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Autore: see my reverie    23/12/2011    4 recensioni
Vi siete mai svegliati nella camera del vostro ex, che non vi riconosce ed improvvisamente è il 2008? Beh, Courtney sì. 
TRADUZIONE! 
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Courtney, Duncan | Coppie: Duncan/Courtney
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Up Close & Personal

Capitolo 1:  Her & Him

 

Samantha teneva la mano senza vita di sua figlia delicatamente nella sua leggermente rugosa; la strinse contro le sue dita, in modo cauto. Canticchiò una ninna nanna che danzò dolcemente nell’aria con la grazia di una ballerina; era delicata per le orecchie, ma era un peccato sapere che solo Samantha poteva sentirla. Anche se sua figlia era a dormire, forse poteva sentirla, era leggera come un soffice mormorio. Lei la poteva sentire, Samantha sperava con tutta se stessa che potesse.

Il dottore parlò alla donna soppesando le parole, la compassione lo sormontava, era assorto nei suoi pensieri che lo colpivano ripetutamente al cuore. Non voleva provare queste emozioni perché era spaventato a stare così vicino a questo particolare paziente: questo era il secondo caso di coma che aveva avuto negli ultimi dieci anni. Aveva sperato di non averne un altro, perché si era legato al precedente paziente che aveva avuto, che era morto dopo essere stato quasi tre anni a dormire. Continuando a scrivere le analisi sul paziente, annotò informazioni, come il fatto che era in coma da ormai sei giorni. Non voleva accettare che era effettivamente in un coma a lungo termine, ma una fastidiosa  idea in lui confermò questa tesi.

Faremo un’analisi del sangue, Mrs Simmons” informò Samantha calmo “L’uso del Glasgow Coma Scale, del CT scan e dell’elettrocardiogramma  è in programma. Se si sta chiedendo cos’è il..”

Samantha rise amaramente.“So cos’è” disse asciutta. ”Perché state facendo così tanti test su di lei? È solo a dormire per un po’”. Sapeva di essere stata scortese con un esperto in questo campo, ma voleva solo stare sola con sua figlia, non voleva sentire più nulla sul suo stato.

Lasciatemi da sola”

Il Dottor Ramirez non era il tipo di persona che prendeva ordini dai genitori dei suoi pazienti, in verità era lui che li dava, ma sapeva quanto era sconvolta, molto più di quanto fosse lui; conosceva bene questa sensazione di turbamento. Finì di scrivere le sue note e annuendo a Samantha, che non si scomodò a ricambiare il gesto, uscì.

Appena arrivò fuori dalla stanza asfissiante e piena di tensione, sospirò, non realizzando che si stava trattenendo dal piangere.

Samantha emanò un sospiro appena il dottore se ne andò, tentò di non crollare, non voleva che la sua faccia fosse rigata da lacrime amare; era un segno di debolezza. Nonostante sua figlia fosse a dormire non voleva mostrarsi debole anche se era più semplice. Doveva apparire forte, e doveva essere forte anche dentro.

Svegliati Tesoro” sussurrò, e si rimproverò quando la sua voce si ruppe “Svegliati”

 

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A blind heart she holds, A blind heart she has

 

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Aprì gli occhi neri.

Courtney si alzò a sedere, i suoi occhi vagarono un po’, un senso di esaurimento e vertigine la colpì come un pioggia di grandine. Improvvisamente un martellante mal di testa la colpì, ricordandole la sensazione di un filo spinato. Si strinse la testa e si ributtò sui cuscini;  era agonizzante.

Poco dopo riprese vigore e si guardò intorno.

