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Autore: _camus_    21/12/2011    11 recensioni
«Oh no, Milo! Ancora quegli orribili Babbi Natale!» protestò Camus, storcendo il naso.
«Oh sì, Camus! Anche io ho le mie sane tradizioni da rispettare» replicò quello, difendendo la dignità dei piccoli Santa Claus ridenti che ornavano la sua solita carta da pacchi.
«Aprilo, schizzinoso che non sei altro!»

Vigilia di Natale: momenti di tenerezza e intimità all'Undicesima Casa.
E un amaro risveglio, qualche Tempio più in basso.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ci incontreremo ogni notte

Ci incontreremo ogni notte

 

 

 

 

 

Do I wake or sleep?

Ode to a Nightingale, John Keats

 

 

 

 

«La ritirata strategica è stata provvidenziale! Ancora un pasticcino e giuro che sarei morto» esclamò Milo, lasciandosi cadere sul divano dell'Undicesima Casa con un sospiro di sollievo.

Camus entrò a sua volta in salotto, chiudendosi la porta alle spalle.

«Taci: se non fosse stato per me, avresti continuato a mangiare tutta la notte» puntualizzò, scuotendo la testa in segno di disapprovazione «Io proprio non capisco cosa ci troviate di bello nell’abbuffarvi fino a star male».

«Ma Camus!» protestò l’altro, l'incredulità dipinta sul viso «É la vigilia di Natale!»

«Me ne sono accorto, grazie. E con ciò?» replicò l'Acquario sarcastico, spolverando via dal cappotto ciò che restava del nevischio accumulatosi nel tragitto dal Secondo Tempio fin lassù.

In appena due giorni la neve aveva ricoperto ogni cosa: dalla cima del Santuario si poteva ammirare la coltre bianca estendersi tanto da arrivare a scontrarsi col placido blu dell'acqua salata, diverse miglia più in basso.

«Mi sa tanto che quest'anno avremo un bianco Natale!» aveva annunciato Milo entusiasta, alla vista dei primi cristalli ghiacciati.

Camus si era limitato ad annuire, lieto che la compagna di una vita gli avesse fatto visita anche lì in Grecia, dove in genere non cadeva mai.

«Possibile che tu non senta l'atmosfera speciale che permea questo periodo dell'anno? Le luci colorate, i regali sotto l'albero, la voglia di condividere tutto con gli affetti più cari... secondo me è un evento bellissimo!»

Aquarius lo guardò con una punta di tenerezza, ben celata dall'espressione scettica che gli rivolse; a volte lo Scorpione era come un bambino divenuto adulto troppo presto, pronto a farsi incantare da qualsiasi sciocchezza.

«Ti ricordo che questa è una festività prettamente cristiana. Passino Aldebaran, Shura e Death Mask – anche se temo che Cancer la consideri solo un’occasione per sbronzarsi in santa pace –, che sono nati e cresciuti in paesi dove la tradizione cattolica è molto forte, ma il resto di noi non dovrebbe celebrarla affatto».  

Eccezion fatta per lui e Shaka, con l'avvento di dicembre tutti sembravano dimenticarsi di essere cavalieri di Atena e passavano l'intero mese a organizzare cene, decorare le abitazioni, comprare doni da scambiarsi – decisamente ridicolo.

«Dei, quanto sei rigido! Non mi stupisce che le stelle abbiano scelto proprio te per rappresentare il Signore dei ghiacci. Basta guardare casa tua: bianco, grigio, bianco – grigio l’ho già detto, vero? E nemmeno uno straccio di albero! Sei un cinico, Camus di Aquarius» scherzò Milo, invitandolo a sedersi vicino a lui.

Il suddetto cinico si accomodò sulla pelle color avorio del proprio divano, tenendosi tuttavia a debita distanza dalle mani del precedente occupante; quest’ultimo, pur rimanendo leggermente deluso, non si diede affatto per vinto.

«A me piace questa festa,» ripeté, afferrando a tradimento una ciocca rossa del compagno e iniziando a giocarci «mi ha sempre fatto sentire parte di un mondo dal quale, di norma, sono lontanissimo. Mi ricorda anche dei bei momenti della mia infanzia; in dicembre, dopo gli allenamenti, il maestro e io ci spostavamo sul versante abitato dell’isola di Milo e passeggiavamo per il centro. Le signore dei negozi mi auguravano buon Natale e mi davano un sacco di caramelle».

