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Autore: _eco    24/12/2011    4 recensioni
[Post 3x09]
E per Tyler, cos’ha cambiato? Tutto e niente. Ha sciolto l’inchiostro delle bugie che ha dipinto, ha rivelato i veri colori della sua tela, e lui, sorprendendola non poco, se n’è innamorato.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Tyler Lockwood | Coppie: Caroline/Tyler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Blondie and the Beast'
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Informazioni previa lettura: Buondì! E' passato un mese da quando ho pubblicato la mia ultima fanfiction, ed eccomi qui, di nuovo a rompervi un po'. Quanto mi è mancato scrivere su Tyler e Caroline? Troppo! Quindi vi prego di scusarmi se la shot è ancora più carente delle altre. L'ho scritta ascoltando due splendidi componimenti di Yruma: A river flows in you e Moonlight. Ne approfitto per augurare un sereno Natale a tutti voi e un felice anno nuovo.
Buona lettura :)
P.S= La shot è ambientata subito dopo la 3x09

Colori che si sciolgono
 

Caroline si sta torturando le dita già da qualche minuto; l’unico suono percettibile è il netto scrocchiare delle sue falangi. Non vi è alcun respiro particolarmente irregolare, né un sospiro di troppo o un singhiozzo che interrompa la quiete. Caroline non piange. Ha imparato a sue spese che le lacrime sciolgono ben presto l’inchiostro; e lei non vuole che tutto il colore che ha pazientemente steso sulla bianca tela che era la sua vita venga cancellato. Caroline ne artiglia i bordi ripiegati, ne ruba il radioso aspetto, la stringe in un pugno e lei, quasi per dispetto, scivola via. Si sbuccia le ginocchia, si spezza le unghie, la afferra di nuovo, si lascia trascinare. Non è una maschera, non lo era, almeno: lo è diventata. Non un dipinto come tanti, ma un armonioso componimento ultimato da poco. Caroline ne è l'artista, ne era l’indossatrice. Vi riconosce un frammento di se stessa, quello più vivace e luminoso, che ha trovato nel tassello più impensabile e oscillante il suo equilibrio. Il tassello ha un nome comune se si pensa che ad averlo, soltanto nelle vie circostanti, sono almeno in dieci; ma è bello, a suo modo, quando lo si pronuncia.
Tyler. Probabilmente, quando l’ha udito per la prima volta, è stato per mezzo della voce di sua madre o della signora Lockwood. Poi ha imparato a pronunciarlo per bene, dosando la cadenza, riuscendo a non inciampare troppo spesso nelle lettere. E, a dire il vero, non ne ha mai fatto molto utilizzo: un cenno della mano indirizzato al ragazzo dalla folta chioma scura è sempre bastato a sostituire un “Ciao, Tyler”, una torva occhiata ha compensato per interi anni un tono di rimprovero. Nemmeno adesso, dopo l’inaspettata ondata di cambiamenti che li ha travolti e trascinati con sé, Caroline sole chiamarlo per nome. E’ sufficiente uno sguardo, un sorriso, un movimento particolare delle mani, un sopracciglio troppo inarcato, e Tyler coglie tutto ciò che lei vorrebbe dirgli.
Lungo il corridoio aleggia un profumo d’incenso. Caroline è sicura che non sia mai cambiato da quando ne ha memoria. Ricorda di non averlo mai sopportato troppo, poiché le dà ancora adesso l’impressione di qualcosa di vecchio, consunto, maleodorante; forse, però, è solo una sua percezione. Eppure, accantonato il fastidioso solletico alle narici, abbassa le palpebre e molleggia sul materasso avanti e indietro, come cullata, nel suo vestito da sera rosso scuro. Il letto scricchiola appena, accompagnato da un nuovo rumore che la costringe a ridestarsi.
Le dà l’impressione di qualcosa che rimbalzi sul pavimento, probabilmente al piano di sopra. Solleva le palpebre di malavoglia e attende che gli occhi rimettano a fuoco ciò che la circonda: lenzuola di flanella color crema, un morbido guanciale lievemente schiacciato, l’imponente testata di legno scuro – quasi nero – del letto, ombre che si diramano lungo le pareti, indefinite a causa del buio. C’è soltanto la flebile luce proveniente dal corridoio a rischiarare l’ambiente. Poi è tutto opaco. Distende prima una gamba, sfiorando con la punta del piede il pavimento gelido, e ritraendosi subito dopo, similmente ad una timida mimosa che, timorosa di ciò che la circonda, preferisce vivere di ciò che conosce e non dell’ignoto.
