Chapter n°1 ~ It’s Berwald’s time!
«E-ehi, calmati… sentirsi male in questo modo è roba da ragazze, perciò
ti ordino di ricomporti subito!» gli ordinò lei con fare deciso. La cosa però
non sembrò funzionare. Lui stava cominciando ad avere un attacco di iperventilazione
e lei iniziava a pensare che Feliks avesse solo capito male e che lei stesse
procurando un quasi-infarto al suo amico… in pratica stava andando nel pallone.
«Ehi, qualcuno ha un sacchetto? Il mio amico si sta sentendo male! Per favore!»
implorò verso la platea di studenti del cortile. Passarono trenta lunghissimi secondi.
«Tieni» La voce, o meglio, il
vocione proveniva da dietro. Si girò di scatto e vide colui che non sarebbe mai dovuto venire in quel momento: Berwald le
stava gentilmente porgendo un sacchetto. Lo prese e lo diede all’amico,
consigliandoli di guardare in basso, per ovvi
motivi. Mentre quello si riprendeva la ragazza volse lo sguardo verso lo
svedese, o almeno, il punto in cui si trovava pochi secondi prima. Infatti se
ne era andato via. Che avesse sentito tutto? Che avesse capito tutto? E se
fosse stato lui a dare a Feliks la news? No, si stava facendo troppe domande
inutili… doveva pensare a Tino, piuttosto.
«Mio Dio… dimmi che stavi scherzando… per favore… stavi scherzando,
giusto? Il fatto che io lo trovi dappertutto è solo un semplice caso, giusto?
Sono solo paranoico, no? Dimmi che è così!» il finlandese si era ripreso
dall’attacco di panico, o almeno dalla parte critica. Pipaluk non voleva certo
procurargli un altro attacco, ma non poteva neppure mentirgli. Gli rispose con
un sibillino “La realtà fa male” e lui sospirò.
Qualche minuto dopo percorrevano insieme la strada che separava le aule
dai dormitori. Ovviamente ad un certo punto c’era un bivio che divideva i
dormitori maschili da quelli femminili, ma non ci erano ancora arrivati.
Potevano ancora parlare un po’. Siccome Tino non voleva decidersi ad intavolare
una conversazione, iniziò lei. «Allora, hai idea di che cosa comportino i
compiti di inglese?» lui non ripose. «Avanti, la vita continua! E poi… avessi
io uno spasimante come te!» ancora niente. «Va bene, ora la smetto, ok? Ci
vediamo in biblioteca per aiutarci insieme con le punizioni estive della
vipera?» Tino annuì quasi impercettibilmente. Arrivarono al bivio e le loro
strade si divisero, anche se sapevano che sarebbe durato solo un’ora o poco
più.
La ragazza aprì la porta della camera e la richiuse con garbo. Di Sesel
nessuna traccia. Sesel, la sua adorabile compagnia di stanza: occhi castani
come i capelli, che amava legarsi con due nastri rossi in due codine basse. Fissò
sconsolata il quaderno d’inglese: il tempo per finire i compiti delle vacanze
ormai non era più così tanto e doveva svolgere un tema di almeno cinque facciate! Si buttò sul letto in preda alla
disperazione, con la testa affondata nel cuscino, con nessuna voglia di
cambiare posizione. Almeno finché non sentì un “toc toc”, seguito da una vocina familiare. «È permesso? Luk?» da quando
erano diventate compagne di stanza lei le aveva imposto di chiamarla Luk. “Fa
molto figo! E poi diventeremo amiche e ci daremo dei nomignoli, giusto? Quindi
dobbiamo iniziare fin d’ora!” aveva spiegato la groenlandese. Lei però non aveva dato nessun nomignolo
all’amica. “Sesel è un bel nome e non va storpiato!” le aveva spiegato. E la
castana aveva accettato tutto di buon grado.
