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Autore: Kaida_ _ _    23/12/2011    4 recensioni
Uno spasimante, un ammiratore! Cosa c’è di più bello e fastidioso nello stesso tempo? Peccato per Tino che il suo spasimante coincida anche con il suo peggiore incubo, alias Berwald Oxenstierna.
E soprattutto peccato che quella pazza della sua amica - tale Luk - voglia addirittura farlo diventare un suo “buon amico” e, chissà, qualcosa di più.
Tutto ciò con lo sfondo di un grigio – sì, più o meno – college londinese, tra recite, improbabili intrighi e compiti in classe.
{Modestamente, è un po’ molto obbrobriosa, ‘sta fic. Ma vabbè, al cervello non si comanda. Sempre che ce ne sia uno…}
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Finlandia/ Tino Väinämöinen, Nuovo personaggio, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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One

Chapter n°1 ~ It’s Berwald’s time!

 

   «E-ehi, calmati… sentirsi male in questo modo è roba da ragazze, perciò ti ordino di ricomporti subito!» gli ordinò lei con fare deciso. La cosa però non sembrò funzionare. Lui stava cominciando ad avere un attacco di iperventilazione e lei iniziava a pensare che Feliks avesse solo capito male e che lei stesse procurando un quasi-infarto al suo amico… in pratica stava andando nel pallone. «Ehi, qualcuno ha un sacchetto? Il mio amico si sta sentendo male! Per favore!» implorò verso la platea di studenti del cortile. Passarono trenta lunghissimi secondi.

    «Tieni» La voce, o meglio, il vocione proveniva da dietro. Si girò di scatto e vide colui che non sarebbe mai dovuto venire in quel momento: Berwald le stava gentilmente porgendo un sacchetto. Lo prese e lo diede all’amico, consigliandoli di guardare in basso, per ovvi motivi. Mentre quello si riprendeva la ragazza volse lo sguardo verso lo svedese, o almeno, il punto in cui si trovava pochi secondi prima. Infatti se ne era andato via. Che avesse sentito tutto? Che avesse capito tutto? E se fosse stato lui a dare a Feliks la news? No, si stava facendo troppe domande inutili… doveva pensare a Tino, piuttosto.

   «Mio Dio… dimmi che stavi scherzando… per favore… stavi scherzando, giusto? Il fatto che io lo trovi dappertutto è solo un semplice caso, giusto? Sono solo paranoico, no? Dimmi che è così!» il finlandese si era ripreso dall’attacco di panico, o almeno dalla parte critica. Pipaluk non voleva certo procurargli un altro attacco, ma non poteva neppure mentirgli. Gli rispose con un sibillino “La realtà fa male” e lui sospirò.

   Qualche minuto dopo percorrevano insieme la strada che separava le aule dai dormitori. Ovviamente ad un certo punto c’era un bivio che divideva i dormitori maschili da quelli femminili, ma non ci erano ancora arrivati. Potevano ancora parlare un po’. Siccome Tino non voleva decidersi ad intavolare una conversazione, iniziò lei. «Allora, hai idea di che cosa comportino i compiti di inglese?» lui non ripose. «Avanti, la vita continua! E poi… avessi io uno spasimante come te!» ancora niente. «Va bene, ora la smetto, ok? Ci vediamo in biblioteca per aiutarci insieme con le punizioni estive della vipera?» Tino annuì quasi impercettibilmente. Arrivarono al bivio e le loro strade si divisero, anche se sapevano che sarebbe durato solo un’ora o poco più.

   La ragazza aprì la porta della camera e la richiuse con garbo. Di Sesel nessuna traccia. Sesel, la sua adorabile compagnia di stanza: occhi castani come i capelli, che amava legarsi con due nastri rossi in due codine basse. Fissò sconsolata il quaderno d’inglese: il tempo per finire i compiti delle vacanze ormai non era più così tanto e doveva svolgere un tema di almeno cinque facciate! Si buttò sul letto in preda alla disperazione, con la testa affondata nel cuscino, con nessuna voglia di cambiare posizione. Almeno finché non sentì un “toc toc”, seguito da una vocina familiare. «È permesso? Luk?» da quando erano diventate compagne di stanza lei le aveva imposto di chiamarla Luk. “Fa molto figo! E poi diventeremo amiche e ci daremo dei nomignoli, giusto? Quindi dobbiamo iniziare fin d’ora!” aveva spiegato la groenlandese.  Lei però non aveva dato nessun nomignolo all’amica. “Sesel è un bel nome e non va storpiato!” le aveva spiegato. E la castana aveva accettato tutto di buon grado.

