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Autore: hiromi_chan    22/12/2011    6 recensioni
Un ragazzo alla ricerca di se stesso, un viaggio alla scoperta dell'amore tra passato, presente e futuro.
"Senti deficiente, io ti conosco...dove cavolo ti ho già visto?"
[SpainxRomano][accenni FrUk]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte, Antonio non dormì neanche per un minuto.

Senza sapere se aveva Lovino tra le sue braccia o se era lui a stare tra le braccia di Lovino, lì, nel letto piccolo piccolo e caldo, sarebbe stato uno spreco dormire.

Dalle coperte spuntavano appena le loro teste, visibili dal naso in su, come se le bocche avessero dovuto rimanere nascoste sotto il piumone insieme al resto dei dolci segreti.

Erano state delle ore tutte loro, quelle. Dedicate ad Antonio e Lovino, possedute da loro, destinate a loro, e, qualunque cosa sarebbe successa adesso, quel ricordo sarebbe appartenuto ai due ragazzi per sempre e nessuno avrebbe potuto portarlo via.

Era questo che pensava lo spagnolo, mentre piano soffiava sui capelli dell'altro, per divertirsi a vederli ondeggiare. Lovino dormiva; l'espressione rilassata e serena che poteva sfoderare solo nel sonno era la cosa più appagante che Antonio avesse mai visto. E poi c'era il suo respiro, finalmente calmo e non più spezzato o bagnato di tristezza, che gli faceva alzare e abbassare il torace nella danza più dolce del mondo. Ogni tanto Antonio sbirciava furtivo sotto le coperte per bearsi di quello spettacolo, e allora si ravvedeva anche delle loro gambe intrecciate. Poi c'erano le mani, alle quali non restava altro che rimanere affondate tra le spalle dell'uno e fianchi dell'altro, perchè tutto ciò che avevano potuto, avevano già cercato.

Come poteva Antonio dormire quando c'era così tanto da vedere?

Così tanto ancora da sfiorare, abbracciare, stringere forte ma sempre con attenzione, cercando di evitare di svegliare Lovino.

Innanzitutto, perchè Antonio non era molto sicuro che Lovino gli avrebbe permesso di fissarlo così a lungo, da sveglio, né di tenerlo allacciato a sé per troppo tempo.

Ne aveva avuto conferma durante la loro lunga notte, quando ogni tanto il più giovane, nei momenti più intensi in cui anche le tende della finestra si sarebbero messe a cantare inni in lode alla passione, quando Antonio era sul punto di giurargli amore eterno e magari anche di chiedergli di sposarlo, insomma proprio in quei momenti lì, Lovino gli aveva tappato la bocca con la mano, spingendogli la testa lontano dalla sua.

Antonio non aveva saputo se mettersi a ridere o a piangere per quella sua infinita caparbietà; certo la tentazione di scoppiare in lacrime prevalse quando Lovino, con una specie di gancio sinistro diretto sotto il mento, lo spinse così in là da fargli sbattere forte la testa contro la spalliera del letto.

More e bernoccoli non sarebbero mai mancate con lui, sia in guerra che in amore.

Ma quello era il loro modo disfunzionale di far funzionare le cose, e se poi ogni volta che Lovino lo allontanava, subito dopo tornava a cercare Antonio e gli allacciava le braccia al collo, allora lo spagnolo non osava chiedere di più.

Nemmeno era capace di immaginarsi qualcosa di meglio, né avrebbe voluto che il suo Lovino cambiasse di una virgola. Qualche volta, doveva ammetterlo, desiderava che fosse un po' più dolce nei suoi confronti. Ma le sue tenerezze nascoste, i sorrisi più sinceri appena accennati, la luce che gli inumidiva gli occhi quando non diceva nulla, significavano tutto, e non servivano le parole per capire che anche Lovino lo amava.

Che si amavano a vicenda, che lo sapevano entrambi.

Per tutto questo, alzarsi dal letto fu una sorta di dolore fisico per Antonio. Indugiò ancora un attimo sul profilo dell'altro, avvicinandosi piano piano fino a che non li divisero solo pochi millimetri. Si fermò lì, le labbra all'altezza del suo naso. Immaginare di posarle sulla sua pelle ancora una volta fu facile, visto che conservava tutti i sapori e i profumi della notte appena trascorsa.

Però non fece nulla e si allontanò in punta di piedi dal letto, sforzandosi per reprimere un mugolio di tristezza. Sulla soglia della stanza di Lovino, Antonio si morse forte le labbra e chiuse gli occhi, inspirando, per impedirsi di tornare indietro.

Se l'avesse svegliato anche solo per dargli il buon giorno, o se avesse voluto parlargli per l'ultima volta, per paura di dovergli dire addio, poi non sarebbe riuscito a staccarsi veramente da lui, lo sapeva.

Tuttavia sapeva anche che Lovino aveva sempre sofferto perchè lui era uscito dalla sua vita senza dirgli nulla, e di conseguenza, si sentiva malissimo all'idea di andarsene per davvero anche sta volta.

Per darsi coraggio, Antonio pensò che infondo non c'era niente da temere dato che sarebbe certamente tornato da Lovino, alla fine, che ci avrebbe messo anima e corpo per non lasciarlo.

Non lo lascio” mormorò, muovendosi come uno spettro nel corridoio, “non lo lascio”.

Quella frase era il suo mantra da ripetere all'infinito, e più lo faceva più si rendeva conto che la potenza delle sue parole corrispondeva a quella delle intenzioni.

Non lo lo lascio, e rischio tutto” disse, e aprì appena la porta della stanza di Feliciano.

Avrebbe voluto fare da solo, senza coinvolgere nessuno dei due fratelli. Ma la verità era che non conosceva esattamente il modo per mettersi in contatto di nuovo con Francis; certo, sapeva dove abitava, ma tornare lì era pericoloso perchè sicuramente ci sarebbe stato anche Arthur Kirkland (Kirkland, il patito di magia nera, lo stesso che mai era andato d'accordo con lui e che una volta gli aveva morso il braccio, lasciando una cicatrice che Antonio ancora aveva).

Non restava dunque che telefonare a Francis, e quello si poteva fare, visto che l'amico l'ultima volta gli aveva lasciato...com'era che si chiamava? Il suo i-phone.

Sarebbe stata la soluzione perfetta, se solo Antonio avesse avuto la vaga idea di come usare quell'oggetto.

Lo spagnolo aveva quindi pensato di chiedere aiuto a Feliciano.

Si fidava di lui, del simpatico e gioviale minore dei fratelli Vargas. Infondo, fino a quel momento si era rivelato davvero un elemento fondamentale: aveva sbloccato più di una volta la situazione tra lui e Lovino, e l'aveva fatto con la sua sincerità e il suo candore tutto speciale. Sorridendo tra sé, Antonio si chiese se il ragazzo avesse la vaga idea della sua importanza in tutta quella vicenda. Magari non ce l'aveva, però di sicuro non era uno sprovveduto, o almeno non lo era così tanto come dava a vedere.

Permesso...” bisbigliò Antonio, sbirciando all'interno della sua stanza, l'ultima infondo al corridoio.

Non arrivò alcuna risposta, e bastò una rapida occhiata per realizzare che Feliciano non c'era. Con una punta di sconforto, lo spagnolo pensò che in effetti era il primo giorno dell'anno nuovo, e che magari Feliciano fosse andato da qualche parte la sera prima e non fosse ancora tornato.

Anziché andarsene subito, però, Antonio si concesse qualche secondo per curiosare in quell'ambiente, che, un po' inaspettatamente, trovava un pochino troppo colorato perfino per i suoi gusti.

Non c'erano libri sparsi sul pavimento né vestiti piegati sulla scrivania come nella stanza di Lovino; in realtà non c'era nulla che fosse fuori posto, ma qualcosa faceva sembrare la camera più piccola di quanto in realtà non fosse: i muri erano quasi completamente ricoperti di foto.

Anche rimanendo sull'uscio, Antonio avvistò subito i ciuffi dei due fratelli spuntare nelle immagini, che li ritraevano a tutte le età, da soli o insieme a molte facce a lui sconosciute. Forse erano tutti amici loro, a giudicare dai visi giovani e sorridenti ritratti nelle foto. Lo spagnolo notò che spesso si ripeteva il volto di un ragazzo dai capelli biondi e dalla carnagione chiara, su cui spiccavano due occhi di un azzurro potente.

