi genitori era stata una cosa non semplice, perché suo padre voleva che Richard le pagasse gli alimenti, ma lui nel frattempo si era trasferito in Canada e Emily non voleva fare la mantenuta da un pezzente come lui.
Negli anni successivi, Kenny le aveva dato tutta la gioia e l’amore di cui aveva bisogno.
Era un bambino brillante e intelligente, imparava subito e non faceva i capricci; una specie di figlio modello.
Non aveva avuto molti problemi con i suoi compagni d’asilo, o almeno non ancora, sosteneva Emily. Temeva che il bambino, per via della sua carnagione caffellatte, potesse risentirne con l’andare del tempo. Nonostante l’America fosse un paese libero, lui restava pur sempre un bambino per metà nero senza un padre a crescerlo.
Emily si rimproverava costantemente per essersi lasciata andare in quel modo con Richard, ma quando ricordava ai momenti che aveva passato con lui, non poteva evitare di ammettere di esser stata sinceramente felice.
Tuttavia, dopo l’orribile modo in cui lei e lui avevano chiuso la loro storia, Emily aveva aperto un bar in una via vicina al centro di Miami, non molto distante da casa sua. Non guadagnava tanto, ma era il necessario per non far mancare nulla al suo bambino.
Lo amava, e non c’era alcun dubbio. Nonostante i numerosi ripensamenti sul rapporto con Richard, di una cosa era assolutamente certa: lei amava suo figlio.
Suo figlio che, come ogni mattina, faceva i capricci per scendere dal letto.
- Kenny, alzati! E’ tardi!
Emily poggiò una fetta di pane tostato su un piatto, accanto a uova e bacon, e lo posò sul tavolo. Successivamente balzò fuori dal tostapane una seconda fetta, che prese e poggiò su un secondo piatto, anch’esso con uova fritte e bacon.
- Kenny, perché ci metti così tanto?
Poco dopo, dei piccoli passi percorsero il tragitto che andava dalla cameretta alla cucina, e un Kenny assonnato, con addosso il suo pigiama azzurro con sopra disegnata un’astronave, comparve sulla soglia mentre si stropicciava ancora gli occhi.
Emily si portò le mani sui fianchi e lo guardò con un mezzo sorriso.
Suo figlio era così carino quando si svegliava.
- Sei pronto per questa fantastica giornata?
Kenny continuò a stropicciarsi gli occhi, poi si arrampicò su per la sedia e fissò il piatto.
Emily gli si avvicinò.
- Qualcosa non va? Hai forse paura?
La scuola di Kenny aveva programmato un giro della città che avrebbe occupato tutta la mattina e buona parte del pomeriggio, e dopo qualche iniziale esitazione, Emily aveva acconsentito per lasciar andare suo figlio; non poteva permettere che le sue paure gli impedissero di fargli trascorrere un’ottima giornata come quella programmata.
Kenny scosse la testa con noncuranza.
- Non mi sento bene. – biascicò.
Emily gli accarezzò la fronte e poi le guance, ma non erano calde. La sua temperatura corporea sembrava normale.
- Forse hai solo fame.
Il bambino annuì e prese le posate, iniziando a mangiare.
Emily tornò ai fornelli.
- Se non vuoi andare, sei ancora in tempo.
Kenny scosse energicamente la testa.
- Mi sentò già meio.
La mamma annuì.
- D’accordo.
Kenny era così forte da riuscire ad autoconvincersi da solo.
Nonostante fosse molto piccolo, riusciva ad autocontrollarsi benissimo e a riconoscere quando stava davvero male e quando no.
Era anche un bambino abbastanza autonomo, perché sapeva lavarsi i denti e vestirsi da solo.
Emily gli preparò due panini per pranzo e poi lo accompagnò all’asilo.
- Segui quello che ti dice la maestra.
Kenny annuì.
- E se non ti senti bene, loro hanno i miei numeri di telefono e possono chiamarmi, quindi avvertile subito che vengo a prenderti. Va bene?
- Va bene.
Emily gli prose il mignolo, e Kenny lo intrecciò con il suo nettamente più piccolo e leggermente più scuro.
Era una cosa che avevano sempre fatto, perché appena era nato, il primo dito che Emily gli aveva dato era stato il mignolo, e lui l’aveva intrecciato con il suo.