L'Acquario, nel figurarsi il piccolo Scorpio vezzeggiato da donne di mezza età, sorrise sotto i baffi.

«E tu? Tu non hai qualche reminiscenza del tuo passato che ti è dolce? Anche in Siberia si dovrà pur festeggiare qualcosa!»

Alla domanda, Camus tornò subito serio.

Nella zona orientale della vasta regione russa dove si era allenato gli unici eventi da celebrare erano quelli in occasione dei quali gli abitanti del villaggio riuscivano a cacciare un numero sufficiente di foche che bastasse a sfamare la popolazione; in quelle rare occasioni lui e il suo mentore lasciavano l'isba per recarsi nel piccolo centro abitato e pasteggiare con carne fresca.

«Tieni, giovane Camus,» gli diceva l'uomo, staccando con il coltello un pezzo di carne dallo spiedo che girava sopra le braci «mangiane a sazietà, ora che puoi».

Il bambino non se lo faceva dire due volte e si avventava sul cibo come il peggiore dei selvaggi, sporcandosi le dita e la faccia di grasso.

«Lassù i momenti di letizia sono tutti collegati all'abbondanza o meno di roba da mangiare: è difficile stare allegri con la pancia vuota – specialmente al Nord, dove il freddo non perdona».

Approfittando della momentanea distrazione di Camus dalle faccende presenti, Milo riuscì finalmente a stringere a sé l'amante che, di riflesso, abbandonò il capo sul suo petto.

«Proprio per questo dovresti godere del temporaneo benessere concessoci» riprese poi, baciandogli la fronte «Potrebbe non ripresentarsi: sai meglio di me quanto sia precaria la nostra condizione».

A rompere la serietà del discorso arrivò un sonoro gorgoglio, partito dalla pancia dello Scorpione.

Entrambi risero, colti alla sprovvista.

«Dannato Aiolia!» si lamentò Milo «Lui e i suoi Kourabiedes pieni di burro! Mi ci vorranno cento giri di Arena supplementari per smaltirli!»

«La colpa è tutta tua: difetti del senso della misura» lo bacchettò Aquarius, scansando con grazia il braccio che gli cingeva le spalle «Vado a prepararti una tazza di tè. Ma non ci fare l'abitudine: non ho la vocazione dell'infermiere».

Appena l'altro scomparve oltre la soglia della cucina, il volto dell'Ottavo Custode si distese in un ghigno soddisfatto; nonostante l’aria seccata che il suo burbero camerata si sentiva in dovere di assumere in quelle circostanze, egli amava essere accudito da lui.

«Peccato» disse poi, cercando di sovrastare il fischio del bollitore.

«”Peccato” cosa?»

«Che tu non abbia la vocazione dell'infermiere: saresti molto sexy con la divisa indosso».

Un ringhio indignato, proveniente dall'altra stanza, gli confermò di aver raggiunto l'obiettivo – ah, quanto adorava farlo irritare!

A onor del vero non c'era momento in cui non lo adorasse, ma quando era arrabbiato la sua blanda reattività emotiva saliva di qualche gradino e tutto diveniva più divertente.

Al suo ritorno, Camus posò con calma studiata il vassoio sopra il tavolino di cristallo e, prendendo una delle due tazze fumanti, si accomodò su una sedia posizionata dalla parte opposta rispetto a dove si trovava Milo.

«Piantala di fissarmi così. Sembri un avvoltoio che studia la preda».

«La smetterò solo quando tu farai altrettanto con le tue stupide battute osé. Lo sai che mi imbarazzano».

«Ok, ricevuto: se la montagna non va da Maometto, allora Maometto andrà dalla montagna» decretò rassegnato Scorpio, per poi raggiungere la sua "montagna" con velocità sorprendente.

«Nobile cavaliere dell'Acquario,» cominciò solenne, inginocchiandosi ai piedi di Camus «vorreste concedermi l'onore del Vostro perdono? L'onta che per mano mia avete subito è grave, ma sono disposto a pagare con la vita per riscattarmi ai Vostri grandi occhi dorati. Farò tutto quello che vorrete-»

«Davvero?» lo interruppe il francese, a mezza via fra l'accondiscendente e il divertito.

