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Autore: emsugar    20/12/2011    1 recensioni
Alex Clark: agente di polizia, donna provocante, pazza, forse un po’ frivola.
Jordan Watson: ispettore della centrale di Sidney, austero e professionale, segretamente innamorato di Alex.
James Devis: agente grande e grosso, pasticcione, sbadato, sempre in mezzo come il prezzemolo.
Una festa, una missione; tre pazzi alle prese con la giustizia e con i loro sentimenti.
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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♡ -- Damn, Watson! You’re my boss!

scritta per il *Three Christmas Words* contest del FanFiction Italia - for the real lovers.


23 dicembre, h 9.30

- Tu sei pazza, Alex. –
- oh, non fare tanto la faccia da pesce lesso. Mi conosci molto bene, tesoro. –
- e non chiamarmi tesoro! –
All’agente James Devis scappò una risatina. Se ne stava lì tranquillo, quasi disteso sulla sua poltroncina girevole, con in mano una grossa ciambella glassata e sulla scrivania un grande bicchierone di succo di mirtilli zuccherato al massimo. Ruttò con tranquillità, rompendo il silenzio della centrale.
- mioddio, James. Sei un porco. –
- che ho fatto? –
Alex scosse la testa in segno di resa e spostò i capelli dietro allo schienale della sua poltroncina, accavallando le gambe sottili sotto gli occhi seccati dell’ispettore Watson.
- sai che posso farlo, Watson, andiamo. Lasciami tentare. –
- No Alex. E comunque lo so che la tua missione è solo un pretesto per imbucarti alla festa della Hilton. –
- ma quando mai, Watson! Non offendermi! Io lo faccio soltanto per la-vo-ro! – rispose la ragazza, scandendo l’ultima parola avvicinandosi alle labbra di Watson, per poi allontanarsi di colpo, buttandosi sullo schienale della sedia. Sulla fronte di Watson cadde enfaticamente una leggera goccia di sudore. Deglutì a fatica prime di ribattere: il contatto con quella ragazza lo faceva diventare l’uomo più vulnerabile della terra.
- Si Alex. Raccontalo a Devis. Vedrai che lui ti crederà. –
- ehi! – Il grosso collega di Alex si girò offeso, fulminando Watson.
- zitto James. –
I centoventidue chili di Devis tirarono un sospiro rumoroso.
Faceva troppo caldo dentro in centrale. Era il 23 dicembre, eppure Alex era abituata ad arrivare in centrale con la canottiera scollata e la minigonna: in Australia la neve non si fa vedere quasi mai, tanto meno nel periodo natalizio. Le leggere persiane abbassate non impedivano ai roventi raggi del sole di entrare e scaldare la stanza come un piccolo forno a microonde. L’agente Watson fissò ancora una volta Alex, o meglio, l’agente Clark, per poi buttare un occhio sulla sua scollatura sudata. Si ricordava ancora l’ultima volta che le era stato così vicino da poterla baciare, ma non l’aveva fatto per paura di essere respinto. Il cuore gli stava per scoppiare fuori dal petto, facendo schizzare in aria il suo distintivo, ma lui non aveva fatto altro che girare la testa e raccogliere dalla fotocopiatrice gli ultimi fax arrivati dalla centrale di Washington. Era successo circa due ore prima, e ora lui stava di nuovo cedendo al fascino di quella pazza dell’agente Clark. Era troppo pazza per lui, troppo esuberante, provocante e logorroica, per un uomo serio e austero come lui.
- Watson, smettila di fissarmi le tette e lasciami andare a quella festa sotto copertura. –
Tutti gli agenti che in quel momento schiacciavano un pisolino o facevano finta di lavorare si girarono per guardare prima Alex, che se ne stava seduta con un ghigno soddisfatto sul volto, e poi l’Ispettore Watson, che fulminò tutti con una sola occhiata. In un secondo l’imbarazzante silenzio che era calato sull’ufficio fu sostituito dai soliti brusii della centrale: battiti al computer, telefonate, fax in arrivo, fotocopie, scarico del water, cartina della ciambella di Devis accartocciata e lanciata nel cestino.
Watson si avvicinò piano ad Alex. – va bene, puoi provarci. Ma ti giuro che se il piano non funziona… si lo faccio, questa volta ti trasferisco! –
- tranquillo, ispettore – Alex fece un giro sulla sua sedia – non ce ne sarà bisogno! –
A malincuore Watson annuì piano, e voltandosi, uscì dall’ufficio a passo felpato.
Alex fissò il fondoschiena di Watson allontanarsi da lei, e alzando il sopracciglio sorrise soddisfatta: quella sera si sarebbe imbucata alla festa più chiacchierata della stagione, accompagnata dall’ispettore più sexy di Sidney e dal suo nuovo vestito di Chanel.