Lo baciò sulla fronte e poi lo lasciò andare con la maestra.
Le giornate di Emily erano quasi sempre avvolte dalla monotonia.
Accompagnava Kenny a scuola, andava a lavoro, pranzava in qualche posto lì vicino, e a fine giornata rientrava a casa passando a prendere Kenny all’asilo.
Il risultato era una stanchezza terrificante e nessuno ad attenderla a casa.
Il negozio di Emily era aperto ogni giorno e non c’era nessuno che se ne prendesse cura al posto suo.
Era un locale piccolo ma accogliente, dalle pareti bordeaux, con i tavolini in legno e dei divanetti in pelle rossi.
A Emily piaceva lavorare lì, servire i clienti, essere cordiale e rendersi presentabile, perché si sentiva ancora giovane e piena di vitalità. Ma sapeva anche che quello non era il lavoro che aveva sempre sognato, e che tutti i suoi piani erano andati in fumo.
Stare a contatto con la gente le scaturiva un certo interesse.
Si domandava che vita avessero le persone che entravano e si sedevano a prendere un caffè, e si chiedeva anche perché avessero deciso di andare proprio da lei, in quel preciso bar.
Pensava anche “chissà se si chiedono che vita conduco io”. Oppure se l’avessero mai vista e quindi riconosciuta in qualche negozio, o magari all’asilo a prendere Kenny.
Qualche volta era capitato che, mentre andava a fare la spesa, qualcuno la fermasse e la salutasse chiedendole se si ricordava di “quello che ieri è venuto al caffè”.
Probabilmente qualcuno usava il caffè come una scusa per cercare di iniziare un rapporto.
Tuttavia, Emily restava sempre chiusa e non si sbilanciava troppo nelle relazioni.
Aveva qualche amico, molti conoscenti, ma nessun uomo che l’amasse. E non lo voleva assolutamente.
Dopo Richard, Emily non aveva più voluto sentir parlare di un qualsiasi cosa che c’entrasse con l’amore.
L’unico maschio che aveva un posto d’onore nel suo cuore, escluso suo padre, era Kenny. Suo figlio. L’unica ragione che, anche se tutto andava a rotoli, le era rimasta per sorridere.
Emily chiudeva il bar solo per una breve pausa pranzo, poi lo riapriva verso le 14.
Non poteva permettersi un’aiutante, perché il guadagno non era sufficiente per pagare un altro stipendio. Molto probabilmente, se avesse avuto abbastanza soldi, avrebbe trasferito l’attività a New York, dove stavano i suoi genitori.
Ma più ricamava quell’idea, più si convinceva che stare lontana da loro aveva il suo lato positivo, perché era riuscita a responsabilizzarsi a dovere.
Una volta chiusa la porta con due mandate, Emily fece per dirigersi al solito punto di ristoro che c’era al primo angolo, quando il cellulare squillò.
Il numero era privato, e per qualche istante pensò perfino di non rispondere, ma poi cambiò idea.
- Pronto?
- Emily Roth?
- Sì, sono io.
- Mi spiace disturbarla signora, ma abbiamo avuto un problema con suo figlio Kenny.
- Come, prego?
- Mi perdoni, sono la maestra. Miss Wilby.
Emily smise di camminare e strinse il telefono.
- E’ successo qualcosa a Kenny?
- Niente di grave, non si preoccupi. Ma credo che non si senta molto bene. L’abbiamo riportato in asilo, le dispiacerebbe venire a prenderlo qui appena possibile?
- Ma certo, senz’altro.
- Fra quanto pensa di arrivare?
Emily guardò l’orologio.
Erano le 13 esatte.
Fanculo al negozio.
- 10 minuti e sono da voi.
 

Il viso di Kenny era diventato misteriosamente giallognolo.
Emily gli aveva immediatamente toccato la fronte e le guance, e il bambino sembrava stesse per esplodere da quanto era caldo.
Lo portò via dall’asilo in un batter d’occhio e lo sistemò in macchina.
Kenny chiuse gli occhi, la febbre alta lo stordiva.
- Adesso andiamo a casa e ti metti al caldo, va bene amore?
Annuì con la testa.
Emily allacciò la cintura di sicurezza e poi accese la macchina, partendo verso casa sua.
