Fanfic su attori > Altri attori/film
Ricorda la storia  |      
Autore: Aine Walsh    22/12/2011    5 recensioni
[Jude Law]
«E’ un panorama mozzafiato, non è vero?» chiede una vicina voce alla mia sinistra.
«Sì» squittisco in francese. Spero davvero che lo sconosciuto non mi rivolga un’altra domanda, dato che non ho mai studiato la lingua e non sono abbastanza in grado né di comprenderla, né di parlarla.
Quand’ecco che il mio timore viene puntualmente avverato. Adesso bisogna cercare di far capire che non ho compreso e che non comprenderò.
Volto il capo a guardare colui che mi ha parlato.
[Jude Law]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Midnight in Paris
 

 
Sorseggio totalmente controvoglia del vino bianco, giusto per dare l’impressione di fare qualcosa e di essere snob almeno la metà di tutti quelli presenti in sala, mentre, con le spalle nude appoggiate al muro, continuo a ripetermi che non è stata affatto una buona idea quella di abbandonare Londra per seguire Sarah a Parigi nel folle tentativo di passare il Capodanno nel lussuoso hotel tutto oro e meraviglie dove lavora da anni suo padre. O meglio, il lussuoso hotel tutto oro e meraviglie che da anni suo padre possiede e gestisce.
Mi guardo intorno, cercando di non indugiare troppo sulle persone per evitare di essere sorpresa a fissarle. Ci sono ricchi imprenditori, gente illustre della capitale francese, non pochi ospiti di altre nazionalità e persino qualche attore e cantante parigino che si pavoneggia qua e là. L’enorme e luminosa sala è gremita di gente, ma io conosco solo due ragazze: la prima è Sarah, che però ho perso di vista circa mezz’ora fa, dopo aver notato che rideva molto confidenzialmente con un francesino dall’aria leggermente altezzosa; la seconda sono io.
Appoggio il calice pieno poco più della metà sul vassoio di un cameriere che mi passa davanti in tutta fretta e, per sembrare occupata ed ‘ego-tutto’ come gli altri, visto e considerato che non ho proprio voglia di apparire come la povera asociale di turno che in realtà sono, inizio a lisciare con cura le piccole pieghe che stanno prendendo a formarsi alla base del vestito.
Se avessi avuto l’accortezza di riflettere sul fatto che mi sarei ritrovata in un ambiente molto sofisticato che pullulava di gente con la puzza sotto il naso, avrei scelto un altro vestito invece di quello nero, cortino e scoperto all’altezza delle spalle che invece porto indosso.
Sospiro; stirare le pieghe dell’abito la notte di San Silvestro, quando non manca poi così tanto tempo all’arrivo dell’anno nuovo e soprattutto quando ti trovi a Parigi, non è proprio l’ideale da farsi. Decido all’istante di uscire fuori, perciò, con la consapevolezza di riuscire magnificamente a passare inosservata, vado a ritirare il cappotto, lo indosso e mi dirigo verso l’esterno, nell’ultima fredda notte di quest’anno.
Il vasto terrazzo è praticamente deserto; meglio così. Mi avvicino alla ringhiera in pietra di fondo, appoggio entrambe le braccia e comincio ad osservare sognante il panorama. Non c’è nebbia e la visibilità è massima, tanto che riesco a immaginare sorridendo tra me e me che Parigi sia stesa ai miei piedi. La Tour Eiffel, proprio davanti ai miei occhi, è illuminata a giorno e spicca con decisione in tutto quel groviglio di luci, spandendo chiaramente la sua luminosità anche nell’aria circostante. Sembra una strana stella posta a distanza molto ravvicinata.
Tutto sommato, non è male essere lì. Certo, non mi sto divertendo nel vero senso del termine, anzi, non mi sto divertendo affatto, ma questa vista ripaga perfettamente e completamente la noia provata fino a cinque minuti fa.
«E’ un panorama mozzafiato, non è vero?» chiede una vicina voce alla mia sinistra.
«Sì» squittisco in francese. Spero davvero che lo sconosciuto non mi rivolga un’altra domanda, dato che non ho mai studiato la  lingua e non sono abbastanza in grado né di comprenderla, né di parlarla.
Quand’ecco che il mio timore viene puntualmente avverato. Adesso bisogna cercare di far capire che non ho compreso e che non comprenderò.
Volto il capo a guardare colui che mi ha parlato.
«Oh, cazz...» mormoro, portandomi subito una mano sulle labbra.