Questo particolare lo incuriosì, e già stava per avvicinarsi per poter esaminare quella figura che, in qualche modo, gli ricordava qualcuno, ma...

Qualcosa catturò la sua attenzione non appena ebbe fatto due passi all'interno della camera, qualcosa che ebbe il potere che fargli provare un forte senso di vuoto che dallo stomaco salì fino alla punta della testa.

C'era un angolo del muro, davanti a lui, in cui apparivano foto con gli stessi soggetti: i due fratelli, ancora molto piccoli, insieme a un uomo sorridente, oppure lo stesso uomo da solo, o l'uomo accompagnato da un ragazzo che teneva per mano una donna.

Il dettaglio curioso era che i capelli di tutti fossero di varie tonalità di castano molto simili tra loro, e che strani ciuffetti ricci spuntavano da tutte le loro teste, tranne che da quella della donna.

Era la famiglia Vargas.

C'era una somiglianza impressionante e innegabile tra i componenti maschili del gruppo. L'uomo più anziano, che Antonio riconobbe come nonno Vargas, sfoderava spesso un ghigno incredibilmente simile al sorrisetto sghembo che faceva Lovino quando lo prendeva in giro; lo stesso che spuntava sempre sul volto dell'altro uomo ritratto insieme a loro, che non poteva essere altri se non il figlio di nonno Vargas. La donna dai capelli color miele scuro e dagli occhi verdi doveva dunque essere la madre di Lovino e Feliciano. Aveva un'espressione molto dolce che ricordava quella del figlio più piccolo, spesso da lei tenuto in braccio nelle immagini.

Se ne stavano così, vicini tra loro e sorridevano tutti, anche il piccolo Lovino, tra una smorfietta e l'altra. Erano bellissimi, e lo sarebbero rimasti per sempre, almeno in quelle foto.

Solo in quelle foto però, perchè ormai nulla di tutto questo sarebbe più potuto succedere. I componenti più anziani della famiglia erano morti tutti, e quelli che Antonio stava ammirando non erano altro che ricordi che risiedevano da qualche parte nel passato dei due fratelli.

Mi dispiace” disse ad alta voce, andando inconsapevolmente ad accarezzare con l'indice la testolina di Lovino, raffigurato in uno scatto tra le possenti braccia del nonno.

Quell'uomo...quell'uomo era un po' come se Antonio lo conoscesse.

Aveva tanto sentito parlare di lui da Lovino, l'aveva persino visto nel corso dei suoi viaggi nel tempo. Gli era sembrata una persona molto forte, tanto che quando aveva saputo della sua scomparsa, gli era rimasto difficile accettare che persino uno come lui potesse morire.

Nonno Vargas...” bisbigliò, perso trai suoi pensieri.

Se tu fossi stato vivo, magari con gli anni avresti potuto chiarire le incomprensioni che c'erano con tuo nipote”

Con un sorriso amaro, Antonio assottigliò gli occhi per mettere meglio a fuoco il viso aperto e sicuro del capo famiglia dei Vargas. Una strana forza teneva il suo sguardo incollato su di lui con insistenza, mentre lo assaliva una curiosità sempre più crescente verso la sua figura.

Chissà se aveva mai capito le ragioni del malessere di Lovino, chissà che tipo era stato davvero...chissà che fine aveva fatto.

Ho la sensazione che tu sia stato un brav'uomo...non eri...morto durante un salvataggio, aveva detto Lovino?”

La risposta arrivò da sola: in quel preciso momento, Antonio notò l'angolo di un foglio di carta che sbucava da dietro l'immagine che stava guardando.

Subito seppe che doveva vedere.

Piano, tirò fuori quel frammento nascosto da Feliciano sotto la foto, un po' come qualcosa che si nasconde dentro il proprio cuore; era un ritaglio di giornale, un piccolo trafiletto rettangolare senza alcuna immagine. La stampa era ormai quasi ingiallita e le parole erano di colore grigio opaco. La carta era consumata e frastagliata...quasi come fosse stata bagnata e poi asciugata, quasi come se...qualcuno ci avesse pianto sopra.

Incidente al centro commerciale” lesse Antonio, scandendo le parole, sentendole distanti una vita intera da lui. Eppure...eppure che cos'era quel tonfo, quel battito del cuore che iniziava a risuonargli dentro come una marcia, in modo sempre più frenetico?

Scoppia un incendio, opera di un piromane...”

E la sua voce suonava quasi come se non fosse la sua, adesso, quasi come se stesse leggendo un'altra persona. Perché altrimenti non sarebbe stato possibile che quella fosse stata proprio la sua voce, no; non una voce così grave, tanto spaventata nella sua freddezza.

Muore il vigile del fuoco...”

Invece era proprio così.

Il vigile del fuoco Romano Vargas durante...”

Innegabile che fosse così.

Durante il salvataggio di...”

Innegabile perchè proprio lui, Antonio, era stato testimone di tutto.

Il ritaglio di giornale scivolò via tra le dita dello spagnolo, vorticando piano, e prima che arrivasse a toccare terra, tante immagini e tante voci si ammassarono nella sua testa a un tempo solo: la feritoia sempre più stretta, la luce, il tintinnio...l'uomo, la mano, le sue mani...e i suoi sogni, tutti i sogni che aveva sempre fatto fino a quel momento, quegli stessi sogni che gli impedivano di dormire bene durante la notte, uno dei quali l'aveva buttato giù dal sedile del treno quando aveva visto Lovino da piccolo...non erano mai stati sogni: erano quei ricordi che lui aveva sepolto, che si era sforzato di nascondere, che avevano sempre fatto pressione per tornare a galla...

E ostinatamente, li aveva tenuti lontano da sé, nella parte più profonda della sua persona, semplicemente perchè...erano troppo. Troppo da sopportare.

Francis” boccheggiò Antonio.

Chiamare Francis. Immediatamente.

Ma le mani non stavano ferme, gli tremavano senza controllo, e per evitare a se stesso di correre in camera di Lovino o di mettersi a urlare come un animale, lo spagnolo si forzò a scendere le scale per poter uscire in giardino.

Muoversi fu assurdo, come se in effetti non sentisse i propri piedi toccare terra. Niente rimaneva di concreto se non una grande confusione, e il sudore freddo che gocciolava senza pietà dalla sua fronte. Antonio fu fuori senza neanche realizzarlo sul serio.

Solo quando una folata di gelido vento mattutino lo fece rabbrividire, trovò la spinta per estrarre dalla tasca quel telefono.

Iniziò a rigirarselo tra le mani come un disperato, toccando e spingendo ogni angolo. Le dita non volevano saperne di rimanere salde, erano diventate come rigidi pezzi di legno, tanto che Antonio fece cadere quella cosa più di una volta, con sommo terrore di averla rotta. Alla fine, chissà come, vide sullo schermo illuminarsi la parola “Casa”. Con il sangue gelato che gli ghiacciava le vene, si portò il telefono all'orecchio, in attesa di un risvolto, uno qualunque, sentendosi prossimo alla perdita dei sensi.

Dopo appena uno squillo, una voce rispose, permettendogli di uscire dall'apnea nella quale era involontariamente entrato.

Pronto?”

Una voce roca e conosciuta e amata e francese.

Pronto, chi...Antonio?”

Il ragazzo annuì con la testa come un bambino.

Antonio, sei tu, vero? Dieu, aspettavo la tua chiamata dal momento in cui ci siamo separati” bisbigliò in fretta Francis. “Dimmi qualcosa, Antonio...perchè non dici niente? Sono io, sono Francis...non avere paura”

Francis” disse meccanicamente Antonio.

Avrebbe voluto fargli capire quello che stava succedendo, quello che aveva scoperto, il mistero di cui forse stava venendo a capo, e fargli sapere tutta la paura inspiegabile che lo stava attanagliando e la marea di sensazioni incomprensibili che provava, ma...

L'incidente che non ricordo...è stato un incidente in ascensore, vero?” furono le parole che uscirono dalla sua bocca.

Esprimere ad alta voce quel pensiero che vagava nella sua testa senza farsi notare già da un po', fu come darsi una pugnalata da solo.

Francis rimase in silenzio per qualche secondo, permettendo al fiume di parole che saliva alle labbra di Antonio di defluire liberamente.