   Alla fine la groenlandese decise di aprirle la porta, accogliendola con un “Ti devo raccontare una cosa…” e stravaccandosi ancora sul letto. «Che è successo?» esordì la tipa delle Seychelles, mentre si scioglieva le codine, lasciando scivolare i suoi bei capelli morbidi sulle spalle, mentre Pipaluk stava già iniziando a raccontare i “venti minuti più intensi dell’anno”, con la sua solita parlantina che rendeva tutte le frasi unite, come se fossero un’unica, lunghissima parola. L’accento groenlandese consisteva in quello e anche nella quasi totale capacità di pronunciare la c dolce, la “sh” che diventava una “sk”… e anche l’accento danese derivato da suo padre faceva la sua parte, creando qualcosa che assomigliava molto ad un  incrocio fra una trombetta e una piccola chitarra scordata. Molto scordata, molto piccola e poco chitarra.

   «Non possono essere passati solo venti minuti, Luk! Comunque poi andiamo in biblioteca per i compiti? E per Tino, ovvio! Ma prima pettinati un po’, sembri uno spaventapasseri…!» Luk si alzò dal letto controvoglia facendo scricchiolare le molle, per poi dirigersi verso il bagno indipendente e fissare il suo riflesso nello specchio: davanti a lei c’era una ragazza bassina con un volto incorniciato da ciocche corvine che le accarezzavano il collo. Con quella faccia tonda che si ritrovava avrebbe dovuto farsi crescere i capelli almeno fino alle spalle per non sembrare una bimbetta di cinque anni… il colore ambrato della pelle invece non le dispiaceva: aveva sentito di ragazze che avrebbe pagato oro per avere un’abbronzatura costante come la sua e quindi avere una carnagione scura la riempiva d’orgoglio. Neppure gli occhi marrone scuro le stavano male, anzi! Dopo una veloce pettinata si diresse verso la biblioteca, tenendo per mano l’amica. Notò che c’era Tino all’ingresso. Il ragazzo le salutò con un cenno della mano e poi entrò mogio mogio. I tre decisero di sedersi allo stesso tavolo per lavorare insieme e quando, un quearto d’ora più avanti, in preda ad un improvviso attacco di noia, la groenlandese buttò la testa all’indietro, vive proprio lui, per poco non le venne un colpo. “Ma è uno stalker o cosa?!” mentre lo fissava si ricordò che doveva assolutamente ringraziarlo per il sacchetto, così si allontanò dal posto con una scusa e lo raggiunse. Tino aveva le sue buone ragioni per averne paura: se qualcuno che ti segue ovunque e che trovi ogni volta che ti giri dietro era inquietante Berwald era il plus ultra dei non plus ultra. Dai, chi non potrebbe provare timore… al suo cospetto? Ma plus ultra, stalker o no, doveva comunque ringraziarlo, almeno per non fare la figura della maleducata. Prese coraggio, si sporse verso il tavolo dove Berwald era chino su di un libro e pronunciò le fatidiche due sillabe: «Gra-azie»

   «Prego»

   «A-allora… che leggi di bello?» già che c’era poteva provare anche ad attaccare bottone, giusto? Per tutta risposta lui alzò il libro in modo che lei potesse leggere il titolo e l’autrice scritti sulla copertina: Proibito di Tabitha Suzuma. Si rese conto che lo aveva letto anche lei. Un punto a suo vantaggio!

   «Oh, l’ho letto anche io! Alla fi-… credo che tu non voglia sapere come finisce, giusto? Eheheh…»

   «L’ho già letto. È per il tema»

   «Aaah, ok! P-posso sedermi qui?»