Era in una camera, ma la cosa assurda era che non sembrava la sua, lei la teneva ben organizzata e in ordine, insomma rifletteva la sua personalità (una camera mostra sempre la personalità) mentre questa in particolare era la personificazione di un maiale. Era come se un’esplosione nucleare di vestiti fosse avvenuta nella stanza: il muro era nero come la pece, ed era ricoperto da poster di gruppi punk, rock e metal ed era contrassegnato da teschi disegnati, ma sembrava come se a dipingerli fosse stato un bambino. La porta, bianca, era intagliata con volgari e inappropriate immagini che erano ovunque e questo rovinava anche l’unica parte libera della stanza. Un armadio era situato vicino al letto, e il comodino con una sveglia sopra era tra i due. Pile di riviste erano ammassate con noncuranza in un lato della scrivania dove c’era un portatile acceso, una sedia era al centro della stanza con, suggerimento per un ultima smorfia, un paio di boxer appoggiati casualmente sopra. Nell’angolo più lontano c’era un tavolino con sopra: una Tv, un Xbox 360 e accanto i telecomandi. Il tavolo aveva un armadietto sotto chiuso con un vetro, con dentro videogiochi e DVD.

Questa stanza, pensò è troppo familiare per me, ci sono forse già stata? È impossibile, penso. Di sicuro questa stanza appartiene a una persona Gotica… no, idiota. Punk!

La parola punk le fece pensare a una e una sola persona; spinse quel nome in fondo alla sua mente, cioè dove avrebbe dovuto stare.

Alla sua sinistra c’era un’altra porta dove era addossato un cassettone (alcuni dei vestisti sporgevano dai cassetti perché una maglietta e un altro vestito li bloccavano). C’erano schizzi neri e verdi da tutte le parti. C’era un cartello SOLO UOMINI attaccata in diagonale, ma la parola UOMINI era cancellata, rimpiazzata con il nome-

La porta si aprì,

-Duncan.

Scosse i capelli lasciando che la cresta verde si spostasse da una parte all’altra, i suoi piercing scintillavano vivaci e altezzosi, indossava il suo collare da cane come sempre e aveva un asciugamano in vita che mostrava il  suo fisico scolpito.

Courtney gli lanciò un’occhiataccia, ignorando il calore che stava divampando sulle sue guance.

Lui sgranò gli occhi acquamarina quando la individuò, e con una mossa veloce, forse troppo veloce perché Courtney la vedesse, cercò di coprirsi i gioielli di famiglia. Una volta realizzato che quelle speciali parti del corpo erano già coperte dall’asciugamano,  le chiese qualcosa che lei non si sarebbe mai aspettata.

Chi diavolo sei?”

Una furiosa ondata di insulti e di parole calde che erano lì lì per esplodere quando lui le fece questa domanda si fermarono: rimase sconcertata e senza parole, ma ritirò fuori la sua determinazione

Argh , non ho tempo per i tuoi stupidi giochetti, Duncan” sbraitò lei “Dio Santo, perché sono nella tua stanza? Sei arrivato addirittura a rapirmi? Che sta succedendo?”

Lui alzò la mano, con lo stupore ancora nello sguardo, e la guardò come se non la conoscesse davvero, e questo non le piacque per niente. “Hey, hey” gridò “Non so come diavolo fai a conoscermi, né come diavolo sei finita qui. Sono io che conduco l’interrogatorio, dolcezza. Ora te lo ripeto: chi diavolo sei?”

Courtney rimase completamente senza parole; Duncan soffre forse di perdite di memoria? Sembra stesse dicendo la verità, ma, in effetti, Duncan è davvero bravo a mentire, perciò non ci devo cascare.

Sapeva che stava mentendo, anche se erano passati parecchi mesi dalla fine de Il Tour, era impossibile che lui non la riconoscesse. Non aveva una memoria così terribile, e considerando il lungo periodo di tempo che erano stati insieme, l’avrebbe dovuta riconoscere fin dal primo sguardo.

Lei continuò a guardarlo male e lui inarcò il sopracciglio “Non so chi sei quindi leva il culo dalla mia stanza” disse indicando la finestra.

Impossibile. “Mi hai già preso in giro abbastanza, sbaglio? Non ne posso più di tutto questo, di te, quindi smettila di comportarti come si non mi conoscessi e dimmi che cosa sta succedendo!”