Io non ho mai ricordato nulla di cosa fosse successo quella volta con Gilbert, mai nulla. Quando mi risvegliai all'ospedale, fosti tu a riferirmi tutto quello che ti avevano detto i dottori...di come si fosse trattato di un incidente in auto...ma non è possibile questo, non è possibile, Francis...perchè ho ricordato cosa fosse successo prima, io e Gilbert e il tuo pranzo e il cappello e...eravamo a piedi, Francis. Niente macchina. Niente incidente d'auto.”

Com'era possibile che il suo tono di voce fosse così piatto in un momento del genere? Antonio si stava sentendo morire, sia per quello che aveva capito, sia per quello che, lo sapeva, rimaneva a Francis da chiarirgli.

Non muoverti di lì” fu la funerea risposta dell'amico, quasi se la sua voce fosse venuta fuori dall'oltretomba. “Ti trovi ancora nella casa in cui sono venuto l'altra volta, vero?”

Antonio annuì, inutilmente.

Prendo il tuo silenzio come una risposta affermativa. Arrivo in un minuto”

E quel minuto sembrò lungo come un'ora. Quasi un tempo dilatato e interminabile durante il quale Antonio rimase con l'oggetto consegnatogli da Francis premuto contro l'orecchio destro, e la sua mano a tappare l'orecchio sinistro. Sperava così di concentrarsi, di ricordare quello che ancora gli sfuggiva, in un infantile tentativo di impedire a tutti i suoi ragionamenti di uscirgli dal cervello. In realtà l'unica cosa per cui pregò fu solo che Lovino continuasse a dormire a lungo, lassù in camera sua.

Alla fine Francis arrivò, un fulmine biondo che si fermò di botto solo quando gli fu davanti. Sembrava stanco più che mai con quell'espressione gravissima sul volto, che niente aveva a che fare con lo sguardo frivolo del suo compagno di ventisei anni.

Non credo che la claustrofobia si scateni senza un motivo” fu il saluto incerto che gli riservò Antonio. “L'unico che adesso mi viene in mente, ha a che fare con una brutta esperienza avvenuta in luogo tanto piccolo e stretto da farmi maturare la repulsione per posti simili...come un ascensore”

Gli occhi di Francis si inumidirono immediatamente, e un sospiro pesante gli sfuggì dalle labbra, prima che lo bloccasse portandosi una mano sul viso.

Io...non avrei mai voluto tenerti nascosta la verità, Antonio” disse, e suonò di una tristezza infinita.

Lo spagnolo non sapeva cosa pensare. Più che altro, in quel momento si sentiva quasi come un contenitore vuoto, e non gli rimaneva altro che restare ad ascoltare.

I...i dottori mi dissero che sembrava tu non ricordassi più nulla al tuo risveglio, dopo l'incidente...capisci? Eri in uno stato di shock molto forte, sembrava che tu non sapessi assolutamente cosa fosse successo. Mi dissero che probabilmente era una reazione del tuo subconscio...”

Quindi l'incidente e poi lo shock. E così da allora non aveva ricordato più nulla.

Arrivare a dimenticare tutto, una sorta di protezione imposta da te stesso, per te stesso...” continuava intanto Francis, senza guardarlo negli occhi. Sentendosi forse, e neanche tanto velatamente, colpevole per non aver parlato prima.

Fui consigliato dai medici di far passare un po' di tempo, assecondando quella tua condizione per evitarti uno shock irreparabile. Ma poi tu...” a questo punto il discorso di Francis si fece denso di panico.

Il tempo è passato e tu continuavi a non ricordare assolutamente nulla, e mi dissero che non sarebbe servito a niente forzarti, perchè probabilmente il tuo cervello non avrebbe accettato comunque che Gilbert...” e qui la sua voce si incrinò notevolmente, e l'immagine dell'amico comune galleggiò per un momento nell'aria, una presenza quasi concreta tra loro.

...tu non avresti comunque mai accettato che Gilbert fosse morto lì davanti a te”

E' una cosa che ha continuato a tormentarmi comunque” disse Antonio, ostentando un sorriso molto falso.

Parlava in modo innaturalmente tranquillo, cosa che dovette allarmare subito Francis. L'uomo infatti alzò la testa, guardandolo ora negli occhi come si guarda una specie di morto che cammina.

Chissà che faccia doveva avere adesso, Antonio. Ma era la cosa che gli importava di meno in quel momento in cui non voleva che esternare tutto, tirare fuori tutto, pur sentendosi inspiegabilmente bloccato...quasi anestetizzato dai propri sensi.

Sono stato un idiota pazzesco” disse lo spagnolo, quasi come se volesse scusarsi, “ho fatto tutto senza rendermene conto e poi alla fine non è servito a niente, perchè ho continuato a soffrire dentro di me per un qualcosa che non sapevo...sentendomi perso senza capire il perchè...e così ho complicato la vita anche a te. Amico mio, perdonami”

A quel punto Francis cedette, e si buttò tra le braccia di Antonio come aveva fatto l'altra volta quando si erano rivisti proprio lì, davanti all'ingresso di casa Vargas. La sua schiena era scossa da violenti singhiozzi, ma per qualche attimo non disse neanche una parola. Se ne avesse avuto la forza, Antonio l'avrebbe abbracciato forte.

Ma adesso non riusciva a fare assolutamente nulla, e le braccia gli ricadevano a penzoloni sui fianchi, quasi fossero una parte staccata dal suo corpo.

Tu...tu mi ch...chiedi scusa?” disse il francese. “Sono io, io che devo scusarmi...per...per averti dovuto mentire così”

Non potevi fare diversamente” fu la rassegnata risposta di Antonio.

Solo, vorrei sapere una cosa ancora” continuò.

E c'era una vera lotta dentro di lui in quegli istanti, tra il voler sapere e il voler scappare, tra il mettersi a gridare e il rimanere sano, tra la rabbia e il dolore, tra la fede e la disperazione.

Senza alcuna pietà verso se stesso, pensò solo a Lovino quando chiese:

Dimmi...era rimasto coinvolto anche...un vigile del fuoco?”

La terra mancò improvvisamente sotto i piedi di Antonio.

L'aveva appena detto davvero? Come aveva fatto a pensarlo...dove aveva trovato la forza per dirlo?

Francis si staccò da lui, guardandolo con serietà e dispiacere e qualcos'altro che forse era dubbio, timore, sconcerto.

Sì...quell'uomo...la persona giusta al momento giusto” ammise Francis con dolore. “Se non ci fosse stato lui, probabilmente ora tu non saresti qui. Però non so dirti molto, perchè nessuno seppe con precisione cosa fosse successo. Solo...solo tu puoi saperlo, Antonio. Solo tu puoi sapere cosa sia successo esattamente...il 28 Dicembre 1995, durante l'incendio del centro commerciale”

Allora Antonio seppe.

Seppe del fumo, del fuoco, del terrore, della feritoia, delle mani, di quell'uomo, della promessa.

E crollò in ginocchio, annaspando nel suo dolore, gli occhi sbarrati e rossi, le pupille dilatate, un pugno in bocca per soffocare l'urlo che avrebbe altrimenti gridato contro la terra del giardino. Francis osava appena sfiorarlo sulla spalla con la punta delle dita, e lui tremava ma senza emettere alcun suono. Vagava con la mente tra i tristi ricordi di quel giorno, Antonio, cercando di ritrovare alla fine, dopo tanto tempo, se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

28 Dicembre 1995

 

 

 

Mi si è congelato il naso” sentenziò Gilbert, osservando pigramente le vetrine dei negozi.

Antonio si voltò per guardarlo. In effetti aveva la punta del naso tutta arrossata, in una sfumatura simile a quella del giaccone e dei guanti. Lo spagnolo non si impegnò neanche tanto per evitare di scoppiare a ridere.

Hai un aspetto che è tutto un programma, Gil” commentò.

Ovvio” rispose l'altro, non cogliendo la battuta. “Piuttosto, non credevo che ci sarebbe stata tanta gente al centro commerciale anche oggi”

Mah, forse sono tutti ritardatari che non hanno ancora preso i regali come noi”

Ritardatari sì, ma come noi no...Ineguagliabile è il mio secondo nome, e oggi, perchè mi sento in vena, ho deciso di trattarti come uno del mio livello” blaterò il tedesco.

Sì sì, grazie mille” fu il distratto commento di Antonio, che era intento a guadare una serie di soprammobili di porcellana oltre il vetro. “Che te pare di questa roba, a Francis potrebbe piacere?”