   «Siamo in un paese libero»

   «Già! Infatti! Eheh… » la “conversazione brillante” della povera Luk stava andando a farsi benedire. Eppure aveva tutto in testa! Possibile che non riuscisse a sbloccarsi? Ok, il fatto che Berwald fosse un bestione di un metro e ottanta forse poteva ostacolarla un pochino… però doveva farcela, accidenti! Si ricordò che Sesel le aveva consigliato di ripiegare sul pesce quando non sapeva che dire, però lei non era certo una itticomane come la sua amica. Sfoderò la sua mania per gli accenti di vario genere, coltivata durante i vari periodi di permanenza nel college. «Allora, ho sentito che sei svedese… com’è la Svezia? Fa caldo?»

    «Si muore…»

   «No, è perché… da me fa davvero freddo! A proposito, una volta però ho visto un orso bianco! In pratica… allora, l’orso… come si dice orso in svedese?»

   «Björn…» ma che diavolo voleva da lui quella groenlandese rumorosa?

   «Sai, in danese si dice bære, mentre in kalaallisut si dice “nanuk”! Mio padre è danese quindi lo conosco anch’io… e perciò conosco tre lingue: kalaallisut, danese e inglese!»

   «Complimenti…»

   «Ti sto dando fastidio? Patsit! Scusami, è che… in pratica l’orso era un’orsa e aveva anche i piccoli! Erano due, piccoli piccoli! In Svezia ci sono gli orsi?»

   «Sì…»

   «Fatto sta che poi l’orsa ha ucciso un cane della muta di mio padre con una zampata! Non sai che zampe che hanno gli orsi polari! Certo che il cane un po’ se l’è cercata… è scappato verso l’orsa e ha cominciato ad abbaiare come un matto! E così lei ha fatto quel che ha fatto e lui è caduto per terra come una bambola di pezza! Ovviamente ora ti starai chiedendo se mi sia dispiaciuta o roba del genere…»

   In realtà no. [ehi, tu! Va’ giù nelle note, altrimenti la tua anima sarà perduta!]

   «Ah, in pratica, all’inizio no… quel cane stava sempre sulle sue e non giocava con me, quindi non ho neppure provato a farci amicizia, però poi mi sono accorta che diventare l’amicizia con quel cane sarebbe stata speciale! Non era scontata come quella degli altri cani normali, no? Bene, vorresti imparare un po’ di kalaallisut? Per favore! E-ecco, per favore si dice Ikinngutinnersumik! Qui nessuno parla la mia lingua! Poi se vuoi puoi insegnarmi un po’ di svedese, così facciamo a cambio!»

   «“Per favore” in svedese si dice tack»

   «Solo “tack”? Sicuro? È troppo facile… tack! Tack! Taaa-aaack! Ora però devi dire Ikinngutinnersumik!»

   «No»

   «Avanti! Devi dire “Ikinn”, “gutinner” e “sumik” in un’unica parola! Non è così difficile! Lo hanno imparato anche Sesel e Tino! E scommetto che potrebbe dirlo anche quel tizio laggiù!» fece lei, indicando un ragazzo moro. Doveva essere Lovino Vargas. «Ehi, lo sai dire Ikinngutinnersumik?»

   «Ma che ti fumi?!» fu (l’ovvia, vorrei aggiungere) la risposta del ragazzo moro.

   «Vargas, insomma! Siamo in biblioteca, usi un linguaggio consono al luogo in cui si trova!» lo riprese una professoressa di passaggio. Quello, per tutta risposta, girò i tacchi e si allontanò borbottando. C’era anche un altro ragazzo che lo seguiva, piagnucolando come un bambino; assomigliava molto a Lovino, però aveva i capelli e gli occhi di un colore più chiaro. Luk pensò istintivamente che fossero parenti e poi si rivolse ancora a Berwald, reclamando il suo Ikinngutinnersumik. «Io ho detto tack, Se vuoi proviamo con qualche altra parola… aluu! Ciao!»

   Cosa vuoi esattamente da me?