 

La guardò in cagnesco. “Ascolta, io non sto facendo finta, non ti sto prendendo in giro, non so chi tu sia, e se lo sapessi non saremo qui a fare questa conversazione! Quindi, dimmi tu cosa stai facendo nella mia stanza o ti butterò fuori, l’ho già fatto con mio fratello lo posso fare anche con te” la minacciò.

Era serio, lo poteva vedere nei suoi occhi, lo poteva percepire dal suo tono; lei sapeva che era bravo a mentire, ma sapeva anche quando diceva la verità. Quando parlò le sembrò di percepire l’onestà insinuarsi dentro di lei, dentro la sua mente. Era bello sentire che, nonostante la situazione, le stava parlando seriamente. Davvero.

C-come” si fermò, realizzando che stava balbettando. Si schiarì la voce e cercò di procedere con calma. “Come fai a non riconoscermi? Dopo-” quello che mi hai fatto “- quel maledetto reality show, dopo tutte le torture che Chris ci ha inflitto, dopo- dopo tutto!”

Lui si grattò la testa, grugnendo in segno di frustrazione. “Okay donna, di che diavolo stai parlando? Quale reality show? Chi è Chris? Dopo tutto cosa? Te l’ho detto, io non ti conosco!”

Come puoi non riconoscermi, Duncan? Oh, per poco non disse quelle parole, per poco non mostrò le sue debolezze, ma si fermò appena in tempo, prima di aprire la bocca. Era conosciuta come quella che diceva sempre quello che pensava, e se avesse appena aperto la bocca, quelle parole sarebbero uscita senza il suo consenso. Quando si parlava di mostrare il proprio lato debole, lei sapeva quando zittirsi, conosceva i suoi limiti.

Abbassò lo sguardo e si rese conto di essere sotto delle lenzuola; il suo letto era estremamente confortevole e non duro o doloroso per la schiena. Quello che era strano è che lei era vestita normalmente; tutto avrebbe avuto un po’ più di senso se avesse indossato il pigiama, ma anche se fosse, la situazione sarebbe rimasta nella categoria: “assai improbabile”

Cosa sta succedendo?” lo udì sospirare. Lo guardò di nuovo in faccia e vide che era appoggiato allo stipite della porta del bagno con le braccia incrociate al petto e un sopracciglio ancora inarcato. La sua guancia destra era più grande dell’altra il che le fece pensare che ci stesse la lingua. I suoi occhi la squadrarono da cima a fondo, lei si sentì arrossire e fu contenta del fatto che fortunatamente il suo sedere fosse coperto per metà dalle lenzuola.

Sei una delle mie ex?” le chiese Duncan dubbioso.

Uno spiraglio di speranza si aprii nel suo cuore, ma subito dopo si spense; si chiese se iniziasse a ricordare. “Si” rispose secca “sono sicura che tu ti ricordi di me, tu devi ricordarti di me.” Dopo tutto quello che mi hai fatto!

Schioccò la lingua e scosse la testa. “No, non penso, non mi ricordo di te, non ti conosco. Nel senso, se tu fossi una delle mie ex mi ricorderei di te, perché dovrei saperlo. Ma ho avuto una solo ragazza l’anno scorso il resto erano avventure di una notte.. Sei una delle mie avventure?”

Prego?” Tossicchiò alzando il sopracciglio. Una avventura da una notte? Io?

Insomma se mi conosci, e probabilmente tra noi c’è stato qualcosa, allora sei una delle mie avventure da una notte, non mi ricordo nulla di loro.” Pausa. “Forse se mi aiuti, sono sicuro che mi ricorderò, penso.”

Una avventura, un’avventura da una notte? “ Io sicuramente non sono una delle tue avventure da una notte! Che cosa stupida! Non avrei mai permesso di essere una delle tue ragazze usami-per-due-ore-e-scaricami-subito-dopo!” Gli lanciò l’ennesima occhiataccia.