Fortunatamente la strada non era molto trafficata, così arrivarono in fretta a destinazione.
Emily parcheggiò meglio che poteva, osservando l’enorme camion aperto che c’era davanti alla casa accanto alla sua.
Quella casa era rimasta disabitata per parecchi anni, e Emily aveva perfino dimenticato che fosse in vendita. Non aveva mai conosciuto i proprietari, era arrivata ad abitare lì qualche mese dopo. L’avrebbe comprata lei, se non fosse per il fatto che era da ristrutturare da cima a fondo.
Chiunque l’avesse comprata, doveva avere ottime basi economiche per fare un affare del genere.
Slacciò la cintura di Kenny e lo portò di peso dentro casa sua, chiudendosi la porta alle spalle.
La camera di Kenny stava al piano di sotto, mentre quella di Emily al piano di sopra.
Lasciarlo da solo nella sua cameretta non le sembrava il caso, preferiva che sentisse la presenza di sua madre anche se lei non c’era. E poi, molto probabilmente, l’avrebbe tenuto con sé per tutta la notte; optò quindi per portarlo al piano di sopra.
Kenny iniziava a crescere e a pesare, e Emily fece una certa fatica portandolo di peso fino alla sua camera.
Spostò le lenzuola blu scuro e lo coricò dentro il letto.
Il bambino aveva ancora gli occhi chiusi e respirava con l’affanno, segno che la febbre stava salendo.
Emily gli cambiò i vestiti, mettendogli addosso il pigiama, e poi lo coprì con le lenzuola.
Corse a prendere il termometro e attese paziente accanto al figlio.
Il silenzio che si era creato, inizialmente scandito solo dal respiro pesante di Kenny e dalle lancette dell’orologio nel corridoio del piano di sopra, venne improvvisamente disturbato dal rumore di un motore, come se qualcuno avesse acceso un’enorme macchina.
Emily sobbalzò sul letto e Kenny mugolò qualcosa.
- Stai tranquillo amore, dev’essere il camion di sotto che va via.
Il bambino non rispose, e Emily gli accarezzò una guancia. Scottava.
Attese qualche altro istante con lui, finché controllò il termometro.
39 e mezzo.
Una febbre come quella, per un bambino così piccolo, era per Emily un incubo che diventava realtà.
- La mamma sta tornando.
Si allontanò e andò verso il bagno, dove prese un asciugamano. Lo bagnò con dell’acqua fredda, lo strizzò e poi tornò nella camera da letto. Lì, piegò l’asciugamano e lo poggiò sulla fronte di Kenny, che sussultò un poco al contatto della superficie bagnata e fresca.
Emily sarebbe voluta restare a vegliare su di lui, ma il suo stomaco brontolava e per di più quel rumore meccanico non cessava mai.
Diede un bacio al figlio e scese rapidamente al piano di sotto.
Riscaldò due toast e li farcì con qualche fetta di prosciutto e una foglia di verdura, giusto per buttar giù qualcosa.
Ingurgitò tutto con rapidità e poi tornò dal suo bambino.
Kenny dormiva, probabilmente stordito dalla febbre alta.
Inoltre, quel dannato rumore non smetteva e a Emily faceva innervosire terribilmente.
Restò accanto a suo figlio per un po’, cercando di non badare al frastuono proveniente dalla casa accanto.
Possibile che dovessero fare dei lavori proprio in quei giorni? Mentre suo figlio stava male?
Probabilmente nessuna di quelle persone aveva famiglia.
Emily stette accanto a Kenny per tutto il tempo, osservandolo mentre dormiva.
Lesse due capitoli de “La caduta dei giganti” di Ken Follett, fece un po’ di zapping, ma i suoi nervi si tendevano ogni istante che passava.
Il trapano – o forse i trapani – nella casa affianco sembravano non cessare mai.
Per di più gli operai urlavano come dannati e c’era un maledetto cane che abbaiava in continuazione.
Perse del tutto la pazienza quando sentì della musica alta provenire dall’abitazione e Kenny brontolò.
Scese velocemente al piano di sotto e uscì da casa sbattendo la porta. Superò la siepe che divideva il suo giardino da quello della casa vicina e osservò la situazione.
C’erano operai dovunque, e la casa sembrava irriconoscibile.