Alla fine la groenlandese decise di aprirle la porta, accogliendola con
un “Ti devo raccontare una cosa…” e stravaccandosi ancora sul letto. «Che è
successo?» esordì la tipa delle Seychelles, mentre si scioglieva le codine,
lasciando scivolare i suoi bei capelli morbidi sulle spalle, mentre Pipaluk
stava già iniziando a raccontare i “venti minuti più intensi dell’anno”, con la
sua solita parlantina che rendeva tutte le frasi unite, come se fossero
un’unica, lunghissima parola. L’accento groenlandese consisteva in quello e
anche nella quasi totale capacità di pronunciare la c dolce, la “sh” che
diventava una “sk”… e anche l’accento danese derivato da suo padre faceva la
sua parte, creando qualcosa che assomigliava molto ad un incrocio fra una trombetta e una piccola chitarra
scordata. Molto scordata, molto piccola e poco chitarra.
«Non possono essere passati solo venti minuti, Luk! Comunque poi andiamo
in biblioteca per i compiti? E per Tino, ovvio! Ma prima pettinati un po’,
sembri uno spaventapasseri…!» Luk si alzò dal letto controvoglia facendo
scricchiolare le molle, per poi dirigersi verso il bagno indipendente e fissare
il suo riflesso nello specchio: davanti a lei c’era una ragazza bassina con un
volto incorniciato da ciocche corvine che le accarezzavano il collo. Con quella
faccia tonda che si ritrovava avrebbe dovuto farsi crescere i capelli almeno
fino alle spalle per non sembrare una bimbetta di cinque anni… il colore
ambrato della pelle invece non le dispiaceva: aveva sentito di ragazze che
avrebbe pagato oro per avere un’abbronzatura
costante come la sua e quindi avere una carnagione scura la riempiva
d’orgoglio. Neppure gli occhi marrone scuro le stavano male, anzi! Dopo una
veloce pettinata si diresse verso la biblioteca, tenendo per mano l’amica. Notò
che c’era Tino all’ingresso. Il ragazzo le salutò con un cenno della mano e poi
entrò mogio mogio. I tre decisero di sedersi allo stesso tavolo per lavorare
insieme e quando, un quearto d’ora più avanti, in preda ad un improvviso
attacco di noia, la groenlandese buttò la testa all’indietro, vive proprio lui,
per poco non le venne un colpo. “Ma è uno stalker o cosa?!” mentre lo fissava si
ricordò che doveva assolutamente ringraziarlo per il sacchetto, così si
allontanò dal posto con una scusa e lo raggiunse. Tino aveva le sue buone
ragioni per averne paura: se qualcuno che ti segue ovunque e che trovi ogni
volta che ti giri dietro era inquietante Berwald era il plus ultra dei non plus ultra. Dai, chi non potrebbe provare
timore… al suo cospetto? Ma plus
ultra, stalker o no, doveva comunque ringraziarlo, almeno per non fare la
figura della maleducata. Prese coraggio, si sporse verso il tavolo dove Berwald
era chino su di un libro e pronunciò le fatidiche due sillabe: «Gra-azie»
«Prego»
«A-allora… che leggi di bello?» già che c’era poteva provare anche ad
attaccare bottone, giusto? Per tutta risposta lui alzò il libro in modo che lei
potesse leggere il titolo e l’autrice scritti sulla copertina: Proibito di Tabitha Suzuma. Si rese
conto che lo aveva letto anche lei. Un punto a suo vantaggio!
«Oh, l’ho letto anche io! Alla fi-… credo che tu non voglia sapere come
finisce, giusto? Eheheh…»
«L’ho già letto. È per il tema»
«Aaah, ok! P-posso sedermi qui?»
«Siamo in un paese libero»
«Già! Infatti! Eheh… » la “conversazione brillante” della povera Luk
stava andando a farsi benedire. Eppure aveva tutto in testa! Possibile che non
riuscisse a sbloccarsi? Ok, il fatto che Berwald fosse un bestione di un metro
e ottanta forse poteva ostacolarla un pochino… però doveva farcela, accidenti!