Non lo so, ma se sono cosette piccole e del tutto inutili e se si adattano al gusto di una ragazzina, allora sì, gli piaceranno”

Lo spagnolo si voltò per lanciargli un'occhiata divertita; quando incrociò lo sguardo di Gilbert, però, lo trovò leggermente assente, quasi stranito.

Che ti prende?”

Sento come un odore strano...tu non senti niente?” disse, iniziando a guardarsi intorno.

Niente di niente! Con questo raffreddore è già tanto che riesco a respirare”

Gilbert non aggiunse altro, iniziando a vagare tra i negozi intorno a loro, forse in cerca della fonte di quell'odore. Antonio lo lasciò fare, tornando alla sua vetrina di porcellane. Appoggiò le mani al vetro, lasciandoci sopra aloni con il suo respiro come fanno i bambini. Allora gli venne in mente che fosse una di quelle scemate che piacevano tanto al tedesco, e decise di appannare un bel pezzo della superficie per poterci poi scrivere qualcosa col dito. Magari qualcosa che avrebbe potuto irritare Gilbert...ah, sarebbe stato uno spasso vederlo arrabbiato, con le guance che gli si chiazzavano di rosso appena...

 

 

C'era gente che urlava.

Perché?

Era da un pezzo, ormai, che c'era gente che urlava.

Piantatela tutti di fare rumore, mi fa male la testa” era ciò che avrebbe voluto gridare Antonio. Si sentiva come la mattina dopo aver esagerato nelle gare di bevute coi suoi coinquilini. Una specie di dopo sbornia, sì, si sentiva così.

Che cos'era successo...? Improvvisamente qualcuno aveva spento le luci.

No, le luci erano tutte accese, erano gli occhi di Antonio ad essersi chiusi. Lo sapeva perchè ora li aveva riaperti. Ma non poteva essere vero quello che stava vedendo.

C'era fumo dappertutto, denso come una nebbia bassa. Si riusciva a malapena a scorgere i contorni delle pareti e le sagome delle persone che correvano come ratti nel fumo grigio. C'era puzza, tantissima puzza e c'era...

Fuoco! Va tutto a fuoco di sotto, va tutto a fuoco! Siamo bloccati!” gridavano voci sconosciute e senza più speranza.

Ma anche Antonio si trovava davvero in mezzo a tutto questo? Era tutto vero...?

E Gilbert dove...? Si issò sui palmi della mani, lo spagnolo, rendendosi conto solo con quel gesto di quanto si sentisse debole e molle, dato che per poco non ricadde a terra. Cercò di stabilizzarsi rimanendo sulle ginocchia per qualche secondo, fino a che la vista non gli si schiarì un poco e non realizzò l'urgenza del momento.

Fiamme su fiamme avanzavano dalle scale del piano inferiore, muovendosi come lingue di serpenti. Molte vetrine di negozi erano andate in frantumi, dando quasi l'aria di essere...esplose da dentro. Vetro ovunque, grida ovunque, fumo e aria cattiva ovunque. Uno scenario simile l'aveva visto appena la settimana scorsa, in quel film in cui una meteorite gigantesca cadeva sul nostro pianeta e faceva terra bruciata, fino a ridurre ogni cosa a immensi mucchi di cenere.

Ma adesso non era tutto finito: Antonio si trovava nel bel mezzo della catastrofe.

E Gilbert?

La paura gli pressò subito il torace. Il ragazzo si alzò, raccogliendo tutte le forze, ma quella mossa improvvisa gli fece tremare le gambe per una fitta di malessere. Sconcertato, si guardò per la prima volta e represse a stento un brivido di paura e disgusto: aveva diverse schegge di vetro conficcate nella pelle dalle ginocchia in giù.

Ma Gilbert...?

Si spostò tra un'imprecazione dopo l'altra, Antonio, le lacrime di dolore agli angoli degli occhi, l'ostinazione di muoversi a tentoni senza sapere dove andare, pur di avvistare l'amico.

Gilbert!” gridò con voce roca, mentre camminava reggendosi ai muri.

Era la cosa più importante, l'unica cosa da fare, l'unica che gli martellava la testa: scorgere quei capelli chiari, quel giubbotto rosso...subito.

La gente però lo ignorava, impegnata a correre inutilmente in tondo, nella ricerca di un'uscita da quel deserto di fuoco e fumo.

Ognuno, nel panico, pensava solo a se stesso. Antonio, nel panico, pensava all'amico.

Gilbert!” urlò, graffiandosi la gola, senza ottenere alcuna risposta.

Allungò il collo più che poté, cercando ovunque il profilo familiare del tedesco, stringendo gli occhi e muovendo le braccia alla cieca, come per voler spostare l'aria.

Magari si era salvato, fu la dolce consolazione che prese per un attimo il sopravvento, si era salvato ed era riuscito ad andare via di lì. O magari era pochi metri da lui, che lo cercava affannosamente, quasi camminando per inerzia e col fiato corto, proprio come faceva Antonio. O magari...

Magari non era quello lì.

No, non poteva essere proprio lui quel ragazzo disteso per terra, coperto da un mare di vetro e sangue. Non era possibile che fosse suo, tutto quel sangue sul pavimento. Non poteva essere proprio il suo, quel viso ridotto a una maschera rossa.

Come rosso era il giaccone.

Come rossi erano i guanti.

Quasi fosse stato in un sogno, Antonio si avvicinò al corpo inerte a tentoni. Per inginocchiarglisi accanto si fece un male del diavolo, ma non era niente, il dolore fisico, in confronto a quello che iniziava a invaderlo a mano a mano che i secondi passavano...e che la consapevolezza lo assaliva.

Gilbert, non fare lo scemo” lo chiamò in tono scherzoso, quasi aspettandosi di ricevere una risposta.

Aspettandosi di vederlo saltare in piedi e gridare “ti ho fregato, spagnolo, sono o no il principe degli scherzi?”

Avanti, Gil” sussurrò, supplichevole.

Non poteva crederci, non poteva essere vero. Non era possibile, perchè Gilbert doveva ancora tanti favori ad Antonio, e adesso era proprio il caso che iniziasse a renderglieli, che ascoltasse la sua richiesta e che aprisse gli occhi.

O che si muovesse almeno un po', gli sarebbe bastato anche un movimento appena percettibile, quanto gli costava? Che la piantasse almeno di rimanere in quel modo...immobile.

Nella confusione più totale, l'unica cosa che venne in mente di fare ad Antonio, fu toccare il viso dell'amico. Come quando da bambino toccava la coda delle lucertole dopo avergliela staccata.

Allungò così la mano destra, il braccio che non ne voleva sapere di smettere di tremare. Piano, perchè aveva paura di fargli male se solo l'avesse sfiorato. Gli toccò la guancia ancora calda con la punta delle dita, poi indugiò sulla sua pelle per qualche attimo, nell'ultima carezza che, in cuor suo lo sapeva, avrebbe mai potuto fare a Gilbert. Alla fine si ritirasse, e aprì bene il palmo sotto i suoi occhi.

Il palmo tremante che era completamente macchiato di sangue.

Allora il mondo intero crollò sulle spalle di Antonio.

La paura cieca, la nausea, la disperazione, la stanchezza, la voglia di mettersi a piangere, gridare, scappare, salvarsi, andar via di lì, ogni cosa arrivò insieme.

AIUTATECI!” urlò il ragazzo con tutto il fiato che riuscì ad accumulare, convinto di non aver mai gridato così forte e così disperatamente in vita sua.

Ma nessuno li guardava, nessuno li ascoltava.

AIUTATECIIIIIIIII!” strepitò, scagliando i pugni in aria per farsi notare.

Ma nessuno, nessuno pensò a loro.

In quel momento terribile, la consapevolezza che non c'era più scampo lo assalì con violenza. Nient'altro pensava se non a quello: era finita.

Era finita, finita, finita, finita, finita...ma, ma no, non poteva finire così!

Se solo...se solo ci fosse stato un modo per andarsene via di lì, anche pericoloso, anche rischioso...se anche avesse dovuto rischiare, ci avrebbe provato, perchè no, assolutamente no, non era da lui abbattersi e gettare la spugna, non prima di averle provate tutte.