«Lo giuro su di Voi, amor mio».

«Allora termina qui questa pagliacciata. Ho qualcosa per te, in camera. Vallo a prendere».

Incuriosito, Milo fece come gli era stato detto; sul letto trovò un pacco rosso impreziosito da un nastro argentato.

«Quest'anno niente regali, Milo. Ormai siamo grandi, non è più tempo di simili stupidaggini».

«Mh. Dici sempre così, ma alla fine non è mai vero».

«Vedrai, vedrai».

Se l'era aspettato: Camus non aveva mantenuto la promessa nemmeno quella volta.

Da quando stavano insieme, ogni Natale significava doni avvolti in carta rossa e fiocchi d'argento.

Tornò indietro scuotendo la scatola, cercando di capire cosa ci fosse all'interno: Aquarius aveva la bizzarra abitudine di impacchettare gli oggetti di modo che fino all'ultimo non si riuscisse a indovinarne la natura. Aumentava l'effetto sorpresa, diceva.

«Sapevo che non avresti resistito. Sei un parolaio» si chinò su di lui a baciargli le labbra «Un parolaio così carino!»

«Sì, sì… adesso basta, però!» borbottò l'altro, continuando tuttavia a prestargli la bocca.

Lo Scorpione lo accontentò, ridendo: «Come vuoi. Adesso tocca a me».

Dopo aver frugato per qualche tempo fra le tasche interne del giubbotto, ne estrasse un pacchetto rettangolare.

«Oh no, Milo! Ancora quegli orribili Babbi Natale!» protestò Camus, storcendo il naso.

«Oh sì, Camus! Anche io ho le mie sane tradizioni da rispettare» replicò quello, difendendo la dignità dei piccoli Santa Claus ridenti che ornavano la sua solita carta da pacchi.

 «Aprilo, schizzinoso che non sei altro!».

Qualche attimo dopo, l'espressione gioiosa del compagno gli confermò di aver fatto centro.

«Allora, ti piace?»

«I Poems di Keats... Milo, grazie! Li desideravo da secoli!»

«Sì, lo so: sono proprio un tesoro! Che ne diresti di ringraziarmi in un modo un po' più appropriato?» ammiccò Scorpio, allargando le braccia.

L’Acquario vi si rifugiò di buon grado, finendo sul pavimento accanto all'amico.

«Vediamo se il tuo regalo può competere con il mio» disse provocatorio, mentre attaccava il nodo del nastro.

«Uffa, ‘Mus! Il maglione è carino, ma dovevi per forza prenderlo grigio?!»

«Tralasciando il fatto che il colore ti sta benissimo,» puntualizzò Camus, ignorando l’occhiata stupefatta di Milo al complimento inatteso «devi guardare all'utilità delle cose. Dato che appena entra l'inverno prendi a lagnarti di avere freddo, quale dono sarebbe stato più adatto di questo?»

Non si smentiva mai, quel perfettino: sempre a badare all'aspetto pratico, quando si trattava degli altri.

«Seguendo il tuo ragionamento, la quantità industriale di libri di cui ti circondi è pressoché da buttar via».

«I libri servono ad arricchire lo spirito, e… insomma, poche storie: provalo!»

«D'accordo».

Sfilandosi la felpa che aveva indosso, Milo non poté non notare il guizzo sottile che la vista dei suoi pettorali nudi aveva acceso negli occhi dell’Undicesimo cavaliere; con un sorriso malizioso gli prese le mani e se le poggiò addosso, rabbrividendo appena sotto il suo tocco.

Camus lo lasciò fare per un po' e poi, ripreso possesso dei propri arti, cominciò a vagare da solo lungo il corpo scolpito dello Scorpione, soffermandosi di tanto in tanto sui punti che lui sapeva essere più sensibili grazie a ore e ore di allenamenti.

