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Autore: Nexos    20/12/2011    2 recensioni
Eleiru è l'ultimo Dovahkiin di Tamriel e sulle sue spalle grava il compito di salvare Skyrim dall'invasione dei draghi. Ma è anche un Altmer, un Elfo Alto, e i fieri e guerrieri Nord del luogo non sembrano rispettarlo minimamente per via della sua razza e del suo fisico scarno.
Il Sangue di Drago è chiamato a liberare Winterhold dall'ennesimo drago e il combattimento gli rammenterà le ragioni che lo spingono a dedicare la sua vita alla salvezza di un popolo che sembra tutt'altro che intento ad accoglierlo come un'eroe.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non mi piace come mi guardano questi dannati Nord”.
Fu questo il pensiero di Eleiru, l’ultimo Dovahkiin di Tamriel, mentre attraversava a passo spedito la strada maestra di Winterhold, ormai completamente celata dallo spesso strato di neve che continuava ad essere mantenuto integro dai grossi fiocchi di neve che turbinavano in aria.
Era una giornata grigia, come d’altronde la maggior parte di quelle che si potevano ammirare da lassù, nell’angolo più remoto di tutta Skyrim: il cielo era completamente ricoperto da uno spesso e cupo strato di nubi e la neve veniva trasportata dal forte vento, rendendo la vista difficoltosa a chi non era abituato ad abitare in quel luogo apparentemente così inospitale. Come Eleiru, ad esempio.
L’Altmer, o Elfo Alto, come solevano chiamarlo gli altri abitanti di Tamriel, si trovava in quelle fredde lande solo da poco, da quando una catena di sfortunati eventi l’aveva portato sull’orlo della morte, prima per mano del boia e poi per quella di un drago, a Helgen. Era da sempre vissuto sull’Isola di Somerset, ben diversa e a suo parere anche molto più attraente di quelle brulle colline ammantate di bianco, ma il suo senso del dovere era abbastanza sviluppato da fargli rendere conto di non poter lasciare quei territori fino a quando non fosse riuscito ad assolvere il suo compito.
Quel giorno intendeva fare un passo in più verso la sua meta.
Lasciata a piedi l’Accademia dei maghi di Winterhold, con indosso la sua semplice Veste da Apprendista corredata da un paio di manufatti magici rinvenuti in alcune caverne sparse per Skyrim, il cappuccio calato a protezione degli occhi dall’incessante bufera, era diretto verso un picco poco distante da lì: Monte Anthor solevano chiamarlo gli abitanti del luogo.
Come se il suo compito non fosse già abbastanza gravoso, riceveva continue critiche da parte dei Nord che popolavano quel regno e ne comprendeva anche la natura: quel popolo forte, dedito all’onore e alla cultura della virilità, vedevano con disprezzo la figura di un Sangue di Drago palesatosi a loro nel corpo di un Altmer. Nonostante la Grande Guerra fosse finita da un pezzo, l’odio ribolliva ancora nelle vene di quella fiera gente. Ad aggravare la situazione interveniva il suo aspetto fisico: il suo corpo era esile e per nulla muscoloso e per giunta le linee aggraziate del volto non presentavano un solo graffio, manifestando una totale assenza di cicatrici, segni che i Nord utilizzavano per misurare il valore di un uomo. All’inizio si era mostrato ferito dal comportamento di coloro ai quali stava cercando di salvare la vita, ma col tempo era diventato sempre più insofferente alle critiche più o meno velate sino ad arrivare al punto di disprezzare quel popolo e di chiudersi in sé stesso.
 
Qualche sera prima si trovava presso la locanda Il Focolare Ghiacciato, a godere del calore del bivacco con un bicchiere di Vino Alto tra le mani. Era seduto al tavolo più vicino al bancone, a debita distanza da Nelcar, il passato mago dell’Accademia: nonostante avessero lo stesso sangue elfico nelle vene, quel tizio gli dava ai nervi e perciò tentava categoricamente di evitarlo ogniqualvolta scendeva giù in città.
Mentre stava bevendo, intento a sfogliare l’ultimo libro preso in prestito da Urag Gro-Shub, il bibliotecario dell’Accademia, e a dispiacersi mentalmente per l’assenza di bardi, Dagur, l’oste, si avvicinò a lui.