Fece una smorfia. “Argh, hai ragione non sarei mai andato a letto con una come te”

Si staccò dallo stipite della porta e si stiracchiò. “Sai, è una rottura di palle scoprire chi sei e che diavolo ci fai qui, ma dal momento che non siamo giunti a niente puoi anche andartene e fare quello che ti pare, diventa una vagabonda, non mi importa, ho delle cose più interessanti da fare.” Si incamminò verso l’armadio e tirò fuori dei vestiti, mentre Courtney arrabbiata, spostò di lato il lenzuolo e saltò giù dal letto.

Grande errore.

Cadde nuovamente a terra, rotolando su un lato a causa di quel maledetto mal di testa di cui si era totalmente dimenticata. Fortunatamente sul pavimento c’era un tappeto che attutì di poco il dolore lancinante.

Che ca..?” sentì Duncan dire, sentì dei passi si dirigersi nella sua direzione, e, attraverso i suoi occhi semichiusi, lo vide in piedi davanti a lei indossando i suoi pantaloncini e la sua maglietta gialla a maniche lunghe. Prima la fissò scocciato poi dopo un secondo sogghignò.

Non startene lì impalato, idiota!” lo avvertì “Aiutami! Cavolo non dovresti metterci così tanto, argh, giuro che hai un cervello di un..”

Si sentì strattonata dal nulla e tirata su. Barcollò un po’, ma la presa salda di Duncan la tenne sù e la bilanciò. Respirò profondamente, cercò di rilassarsi e di non pensare al dolore, aveva bisogno di antibiotici, ma il mal di testa non era il vero problema adesso.

Stava per fargli la predica quando si accorse di quanto fossero vicini; in verità non erano così vicini da sentire il respiro dell’altro, ma dopo la loro rovinosa rottura, questa era la distanza minima che avessero raggiunto, a parte la sfida del matrimonio, durante le terribili giornate del reality: quella volta era stato obbligatorio..

Si staccò dalla sua presa, fece un paio di passi indietro, e gli lanciò un’occhiataccia. “Invasione dello spazio personale” disse secca.

Lui assottigliò gli occhi acquamarina e sbuffò “Tch, sei la benvenuta sua Altezza” rispose. Si girò e tornò al suo armadio.

La ragazza io-ho-fatto-il-capogruppo-in-un-campo-estivo ringhiò piano e lo afferrò per un braccio, costringendolo a girarsi e a guardarla in faccia. Strinse forte il suo polso e digrignò i denti, avvicinandosi a lui. Se qualcuno le avesse bucato il corpo fiumi di rabbia sarebbero usciti come lava da un vulcano.

Aprì la bocca, ma lui la anticipò.

Donna! Quale cazzo è il tuo problema, eh?” urlò esasperato “Non ti conosco nemmeno e ti comporti come se ti avessi ucciso la famiglia o qualcosa del genere! Quindi smettila di fare così in casa mia, stupida ipocrita, e vattene perché anch’io non so cosa sta succedendo! Hai capito la situazione?” disse liberandosi dalla sua presa.

Duncan aveva già urlato a Courtney, di solito era lui quello calmo all'interno della loro relazione, di solito era lei quella che urlava. Ma, da quando la loro storia era sull'orlo di un precipizio, anche lui aveva cominciato a risponderle con parole bollenti, che le si conficcavano nel profondo del cuore. Per cercare di nascondere la sua vulnerabilità, lei diventava sempre più arrabbiata, facendo azioni estreme e rispondendo con altrettante parole.

Questa però era una situazione diversa, come si percepiva dal suo tono di voce.  Dal momento che lui non la conosceva, il suo tono era differente. Era come se lui stesse parlando con un'estranea, o, in questo caso, con una psicopatica  che aveva visto solo nel suo letto dopo la doccia. Lei non era abituata al fatto che questo ragazzo non la riconoscesse, questo ragazzo con cui era stata insieme per così tanto tempo, questo ragazzo a cui aveva donato il suo cuore e il suo corpo. Decisamente no.

Courtney lo fissò a lungo, per cercare di trovare una soluzione, ma fu inutile. Era una persona intelligente, più intelligente di una normale diciassettenne, ma, nonostante questo, non riuscì a trovare la risposta a questo rompicapo.