Quando con le dita si addentrò all'interno dei jeans consumati di Scorpio, questi emise una specie di grugnito e si affrettò a denudare il busto dell'Acquario, la cui camicia finì orribilmente stropicciata in un angolo; egli ammirò per un attimo i guizzanti muscoli del compagno, per poi fiondarcisi sopra con la lingua e leccarne ogni centimetro.

L'altro, che intanto era impegnato in lavoretti più in basso, si lasciò sfuggire un mugolio di protesta.

«Questo è un colpo gobbo!» esalò, eccitato.

Milo, nell'incavo della sua spalla, ghignò: se c'era una cosa che faceva impazzire il francesino, quella erano i classici morsi sul collo. Troppo facile.

Ma la vendetta non tardò ad arrivare: Camus lo spinse via e, liberato l'oggetto delle sue attenzioni dai boxer, dalle dita passò alla bocca.

«A-ah sì?» ansimò il greco, mentre quello andava avanti e indietro, implacabile «Vuoi... vuoi la guerra? Ora ti faccio vedere io!»

Lo strattonò quindi per i capelli – quei suoi meravigliosi capelli rossi – senza preavviso, onde staccarselo di dosso; poi, fra le sue proteste, si alzò e se lo caricò sulle spalle, diretto verso la stanza da letto.

«Mettimi subito giù!»

«Eccoti accontentato!» esclamò una volta arrivato a destinazione, buttandolo con ben poche cerimonie sul materasso.

Si fissarono quasi in cagnesco – Milo in piedi, col fiato corto e la fronte imperlata di sudore e Camus scomposto fra i cuscini, scarmigliato e paonazzo.

Poi l'Ottavo Custode si sdraiò con studiata lentezza sopra l'amante, che lo accolse aprendo pian piano le gambe.

Esaudì la muta richiesta delle sue iridi languide penetrandolo delicatamente, onde non fargli male, mentre l'altro riprese il lavoro con le mani che prima aveva lasciato incompiuto.

Era come un rito, il loro: tutto cominciava in un irruento corpo a corpo, per poi finire invece con morbida dolcezza.

Vennero insieme, gemendo l'uno sull'altro in un vivido miscuglio di chiome ramate e dorate.

«Camus?» chiamò debolmente Milo, sfiorandogli alla cieca la testa con una carezza.

«Uhm?»

«Ti amo».

L'Acquario si sollevò su un gomito, a studiarlo sbigottito.

«Non me l'avevi mai detto».

«Se è per questo, tu non me lo stai dicendo nemmeno ora».

Il rosso lo strinse a sé, continuando a non proferire parola.

«Devo interpretare questo abbraccio come un "anch'io"?»

«Certe cose non hanno bisogno di essere esplicitate a parole» rispose lui, a bassa voce «Non serve che ti dica quello che già sai».

Stettero per un po' in silenzio, godendo della reciproca presenza e della quiete circostante la quale, di quando in quando, veniva interrotta dal suono lontano di una campana.

«Questa deve essere la campana della chiesa di Rodorio che segna la mezzanotte» bisbigliò Scorpio «Buon Natale, Camus».

«Altrettanto».

Milo balzò giù dal letto e camminò a piedi nudi fino alla finestra del salone,  l'unica con le imposte rimaste aperte.

«Ehi, sta ancora nevicando! Di questo passo sarà possibile scendere alle Case sottostanti solo con gli sci!»

Dalla camera non arrivò nessun commento, così decise di tornare a letto; sentiva freddo e aveva voglia di addormentarsi fra le braccia di Camus.

«’Mus, che stai facendo?!» esclamò sulla porta, ignaro del motivo per cui Aquarius si stesse rivestendo.

«Devo andare, Milo».

«Ma stanotte avevamo deciso di dormire qui! Nel caso tu avessi cambiato idea, comunque, sarei io quello a dover alzare i tacchi».

«No, tu resta pure; io, però, non posso rimanere».

Il biondo lo guardò abbottonarsi il cappotto, continuando a non capire.

«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiese allora, bloccandolo per un braccio.

Forse l'aveva offeso senza avvedersene: come spiegare altrimenti quello strano e inquietante comportamento?

Camus si voltò e sorrise – di un sorriso talmente triste da fargli accapponare la pelle.