«Dovahkiin», disse lui, cercando qualcosa all’interno della tasca del grembiule di lavoro. «Ho bisogno di parlarti»
Eleiru alzò appena la coda dell’occhio verso di lui, quindi mormorò sommessamente: «Dimmi»
«Sono passati alcuni uomini dello jarl e hanno lasciato questa lettera. Non è diretta personalmente a te, ma non saprei a chi altro consegnarla»
L’Altmer sospirò, quindi volse completamente il busto in direzione dell’oste e allungò la mano, ricevendo il foglio di carta. L’uomo che lo aveva servito si allontanò e il Sangue di Drago poté così spiegarla e leggerne il contenuto: a quanto pareva, era stato avvistato un drago sulla sommità del Monte Anthor.
Ovviamente”, si disse, con una punta di irritazione.
Stava dedicando la sua vita alla salvezza di un popolo che non solo non era il suo, ma che per giunta sembrava non voler condividere nulla con lui. Se la sua linea morale fosse stata di poco meno solida avrebbe già da tempo girato i tacchi per ritornare all’Isola di Somerset.
 
Dunque era lì, intento ad arrampicarsi per le scoscese alture che circondavano Winterhold, cercando di resistere alla furia implacabile del vento che sembrava avere tutta l’intenzione di trascinarlo con sé sino nel remoto mare del nord, tra le foche e le lastre di ghiaccio che fluttuavano silenti in una valle senza suoni.
Il percorso che si accingeva a compiere non era lungo: sapeva che la sua destinazione si trovava appena dietro i picchi innevati che si stagliavano dinnanzi a lui, nel gelo del primo mattino. Gli alberi erano quasi del tutto assenti e i pochi che miracolosamente riuscivano a vivere in quel luogo inospitale erano squassati dalle violente raffiche del vento, le quali inoltre sollevavano il candido manto sparso sulle rocce aguzze del suolo. Eleiru avanzò, con il busto leggermente piegato in avanti e una mano a protezione del volto: camminava controvento e con il fisico scarno che si ritrovava doveva prestare la massima attenzione a non venire portato via dall’aria vorticante.
Salì sopra un’altura e discese nuovamente nella valle sotto di sé, incrociando una coppia di capre che fuggirono spaventate alla sua vista, ed infine sollevò gli occhi: dinnanzi a lui, appena visibile sulla neve, si delineava un sentiero, un punto d’appoggio migliore per i suoi stivali in pelle. Rincuorato, continuò la sua scalata. Guardandosi intorno si rese conto di trovarsi piuttosto in alto: non quanto gli era accaduto durante l’ascesa a Hrothgar Alto, ma abbastanza perché l’orizzonte sfumasse alla sua vista in un candore screziato dalle nubi più basse che s’infrangevano contro le guglie naturali del mondo.
Hrothgar Alto”, si ritrovò a pensare. “Ogni volta che i Barbagrigia intendono parlare con me mi costringono ad affrontare nuovamente quella maledettissima scalata. Come se già non avessi abbastanza fatiche da compiere. Perché non inventano un Urlo per portarmi direttamente da loro?”.
Immerso nei suoi pensieri, si trovò ad una svolta del sentiero che incrociava un piccolo tumulo sepolcrale: si trattava di una piattaforma di pietra su cui era adagiato un sarcofago, circondato da tanti piccoli tesori. Un passante senza esperienza sarebbe stato tentato di razziare tutto quanto, ma lui sapeva per esperienza che quei luoghi spesso nascondevano più di un’insidia.
Ho visto con i miei occhi la gamba di Lidja saltare a causa di una Runa del Fuoco, non intendo condividere con lei l’esperienza
Fu così che, nel giro di un’ora, riuscì a scorgere la sua meta. Il sentiero che stava attraversando si insinuava sotto un arco di pietra da cui si protendevano alcune stalattiti di ghiaccio e si impennava bruscamente, costringendolo a dover camminare quasi a tentoni. Quando finalmente il terreno su cui stava camminando tornò pressoché orizzontale, Eleiru evocò uno scintillante incantesimo di cura su sé stesso per ritrovare le energie perse durante la salita e nel frattempo si guardò intorno.
Si trovava in uno spiazzo ripiena di detriti e di arbusti selvatici di Baccaneve che si apriva sul fianco di un’altura. Alcuni pilastri un tempo circondavano l’area, ma erano quasi tutti crollati e seppelliti dalla neve. Alcune urne rotte erano disseminate sul terreno ai piedi di una grande scalinata in pietra che conduceva sino alla parete rocciosa, su cui si riusciva a scorgere un’enorme lastra di pietra incisa.