Occhi azzurri come il cielo terso di primavera e un sorriso talmente bianco e luminoso che potrebbe fare concorrenza alla stessa Tour Eiffel.
L’ho visto fino a poco fa aggirarsi per la sala, smarrito e vago come me, ma non ho di certo avuto il coraggio di avvicinarmi e parlargli.
«Ah, sei inglese anche tu» osserva l’uomo con un sorrisetto incastonato tra le labbra rosse.
Mi inebetisco irreversibilmente. «Ehm... Cioè, sì».
«Lo sapevo, sapevo di non essere l’unico inglese presente stasera a questa strana festa! - esclama con un fremito di gioia - Ad ogni modo, io sono Jude. Jude Law» mi tende la mano.
Ho in corpo una voglia selvaggia di saltargli addosso urlando: lo so!, ma invece mi limito ad una normale presentazione. «Nina Mills», rispondo accettando la stretta.
«E dimmi un po’, Nina Mills, da dove vieni di preciso?».
«Londra. Sono una tua concittadina» rispondo. Va bene, le ultime quattro parole le penso solamente.
«Allora siamo concittadini» continua con lo stesso tono entusiasta e lo stesso sorriso.
Mi è abbastanza vicino da permettere al mio naso di respirare il suo profumo, che sale dritto in direzione del cervello, inebriandolo.
«E’ un Dior» dico a me stessa.
«Come scusa?».
«No, niente... Voglio dire, il tuo profumo... E’ un Dior, giusto?».
«Esattamente. Come fai a saperlo?».
Mi sposto i capelli dal viso. «Sono commessa in una profumeria» rispondo semplicemente.
«Bello» commenta.
Sorrido al cielo blu notte, sarcastica. «Certo, come no».
«Non ti piace il tuo lavoro?». Ha un modo così gentile di parlare e rivolgere domande che mi viene naturale rispondergli.
«Sì che mi piace, ma sicuramente fare l’attore è di gran lunga meglio».
Solo dopo aver richiuso bocca, mi rendo conto di ciò che ho detto e avverto subito un’improvvisa quanto irresistibile voglia di sprofondare. Non posso averlo detto sul serio.
Jude sorride ancora, bonariamente, spontaneamente e in modo incredibilmente sexy. «Non mi lamento, il mio lavoro mi soddisfa, ma a volte penso che se avessi trovato impiego in una profumeria non avrei sicuramente fatto una scelta sbagliata».
Cala il silenzio. Sono troppo imbarazzata per dire qualcos’altro e incomincio a tamburellare con le dita sulla fredda pietra grigia, pensando a qualcosa di carino o intelligente da dire per salvare quella surreale conversazione con quel surreale attore in quel surreale momento.
«E cosa stai facendo qui?» domandiamo all’unisono. Ci sorridiamo e abbassiamo per un istante lo sguardo, io imbarazzatissima, lui non lo so.
«Prima le signore» mi esorta.
«Ho seguito la mia migliore amica in questo suo folle progetto di iniziare qui il nuovo anno. Sostiene che magari, per questo motivo, il Duemiladodici possa essere un anno diverso. E tu?».
«Lavoro. Ieri abbiamo sospeso le riprese di un nuovo film e le riprenderemo fra qualche giorno. Avrei dovuto far ritorno in Inghilterra, però ho ricevuto l’invito per venire qui ed ho pensato che non sarebbe stato male rimanere. Peccato solo che questa “serata esclusiva” - parafrasa con le dita - sia quasi un totale fallimento. O almeno questo è ciò che pensavo prima di incontrare la bella ragazza con le spalle al muro che lisciava il suo bel vestito».
«Che fai? Mi spii?» esclamo sorridendo, malgrado sento le guance prendere fuoco e tingersi di rosso.
«Affatto, mi è capitato di notare qualcuno che si stava divertendo quanto me e non ho potuto evitare di osservarne il comportamento» replica facendo spallucce.
«A casa mia questo comportamento si chiama ‘essere poco indiscreti e spioni’», provo ad essere seria, ma non ci riesco e rido.
Anche lui ride. «Penso che mia madre direbbe la stessa cosa».
Il cellulare dentro la borsetta vibra, lo estraggo e accetto la chiamata.
«Scusami un attimo. - sussurro a Jude, che mi fa cenno di non preoccuparmi - Pronto?».
«Tu!».
Sorrido: è Winnie, mia sorella.
Parliamo per poco tempo, ma sono distratta perché non riesco a pensare ad altro se non che ho Jude Law, quel Jude Law, accanto a me, e che sento il suo sguardo fisso sul mio viso.