«Tu non hai mai fatto nulla che non sia stato perfetto. Dal momento in cui ti ho conosciuto, hai illuminato e riscaldato la mia via in un modo che non credevo possibile. Ma è tempo che io ti lasci».

«C-Camus, io non comprendo… »

«Anche se non potrai vedermi, giuro che ti rimarrò sempre accanto, qualunque cosa succeda» lo interruppe, ancora con quel sorriso mesto sulle labbra «Te l'ho già promesso un'infinità di volte prima di adesso e, come sai, io onoro sempre le promesse... a meno che non si tratti dei tuoi regali. Non temere: ci incontreremo ogni notte... nei sogni».

 

Un sussulto. Un brivido.

Milo aprì prima un occhio, poi l'altro, quindi allungò una mano a toccare il pavimento: non era il gelido marmo dell'Undicesima Casa, bensì tiepido parquet.

Quello su cui stava sdraiato, poi, non assomigliava per nulla al letto di Camus; a giudicare dal sinistro scricchiolare delle molle, pareva invece il suo vecchio divano.

Ancora assonnato, alzò la testa a cercare la sveglia digitale, che trovò in bella mostra poco lontano: le undici e quarantacinque del ventiquattro dicembre.

Era stato solo un sogno.

Un sogno tanto crudelmente reale da attorcigliargli le viscere e mozzargli il respiro.

«Solo un sogno. Perché mi fai questo, Morfeo?»

Durante il giorno sopravvivere era tremendamente difficile, ma se la cavava, trascinandosi stanco attraverso giornate spente e tutte uguali.

Le cose peggiori rimanevano tuttavia i momenti come quello: non esisteva sofferenza più grande che ritornare all'amara realtà dopo un'illusione felice.

Si alzò controvoglia e arrancò fino all'interruttore della luce; una volta acceso, rimase sorpreso nello scoprire un sacchetto sopra il tavolo.

Che strano, prima di coricarsi non l'aveva notato. O forse non c'era – poco importava.

Dentro vi trovò delle cibarie avvolte in una pellicola di alluminio, e un biglietto macchiato dai ghirigori di Aiolia.

 

Ti mandiamo un po' di cibo, nella speranza che tu mangi qualcosa.

Puoi raggiungerci quando vuoi, se ti va: in caso contrario, ci vediamo domani. PER FORZA.

Auguri

                                                                                                          ‘Lia, Mu, Al, Shaka.

 

Qualcuno doveva essere salito dal Secondo Tempio fino all'Ottavo, lasciando lì la busta per non disturbarlo.

Rilesse le firme: un anno prima, quella di Virgo di certo non sarebbe stata presente. Era quasi buffo quanto i tragici eventi che li avevano dimezzati avessero mutato il carattere dell'Illuminato.

In quattro. Di nove che erano stati, quella sera solo in quattro stavano festeggiando la vigilia giù da Aldebaran.

Di sicuro, comunque, più che di festeggiamenti si trattava di un disperato tentativo di recuperare un briciolo di normalità.

Milo di Scorpio invidiava quei coraggiosi: lui non se l'era sentita.

Aveva preferito rimanere rintanato fra le sue mura, seduto a fissare l'angolo in cui, in quel periodo, avrebbe dovuto esserci il solito abete sgangherato e coloratissimo.

«Milo, cos'è quell'obbrobrio?»

«Non si vede? È un albero di Natale!»

«Fammi un favore: quando sai che sto per arrivare, nascondilo. È talmente brutto da levare il sonno».

«Sei noioso, Camus. Sta’ zitto e baciami, piuttosto».

Quel Natale aveva deciso di non decorare nessun albero, ed era molto probabile che non ne avrebbe decorati altri per il resto della sua vita.

Non ci sarebbero stati mai più né pacchi rossi né nastri argentati ad attenderlo da qualche parte, e nemmeno regali da avvolgere nella carta con le stampe di Babbo Natale: senza Camus non valeva la pena di tentare di abbellire il mondo.

Passeggiò un poco per casa, senza meta; alla fine si ritrovò in camera, dove ebbe l’impulso di aprire la finestra e sporgersi fuori.

«Niente neve. Nemmeno un fiocco».

Faceva anzi un caldo anomalo, per essere dicembre inoltrato.