Si ricordò che Sesel le aveva consigliato di ripiegare sul pesce quando non
sapeva che dire, però lei non era certo una
itticomane come la sua amica. Sfoderò la sua mania per gli accenti di vario
genere, coltivata durante i vari periodi di permanenza nel college. «Allora, ho
sentito che sei svedese… com’è la Svezia? Fa caldo?»
«Si muore…»
«No, è perché… da me fa davvero freddo! A proposito, una volta però ho
visto un orso bianco! In pratica… allora, l’orso… come si dice orso in
svedese?»
«Björn…» ma che diavolo voleva da
lui quella groenlandese rumorosa?
«Sai, in danese si dice bære, mentre in kalaallisut si dice “nanuk”! Mio
padre è danese quindi lo conosco anch’io… e perciò conosco tre lingue:
kalaallisut, danese e inglese!»
«Complimenti…»
«Ti sto dando fastidio? Patsit!
Scusami, è che… in pratica l’orso era un’orsa e aveva anche i piccoli! Erano
due, piccoli piccoli! In Svezia ci sono gli orsi?»
«Sì…»
«Fatto sta che poi l’orsa ha
ucciso un cane della muta di mio padre con una zampata! Non sai che zampe che
hanno gli orsi polari! Certo che il cane un po’ se l’è cercata… è scappato
verso l’orsa e ha cominciato ad abbaiare come un matto! E così lei ha fatto
quel che ha fatto e lui è caduto per terra come una bambola di pezza!
Ovviamente ora ti starai chiedendo se mi sia dispiaciuta o roba del genere…»
In
realtà no. [ehi, tu! Va’ giù nelle note, altrimenti la tua
anima sarà perduta!]
«Ah, in pratica, all’inizio no… quel cane stava sempre sulle sue e non
giocava con me, quindi non ho neppure provato a farci amicizia, però poi mi
sono accorta che diventare l’amicizia con quel cane sarebbe stata speciale! Non era scontata come quella
degli altri cani normali, no? Bene, vorresti imparare un po’ di kalaallisut?
Per favore! E-ecco, per favore si dice Ikinngutinnersumik! Qui nessuno parla la mia lingua! Poi
se vuoi puoi insegnarmi un po’ di svedese, così facciamo a cambio!»
«“Per favore” in svedese si dice tack»
«Solo “tack”? Sicuro? È troppo facile… tack! Tack! Taaa-aaack! Ora però
devi dire Ikinngutinnersumik!»
«No»
«Avanti! Devi dire “Ikinn”, “gutinner” e “sumik” in un’unica parola! Non
è così difficile! Lo hanno imparato anche Sesel e Tino! E scommetto che
potrebbe dirlo anche quel tizio laggiù!» fece lei, indicando un ragazzo moro.
Doveva essere Lovino Vargas. «Ehi, lo sai dire Ikinngutinnersumik?»
«Ma che ti fumi?!» fu (l’ovvia, vorrei aggiungere) la risposta del
ragazzo moro.
«Vargas, insomma! Siamo in biblioteca, usi un linguaggio consono al
luogo in cui si trova!» lo riprese una professoressa di passaggio. Quello, per
tutta risposta, girò i tacchi e si allontanò borbottando. C’era anche un altro
ragazzo che lo seguiva, piagnucolando come un bambino; assomigliava molto a
Lovino, però aveva i capelli e gli occhi di un colore più chiaro. Luk pensò
istintivamente che fossero parenti e poi si rivolse ancora a Berwald,
reclamando il suo Ikinngutinnersumik. «Io
ho detto tack, Se vuoi proviamo con qualche altra parola… aluu! Ciao!»
Cosa vuoi esattamente
da me?
«Bene, tu adesso dovresti scrivere il tuo tema, quindi vi ses snart! Credo di aver dato
abbastanza fastidio…»
«Aspetta» si rigirò dall’altra parte, guardando gli occhi acquamarina
dell’altro, pieni di speranza. «Hai detto “Tino” prima? Per caso è Tino
Väinämöinen? Lo conosci?»
«M-mh» annuì lei. «Di vista… Lo conosci anche tu?»