E lo sguardo di Antonio cadde allora alla sua destra, sull'ascensore poco distante da loro. Ragionando in fretta, la mente per assurdo lucida in quell'inferno di panico e rumori, il pensiero volò alla terrazza in disuso dell'ultimo piano: non si poteva raggiungere a piedi perchè la porta era sempre sbarrata, ma il personale poteva accedere con l'altro ascensore, quello che non era riservato alla clientela...quello che stava lì, a pochi passi da loro. Se al piano terra non si poteva andare perchè la gente gridava che era invaso dalle fiamme, allora si poteva provare ad andare in alto.

Certo era pericoloso, Antonio se ne rendeva conto. Nessuno gli assicurava che anche nella tromba dell'ascensore non avrebbe trovato le fiamme.

Ma forse, forse era meglio fare qualcosa piuttosto che rimanere lì ad aspettare di essere bruciati vivi o soffocati dal fumo. Perché certo non sarebbe andato da solo.

Vivi o morti, lui e Gilbert ne sarebbero usciti insieme.

Con uno sforzo enorme, lo spagnolo si caricò il corpo dell'amico sulle spalle, ignorando il sangue e il vetro e il fatto che non si muovesse, né respirasse...ignorando tutto, persino il buon senso.

Va avanti, avanti, avanti” si ripeté a testa bassa, con la forza data dal terrore, l'unica cosa che gli permetteva di avanzare passo dopo passo.

Raggiunte le porte dell'ascensore però, si fermò, inspirando forte, il sudore che gli colava sugli occhi, con la sensazione quasi irreale di sentirsi bagnato dal sangue di Gilbert.

Se quella era davvero una via di fuga possibile, perchè allora nessun altro era fuggito in questo modo?

Antonio aveva paura: paura mentre si guardava intorno e non vedeva che sagome incerte piegate su loro stesse, intente a pregare, mentre altre si accalcavano negli angoli e altre ancora tentavano inutilmente di spegnere le fiamme; paura mentre realizzava che lì, davanti a quelle porte, avrebbe preso una decisione che gli avrebbe cambiato la vita per sempre.

Nessuna risposta sarebbe mai arrivata per guidarlo sulla giusta via. In quel momento c'era solo lui, con il suo terrore e la sua incoscienza che facevano a pungi per prevalere l'uno sull'altro.

Vinse l'incoscienza.

Fortuna, non mi abbandonare!” fu l'ultimo appello del ragazzo, prima di fiondarsi dentro l'ascensore e crollare a terra.

Subito il corpo di Gilbert scivolò dalle sue spalle rotolando in un angolo e Antonio, nella parte più profonda e selvaggia dei suoi istinti, provò la sensazione di essersi liberato di un pesante fardello. Si sentì immediatamente più meschino che mai, e per non pensare all'umanità che si perde nelle situazioni disumane, premette il tasto dell'ascensore di servizio per andare al piano superiore.

Il tintinnio che risuonò nel piccolo ambiente gli perforò le orecchie quasi fosse stato un rumore sinistro. L'ascensore iniziò la sua salita in un cigolare agghiacciante, che si fuse per assurdo a quel piccolo suono di prima, amplificandolo.

Antonio fu sconvolto da una sensazione di nuovo malessere; era come se quei rumori avessero preannunciato un'ennesima disgrazia.

E infatti, appena una frazione di secondo e l'ascensore arrestò la sua salita, fermandosi dopo aver percorso solo qualche centimetro in altezza.

Erano bloccati.

Quei secondi di silenzio quasi tombale fecero perdere al cuore di Antonio un battito. Oltre le porte dell'ascensore poteva sentire vaghi rumori, che sembravano ora tanto lontani ma che erano in realtà vicinissimi. Eppure, lui e Gilbert erano ormai tagliati fuori da tutto, isolati, chiusi...immobili lì, tra un piano e un altro, tra il vuoto e le fiamme, tra la vita e la morte...e comunque sarebbero morti magari allo stesso modo, non sarebbe cambiato quasi nulla. Solo, ci avevano guadagnato quel silenzio irreale che gli faceva gelare il sangue nelle vene.

Antonio si prese la testa tra le mani, cercando di regolarizzare il respiro. Aveva sbagliato?

Oddio, aveva fatto una cazzata.

Aveva rischiato, e aveva fallito. Anziché bruciati o soffocati insieme ad altri sconosciuti, sarebbero bruciati o soffocati da soli, chiusi in un ambiente terribilmente piccolo e...e stretto...e scuro...era possibile che le pareti stessero avanzando, restringendosi sempre di più...? Non lo era, vero?

Forse era solo Antonio che si sentiva mancare secondo dopo secondo, che percepiva le forze abbandonarlo pian piano insieme a ogni speranza. Adesso sì che era davvero finita.

Ormai non c'era altro da fare...nessuno li aveva aiutati prima e nessuno avrebbe mai potuto farlo ora, nascosti così com'erano.

Istintivamente, Antonio si avvicinò a Gilbert, quasi nella ricerca inconsapevole di conforto. Lo girò a fatica su un fianco e gli si rannicchiò accanto, il viso all'altezza del suo. Reprimendo un conato di orrore, si concentrò solo sui lineamenti dell'amico, cercando di eliminare ogni altra cosa che li deturpasse. Ma presto capì che era del tutto inutile, e dovette chiudere gli occhi. Lo fece con forza allora, impedendosi di riaprirli, e si impegnò a immaginare il viso di Gilbert candido come era sempre quando schiacciava un pisolino sul divano.

A quel pensiero, sentì le proprie labbra tremargli senza controllo e capì che avrebbe tanto avuto bisogno di scoppiare a piangere...ma proprio non ce la faceva. Tanto a che sarebbe servito? Si sarebbe solo crogiolato di più nel male, e nessuno si sarebbe accorto comunque di loro.

Sei morto davvero?” fu la stupida domanda che Antonio rivolse a Gilbert, sentendosi sempre più abbandonato, sempre più solo. “Almeno non hai provato niente di tutto questo. Per te è finita prima, e adesso sei in un posto migliore”

Già...in qualche modo, era stato più fortunato, Gilbert. Perché per lui era finita, e non aveva dovuto appigliarsi con tutto se stesso a qualche assurda speranza che poi aveva visto infrangersi miseramente sotto i propri occhi. Non era rimasto deluso, Gilbert, dalla sua persona, che non era stata in grado di salvare l'amico che gli stava accanto, e che era arrivata forse solo qualche secondo in ritardo e così aveva perso tutto. Non aveva sbagliato, Gilbert, facendo la stupida scelta di rinchiudersi in una trappola per topi relegandoli a una morte senza dignità.

Quanto sarebbe stato meglio che tutto fosse finito subito anche per lui!

Se non subito, per lo meno, più in fretta possibile.

Sì, che finisca in fretta, almeno” bisbigliò Antonio, rannicchiandosi su se stesso più che poté.

Voglio morire”

Era lui, lo spagnolo col sangue bollente, sempre contento, sempre di buon umore, sempre positivo...era lui che adesso diceva, stanco di continuare quella lenta agonia, stanco di soffrire, stanco di tutto:

Voglio morire”

Proprio allora, quando ormai Antonio non si aspettava più nulla, successe qualcosa di miracoloso: le porte iniziarono a cigolare forte, mentre l'ascensore ondeggiava pericolosamente, proprio come se qualcuno da fuori stesse tentando a tutti i costi di entrare.

E forse ce la stava facendo, perchè piano piano si aprì una fessura accanto ai piedi dei due ragazzi, e Antonio, atterrito, schiacciò la schiena contro la parete e si sentì mancare il fiato.

Intanto la feritoia apertasi tra le porte di ferro iniziava a ingrandirsi sempre di più, e la luce proveniente da fuori, rossa per le fiamme e grigia per il fumo, eppure sempre una luce era, ferì senza pietà gli occhi dello spagnolo. Alzando un braccio davanti al viso per riparare lo sguardo, Antonio sentì il proprio cuore martellare fortissimo contro il petto, e rimbombare nelle orecchie, nella testa, dalla punta dei piedi a quella delle mani, dappertutto. E il sangue tornava a defluirgli regolarmente e a colorargli le guance, mentre una forte agitazione lo prendeva sempre più, e tornava anche la speranza di uscire vivo di lì.

Siamo qui” boccheggiò il ragazzo a bassa voce, “siamo qui, ci sono io, aiuto!” gridò, alzandosi di scatto. Quella sua mossa però fece oscillare il pavimento sotto i suoi piedi, dandogli la terribile certezza di essere letteralmente appeso a un filo...e che quel filo fosse molto sottile.