h 20.30
Il cortile interno dell’enorme villa era colmo di gente vestita per bene: donne dai vestiti luccicanti, signori tirati a lucido, finanzieri e banchieri dell’alta società, paggetti e camerieri in giacca e farfallino, ragazzine eccitate e già quasi ubriache. Alex drizzò il collo, cercando di scorgere in mezzo alla folla Watson e Devis, che però non davano segno di comparire tra le centinaia di teste. La ragazza si abbassò seccata e girandosi pescò un bicchiere di champagne dal vassoio di un cameriere che passava distratto, e cominciò a sorseggiarlo piano, arricciando le labbra e guardandosi intorno. Notò alcuni modelli ridere poco lontani. Sgranò gli occhi e cominciò a fissarli con curiosità, notando con piacere i muscoli che riempivano le loro spalle possenti e i fondoschiena sodi e allenati che attiravano sempre di più la sua attenzione. Si accorse con dispiacere che la massa di Devis si stava spostando tra la folla e dietro di lui, Watson, che cercava di farsi spazio per passare tra i modelli, e con un sussulto allontanò il bicchiere dalle labbra e lo posò velocemente sul tavolo più vicino.
- Alex, sei già qui... brava. –
- Watson, io sono arrivata subito… raccoglievo informazioni utili… - disse incespicandosi nel suo stesso sorriso.
- certo… allora,” detective”, hai già qualche sospetto? –
Alex si guardò in giro e, con una smorfia di sufficienza, sussurrò:
- no, non ancora… -
- bene.. ripassiamo il piano. Alle nove meno qualche minuto i componenti della banda si saranno piazzati sui punti nevralgici del cortile, pronti a innescare gli ordigni. – Watson fece una pausa per ricevere un segno affermativo da Alex e Devis, che annuirono concentrati. – noi dovremo trovarli e fermarli prima che questo posto salti in aria. Sappiamo che basta fermarne uno di loro perché il loro piano si blocchi, perciò aguzzate la vista e muovetevi. –
- si capo… - annuirono ancora i due agenti.
- ah, dimenticavo.. non bere. Sei in servizio. –Watson ammonì Alex, per poi allontanare con la mano il bicchiere che stava sul tavolo accanto a loro.
- non era mio! – si precipitò a rispondere lei. Se c’era una cosa che non riusciva a fare era proprio mentire: cominciava a balbettare nella fretta di parlare, e si innervosiva con un nonnulla.
Devis interruppe il silenzio imbarazzante rendendosi conto di tutti i tipi di tartine presenti nella tavolata principale, e ringraziando il cielo per tutto quel ben di dio che per lui significava “cena”, quella sera.
Watson lo fermo afferrandolo per la camicia, quando già si stava per tuffare tra gli stuzzichini.
- ma! Capo.. per favore! –
- no, piuttosto guardati in giro e cerca degli indizi. Voglio dei sospetti, una pista da seguire. Che diamine. –
- dai Watson… - intervenne subdolamente Alex – sciogliti e stai tranquillo… ai sospetti ci pensiamo noi. – sorrise poi, per voltarsi e cominciare a girovagare tra la folla.
La ragazza non passava di certo inosservata nel suo lungo vestito rosso brillante di Chanel: la maggior parte degli invitati maschi si girava al suo passaggio, accennando un sorriso d’approvazione, e lei rispondeva a tono con il suo timido sorrisino, dissimulando una risata lieve.
- smettila di fare la cascamorta. – le sussurrò all’orecchio Watson, che l’aveva seguita.
Sempre continuando a sorridere, stringendo i denti, e senza voltarsi, Alex sussurrò:
- avvertimi, quando potrò respirare. –
Entrambi sbuffarono roteando gli occhi.
Alex bloccò improvvisamente il braccio dell’ispettore, stringendone il polso che stava già gesticolando in aria, pronto ad accompagnare l’ennesima ripresa di Watson.
- guarda lì. –
La bionda puntò con l’indice affusolato un signore che, semi nascosto dal tavolo delle bevande, si era chinato sulle radici di una grande pianta, e tentava disperatamente di fare qualcosa dietro di essa. Watson si irrigidì, per poi toccare la pistola, quasi ad assicurarsi che fosse nel posto giusto, pronta per essere usata.