   «Bene, tu adesso dovresti scrivere il tuo tema, quindi vi ses snart! Credo di aver dato abbastanza fastidio…»  

   «Aspetta» si rigirò dall’altra parte, guardando gli occhi acquamarina dell’altro, pieni di speranza. «Hai detto “Tino” prima? Per caso è Tino Väinämöinen? Lo conosci?»

   «M-mh» annuì lei. «Di vista… Lo conosci anche tu?»

   «Perfetto. Lascialo»

   «EH?! Chi dovrei lasciare?»

   «Tino»

   «Ahahah! T-tu credevi che io e Ti-» Berwald le prese il braccio, guardandola intensamente negli occhi. Se ci fosse stato lo sfondo di un frutteto e una musica melensa in sottofondo probabilmente si sarebbe subito pensato al momento del bacio. E tanti fiori che svolazzavano nell’aura magica formatosi fra i due. Però non era così. Sullo sfondo c’era una noiosissima biblioteca e l’unica musica di sottofondo era il leggero brusio degli altri ragazzi.

   «Lo so che non è vero. Non credere di potermi ingannare»

   «Ma è vero! E lasciami il braccio! Guarda che… beh, io ti… ti mordo, eh!» Ovviamente non l’avrebbe morso. Però, quando si è in preda ad un attacco di disperazione, certe cose ti scappano di bocca. «… tanto sto dicendo la verità! Non ho paura di te! Vedi, sai come funziona con i cani, no? Se mostri di avere paura è finita!»

   «Quindi hai paura»

   «NO!» tentò lei, per poi cambiare discorso: «Guarda che mi lasci il braccio lo faccio venire subito!»

   E invece scapperò!

   «No. Se ti lascio il braccio scapperai urlando che sono un maniaco»

   Agh.    

   «Potrei farlo anche adesso…» no, questo genere di cose non potevano funzionare. O almeno, non con uno come Berwald.   «Tino, puoi onorarci della tua presenza?» sussurrò Luk, sperando che lo sentisse. E per fortuna (o purtroppo?) il richiamo venne udito e recepito. Una testolina bionda si alzò di scatto, per poi girarsi verso il luogo da dove proveniva il suono. Gli occhi violacei guardarono la scena che si stava svolgendo un po’ più in là, terrorizzati. «No, non posso venire! Vedi, sto facendo la relazione…» provò a scusarsi il finnico, indicando la il quaderno aperto e con le pagine ancora immacolate, sovrapposto ad un block notes che sembrava essere un cimelio della Grande Guerra e a circa millemila fogli zeppi di appunti. Ma ovviamente la sua scusa non avrebbe funzionato… «Ehm… Sesel… devo andare…» si congedò, mentre si dirigeva lentissimamente verso l’amica e quell’altro.

   «Dove?» chiese Sesel, alzando gli occhi dal libro.

   A morire…

   «Luk mi sta chiamando…»

   «Vedi che sta venendo? Se mi avessi lasciato il braccio…» sbuffò la groenlandese, cercando di liberare il braccio in trappola.

   «… staresti già piangendo fra le sue braccia» continuò Berwald, senza spostare lo sguardo dal finlandese che si avvicinava, sempre tenendo la velocità di un bradipo morto.

   «C-che c’è?» chiese Tino, sforzando un sorriso, ormai a un metro da loro due.

   «Puoi gentilmente dire a questo signore qui che io e te non stiamo insieme?»

   Oh, Tino. Ora probabilmente penserai che trovarti una ragazza sarebbe un bel modo per evitare le attenzioni di Berwald. E penserai di poter dire che sono io la tua ragazza. In questo modo crederai di potertelo levare di torno. Ebbene, ti prego di non farlo. PER FAVORE. IKINNGUTINNERSUMIK! Ci mangerà tutti e due e poi creerà tamburi conciando la nostra pelle, usando le nostre ossa come bacchette. No, aspetta. Questo lo farà con me. Tu sarai solamente violentato per il resto della tua (breve) vita e non rivedrai mai più la tua famiglia. A parte il giorno del matrimonio, ovvio. No, forse non lo farà. Forse mi guarderà male per il resto della mia permanenza al college. Nooo… non voglio, non voglio!

   «No, non stiamo insieme, te l’assicuro… m-ma perché le tieni il braccio?» chiese Tino, sorpreso. E Luk intanto esultò interiormente per la sincerità del suo amico.