Ma non era il momento di disperarsi, perchè si intravedeva davvero l'ombra di qualcuno al di là delle porte, qualcuno che le stava tenendo divise con le proprie mani...forse non era così, forse stava usando un attrezzo, ma Antonio trasfigurò nella sua testa l'immagine di quell'uomo in quella di un super eroe venuto per portarsi sulle spalle i due ragazzi e condurli al sicuro.

Aperte quasi del tutto le due ante, i contorni del salvatore di Antonio si fecero più distinti; il suo viso aperto e sicuro si stagliava contro l'inferno, i suoi occhi forti erano lucidi di fiducia. Si mordeva le labbra per la fatica, ma fissava Antonio dritto dritto nelle pupille verdi, come a voler dire “ci sono qua io”.

Per il forte senso di sollievo improvviso, le gambe dello spagnolo cedettero di colpo; solo allora si rese conto di tutta la fatica che aveva sopportato, del peso che aveva sostenuto nonostante le ferite e che davvero non ce l'avrebbe fatta a stare in piedi un attimo di più. Ma quando cadde al suolo come un sacco vuoto, l'ascensore ondeggiò un'altra volta con violenza, facendogli dilatare gli occhi dalla paura.

Non ti muovere ragazzo!” comandò la voce autoritaria dell'uomo che aveva davanti. “Un passo sbagliato e viene giù tutto” aggiunse mesto, per poi arrampicarsi e iniziare a strisciare con cautela estrema all'interno del piccolo ambiente.

Antonio lo osservò senza il coraggio di emettere fiato, fino a che non si introdusse con successo in quelle quattro pareti anguste. Solo quando lo raggiunse e si mise in piedi, misurando bene i gesti, il ragazzo si concesse un forte respiro di sollievo e chiuse gli occhi per un attimo.

Vediamo che cosa abbiamo qui” commentò l'uomo, guardandosi intorno per quello che poteva e alzando la visiera del cappello col pollice.

Notando il suo abbigliamento e i guanti, Antonio lo identificò subito come un vigile del fuoco. Questo solo fatto riuscì a dargli una rinnovata speranza. Immobilizzato dalla stanchezza, il ragazzo seguì tutti i suoi movimenti senza perderlo di vista neanche per un secondo; i suoi modi di fare erano precisi anche se rallentati, sicuramente per evitare di compromettere la precaria situazione in cui si trovavano.

Per prima cosa, il pompiere fissò lo sguardo su Gilbert e la sua espressione si indurì di colpo. Avanzando lentissimamente, gli si adagiò accanto per controllare il battito, premendogli sul collo. Antonio lo vide chiudere gli occhi, mentre un'espressione intensa, forse quasi rabbiosa, gli stravolse i lineamenti del viso. Eppure, come se non si fosse reso conto di avere davanti un ragazzo morto, si rialzò portandosi le mani sui fianchi e prese a squadrare Antonio.

L'hai portato qui tutto da solo, nello stato in cui ti ritrovi?” disse, quasi stupito, fissandogli con insistenza le gambe ferite.

Lo spagnolo annuì, un po' spaventato. Era sicuro che adesso il vigile del fuoco l'avrebbe sgridato per la cavolata che aveva fatto, o come minimo che gli avrebbe dato dell'idiota. Invece le sopracciglia brune di quello si stesero, e un ghigno di soddisfazione gli si allargò sulla faccia, scura per il fumo.

Sei stato bravissimo. Adesso però puoi stare tranquillo, ora ci sono io e tra poco saliranno anche i miei colleghi. Tutto andrà a finire bene, vedrai” gli disse, in un tono così sincero che quasi sembrava impossibile si stesse rivolgendo proprio a lui.

Aveva detto davvero che sarebbe andata a finire bene?

Aveva detto davvero che era stato...bravissimo?

Sembri un gatto spaventato, ragazzo. Sei pallido come un lenzuolo. Cerca di darti una regolata, o quando ci verranno a tirare fuori di qui ti scambieranno per una ragazzina” sogghignò il pompiere, facendogli segno di rimanere seduto.

E' meglio se non ci muoviamo, altrimenti potrebbe succedere qualcosa di brutto...niente paura, eh, gli altri ragazzi stanno spegnendo le fiamme al piano di sotto ma ci raggiungeranno presto. Io sono stato il primo a salire fin qui, ma è questione di pochi minuti. Intanto facciamo conoscenza, così magari ti riprendi un attimo”

Antonio annuì, ma non disse nulla. Aveva le labbra gelate, incollate tra loro. Chiedendosi come facesse l'altro a rimanere così vivace in una situazione del genere, si sentì comunque grato per la sua strana parlantina che stava riuscendo pian piano a rassicurarlo.

Allora, mi sembri parecchio giovane...quanti anni, una ventina? Ventitré? E come ti chiami?” chiese con curiosità.

Ventiquattro anni...ventiquattro. Mi chiamo Antonio” biascicò lui.

Perfetto, io invece mi chiamo Romano Vargas, ma tutti mi chiamano Roma”

Poi allungò il collo verso il corpo inerme del tedesco, ancora adagiato su un fianco nell'angolo.

E quell'altro? E' un tuo amico? Come si chiama?”

Una fitta di dolore e nausea chiuse per un attimo gli occhi e lo stomaco di Antonio.

Gilbert...” rispose pesantemente.

Allora, Antonio e Gilbert, abbiate fiducia in me; vi giuro che vi tirerò fuori di qui e presto tutto questo non sarà per voi che un brutto ricordo” disse, incrociando le braccia al petto.

Antonio strabuzzò gli occhi, sbalordito. Gli era appena sembrato che quell'uomo avesse parlato come se...come se Gilbert fosse ancora vivo.

Sì, mettiamoci tranquilli, ragazzi miei. In meno di mezz'ora sarete al calduccio a casa vostra e potrete tornare dalle vostre famiglie”

Evidentemente quel signor Vargas era un uomo fin troppo ottimista. Pure, doveva esserlo, se era quello il lavoro che faceva. Forse per lui situazioni rischiose come quella erano il pane quotidiano...e certo non poteva affrontarle se non con una buona dose di fiducia.

Però quel suo usare i verbi al plurale...era una cosa che infastidiva profondamente Antonio. Non c'era bisogno che mettesse in atto una scenetta per lui, per farlo stare calmo. Lo sapeva benissimo che l'amico era ormai insalvabile...che non c'era altro da fare per lui.

Però non vi pare che inizi a fare caldo, eh, che ne dite?”

Ancora con questi verbi al plurale! Era del tutto inutile, inutile e anche irritante.

Magari sono io che mi sto agitando, o è questo posto che è maledettamente piccolo...ma non voglio prendervi in giro, ragazzi, credo che le fiamme abbiano invaso anche la tromba dell'ascensore”

La testa di Antonio scattò fulminea verso Romano Vargas, e dalla sua bocca uscì un roco “come ha detto?”

Tranquillo, Antonio, tranquillo” farfugliò in modo un po' burbero il pompiere, mettendo le mani avanti, “Ma quanto ci mettono gli altri ad arrivare? Io ho una gran fretta di andarmene da qui...devo tornare dai miei nipotini, se ritardo per il pranzo non me lo perdoneranno mai”

Pensava di raggiungere in tempo i suoi nipotini, quell'uomo. Ottimista sì, ma pure un po' sconsiderato se era sicuro di tornare a casa per l'ora di pranzo come niente fosse.

Sono due tipetti in gamba, lo sai?” continuò con scioltezza il signor Vargas, che sembrava avere una voglia particolare di mettersi a parlare dei fatti suoi con uno sconosciuto. Ovvio che lo facesse nel tentativo di allentare la tensione che aleggiava in quel piccolo spazio, e che quasi sembrava si potesse toccare tanto era densa.

Certo, sono un po' due piccole pesti...ogni volta che faccio tardi per il lavoro, Feli si mette a strillare e piangere, e mi spacca i timpani peggio della sirena del nostro carro dei pompieri”

L'uomo ammiccò verso Antonio con un sorriso tale che il ragazzo, per quanto provato, sconvolto e ancora spaventato, non riuscì a trattenersi dal distendere le labbra in un sorriso di riflesso.

Il fratellino maggiore invece...ecco, ti dico solo questo e così ti sarà subito chiaro perchè non ho proprio intenzione di fare tardi: l'ultima volta che sono arrivato a casa senza avvisarli che ci avrei messo un po' di più, quel diavoletto ha preso la carica e mi ha sferrato una testata impressionante sullo stomaco...mi ha fatto perdere l'equilibrio e cadere a terra!”