Il Dovahkiin ne aveva già viste tante e sapeva di cosa si trattava.
Mosse un passo in avanti quanto un nuovo suono riempì l’aria, coprendo completamente l’ululare incessante del vento: un suono ritmico, basso, che riecheggiò come un grande risucchio d’aria.
E’ giunta l’ora
Si chiuse in sé stesso per un’istante, trovando la concentrazione necessaria a richiamare il flusso di energia arcana che faceva parte del suo stesso essere e alzò le mani all’altezza del petto: sui palmi scoperti riverberarono due fiamme che guizzarono tra le sue dita senza scottarlo.
Come previsto, un forte ruggito riecheggiò per l’intero Monte Anthor e l’ombra di un drago oscurò per un attimo i deboli raggi del sole, già ovattati dalle nuvole.
Sebbene ne avesse già visti molti, Eleiru rimaneva sempre impressionato da quelle strane creature che racchiudevano in sé tanto fascino quanto pericolo.
Tuttavia, si rese subito conto che lo scontro stava per aprirsi in condizioni sfavorevoli: la bufera continuava ad imperversare e limitava molto, forse sin troppo, il suo campo visivo. Non era un guerriero, aveva bisogno di tenere il nemico a distanza per combatterlo efficacemente e non poteva permettersi di perdere quel vantaggio.
Raccogliendo a sé le energie, strinse i pugni ancora baluginanti di fuoco e gridò con quanto fiato aveva in gola, rivolto al cielo sopra di sé: «LOK-VAH-KOOR!»
Ogni fibra del suo essere riverberò di quelle tre parole, risuonando alla stessa frequenza e vibrando di un potere antico quanto le fondamenta stesse del mondo. La sua voce, e tramite essa il suo intento, venne scagliata verso l’alto, infrangendo all’istante le nubi e facendo placare la tormenta.
Ansimando, si volse a cercare il drago quando la terra sotto di lui vibrò e con un possente tonfo la creatura atterrò su una sporgenza rocciosa dietro di lui. Quell’essere era così grande e così antico che ad ogni inspirazione sembrava annullare ogni suono intorno a sé.
Eleiru si volse rapidamente e unì le mani tra di loro, unendo le fiamme e facendole crescere di dimensione. Il drago aprì le fauci, guardandolo con ferocia, quando lui allungò le braccia e scagliò contro la bestia una sfera di fuoco. Il drago non ebbe neppure il tempo di reagire: il proiettile magico lo colpì in pieno petto, esplodendo in una vampa di fuoco che fece sciogliere la neve tutt’intorno. Il colpo era stato concentrato talmente bene che la creatura non poté evitare di venire sbilanciata, perdendo l’equilibrio: il drago rovinò giù dalla roccia, in tal modo schivando involontariamente il secondo repentino attacco del Dovahkiin.
L’Altmer girò intorno ad una delle colonne per riuscire a racchiudere nuovamente il nemico nella propria visuale e unì per la terza volta le mani, ma il drago si fece trovare pronto: con un grido acuto che riecheggiò in tutta l’altura, schiuse la chiostra di denti e ne fece fuoriuscire una vampa di fuoco. Eleiru sgranò gli occhi, colto alla sprovvista, ma fu abbastanza rapido da riuscire a lasciar perdere la palla di fuoco e sostituirla con una barriera difensiva. Il fuoco vi impattò contro e lo scudo magico sfrigolò di potere arcano, mentre il suo evocatore teneva le braccia protese per mantenerlo e i piedi puntati per terra per evitare di venire scaraventato via. C’era qualcosa che non andava, tuttavia: più i secondi passavano, più il Sangue di Drago si rendeva conto di star prosciugando tutte le energie per mantenere attiva la difesa.
Mi lascerà senza forze e alla sua mercé, di questo passo!
Con un orribile suono, come di vetro infranto, lo scudo cadde e il Dovahkiin fu investito in pieno dalle fiamme ardenti, le quali lo lanciarono per aria. Il suo corpo si ustionò e nell’atterraggio impattò con la schiena contro i resti crollati di una delle colonne.
Strinse i denti, gemendo, mentre il dolore si impadroniva di lui. Tentò di drizzare il busto, ma fu colto da fitte lancinanti che gli impedirono di muovere un solo muscolo. Come se non bastasse, tutta la sua riserva di magicka si era esaurita nel mantenimento della barriera.