   La verità va detta sempre, soprattutto in questi casi.

   «Voleva scappare» mugugnò lo svedese.

   Ah, ora si spiega tutto… benvenuta nel club.

   «E ora mi lasci?» Pipaluk tentò di tirare via il braccio da sola, senza risultato. Fu Berwald a lasciarla andare, dicendo a Tino qualcosa del genere “Ne parliamo in camera”, per poi risedersi e riaprire il libro. Aveva perso fin troppo tempo con quella lì. E lui non era tipo da perdere tempo. Gli altri due continuarono a scrivere i loro temi (sull’altro tavolo, ovvio), senza fare alcun accenno alla faccenda di prima. Fu Luk la prima ad uscire il discorso, mentre camminava con Tino e Sesel era troppo concentrata sul cadavere di una farfalla per ascoltarli. «Tino… davvero sei in camera con lui?» esordì.

   «Non me ne parlare, per favore… ma perché sei andata a parlarci?»

   «Beh, all’inizio dovevo ringraziarlo per una cosa… poi mi son detta che visto che ero lì potevo anche provare a parlarci un poco, no? Magari diventeremo amici! Come io e te! E alla fine dell’anno ci faremo una bella foto tutti insieme! E…»

   «Ehi, Luk, frena. Berwald… Berwald non è un tipo come gli altri… insomma… è un po’ “particolare”… accidenti, non so come dirtelo…»

   «Nessuno è come gli altri! E non credo che il fatto che sia gay sia un problema tanto rilevante! Per me non è un problema!»

   Per te.

   «Non è quello il problema! Non è un tipo che parla, che gioca, che scherza… accidenti, perché non ti trovi una persona più facile? Tipo Alfred? Quello sarebbe perfetto!»

   «Be’, se non parla, ascolta! E poi a me sembra interessante! Hai visto come mi ha bloccato il braccio?» rispose lei, agitando l’arto. «È diventato molle!»

   «Luk, anche gli orsi polari sono interessanti, ma non ci vai mica a socializzare…»

   «Appunto! Nanuk!»

   «Tu sei un caso perso… »

 

L’angolo di Kaida (alias note di colei-che-scrive)

*rilegge capitolo* o cielo… perdonatemi… questa volta ho fatto proprio un inguacchio °_° ok, il fatto che correggessi il capitolo mentre discorrevo della figosità di Canada con una mia amica forse potrebbe aver influito un pochino… insomma, è risaputo che chi arriva fin qui è un eroe, ma stavolta la cosa vale il doppio, il triplo, il sediciuplolo! Sto ufficialmente sclerando, non si vede? Innanzitutto ringrazio miristar e Cosmopolita, che hanno avuto il coraggio di recensire il prologo (ehi, c’è scritto che ha ricevuto più di 40 visualizzazioni! Quindi 40 persone potrebbero uccidermi! °A°), ma anche tutti coloro che hanno letto e che leggeranno, anche solo per maturare un odio profondo nei miei confronti x°D inutile spiegarvi che amo le balde giovinotte che recensiscono! Ogni recensione è uno spunto per migliorare! *stelline sbrilluccicanti che appaiono negli occhi di colei-che-scrive* ebbene, ora devo spiegarvi quel fatto dei colori, no? Ecco, ripensando alle elementari e cercando un metodo per distinguere decentemente i pensieri dei vari personaggi, mi sono ricordata che usare colori diversi è una tattica stupida, infantile e penosa, ma funzionante! Ergo, i pensieri di Luk sono così, quelli di Tino cosà e quelli di Berwald colà. Oh, vi ses snart sarebbe “arrivederci” in groenlandese. Avevo una mezza idea di scrivere le traduzioni delle parole così: parola[traduzione], ma… fatemi sapere che ne pensate, ok? Altrimenti andrò nel panico ;__; arrivederciii~

                                                                                                                                                                                         Kaida_ _ _

P.S: avete notato la mia totale incapacità nell’inventare titoli, no? Patsit[scusa]! Mmh no, questa cosa con le parentesi non funziona…

  
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