Antonio sorrise di più e piegò le sopracciglia con aria scettica, non riuscendo a immaginarsi come un bambino potesse atterrare un uomo possente come quello.

Non ci credi, te lo si legge in faccia” disse infatti il pompiere, “ma ti giuro che è proprio fatto così, il mio piccolo Lovino”

Lovino? Un nome per niente comune, un nome strano. Però in qualche modo, buffo; Antonio poteva un po' figurarsi un bimbetto con le guance paffute, magari gonfie di rabbia, nell'atto di colpire quel nonno gigantesco a testa bassa...

Dev'essere un bimbo forte” commentò, come se fosse la cosa più naturale del mondo parlare in quel modo, mentre si chiedevano cosa sarebbe arrivato prima tra le fiamme o i soccorsi.

Lo è...lo è, ma è anche un tipo un po' difficile. Voglio dirti una cosa, ragazzo: quelli che provano sempre a darsi coraggio da soli, a farsi forza...quelli che si costringono a sopportare pesi molto più grandi di loro, tutti sulle loro spalle...non è affatto semplice che persone del genere si lascino amare”

Lo disse con un'intensità enorme, guardando Antonio dritto negli occhi in modo diretto e forse anche un po' sfacciato...proprio come se avesse voluto rivolgere quel discorso anche a lui.

Scommetto che anche tu sei fatto così, lo posso dire solo guardandoti” gli disse infatti, “Ma ora affidati a questo nonnino...ho la mia età, ma non sono niente male, lo sai. Quindi facciamo finta per un attimo che io sia tuo nonno, e lascia che ami mio nipote Antonio. Permettimi di prendermi cura di lui...lascia che lo aiuti. Il mio Antonio è un gran testardo, pretende troppo da se stesso ed è solo un ragazzino”

Che stava dicendo quel vigile del fuoco...che stava dicendo?

Io lo conosco, Antonio, è mio nipote, no?” continuò, con il tono che ha un genitore quando legge la favola della buona notte al figlio. “Lo vedo quando si sforza, lo capisco quando si trattiene. Ha provato in tutti i modi a tirare fuori dai guai il suo amico da solo, ma non si sente ancora apposto...avrebbe voluto fare di più”

Certo che avrei voluto fare di più...”

Antonio si ritrovò ad esternare i suoi pensieri senza rendersene conto per davvero. Ma si sentiva così...frustrato! Era ovvio che avesse voluto dare il massimo, ovvio che si sentisse in colpa perchè lui aveva ancora la possibilità di salvarsi, lui sì! Che cosa c'era stato di diverso tra la sorte sua e quella di Gilbert? Uno di loro aveva solo avuto la sfortuna di trovarsi pochi metri più in là dell'altro, al posto sbagliato.

Certo che avrei voluto fare di più!” ruggì lo spagnolo, togliendosi il fiato da solo. “Perché non è giusto...non è giusto! Tutto questo non ha senso, che cos'ho io in più di Gilbert da meritarmi di essere vivo? E lui che aveva di diverso da me, per meritarsi di morire? Non va bene! Non ho potuto fare niente per lui...non ho fatto niente”

Antonio si prese la testa tra le mani, cercando di nascondersi dallo sguardo di quell'uomo, dalla presenza del cadavere del tedesco, da tutto quanto. E chiuse gli occhi, forte, sempre più forte, sperando quasi di sparire.

Hai già fatto troppo, invece”

La voce di Romano Vargas gli arrivò alle orecchie, così terribilmente dolce da fargli male. “Hai conservato il suo corpo e la sua dignità...sei stato un eroe”

Solo quando Antonio sentì il proprio capo avvolto in qualcosa di caldo, si rese conto che il pompiere gli si era avvicinato pianissimo, sedendogli accanto, e che gli aveva stretto la testa con un braccio, portandoselo contro il petto. Per la sorpresa, trattenne il fiato.

Mio nipote Antonio è stato molto bravo. Ha dato il massimo, non avrebbe potuto fare più di così”

In quel momento lo spagnolo seppe che era vero. Infondo al suo cuore lo sapeva che non serviva a nulla incolparsi, che lo faceva solo per trovare una ragione a tutto quello che era successo. Ma era solo un uomo, anzi, solo un ragazzo, e non avrebbe mai potuto fare altro. Lo sapeva, e allora perchè stava tanto male?

Qualche volta succedono cose per cui non si può fare niente” disse il pompiere, serio eppure con serenità. “Spesso non c'è una spiegazione, e per quanto uno la possa cercare, non la troverà mai. Lo so per esperienza, col lavoro che faccio. Quando succede a me...quando non riesco a farmi una ragione per le cose terribili che vedo, lo sai che faccio? Mi metto a pregare, perchè è l'unica cosa che mi resta”

Ma...” incespicò lo spagnolo.

Il signor Vargas lo interruppe subito.

Fa caldino, non vi pare, Antonio e Gilbert? I ragazzi stanno davvero esagerando con il loro ritardo, adesso”

Lo spagnolo alzò appena la testa dal petto dell'uomo, notando solo in quel momento che il suo sorriso era incrinato agli angoli, e che il viso era imperlato di sudore. In effetti era veramente caldissimo e le pareti si erano surriscaldate durane il loro breve dialogo. Era quasi come se potesse vederla, Antonio, una nube calda e mortifera che arrivava dal basso e filtrava attraverso gli angoli dell'ascensore.

Ci vorrebbe un po' d'acqua per raffreddare questo posto. Sarebbe fantastico se piovesse, vero ragazzi?” riprese l'uomo, come se effettivamente le sue parole fossero dirette a due persone.

Nella confusione dei sensi, Antonio lo guardò disperato.

Sì, un po' di pioggia sarebbe l'ideale”, continuò ancora “se si scatenasse una tempesta abbastanza forte, magari l'acqua potrebbe penetrare fin qui...e con l'ambiente rinfrescato, non si starebbe così male”

Lo sa che non è possibile” annaspò Antonio, non trovando niente di meglio da dire.

Andiamo! Non vorrai farmi credere che sei un tipo che si abbatte così facilmente?”

Romano Vargas lo guardò con una certa pietà negli occhi. Quella scintilla fece riaccendere una punta dell'orgoglio di Antonio, che pure gli rispose affranto, quasi fosse stato sul letto di morte.

Non mi abbatto facilmente, ma in questa situazione...”

Mai sentito parlare di miracoli, ragazzo?” esclamò con trasporto il pompiere. “Lassù c'è qualcuno per noi, ne sono sicuro...chiamalo Dio, Budda, Allah, Alieno o Destino, chiamalo come ti pare. Ma se preghiamo con insistenza e ci facciamo sentire abbastanza, quel qualcuno sarà talmente seccato che alla fine dovrà per forza concederci la grazia! Pregate insieme a me ragazzi, tentare non costa nulla”

Allora Antonio scoppiò in un sospiro afflitto, perchè proprio non ce la faceva più.

La prego, non parli al plurale, Gilbert è già mor...”

Non finché siamo qui. Fin tanto che siamo qui, siete voi due i miei nipoti, siete vivi e vegeti tutti e due, state bene e quindi ho intenzione ti tirarvi fuori da questo guaio a tutti i costi” sentenziò, stringendogli la presa gentile sul capo, causando come strana conseguenza una stretta al cuore dello spagnolo.

Signore, ascoltaci, ti prego....avanti bimbetto” aggiunse poi in un bisbiglio, come se non volesse farsi sentire parlare a voce alta dal destinatario della preghiera. “Dio, fa che piova...ragazzo, dai, anche tu”

Antonio aprì la bocca, ma nessun suono ne uscì.

Come poteva pregare...? Pregare, in una situazione simile? Riuscire ancora ad aver fiducia, dopo tutto quello che era successo?

Di...” iniziò.

Dopo le porcellane, lo strano odore, il vetro. Dopo il buio, il caos, la gente, le fiamme, Gilbert...

Dopo Gilbert, Gilbert, Gilbert...

Di...Dio!” disse alla fine Antonio, buttando fuori quella parola quasi con violenza.

