Disclaimer: I personaggi presenti
in questa storia appartengono a Tolkien e a chi ne detiene i diritti. Non scrivo
a scopro di lucro e nessuna violazione del copyright è intesa.
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citare/riprendere/tradurre questa storia in parte o in toto dovete avere il mio
esplicito permesso.
Songmaker’s cry
Vergogna.
Prima dei Remotissimi
Tempi, prima del principio di ogni Epoca, quando Arda non era ancora né i Valar
l’avevano designata loro dimora, esisteva – fra tutte le cose da Eru Ilúvatar
disposte nella Sua mente – l’idea della vergogna immonda e disonorevole?
Se è
cosí, fratello, sono certo che Egli l’abbia resa torbido sangue e ne abbia
colmato ogni mia vena.
Le ali di Thorondor, Re delle Aquile care a Manwë,
hanno sorvolato i campi dei Noldor, nell’Hitlum, colmandoci di stupore e paura.
Fingon il Valoroso – figlio di Fingolfin e nostro parente a metà – è disceso
mesto in volto dal dorso dell’Aquila; recava fra le braccia il tuo corpo
emaciato e mutilo, coperto unicamente di sangue.
Quando, tacita e amara,
l’ora della morte colpì nostro padre sulle pendici dell’Ered Wethrin, egli, con
l’ultima fiammata del suo spirito, ci impose una vendetta senza requie. Allora
la signoria della casata passò a te, Maedhros, il maggiore fra i legittimi eredi
di Finwë e Míriel Serindë.
Si dice che mai nessuno fra i Figli di
Ilúvatar abbia tenuto più da conto di Fëanor il proprio padre; ma il tuo
cordoglio fu forse minore?
Forse le tue lacrime da sole non furono più di
tutte quelle versate dai Noldor per la caduta del loro Sire?
Per quanto il
lutto ci straziasse l’animo e la perdita ci tormentasse, nessuno fra noi
fratelli poté partecipare appieno al tuo dolore: tu, infatti, avevi vissuto in
sua compagnia anni in cui noialtri ancora non eravamo venuti al mondo e l’ombra
di Morgoth era lungi da Tirion la Bianca.
L’Oscuro Sire ci inviò subdoli
latori di pace e tu, solo fra sette fratelli, scegliesti di fronteggiare
l’infima ambasciata.
Infelice e insidiosa fu quell’ora! Infatti, accecati
dall’afflizione – e forse vilmente sicuri del tuo valore – abbiamo lasciato che,
con una scarsa schiera, cogliessi la sfida di Morgoth.
Grande è la tua virtù,
fratello, ma gli agguati del Nero Tiranno sono vili e disonesti: egli massacrò i
compagni che erano con te, e tutti li scannò e trucidò, senza che nessuno
riuscisse a scampare alla rovina.
L’ira dei Valar sovrasta i Noldor come
il più rabbioso dei cieli; senza posa riversa su loro mortifere piogge di pianto
e taglienti bufere di strazio.
Fra i torti che Morgoth ha arrecato agli
Eldar, Maedhros, non ultima è stata la tua cattura da vivo e la lunga prigionia
a cui ti ha costretto nella cupa Angband!
In poco tempo sono stato
privato di mio padre, delle mie terre e del più prode fra i miei fratelli; mi
sono ritrovato ad essere Sire di genti esiliate, la cui unica forza stava nella
disperazione e nell’antica tenacia: ero sconfortato e privo di amici; di alleati
che si ponessero fra me e il Grande Nemico.
L’avvilimento mi si strinse
attorno come una nera caligine, e per un periodo rimasi incapace di pensare a
qualunque cosa eccetto la disfatta e la ritirata.
Morgoth ci mandò a dire
che ti teneva prigioniero in Angband e che ti avrebbe rimesso in libertà solo a
condizione che i Noldor si ritirassero dalla guerra; questa mi sembrò
un’imprevista speranza, tale era la mia sfiducia e tanto grande era il desiderio
di strapparti al più lugubre fra i luoghi di supplizio che mai vi sono stati e
vi saranno.