- è di certo uno della banda Rickznov, starà installando una delle quattro bombe. Dobbiamo bloccarlo. –
L’ispettore fu costretto a roteare gli occhi una seconda volta.
– smettila con le frasi da film e il tono da super poliziotta “ora-salvo-il-mondo”. Adesso, senza destare sospetti, lo fermiamo. –
Alex fissò seccata il suo capo. – ripeto, avvertimi quando respirare. potrei dimenticarmene. E comunque, la prossima volta, lasciami sognare. –
Devis interruppe (come al solito) il loro battibecco:
- oh, guardate là, ispettore, c’è un uomo sospetto che fa qualcosa di strano.. non è che dovremmo dare un’occhiata? –
Alex e Watson alzarono il sopracciglio seccati, inclinando entrambi il capo a destra, per poi scuoterlo.
- grazie dell’informazione, Devis. Ci servirà davvero, non ce n’eravamo mica accorti! –
- eh, scusi ispettore… pensavo… -
- pensi troppo Devis. Non farlo… - il povero agente sbuffò sconsolato, muovendo i suoi centoventi chili da un piede all’altro.
- Andiamo… - sussurrò lentamente Alex. I tre agenti si mossero tra la folla con indifferenza, cercando di arrivare il più presto possibile all’albero che, alto e rigoglioso, si stagliava sicuro e deciso in un angolo del cortile. Ai suoi piedi trovarono un uomo alto, che meccanicamente, appena s’accorse di essere osservato, si drizzò sulle gambe in velocità e cominciò a scappare dalla parte opposta del cortile. Watson scattò, incominciando a inseguirlo, e dietro di lui, senza respiro, il povero Devis; Alex si chinò preoccupata ai piedi dell’albero, e raccolse il piccolo ordigno che, già innescato, segnava con un ticchettio quasi ineccepibile il conto alla rovescia: mancavano circa sette minuti. Con ansia sollevò la sfera, e la rotolò piano dalla mano destra alla sinistra, per non essere osservata, e affrettando il passo si diresse fuori dal cortile. Nel disperato tentativo di uscire, la ragazza scorse da lontano la Hilton, che insospettita da tutto quel movimento, le si avvicinava con passo sicuro. Lei accelerò, ma senza successo; la chiamata dell’ereditiera bionda la bloccò sul posto.
- scusa? Ehi tu…! –
Alex si voltò con non curanza, passando la bomba da una mano all’altra dietro la schiena.
- si?... –
- cosa sta succedendo qui? –
- mah… nulla di particolare, per quanto ne sappia… - sorrise poco convinta. La bionda aggrottò la fronte e portò la mano al mento. Alex camminava all’indietro, per cercare di annullare in fretta la distanza che la separava dall’uscita, e nel frattempo balbettava complimenti quasi incomprensibili all’ereditiera: avere tra le mani una bomba la rendeva ancora più nervosa del solito. - comunque, bellissima festa! Complimenti! Anche… anche i modelli, molto ben azzeccati! O.. ottima scelt-oh diavolo! Ahah, stavo per cadere… comunque è stato un piacere, carissima! –
E mentre con la mano abbozzava un saluto veloce, l’agente si mise a correre, fissando preoccupata il conto alla rovescia: meno tre minuti.
“chissà se Watson e Devis sono riusciti a fermare il losco individuo” pensò nell’agitazione Alex.
Beh, Watson e Devis… avevano qualche problemino. Il “losco individuo”, che era proprio il capo della banda russa, aveva chiamato i rinforzi, e ora, con il sangue al cervello, il grosso agente e il suo prudente ispettore erano legati come salami allo schienale del logoro furgoncino della banda. Erano legati a testa in giù, con i piedi che toccavano il tettuccio e le teste che sfioravano i sedili anteriori.
- capo? –
- cosa c’è, Devis? – Rispose seccato Watson.
- è davvero una schiappa nella corsa. –
L’ispettore strabuzzò gli occhi, ma invece di rispondere con una frase compiuta, si limitò ad annaspare nei suoi stessi tentativi di controbattere. Lo sapeva, era proprio una schiappa. Da lontano i due prigionieri sentirono un botto esterno, uno scoppio improvviso seguito da urla e strilli confusi. Watson scosse la testa: erano appena saltati tutti in aria, se lo sentiva.