Dio, Dio, Dio” ripeté a forza, ma senza riuscire ad andare più avanti di così, perchè finalmente era scattato qualcosa: il nodo che aveva alla gola si era sciolto all'improvviso e le lacrime che aveva trattenuto, chissà come, fino a quel momento, avevano iniziato a straripargli dagli occhi.

Lacrime su lacrime su lacrime si succedevano senza sosta, e presto Antonio ne fu accecato e le accompagnò con singhiozzi che lo facevano sobbalzare.

Senza fermarsi, senza ritengo, piangeva sempre più forte e la sua voce non era che un lamento disperato.

Ti prego, fa che piova e che l'acqua arrivi anche qui dentro. Dio, ti prego, fa che la pioggia bagni quest'inferno...” ripeteva il vigile del fuoco, come se stesse recitando una filastrocca.

Un cigolio tremendo però gli impedì di andare avanti, e nello stesso momento, l'ascensore scattò verso il basso, Romano Vargas afferrò più saldamente Antonio, e il ragazzo gridò per la paura.

La feritoia aperta sul terzo piano, che prima si affacciava all'altezza dei loro piedi, passò loro davanti in modo inquietante e si bloccò sopra le loro teste, dove si fermò.

Un fitto silenzio calò nell'ambiente per qualche attimo.

Non ce ne va bene una, ragazzi miei! Mi sa che siamo costretti ad agire prima che si sprofondi sempre più in basso...non possiamo più aspettare i soccorsi” disse poi il pompiere, la voce grave e ferma.

Antonio, che respirava a mala pena, scosso com'era dai singhiozzi e con i polmoni attanagliati dall'ansia, lo guardò. Cercava negli occhi scuri e pieni di esperienza del signor Vargas un ulteriore incoraggiamento, un consiglio qualunque. Lo trovò quando quello gli disse:

Vi ho detto che vi tirerò fuori di qui, e ci riuscirò, fosse anche l'ultima cosa che faccio. E adesso forza, mettiti di là che ti spingo su”

Antonio annuì asciugandosi il naso con la mano, senza aggiungere altro. Era pericolo, lo sapevano entrambi perfettamente senza bisogno di ricordarlo. C'era il rischio che l'ascensore precipitasse del tutto a causa dello sbilanciamento dei pesi...eppure rimanere lì ad attendere sarebbe stato anche peggio.

Così, Antonio si avvicinò gattonando alla parete opposta, e quando fu lì, si aggrappò con le unghie al muro per tirarsi su in piedi. Poco dopo arrivò anche l'altro uomo, e, in un gesto preciso eppure veloce, si caricò Antonio sulle spalle e lo portò all'altezza della via d'uscita. Il ragazzo rimase quasi scioccato per la rapidità con cui Vargas lo spinse attraverso lo spazio aperto tra le porte. Era stato così facile...una spinta ed

era,

finalmente,

in salvo.

Eppure, niente succede mai per niente, e non appena i piedi del ragazzo toccarono il suolo del terzo piano, e Antonio rotolò su se stesso con una fitta di dolore, l'ascensore scivolò ancora un altro po' verso il basso. Lo spagnolo tese subito la mano verso il pompiere che era rimasto in quella trappola, le bocche di entrambi aperte in una “o” di sorpresa, gli occhi verdi di lui allagati dalle lacrime.

Oddio, mi prenda la mano subito, la tiro su prima che sia troppo tardi, si muova!” gridò allarmato, la voce spezzata. A quel punto però il pompiere fece una cosa strana.

Abbassò lo sguardo, portandosi la mano dentro la giacca, e subito la estrasse tenendo tra le dita qualcosa che Antonio non riuscì a identificare, tanto aveva gli occhi stretti e appannati. Poi tese il braccio verso l'alto, afferrando forte la mano del più giovane, e fece scivolare tra le dita di Antonio l'oggetto che aveva recuperato: una catenina con una croce d'argento.

Il pompiere indugiò così per un attimo appena, e Antonio lo guardò con la confusione più totale stampata sul viso.

Lovino credeva che non avessi voluto regalargli nulla, quest'anno, per Natale” iniziò l'uomo, con la voce che ora, per la prima volta, tremava. La cosa paralizzò completamente il ragazzo.

In realtà ho potuto ottenere solo oggi questa collana...una copia esatta di quella che la sua povera mamma si è portata nella tomba...la adorava, Lovino, la collanina della mamma”

Perché gli stava dicendo questo? Perché stava affidando a lui una cosa tanto importante, e perchè stava parlando come fossero le ultime cose che avrebbe mai potuto dire?

Atterrito, Antonio vide che anche il volto del pompiere si era fatto una maschera di dolore e risoluzione. Dagli occhi scendevano grosse lacrime che gli pulivano via la fuliggine dalle guance.

Lovino era talmente arrabbiato con me, che ho pensato sarebbe stato molto più bello non dirgli nulla e fargli una sorpresa alla fine. Adesso tu...tu mi devi promettere che glie la consegnerai per me”

Lo spagnolo iniziò a scuotere la testa freneticamente, un'intuizione terribile che gli mozzava il respiro e gli toglieva la possibilità di dire altro.

Prometti!” tuonò Vargas, stringendogli le dita fino a fargli male, “E prometti anche che gli dirai che gli voglio bene...devi dire a Lovino che lo amo tantissimo!” gridò con dolore.

Sì, glie lo prometto, sì!” fu l'unica risposta disperata che si poteva dare a un appello tanto accorato. “Ma adesso, adesso si faccia tirare su, così potrà parlarci lei, con suo nipote!”

Il vigile del fuoco sorrise, un sorriso forte e triste tra le lacrime. Allora iniziò a divincolare senza pietà la sua mano da quella di Antonio, che opponeva resistenza, non riuscendo a capacitarsi di cosa stesse succedendo.

No, che fa?” lo richiamò, cercando di non lasciarlo andare. Alla fine però, Vargas si liberò dalla sua presa con un leggero strattone, lasciandogli tra le dita solo la catenina, e con risoluzione, si voltò fissando il corpo di Gilbert.

Ma che sta facendo!?” gli urlò dietro Antonio, protendendo inutilmente il braccio verso la sua grande schiena. “Lasci perdere, non sprechi tempo!”

Invece l'uomo raggiunse il cadavere dell'altro giovane e lo prese tra le braccia, causando una nuova fortissima oscillazione, mentre Antonio urlava come un disperato, e con la mano afferrava l'aria.

No, signore, no! Si salvi lei, si salvi lei!”

Ma Romano Vargas ignorò ogni cosa, la paura e la tristezza e la caparbietà sfoderate tutte insieme nell'ultimo sorriso incerto, e in due passi fu accanto allo spagnolo, allungandogli il corpo di Gilbert e forzandolo a tirarlo fuori. Antonio cercò di afferrarlo con frenesia più in fretta che poté, ma allora l'ascensore riprese a cadere e il pompiere, in un gesto eroico, spinse verso l'alto il corpo morto del tedesco, per poi precipitare, alla fine, nel vuoto della tromba insieme all'ascensore.

NO!”

Antonio ebbe appena il tempo di scoppiare in un grido secco che gli fece sanguinare la gola, prima di intravedere la punta del cappello del vigile del fuoco che spariva nel buio. Lì, di nuovo tra il fumo e la cenere del terzo piano, tenendo convulsamente il corpo di Gilbert, gli restava solo la forza di singhiozzare come un bambino.

Alla fine non gli rimase nemmeno quella, e l'oscurità calò piano davanti lui. L'ultima cosa che Antonio provò prima di svenire, fu un brivido freddo e pungente, causato dal contatto con la piccola croce d'argento ancora stretta tra le sue dita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Innanzitutto non posso evitare di fare tanti auguri di buon Natale e buone feste a voi che avete dedicato un pochino del vostro tempo a questa storia :3 Ah, non ci posso credere che ho scritto questo capitolo...non vedevo l'ora di farlo da quando ho iniziato, e forse proprio per questo non sono completamente soddisfatta del risultato, mmh >-< spero che comunque non sia così male, mi raccomando fatemi sapere che ne pensate!

Ci tenevo a fare presente che la canzone che mi ha ispirato per questa stesura è Fix You dei Coldplay (click)...che tra l'altro, ho trovato sempre molto adatta alla fiction in generale.

Ringrazio immensamente tutti coloro che la stanno seguendo, spero di ritrovarvi la prossima settimana...per il capitolo conclusivo (quasi non ci credo di esserci arrivata xD) >w< ancora buon Natale a tutti <3

   
 
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