Sospirò. “Quindi davvero non mi conosci?” gli chiese tranquillamente, doveva cercare di rimanere calma.

Lui spostò la sua attenzione su di lei. Sembrava che stesse per strapparsi i suoi piercing per lo sconforto “No, cazzo” le rispose scorbutico.

Lei non fu contenta della sua estrema volgarità, ma pensò che facesse così dal momento che era confuso e stressato dalla situazione.

Che giorno è oggi?”

Duncan si passò una mano dietro il collo, pensando. “Un mercoledì, il 5 Aprile.”

Courtney sobbalzò. È un giorno di scuola, perchè? Perchè tra tutti i weekend e le vacanze che ci sono deve essere per forza un giorno di scuola? “I.. io devo andare a scuola! Oh mio Dio, io ho un esame per l'AP Lit! Cavolo, cavolo, cavolo!” si mordicchiò un'unghia e cominciò a parlottare tra sé e sé.

Il delinquente roteò gli occhi di nuovo; non sembrava che gli importasse molto del suo 'problema'. Andò verso di lei. “Hey, calmati, calmati.. Dove abiti?”
Stava per rispondere quando si ricordò di qualcosa. Duncan vive a Montral e io vivo a Beauport... Dannazione, ci sono più di centro chilometri di distanza! Ma perchè diavolo sono qui!? E perchè proprio nella stanza di Duncan? Perchè?

Duncan aspettò, sbadigliando, e poi diede un'occhiata alla sua sveglia. “Okay, io devo andare, sennò i miei genitori mi faranno una scenata” andò all'armadio e tirò fiori la sua tipica maglia col teschio; se la infilò e la sistemò, prendendo un paio di calzini dal cassetto.

E io cosa faccio?” gli chiese Courtney mentre lui si stava infilando il polsino.

Prese il portafoglio dalla scrivania e scrollò le spalle. “Non lo so” mormorò. “Preferirei che tu lasciassi la mia stanza, ma dal momento che ci sono parecchie domande in sospeso e so che tu sei il tipo non si arrende facilmente, puoi rimante qui per un po'.” Le lanciò un'occhiata severa. “Non toccare nessuna delle mie cose – alcune sono importanti, e non vorrei che vengano infettate da mani perfettine come le tue.”
Anche lei lo guardò male, e tossicchiò. “Come se volessi toccare qualcosa qui. Questo posto pullula di batteri e stupidità. Santi numi, ma hai una lavatrice? Un attaccapanni? Qualche conoscenza nell'ambito delle pulizie?” I suoi occhi dardeggiarono per la stanza e lei arricciò il naso disgustata.

Lui la guardò a bocca aperta, ma dopo un po' sorrise. “Sei parecchio aspra, lo sai vero?” 

Lei aggrottò appena le sopracciglia, e quando lui uscì, sospirò sonoramente. Si sedette sul suo letto e si accigliò quando lo senti cigolare; era una cosa positiva che il letto fosse morbido. Si guardò attorno di nuovo e storse la bocca: quella stanza rifletteva alla perfezione la personalità di Duncan.

Corrugò la fronte e una domanda si materializzò nella sua mente: Cosa cavolo sta succedendo?
La sveglia cominciò a suonare rumorosamente, con una strana melodia; capì che Duncan l'aveva sintonizzata più volte. Mugugnò e la spense con forza, guardando poi l'ora.

8.46-  5 Aprile 2008

Courtney accennò una risatina Ah! È in ritardo per scuola.

Il sorriso sfumò pian piano dal suo volto, venendo sostituito da tracce d'orrore; guardò nuovamente la data.

5 Aprile 2008

2008

2008

2008

Cercò velocemente il suo palmare nella tasca, e ringraziò tutti i cieli quando lo trovò. Lo tirò fuori e rimase sconcertata da quanto sembrasse vecchio e fuori moda rispetto a quello che aveva comprato da poco, e controllò la data; Duncan sicuramente l'aveva messa sbagliata, era così irresponsabile!

Il mondo le cascò addosso.

Data di oggi: 5 Aprile 2008.

 

 

  
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