E pensare che solo dodici mesi addietro intorno al Grande Tempio non si riusciva a vedere altro che bianco – e pensare che solo dodici mesi addietro, proprio a quell'ora, lui e Camus se ne stavano abbracciati fra le sue lenzuola di seta.

Adesso anonimi teli ricoprivano l'elegante mobilia del Tempio della Giara Sacra, tanti fantasmi immobili e vuoti.

«Camus?»

«Uhm?»

«Ti amo».

«Non me l'avevi mai detto».

No, basta. Doveva togliersi dalla mente quelle immagini a ogni costo, altrimenti stavolta sarebbe impazzito davvero.

Spalancò con rabbia il cassetto del comodino, contenente un semplice quaderno blu scuro dalle pagine ingiallite – l'unico strumento che gli aveva permesso di non uscire di senno fino a quel momento.

Non si trattava di un vero e proprio diario, quanto piuttosto di una specie di macabro promemoria. 

Scorpio non era mai stato un nostalgico, uno di quelli che ama vivere nel passato; persino subito dopo la morte di Aquarius aveva sempre tentato di resistere come meglio poteva alla malinconia, evitando magari di ricordare dettagli troppo intimi e dolorosi.

In certe occasioni, però, tale sforzo si era rivelato del tutto impossibile – allora come adesso.

Così, quando rischiava di confondere il vero con la fantasia, apriva il quaderno e scriveva tre semplici parole: Camus è morto.

Era incapace di motivarne il perché, ma vedere la verità messa su carta lo aiutava a rassegnarsi.      

Dopo averlo afferrato con la stessa delicatezza che avrebbe riservato a un gioiello, prese a sfogliarlo: l'ultima traccia della sua sofferenza risaliva a circa trenta giorni prima.

Stava migliorando: all'inizio lo usava quasi tutti i giorni, spesso anche più volte nell'arco di un solo dì, macchiando la pagina di lacrime.

Piano, a fatica, ma stava migliorando.

 

24 Dicembre 1986, ore 11:58

6 mesi, 239 giorni, 5736 ore dalla sua scomparsa.

Camus è morto.

 

Din, Don, Dan. Tre rintocchi distinti.

«Questa deve essere la campana della chiesa di Rodorio che segna la mezzanotte. Buon Natale, Camus».

Già. Buon Natale, Camus.

Si passò una mano sul viso, stancamente: stava facendo gli auguri a uno spettro. Che cosa ridicola.

Ma era davvero così assurdo rivolgere un pensiero a colui che era stato la persona più importante della sua esistenza?

Non poteva fare a meno di ricordarlo, e mai avrebbe potuto: non in quel momento, non dopo dieci anni. Dunque, che senso aveva condannarsi da solo?

L’Acquario glielo aveva promesso, in fondo; sotto il sole d'estate, fra le nebbie autunnali, in punto di morte. Perfino nei sogni.

«Giuro che ti rimarrò sempre accanto, qualunque cosa succeda».

Per un giorno – uno soltanto – poteva concedersi di credere a quel giuramento: del resto, era Natale anche per lui.

Le campane continuavano a suonare testarde, come a voler cancellare tutte le angosce del mondo.

Fregò con due righe decise quello che aveva annotato pochi minuti prima e, su una pagina bianca, scrisse nuovamente:

 

25 Dicembre 1986, ore 00:00

6 mesi, 240 giorni, 5737 ore dalla sua scomparsa.

Camus è morto.

Ps: Non badare a quello che ho appena scritto.

Sei morto, ma nel mio cuore non morirai mai.

Buon Natale, amore mio.

Ci incontreremo ogni notte... nei sogni.




Note dell’autore


Cielo, che angoscia.

Devo tenere a mente di non mettermi mai più accanto al fuoco col computer e le sigarette mentre fuori minaccia tempesta, altrimenti ecco quello che viene fuori.

Desideravo scrivere qualcosa per Natale, ma l'avrei voluto appena appena più allegro... pazienza!

Spero che l’abbiate gradito lo stesso e che mi farete il regalo di recensire: a Natale siamo tutti più buoni, no?

Dedico questa cosa a barakei, LuluXI e... a tutti voi.

Auguri di cuore!

 

 

 

 


 


   
 
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