«Perfetto. Lascialo»
«EH?! Chi dovrei lasciare?»
«Tino»
«Ahahah! T-tu credevi che io e Ti-» Berwald le prese il braccio,
guardandola intensamente negli occhi. Se ci fosse stato lo sfondo di un
frutteto e una musica melensa in sottofondo probabilmente si sarebbe subito
pensato al momento del bacio. E tanti fiori che svolazzavano nell’aura magica
formatosi fra i due. Però non era così. Sullo sfondo c’era una noiosissima
biblioteca e l’unica musica di sottofondo era il leggero brusio degli altri
ragazzi.
«Lo so che non è vero. Non credere di potermi ingannare»
«Ma è vero! E lasciami il braccio! Guarda che… beh, io ti… ti mordo, eh!»
Ovviamente non l’avrebbe morso. Però, quando si è in preda ad un attacco di
disperazione, certe cose ti scappano di bocca. «… tanto sto dicendo la verità!
Non ho paura di te! Vedi, sai come funziona con i cani, no? Se mostri di avere
paura è finita!»
«Quindi hai paura»
«NO!» tentò lei, per poi cambiare discorso: «Guarda che mi lasci il braccio lo faccio venire subito!»
E invece
scapperò!
«No. Se ti lascio il braccio scapperai urlando che sono un maniaco»
Agh.
«Potrei farlo anche adesso…» no, questo genere di cose non potevano
funzionare. O almeno, non con uno come Berwald. «Tino, puoi onorarci della tua presenza?»
sussurrò Luk, sperando che lo sentisse. E per fortuna (o purtroppo?) il
richiamo venne udito e recepito. Una testolina bionda si alzò di scatto, per
poi girarsi verso il luogo da dove proveniva il suono. Gli occhi violacei
guardarono la scena che si stava svolgendo un po’ più in là, terrorizzati. «No, non posso venire! Vedi, sto facendo la relazione…»
provò a scusarsi il finnico, indicando la il quaderno aperto e con le pagine
ancora immacolate, sovrapposto ad un block notes che sembrava essere un cimelio
della Grande Guerra e a circa millemila
fogli zeppi di appunti. Ma ovviamente la sua scusa non avrebbe funzionato… «Ehm… Sesel… devo andare…» si congedò, mentre si dirigeva lentissimamente verso l’amica e quell’altro.
«Dove?» chiese Sesel, alzando gli occhi dal libro.
A morire…
«Luk mi sta chiamando…»
«Vedi che sta venendo? Se mi avessi lasciato il braccio…» sbuffò la
groenlandese, cercando di liberare il braccio in trappola.
«… staresti già piangendo fra le sue braccia» continuò Berwald, senza
spostare lo sguardo dal finlandese che si avvicinava, sempre tenendo la
velocità di un bradipo morto.
«C-che c’è?» chiese Tino, sforzando un sorriso, ormai a un metro da loro
due.
«Puoi gentilmente dire a questo signore qui che io e te non stiamo
insieme?»
Oh, Tino. Ora
probabilmente penserai che trovarti una ragazza sarebbe un bel modo per evitare
le attenzioni di Berwald. E penserai di poter dire che sono io la tua ragazza.
In questo modo crederai di potertelo levare di torno. Ebbene, ti prego di non
farlo. PER FAVORE. IKINNGUTINNERSUMIK! Ci mangerà tutti e due e poi creerà
tamburi conciando la nostra pelle, usando le nostre ossa come bacchette. No,
aspetta. Questo lo farà con me. Tu sarai solamente violentato per il resto
della tua (breve) vita e non rivedrai mai più la tua famiglia. A parte il
giorno del matrimonio, ovvio. No, forse non lo farà. Forse mi guarderà male per
il resto della mia permanenza al college. Nooo… non voglio, non voglio!
«No, non stiamo insieme, te l’assicuro… m-ma perché le
tieni il braccio?» chiese Tino, sorpreso. E Luk intanto esultò interiormente
per la sincerità del suo amico.
La
verità va detta sempre, soprattutto in questi casi.