«Era il tuo fidanzato?» domanda prontamente non appena riattacco.
«Impiccione!» lo rimprovero mostrandomi falsamente arrabbiata.
Finge di non sentirmi. «Sei fidanzata?».
«Se ti dicessi di sì?».
«Semplice: ti risponderei che non sono geloso».
Quell’affermazione ha la capacità di spiazzarmi per un secondo.
«E se invece fosse il contrario?».
«Neanche io sono in compagnia, al momento».
Lo guardo confusa, non capendo bene dove voglia andare a parare. So solo che mi ha, in un certo senso, incastrata.
Il flusso di pensieri viene interrotto da un vociare alto ed eccitato che proviene dall’interno. Jude sposta lo sguardo da me all’orologio che porta al polso; «Mancano due minuti alla mezzanotte» mi informa.
«Due minuti e anche quest’anno diverrà ‘passato’».
«Buoni propositi per l’anno nuovo?».
Ci penso per qualche momento. «Niente di particolare. E tu?».
«Neppure io. Saranno ere che ho smesso di prefiggermi dei buoni propositi».
Restiamo in silenzio per il tempo che segue, fino a quando dalla sala interna si ode il conto alla rovescia degli ultimi dieci secondi.
«A un Duemiladodici ricco di cose belle. Sperando sempre che la profezia dei Maya non sia vera... Comunque sia, sono contento di averti conosciuta stasera, Nina Mills».
Potrei sciogliermi, ma tento di resistere.
«Anch’io sono contenta di averti conosciuto, Jude Law, non sai quanto».
«Tre.. Due... Uno... Buon anno!».
Uno Gennaio Duemiladodici.
Inspiro profondamente, come per la prima volta, come volessi assaporare l’inizio di questa nuova serie di trecentosessantacinque giorni.
«Guarda», Jude mi indica la distesa del cielo di fronte a noi.
Poco più sopra delle nostre teste un grandioso spettacolo ha inizio.
Chiazze di colore sono sparse ovunque, grandi e piccole, vicine e lontane, rosse, verdi, arancioni, fucsia, con scintillii e vortici, veloci come razzi, più o meno rumorose.
Come una bambina, rimango imbambolata nel vedere i fuochi d’artificio colorare il cielo parigino, che è così grande, bello, freddo e trapunto di stelle come mai in nessun altro dei luoghi che ho visitato in tutta la mia vita finora.
«Andiamo!» esclama Jude prendendomi per mano e trascinandomi via dal muretto mentre comincia a correre.
«Dove?».
«A fare baldoria giù in strada».
Faccio uno sforzo non indifferente per fermarmi e riuscire a fargli altrettanto, quando siamo già fuori dalla sala dorata.
«E se qualcuno ti riconoscesse?» chiedo.
«Beh, è Capodanno. A chi vuoi che importi la presenza di uno stupido attore inglese qualunque?».
Sorrido. «Forza!» ordino; stavolta sono io correre davanti a lui.
E poco ci importa di dover scendere a piedi quelle lunghe rampe di scale che sembrano non finire mai, in breve tempo siamo già immersi nella folla di parigini festosi e festeggianti che cantano, ballano e ridono come matti, proprio come me e lo stupido attore inglese qualunque che ho avuto la fortuna di incontrare.
In altre occasioni, magari mi sarebbe venuta una crisi di panico vista che la calca è talmente immensa e sterminata che respiro appena e sono spinta da ogni parte, ma adesso sto bene e non ho problemi a farmi trascinare dalla gente chissà dove durante la notte più straordinaria della mia vita.
«Tutto a posto?». Sicuramente sta urlando, ma fra tutta quella confusione la voce del mio accompagnatore suona come un sussurro.
«Come mai in tutti questi anni» urlo anche io ed ottengo lo stesso effetto.
Lo guardo e mi perdo nei suoi occhi. Vederli attraverso lo schermo del televisore mi aveva sempre fatto un certo effetto, ma averli lì, proprio davanti, è tutta un’altra cosa.
La folla è tale che gli sto praticamente addosso e i nostri petti si toccano. Sento il suo respiro fra i miei capelli, mentre mi sussurra all’orecchio: «Andiamo verso il fiume, ti va?».
Annuisco, sperando che presso il lungofiume ci sia più calma.