Poi, con un unico e decisivo movimento, si poggia sul parquet ombroso, muovendo piccoli passi verso la porta socchiusa: nemmeno lei, imponente nel suo aspetto scuro e ornato da piccole intarsiature, ha osato compiere un singolo movimento da quando Tyler è uscito dalla stanza, la mano incerta sulla maniglia d’ottone, quasi combattuta se lasciare o meno la presa. Caroline è scalza, ma per quanto un vampiro può percepire il freddo pungente di una sera di novembre, appare indifferente al gelo che penetra da ogni spiraglio dimenticato e sparso qua e là. Sale le scale di marmo, sostenendosi al corrimano ligneo con le dita, prima poggiando la punta, poi la pianta del piede; delicatamente, in modo che Tyler non possa udirla. Caroline sa che, se solo Tyler smettesse di prestare attenzione al rumore che l’ha attirata, potrebbe sentirla senza problemi, ma, per evitare che il colore si sciolga, preferisce immaginare che non sia così. Il frenetico rimbalzare dell’ignoto oggetto si avvicina sempre di più, accompagnato da un ritmico battere, deciso e netto, di un corpo più pesante sul parquet. Ben presto Caroline si ritrova a pochi metri da una porta differente da tutte le altre: alla base più larga, in cima più stretta, assume la sagoma tipica di un arco, completando la parete che sembra perfettamente modellata affinché essa vi s’incastri senza problemi. E’ socchiusa – più chiusa che aperta, in realtà – e, da ciò che Caroline può vedere, deduce che si tratta di un’ampia soffitta. E’ allora che il rumore s’intensifica. La ragazza affretta il passo, lasciando che l’aderente abito di raso rosso le accarezzi le gambe, e artiglia lo stipite della porta, frenando il suo cammino che si è fatto troppo rapido e che le fa rischiare di precipitare dentro la stanza.
L’iride color giada irrompe delicata all’interno della soffitta. Si tiene a debita distanza dall’uscio rialzato. Ha un aspetto discreto, indifeso, timoroso, si sente colpevole di un atto impuro, esclusa, all’improvviso, da un mondo che non le appartiene, non più; intrusa nella tela che ha dipinto con tanta dedizione. Un’ombra riflessa sulla parete rivela un corpo rannicchiato, le ginocchia premute contro il petto, il polso che compie un lieve, quasi invisibile, movimento. E’ Tyler: il tassello oscillante, quello dagli spigoli acuminati, irascibile, impulsivo, tagliente; il tassello di cui Caroline ha imparato a pronunciare il nome, il tassello che costituisce l’angolo più variopinto della sua tela. Fa rimbalzare una palla di stoffa, morbida, di quelle che si regalano ai bambini per evitare che rompano i sopramobili lanciandole per casa. E’ quello l’oggetto che cozzava contro il pavimento e che ha attirato l’attenzione di Caroline. Quasi riesce ad udire i passi rapidi di alcune scarpette da tennis sulle scale di marmo, è sicura di poter vedere davanti a sé la figura minuta di un bambino dalle gote arrossate per il caldo, che stringe fra le mani un involucro di stoffa e ovatta gialla, gli occhi scintillanti d’orgoglio. Era un pomeriggio di inizio agosto, e Tyler era sceso di tutta fretta dal piano di sopra, dopo aver recuperato il nuovo giocattolo dalla cameretta, con l’intento di mostrarlo ai suoi amici. Caroline, al contrario degli altri, non aveva sorriso, né proposto di giocare con la nuova palla di stoffa: erano cosa da stupidi maschi, quelle. 
Soltanto ora, immersa in momenti che non ricorda nemmeno di aver vissuto, si accorge di aver sempre tentato di emulare chi riteneva migliore di lei, con l’unica intenzione di rendersi accettabile, di farsi apprezzare dagli altri. Per un breve periodo si è iscritta ad almeno tre corsi pomeridiani, in modo da divenire la figlia più attiva ed impegnata che una madre possa desiderare: Liz non se n’è nemmeno accorta, così ha abbandonato tutto; si è mostrata accomodante e comprensiva con il padre che non aveva intenzione di perdere: lui l’ha quasi uccisa; ha sorriso come solo Elena saprebbe fare per rendersi più carina agli occhi di Matt: lui l’ha lasciata. E per Tyler, cos’ha cambiato? Tutto e niente. Ha sciolto l’inchiostro delle bugie che ha dipinto, ha rivelato i veri colori della sua tela, e lui, sorprendendola non poco, se n’è innamorato.
Adesso, Caroline si domanda cosa possa fare per cancellare le sbavature del suo quadro, cosa modificare per renderlo perfetto.
Ci ragiona su, i pensieri si fondono in un unico vortice, interrotti, ogni tanto, dal ritmico rimbalzare della palla di stoffa e ovatta gialla sul parquet. La verità arriva come un fendente dritto al petto: non c’è niente che lei possa fare, non c’è alcuna pennellata più intensa che possa riequilibrare il dipinto.
Forse ha sospirato un po’ troppo forte o forse Tyler si è stancato di far finta di non averla sentita. Il ragazzo distoglie lo sguardo dal vecchio giocattolo di stoffa e li poggia su Caroline.
Non c’è più luce in quello sguardo color inchiostro, ma rassegnazione ad una vita che gli è stata cucita addosso senza che gli fosse concesso opporre resistenza.
Caroline trattiene le lacrime ancora un po’, lasciando che si intrappolino agli angoli degli occhi e tra le lunghe ciglia, ma una goccia trasparente sfugge al suo controllo, rigandole il viso. Tyler la scorge e ne segue il tortuoso percorso con lo sguardo. Un rivolo d’inchiostro scuro serpeggia sulle guance di Caroline.
E’ una lacrima, quella, che suggella un patto, un giuramento solenne.
Caroline si volta, parlare non avrebbe senso, perché se parli mentre piangi quello che dici perde di significato. Basta uno sguardo, come lo è sempre bastato, e Tyler capisce.
Questa volta tocca a lui cambiare. L’inchiostro si è sciolto, il colore scivola via, la tela è di nuovo candida. Tyler deve diventarne il pittore.

 

  
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