«Voleva scappare» mugugnò lo svedese.
Ah, ora si
spiega tutto… benvenuta nel club.
«E ora mi lasci?» Pipaluk tentò di tirare via il braccio da sola, senza
risultato. Fu Berwald a lasciarla andare, dicendo a Tino qualcosa del genere
“Ne parliamo in camera”, per poi risedersi e riaprire il libro. Aveva perso fin troppo tempo con quella lì. E lui non era
tipo da perdere tempo. Gli altri due continuarono a scrivere i loro temi
(sull’altro tavolo, ovvio), senza fare alcun accenno alla faccenda di prima. Fu Luk la prima ad uscire il discorso, mentre
camminava con Tino e Sesel era troppo concentrata sul cadavere di una farfalla
per ascoltarli. «Tino…
davvero sei in camera con lui?» esordì.
«Non me ne parlare, per favore… ma perché sei andata a parlarci?»
«Beh, all’inizio dovevo ringraziarlo per una cosa… poi mi son detta che
visto che ero lì potevo anche provare a parlarci un poco, no? Magari
diventeremo amici! Come io e te! E alla fine dell’anno ci faremo una bella foto
tutti insieme! E…»
«Ehi, Luk, frena. Berwald… Berwald non è un tipo come gli altri…
insomma… è un po’ “particolare”… accidenti, non so come dirtelo…»
«Nessuno è come gli altri! E non credo che il fatto che sia gay sia un
problema tanto rilevante! Per me non è un problema!»
Per te.
«Non è quello il problema! Non è un tipo che parla, che gioca, che
scherza… accidenti, perché non ti trovi una persona più facile? Tipo Alfred?
Quello sarebbe perfetto!»
«Be’, se non parla, ascolta! E poi a me sembra interessante! Hai visto
come mi ha bloccato il braccio?» rispose lei, agitando l’arto. «È diventato
molle!»
«Luk, anche gli orsi polari sono interessanti, ma non ci vai mica a
socializzare…»
«Appunto! Nanuk!»
«Tu sei un caso perso… »
L’angolo di Kaida (alias note di
colei-che-scrive)
*rilegge capitolo* o cielo… perdonatemi… questa
volta ho fatto proprio un inguacchio °_° ok, il fatto che correggessi il
capitolo mentre discorrevo della figosità di Canada con una mia amica forse
potrebbe aver influito un pochino… insomma, è risaputo che chi arriva fin qui è
un eroe, ma stavolta la cosa vale il doppio, il triplo, il sediciuplolo! Sto ufficialmente sclerando, non si vede?
Innanzitutto ringrazio miristar e Cosmopolita, che hanno avuto il
coraggio di recensire il prologo (ehi, c’è scritto che ha ricevuto più di 40
visualizzazioni! Quindi 40 persone potrebbero uccidermi! °A°), ma anche tutti
coloro che hanno letto e che leggeranno, anche solo per maturare un odio
profondo nei miei confronti x°D inutile spiegarvi che amo le balde giovinotte
che recensiscono! Ogni recensione è uno spunto per migliorare! *stelline
sbrilluccicanti che appaiono negli occhi di colei-che-scrive* ebbene, ora devo
spiegarvi quel fatto dei colori, no? Ecco, ripensando alle elementari e
cercando un metodo per distinguere decentemente i pensieri dei vari personaggi,
mi sono ricordata che usare colori diversi è una tattica stupida, infantile e
penosa, ma funzionante! Ergo, i pensieri di Luk sono così, quelli di Tino cosà e
quelli di Berwald colà. Oh, vi ses
snart sarebbe “arrivederci” in groenlandese. Avevo una mezza idea di scrivere le traduzioni delle parole così: parola[traduzione], ma… fatemi sapere
che ne pensate, ok? Altrimenti andrò nel panico ;__; arrivederciii~
Kaida_ _ _
P.S: avete notato la mia totale incapacità
nell’inventare titoli, no? Patsit[scusa]! Mmh…
no, questa cosa con le parentesi non funziona…