Fra spintoni e scuse, riusciamo a liberarci e a prendere finalmente un po’ di respiro. La strada che abbiamo appena imboccato è più tranquilla, meno affollata rispetto alla via principale, e Jude cammina tranquillo, sicuro come se sapesse dove andare.
«Non è la prima volta che visito Parigi» spiega.
Lo guardo sbigottita. «Mi leggi pure nel pensiero, adesso?».
«A quanto pare, - si gratta il mento - non riesco proprio a farmi gli affari miei stasera» ride.
Camminiamo fra viuzze piccole e poco illuminate, e ogni tanto ci capita pure di incontrare qualche ubriaco che borbotta qualcosa brandendo una bottiglia di vino in mano, ma la sicurezza con cui l’uomo al mio fianco si muove mi tranquillizza.
Una piccola e incontrollata parte del mio cervello dice che potrebbe accadere di tutto stanotte e che io dovrei giocare le mie carte, ma un’altra parte la smentisce subito dicendo che invece non dovrà accadere niente di cui potrei pentirmi o per cui potrei stare male: ed io sono più propensa a dare ascolto a quest’ultima.
Jude si ferma all’improvviso, schierandosi di fronte a me. «Madame, ecco a Voi la Senna» annuncia, spostandosi, con fare teatrale e con un gesto della mano, per consentirmi di vedere. «Non sarà il nostro Tamigi, però…».
«Ha il suo fascino» completo.
«Esattamente» mormora, e dalla sua voce mi sembra di capire che sia leggermente sorpreso per il fatto che io abbia finito ciò che stava per dire.
Sento il suo sguardo addosso, ma - forse per codardia - non ricambio, restando a fissare il fiume.
La zona è quasi deserta e siamo parecchio lontani dal centro, eppure la Tour Eiffel continua a dominare l’orizzonte, avida di mostrarsi in tutta la sua bellezza e la sua luminosità. Penso che se fossi stata più vicina, non avrebbe sicuramente avuto lo stesso effetto di felicità che mi sta infondendo.
Tutto intorno regna il silenzio e, tendendo l’orecchio, riesco a sentire il suono dell’acqua che scorre lenta e placida, oltre alla musica di un concerto che si sta tenendo da qualche parte, lontano.
D’un tratto rabbrividisco. Quella contemplazione silenziosa ed estatica viene interrotta nel momento in cui mi rendo conto del fatto che le dita della mia mano sono ancora intrecciate a quelle del Law.
Abbasso il capo e guardo quell’unione di mani, mentre sento il sangue ribollirmi all’altezza delle guance e dietro le orecchie.
Evidentemente anche Jude si accorge della stessa cosa, come penso non appena sento che la sua mano lascia bruscamente la mia.
«Vino, champagne o birra?» chiede, con voce naturalissima. Tuttavia, il fatto che non mi guarda, cercando di evitare i miei occhi, in questo momento, mi insospettisce.
«Birra; ne ho abbastanza del vino per stasera».
«Non potrei essere più d’accordo» sentenzia e mi rivolge un inchino, per poi allontanarsi verso una di quelle strette vie.
Vado a sedermi sulla panchina che ho adocchiato prima, pensierosa.
E’ successo tutto troppo improvvisamente, penso con la testa fra le mani, troppo velocemente per consentirmi di fermarmi un attimo e rendermi conto bene di quello che mi sta capitando.
Jude non impiega molto a tornare. «Avevano finito le bionde e ho preso due rosse, è lo stesso?».
«Non fa differenza», prendo la bottiglia che mi porge.
Mi si siede accanto, si volta dalla mia parte e, mentre alza la bottiglia color ambra, sorride: «Propongo un brindisi. A te».
«A te» auguro, facendo sbattere la mia bottiglia contro la sua.
Pazienza, dovrò accontentarmi di bere direttamente dalla bottiglia, penso mio malgrado.
Dopo aver bevuto a più riprese, parliamo del più e del meno, contemplando soprattutto quella città. Ma alla fine, una volta esserci resi conto del fatto che fossero già quasi le quattro del mattino - «E’ proprio vero che il tempo trascorre in fretta quando stai bene!» ha esclamato -, decidiamo di avviarci in direzione dell’hotel dove ci siamo incontrati e dove io alloggio, mettendoci segretamente e silenziosamente d’accordo sul camminare lentamente e con molta calma.
Passeggiamo a braccetto nella città in dormiveglia , ridendo e scherzando e raccontandoci qualche storia di viaggi passati, idee future e aneddoti divertenti, come fossimo amici di vecchia data.