Ecco dunque che Maglor, Principe Regnante dei Noldor nel
Beleriand, aspirava segretamente ad un’ignominiosa fuga. Non ne ho mai fatto
discorso con nessuno, nemmeno fra i nostri fratelli: essi erano avidi di guerra
e vendetta e mi dissuadevano sempre più apertamente.
Continuavano a dirmi
che il Cuore Nero, avendo in ostaggio l’erede del più odiato fra la vasta
schiera dei suoi nemici, non avrebbe mai mantenuto la promessa di liberarlo;
piuttosto avrebbe sfruttato la situazione a suo vantaggio e diletto. In tal modo
egli avrebbe ottenuto – oltre alla ritirata dei valenti e temuti Noldor – il
nostro strazio e la nostra collera: di queste cose egli gioisce
massimamente
Infine, non ultimo in goduria nel numero dei suoi capricci,
sarebbe stato la causa e l’unico giudice dei supplizi di un così prezioso
prigioniero.
I nostri fratelli, alla luce di queste congetture, mi
istigavano a rimanere nell’Hitlum e non si dicevano disposti a rinunciare alla
guerra contro Morgoth, per quanto disperate paressero le circostanze; il
pensiero che andava di continuo all’uccisione di nostro padre e alla tua
prigionia era un pretesto bastevole – ma non l’unico – ad infiammare di continuo
la loro tempra. Soprattutto Caranthir che è detto lo Scuro, e che fra i figli di
Fëanor è il più rapido alla collera, ha cercato di far prevalere il suo sdegno
sul mio sconforto.
E alla fine ho ceduto, stremato com’ero da dubbi e
speranze, in quanto ho ritenuto saggio fidarmi delle loro parole e non delle
ingannevoli proposte di Morgoth; è stata la ragione a guidarmi, non il
cuore.
Così, agendo alla stregua di Morgoth, ti abbiamo considerato merce di
scambio, un’offerta a cui rispondere “sì” o “no”; non più né il fratello né il
compagno di cui ci avevano privati. Ma non sono forse proprio queste le trame
del Nemico, minare le alleanze e troncare le i saldi vincoli di
affetto?
Sotto le stelle dell’Hitlum i Noldor meditavano pensieri oscuri, nel
sospetto e nella tensione; ma ben più oscuri e più mesti sono i miei pensieri,
fratello mio, ora che mi sei di fronte smunto nella tua malattia, né gli spasmi
ti lasciano in pace durate il sonno.
La ragione è stata il motivo della tua
cattura, la ragione ti ha condannato a rimanere ostaggio in Angband; ma ora la
ragione può forse concedermi il tuo perdono? Può lenire le tue piaghe?
Non
sento più il cuore battere dentro al petto, tanto che mi pare si sia fermato e
tramutato in pietra; nei momenti della tua prigionia, dunque, non avevo più un
cuore?
Posso forse negare che esso mi riferiva incessantemente i tuoi
supplizi e mi mormorava di agguantare la spada e di volgermi, da solo se
inevitabile, in tuo aiuto?
Ma io sono un cantore, e il cantore è abile solo
con le parole; un vigliacco è stato Maglor, tuo fratello, ad ignorare le sue
inquietudini.
Combinazione nefasta è quella data da ragione, paura e
vigliaccheria: cattivi consiglieri sono stati per me i Noldor, così pieni di
odio e smaniosi di vendetta. Gli aspri echi del giuramento da noi pronunziato
sulle creste del Túna continuavano a richiamarci, senza tregua, in
battaglia.
Oh, Maedhros! Maledico la tua avanzata solitaria fra le
schiere di Morgoth; ricordo quanto buie e prive di sostegno siano state per me
le ore in cui, unico vile fra i Noldor, meditavo la diserzione! Allora più che
mai, la nostalgia di Aman la Beata pulsava in me, maggiore e più dolce fra le
torture imposte agli Esiliati dai Valar!