Le finestre erano già state cambiate, così come il pavimento, e sembrava che gli operai stessero controllando i cavi elettrici e i tubi dell’acqua.
Emily prese coraggio e camminò con decisione in mezzo a tutti quegli uomini e verso quel baccano.
Non appena fu abbastanza vicina all’ingresso da poter vedere il parquet per tutto quello che doveva essere il soggiorno, un uomo enorme le si piazzò davanti. Indossava una tuta grigia e un casco giallo, e alle mani aveva dei guanti sporchi.
Sudava come un caprone.
- Lei chi è? Cosa ci fa qui?
Emily fissò l’uomo con aria di sfida.
- Voglio vedere il proprietario della casa.
- Lei è la moglie?
Sbottò in una risata.
- Mi pare ovvio di no! Avanti, chiamatemi immediatamente il proprietario, io e lui dobbiamo fare una bella chiacchierata.
- C’è qualche problema?
Emily si voltò a sinistra e vide un ragazzo avvicinarsi lentamente.
Per un attimo perse la cognizione del tempo, e le sembrò di essere dentro un film.
La figura davanti a sé indossava una canottiera bianca e dei pantaloni in tela chiari. In testa aveva anche lui un casco e indossava dei guanti uguali a quelli degli operai.
Emily pensò si trattasse di uno di loro.
L’uomo che le si era piazzato davanti sospirò.
- Questa ragazza dice di voler parlare con te, Tom.
Emily guardò prima l’uomo e poi il giovane davanti a lei.
Lui era il proprietario della casa?
Si sarebbe aspettata un ricco banchiere con moglie e figli al seguito, non un giovanotto dagli occhi scuri, muscoli e una leggera barba.
Lui la guardò.
E la guardò per davvero.
Emily vide chiaramente il suo sguardo slittare da una parte all’altra del suo corpo, e si sentì incredibilmente a disagio.
- Ci conosciamo? – le chiese.
Lei non si lasciò intimorire e incrociò le braccia in petto.
- Sono la sua vicina di casa.
Il ragazzo sollevò le sopracciglia.
- Piacere di conoscerla, allora. – abbozzò un sorriso e le porse la mano. – Tom.
Emily non gliela strinse e lo trafisse con lo sguardo.
- Emily.
Il ragazzo ritirò indietro la mano e l’operaio si allontanò, sentendo l’ostilità di Emily.
- C’è qualcosa che posso fare per lei?
- Sì, far smettere questi rumori. – rispose stizzita.
- Come?
- Mio figlio è di sopra con la febbre alta, e tutto questo baccano che state facendo da ore e ore di sicuro non lo aiuta a stare meglio.
- Suo figlio?
Emily lo vide sorpreso e sciolse le braccia.
- Sì, mio figlio.
- Posso sapere cos’ha?
- No, non lo può sapere. E se vuole rendersi utile, mi faccia il favore di dire ai suoi operai di fare meno rumore. Almeno per oggi.
Non gli lasciò il tempo di rispondere e andò via, camminando a passo svelto e deciso.
L’incontro con quel ragazzo l’aveva messa a disagio.
Erano anni che nessuno l’aveva guardata in quel modo. E non era nemmeno vestita in maniera esuberante; aveva soltanto una maglietta e dei jeans scuri.
I capelli erano perfino legati in una coda di cavallo alta.
Emily rientrò in casa e andò immediatamente a controllare come stava Kenny.
Dormiva beatamente, ma si era voltato su un fianco e il panno bagnato gli era caduto dalla fronte.
Passarono meno di due minuti, il tempo del millesimo sbuffo, e tutti i rumori cessarono.
La ruspa che stava scavando nel retro della casa si immobilizzò e l’operaio che la guidava scese.
Emily si affacciò alla finestra.
Gli operai stavano lasciando la casa e risalendo nel camion. Altri erano venuti con le proprie macchine.
Vide il ragazzo stringere la mano all’omone con cui Emily aveva parlato all’inizio. Poi anche lui andò via.
Emily si ritrasse dalla finestra, temendo di essere vista. Aveva fatto la figura della madre isterica e prepotente.
Guardò Kenny: dormiva. Forse la febbre stava scendendo.
Controllò ancora una volta fuori dalla finestra, e vide l’abitazione svuotarsi velocemente.
Si ricordava ancora il suo nome: Tom.

   
 
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