Titolo: Fine dei giochi
Autrice: vahly
Fandom: Sherlock Holmes
Pairing: Holmes/Watson
Genere: introspettivo
Avvertimenti: one-side,pre-slash, angst, coda, spoiler del
film Gioco di
ombre
Conteggio parole: 835 (FiDiPu)
Note: Scritta per il prompt 68 della maritombola (qui)
Disclaimer: Questa fic esiste solo perché mi diverto a fangirlare,
i personaggi non sono miei, il telefilm non è mio, le ambientazioni non sono
mie, non ci guadagno sopra e non intendevo offendere nessuno. No, dico davvero.
Giuring giurello croce sul cuore.
Presentazione: Sorridi fra te e te, pregustando l’attimo in cui
il tuo amico si accorgerà di quella piccola differenza – perché sei certo che
se ne accorgerà: dopotutto, non ha forse imparato a leggere gli indizi dal
miglior investigatore che ci sia in circolazione?
Fine dei giochi
Watson sta domandando a Mary se non ha notato niente di strano nel postino,
quando batti un tasto sulla macchina da scrivere facendo sì che punto
interrogativo si imprima subito dopo la parola “fine”.
Sorridi fra te e te, pregustando l’attimo in cui il tuo amico si accorgerà di
quella piccola differenza – perché sei certo che se ne accorgerà: dopotutto,
non ha forse imparato a leggere gli indizi dal miglior investigatore che ci sia
in circolazione?
Per un attimo ti domandi se fai bene a rientrare nella vita del dottore: non
era lui a dire di voler solo stare assieme alla donna che ama, che il
matrimonio significa ricominciare tutto d’accapo… ricominciare senza di te?
No, ti dici, non necessariamente senza di me.
Ricordi bene Watson disperato, quando ha creduto che tu stessi per morire sul
treno. Il suo tentativo di nascondere le emozioni, la paura, il dolore, il
sollievo che ha provato quando ti sei ripreso – ma tu lo conosci troppo bene
per lasciarti ingannare così, – e ricordi i suoi occhi increduli quando ti ha
visto precipitare, certo che quella sarebbe stata davvero la fine.
Ricordi la sua apatia di pochi attimi fa, quando sua moglie tentava di
rallegrarlo e di non farlo pensare a te. Inutilmente.
No, per te e Watson non ci sarà una parola fine. Forse le cose non andranno mai
come avresti voluto, ma d’altra parte non hai mai osato sperare tanto. A te è
sempre bastato il semplice averlo vicino.
Senti i passi del dottore avvicinarsi e stai per andartene, ma le tue gambe non
si muovono, e all’improvviso realizzi con quanta intensità desideri poterlo
vedere. E anche dirgli in faccia che è un idiota, perché andiamo, come ha
potuto credere che saresti morto così facilmente?
Così rimani immobile, dietro la sua scrivania, e quando Watson entra nella
stanza vedi la sua espressione mutare nel giro di pochi secondi. Sgomento,
incredulità, gioia si affacciano sul suo volto, mentre scuote la testa,
apparentemente incapace di parlare.
Avanza lentamente verso la scrivania, come se volesse vederti meglio per
accertarsi che sei davvero tu, che sei ancora vivo.
«Lei…» pronuncia, non appena ritrovata la voce. «Lei è sempre stato qui
dentro?»
«Dipende da cosa intende con la parola “sempre”. Forse sarebbe più esatto dire
svariati minuti, quello sì.» Rispondi ironico, con un’alzatina di spalle. Ma la
verità è che senti la tensione irrigidirti, la gola secca come non mai.
«Il respiratore… forse sarebbe meglio che lo riprendesse. Non si sa mai,
potrebbe… potrebbe tornarle utile. Per qualche sua altra avventura.»
È una tua impressione o i suoi occhi sono lucidi, ora?
«Oh, può tenerlo. Non crede che ci starebbe benissimo, nel suo soggiorno?»
E Watson non risponde, ma si avvicina di più a te, e ti sfiora il viso con una
mano. Trattieni il respiro, e il tuo cuore manca un battito a quel contatto. Se
solo sapesse cosa vuol dire per te… se solo sapesse cosa provi in questo
istante…
Poi ti si getta addosso, sbilanciandoti con il suo peso, e ti stringe forte le
braccia al collo.
In un’altra occasione faresti qualche battuta su quanto gli sei mancato, ma al
momento riesci solo a pensare al calore del suo corpo contro il tuo, così
solido e reale e dio, come hai potuto pensare anche solo per un istante che
sarebbe stato meglio se non ti fossi fatto vivo, se lo avessi lasciato vivere
la sua vita?
Le tue braccia raggiungono la sua schiera, e ti accorgi che il tuo amico sta
tremano.
«Ehi, tutto bene?» domandi incerto, ma lui non risponde. Annuisce, eppure hai
l’impressione di sentire un singhiozzo.
Gli accarezzi la schiena, lentamente, finché non si calma. Poi sciogli
l’abbraccio e cerchi il suo sguardo, ma lui è reticente e devi sollevargli il
mento con due dita per poterlo guardare. Sta davvero piangendo.
«Ehi, potrei sentirmi offeso. Davvero pensava che non sarei tornato?» Dici nel
tentativo di smorzare la tensione, ma non ottieni molto.
«Ero convinto di averla persa. Non credevo… non credevo che ci saremmo mai
rivisti.»
«Spero di non averla delusa, Watson.» Scherzi, la tua voce incerta.
L’uomo stringe i pugni, nervosamente. «La prossima volta che ha in mente un
piano solo all’apparenza suicida, gradire esserne informato, per favore. E in
quanto al respiratore, devo insistere. Non sono sicuro di voler tenere qualcosa
che mi ricordi che lei ha rischiato la vita ogni volta che vi poso lo sguardo
sopra…»
«Può considerarlo come qualcosa che mi ha salvato. Riguardo la sua prima
richiesta, però, non sono sicuro di poterla accontentare.»
Watson apre la bocca, come per dire qualcosa, ma in quel momento sua moglie si
affaccia alla porta.
«Con chi stai par… Oh mio dio!» Esclama, gli occhi sgranati.
«A quanto pare vi darò fastidio ancora per un po’.» La informi, per nulla
contento di quell’interruzione. Ma non te ne preoccupi più di tanto: sei sicuro
che in qualche modo tu e Watson troverete un vostro equilibrio, che lui ti
aiuti nei tuoi casi o meno. E in fondo, pensi che al dottore potrebbe far
piacere tornare ancora a investigare assieme, di tanto in tanto.