«E’ strano, non ti sembra?» domanda ad un tratto, ormai giunti alla fine, quasi in prossimità dell’albergo.
«Cosa?». Con quale coraggio posso fare una domanda simile?
«Beh, questo. Cioè, io e te... Qui... A Parigi... Aspetta, aspetta! Non intendo... Non volevo dire che noi... Non si finirà a letto, ecco. Oppure sì, perché tu sei... Cielo, che diamine sto dicendo?!».
Vederlo in questo modo mi fa morire dal ridere.
«No, no. Continua, ti prego» lo esorto riuscendo a smettere di ridere per un attimo soltanto.
«Credo che l’alcool abbia cominciato a scoppio ritardato il suo effetto. - biascica, chiaramente imbarazzato - Mi dispiace».
Sorrido, un po’ mesta, forse.
«Ehi, non c’è problema. Tra qualche ora ti sveglierai nel tuo bel letto nella tua bella suite, con un leggero capogiro e completamente dimentico di quello che è stato stanotte».
Amara verità. Accettare il senso di queste parole è come bere un short di arsenico e cianuro.
«Eh no, non è vero! Io ricordo sempre tutte le persone che mi fanno stare bene, Nina Mills, tutte. E tu non sei certo esclusa».
Mi lusinga, ma non riesco a trovare nulla da dire e me ne sto zitta.
E poi mi bacia.
Inaspettatamente, improvvisamente, dolcemente, spettacolarmente.
Ho l’impressione di trovarmi in un film. E’ questo il ‘magico potere’ degli attori?
E’ un bacio leggero e delicato, innocente, quel genere di gesti che ti colgono di sorpresa e che ti lasciano dentro una tenerezza infinita, scaldandoti il petto all’altezza del cuore.
Quando si allontana, lo ammetto, vorrei che fosse durato un po’ di più.
Ci guardiamo, il mio color nocciola con il suo cielo, con due sorrisi imbarazzati in viso.
Jude scrolla le spalle, allegro. «Che sarà? - domanda retoricamente - Sarà Parigi».
«Oppure sarà questa notte» ipotizzo.
«O ancora, - si avvicina al mio orecchio - sarà che sei la donna più interessante che abbia mai incontrato».
Restiamo stretti per qualche istante, con me che affondo la testa tra la sua spalla e il suo collo.
Sappiamo entrambi che la serata è arrivata al termine, e non ha più alcun senso cercare di rimandare la fine.
Lui sta per tornare al suo mondo fatto di film, feste esclusive e gossip, ed io al mio mondo di lavoro, sogni e cose semplici.
«Sono onorata di aver passato del tempo con te, Law. Non l’avrei mai immaginato, ma ne sono felicissima».
Mi sposta una ciocca di capelli che mi ricade lungo la guancia e fa per avvicinarmisi di nuovo, però stavolta sono io a precederlo e poggio le mie labbra sulle sue.
Ci stacchiamo piano, più contenti che altro, e non c’è bisogno di aggiungere niente: lascio la sua mano e mi avvio verso l’ingresso a passo svelto, prima che possa cambiare idea.
Sarah mi darà sicuramente della deficiente, qualora si decidesse a credere ad una storia simile. Se mai gliela racconterò, però.
Entro e, nel chiudermi alle spalle la porta a vetri, lo vedo ancora lì.
«Buon anno» sillaba.
Ricambio l’augurio e lo saluto con un cenno della mano.
Lui, invece, mima di mandarmi un bacio, indugia per poco a guardami, alza gli occhi al cielo e se ne va, stringendosi nel pesante cappotto.
Non so se ci incontreremo ancora, ma sono più propensa a ritenere che non ci sarà una seconda volta.
Non piangere perché è finito, sorridi perché c’è stato, potrebbe dire qualcuno.
Ed io sorrido, anzi, rido proprio.



We wish you a Merry Christmas, we wish you a Merry Christmas... :D

Buonsalve! :)
Cos'è questa storia? Non lo so nemmeno io, guardate un po'.
L'ho scritta in un momento di noia assoluta durante una festicciola tra adulti in cui conoscevo nessuno... E boh, non ho nient'altro da dire.
Se non che mi piace da morire Jude Law :Q__
Sfido chiunque a dirmi che l'aveva intuito xD
Vabbò, tolgo il disturbo...

Ringrazio chi si prenderà la briga anche solo di aprire la pagina per pura curiosità e vi auguro delle buone feste :D
Alan
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Altri attori/film / Vai alla pagina dell'autore: Aine Walsh