Nel frattempo, Alex, che era appena riuscita a far scoppiare la bomba lontano dalla villa, stava cercando di rintracciare Watson al cellulare. Intorno a lei si stava consumando il caos: le ragazzine strillavano fastidiosamente, i banchieri scappavano come femminucce, i bodyguard tentavano inutilmente di fermare la folla impazzita, che si spargeva ovunque nei grandi campi che circondavano la villa. Da lontano la ragazza sentì delle strane grida che si avvicinavano sempre di più a lei; grida furiose, accompagnate da uno strano accento… russo.
- è luei! Eccoula! Fermuatela! –
L’agente non fece in tempo a riordinare i pensieri che si trovava legata al terzo sedile del furgoncino della banda, al fianco di Devis. Le mani e le braccia erano fissate con il nastro adesivo, che bruciava sulla pelle nuda delle sue braccia sottili, bianche come il latte.
- bene. missione compiuta, direi. – come al solito Alex non poté trattenersi.
- stai zitta, Clark, per l’amor del cielo. -

24 dicembre, h 11.30
Devis afferrò il borsone dal manichino e passò tutto il corridoio per uscire dalla centrale. Sentì dei rumori provenire dal suo ufficio, perciò vi si fermò davanti, facendo capolino sulla porta.
- che ci fate ancora qui? È la vigilia! Andate a casa! –
Devis aspettò una risposta, fissando Alex, che con noncuranza si limava le unghie, e l’ispettore Watson, che faceva avanti e indietro nella stanza, con le braccia conserte al petto.
- tranquillo, Devis, adesso andiamo. Passa un buon natale. –
- agli ordini capo! – sorrise Devis – e buon natale, Al. –
- grazie James. Ci vediamo. –
L’agente uscì felice nell’aria afosa di Sidney, pronto a tornare a casa per abbuffarsi del tacchino di sua madre.
In centrale, invece, l’aria era irrespirabile, proprio come la mattina precedente: troppo caldo. Forse ora c’era anche troppa emozione. Alex posò piano la limetta sulla scrivania, cercando di non sembrare brusca, e girò piano la sedia verso Watson.
- allora… mi trasferirai, immagino. –
- no. In fondo, la villa è ancora in piedi, e per fortuna non è morto nessuno. Hai fatto il tuo lavoro. –
Alex si alzò piano, avvicinandosi con cautela all’ispettore, che bloccò il suo viaggio dal cestino della plastica al condizionatore. La ragazza accarezzò piano il suo mento, su cui cresceva una barba tagliata perfettamente, regolare come un campo appena rasato.
- sapevo che alla fine non l’avresti fatto. – sussurrò lei tremando.
- sei una manipolatrice, Clark. – sorrise lui beffardo.
- lo so. – rise lei, accorciando la distanza tra le sue labbra carnose, colme di rossetto rosa, e le sue, grandi e crespe. Finalmente quel bacio si consumò tra i due agenti, che forse avevano aspettato un po’ troppo per quel momento.
- buon natale, Watson. – disse senza fiato Alex, mentre i battiti del suo cuore acceleravano.
- altrettanto, piccola Clark. – rispose lui, alzando piano la sua leggera canottiera di cotone.
   
 
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