Non può finire così”, mormorò nei recessi della sua mente, mentre udiva chiaramente i pesanti passi del drago farsi sempre più vicini.
Allora prese un profondo respiro e sfruttò il potere innato della sua stirpe: il suo corpo sembrò trarre l’energia necessaria agli incantesimi dall’ambiente tutto intorno a sé e ben presto la sua riserva magica tornò a riempirsi.
Nobile di Nascita, era solito chiamarlo la sua stirpe.
Strinse i pugni ed essi si illuminarono di bianco mentre richiamava un incanto della scuola del Recupero: quando dischiuse nuovamente le dita una sensazione di profondo benessere lo avvolse mentre le energie curative, rinfrescanti e riscaldanti al tempo stesso, si propagarono nel suo corpo.
La sagoma della testa del drago oscurò tutta la sua visuale e le sue fauci scattarono verso il basso. Eleiru fece appena in tempo a rotolare di lato per evitare di essere stretto dalle sue zanne e cadde giù dal cumulo di macerie sul quale era atterrato, colpendo il suolo sotto di sé e scivolando sulla neve.
Preparò un nuovo incantesimo, stavolta a base di fulmini e iniziò a muoversi quando il drago balzò a sua volta giù dal cumulo e gli si parò davanti, ad una distanza sin troppo corta per i gusti dell’Altmer. Strinse i denti e urlò, a gran voce: «FUS-RO-DAH!»
La sua Voce, in grado di lanciare a diversi metri di distanza uomini e bestie, non fece altro che allontanare di poco il corpo del drago, ma Eleiru aveva ottenuto il suo duplice scopo: prevenire un attacco e concedersi l’occasione di colpire. Non perse tempo, difatti, e unì repentinamente le mani, allungandole verso l’avversario: la magicka venne consumata e materializzata nelle sembianze di un fulmine, crepitante e luminoso, che colpì il drago in pieno volto.
La creatura si inarcò sulle zampe posteriori e schiuse le fauci in un urlo bestiale, squassata dagli spasimi. Eleiru indietreggiò prontamente, ma la sua mossa risultò superflua: la bestia si piegò su sé stessa e cadde riversa su un fianco, sollevando una leggera cortina di neve.
Sul Monte Anthor scese il silenzio per qualche istante, come se la montagna stessa fosse rimasta impressionata dall’esito del combattimento appena svoltosi.
Il Dovahkiin rimase fermo ad osservare il cadavere del drago, con le mani ancora attraversate da deboli scariche elettriche: il corpo della creatura venne percorsa da una fiamma e sembrò consumarsi completamente in un fuoco di natura sconosciuta, il quale divorò le sue carni a gran velocità.
Eleiru chiuse gli occhi e inspirò profondamente: nei suoi polmoni entrò l’aria ghiacciata delle alture del nord, misto a qualcosa che col tempo aveva imparato a riconoscere: l’anima del drago si stava riversando nel suo cuore, ad unirsi con quelle degli altri suoi parirazza che erano caduti prima di lui.
Solo diversi secondi dopo l’Altmer riaprì gli occhi, osservando innanzi a sé la figura del drago, ormai ridotta ad un grigio scheletro.
Sospirando, abbassò le mani e si diede una sistemata alla veste.
«Questa volta c’è mancato davvero poco», mormorò ad alta voce.
Si volse dall’altra parte e osservò la gradinata che conduceva alla grande lastra di pietra scolpita sul fianco della montagna. Lentamente, senza alcuna premura, iniziò a muovere i suoi passi in quella direzione, sino a ritrovarsi faccia a faccia con la parete. Da vicino era possibile scorgere numerosi segni incisi sulla sua facciata: glifi incomprensibili ai più, ma che assumevano un preciso significato ai suoi occhi.
Chiuse nuovamente gli occhi mentre percepiva il potere di una nuova Parola echeggiare nella sua anima e occupare tutto lo spazio possibile nel suo essere, la conoscenza fluire in lui e il suo spirito aprirsi il mondo.
Fu in quel momento, mentre si trovava in contatto con l’universo e con le sue forze ancestrali, che un flusso di consapevolezza si insinuò nei suoi pensieri e una voce nella sua coscienza sembrò sussurrargli qualcosa.
«I Nord non mi piaceranno, ma non è per loro che combatto», ripeté tra sé il Sangue di Drago. «Non solo per loro, almeno. Sulle mie spalle grava il futuro di tutta Tamriel e non intendo venir meno al mio destino»

   
 
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