In Aman dalle vaste colline ero
un poeta; la mia voce si udiva lontano, per mari e per monti, e nessun canto –
eccetto quello di Yavanna Kementári – possedeva tanta grazia e al contempo tanta
possanza. Ero fra tutti gli Eldar quello che sommamente amava e trovava delizia
nell’arte della musica e della lirica; i versi che componevo erano intonati
ovunque nella Terra Beata. Questo è uno strano genere di maestria nella nostra
casata, in cui piuttosto sono comuni la destrezza nella lavorazione delle gemme
e l’abilità nel maneggiare le armi. Nostro padre, tuttavia, era amante sia
dell’opera delle mani sia di quella della mente, e si mostrava fiero della
bravura di tutti i suoi figli.
Ma Morgoth rubò i Silmaril – il tesoro che
Fëanor adorava intensamente e sopra ogni cosa – e versò il primo sangue degli
Eldar assassinando Finwë, il nostro avo, il solo che non era fuggito di fronte
all’incedere della sua Ombra.
Allora la Lunga Notte si abbatté sul popolo di
Aman; le parole di vendetta e rivalsa di nostro padre riecheggiarono ovunque in
Tirion ed egli ci chiamò al suo fianco: anche io sono stato pronto a sguainare
la mia spada contro il Nemico, contro i Valar stessi e le loro leggi. Le nostre
armi sono state levate contro le nostre belle terre, contro la vita beata che
avevamo condotto sino all’arrivo di Morgoth: quel giuramento che tutt’oggi ci
richiama all’appello è valso ai Noldor l’esilio imperituro.
Com’erano
dure e prive di rimpianto le parole di Fëanor, mentre ci guidava verso queste
sponde! Ma egli non ha mai avuto nostalgia di Aman: per lui era diventata un
paese di inganni in cui abitava gente della stessa schiatta di ladri e
assassini; grandi erano la sua delusione e il suo sdegno per i Valar, ai quali
rimproverava con ferocia l’incapacità di difendere se stessi, il loro regno e i
tanto amati Eldar. Davvero possente era il fuoco che ardeva nel figlio di Finwë;
quello che anima Maglor il Cantore non ha mai avuto la stessa possanza.
Il
mio amore per Aman è devoto e insopprimibile, e né i crimini di Morgoth né le
inquietudini dei Noldor hanno potuto insidiarlo.
Sciocco è il cuore del
poeta, che ama profondamente e senza fine: i ricordi dei giorni della bellezza
non svaniscono mai del tutto e, anzi, sono come un sogno sempre più lontano,
notte dopo notte! Vile e facile allo sconforto è colui che abbandona le antiche
glorie per una marcia nel buio; molte ho tremato in silenzio, nell’ignoto di
queste nuove terre intrise solo di guerra e dolore.
Un cantore non è un
guerriero: e io bramavo piuttosto la pace fittizia offerta dai Valar che una
guerra raminga condotta sotto cieli sconosciuti.
Maedhros, la mia ignavia
per poco non ti è costata la vita; al tuo risveglio con quale animo potrai
ancora chiamarmi “fratello”?
Penso che da oggi in poi dovrai chiamare così
solo Fingon il Valoroso: egli è giunto nella Terra di Mezzo con la schiera di
Fingolfin, sfidando il Ghiaccio Stridente e le insidie del tradimento; non ha
esitato a marciare in tuo aiuto, non ha perso tempo né si è consultato con
chicchessia. Sì, ricordo bene che, in Aman – prima che voci di infedeltà
cominciassero a insinuarsi tra le casate degli Eldar – l’amicizia che lo legava
a te era forte e salda; ma il vostro legame è pure sempre quello di un cugino
con un cugino, non quello di un fratello con suo fratello! Eppure egli solo,
nonostante tutto, ha provato sincera pietà e rabbia per le vili torture che
affrontavi.
E se Fingolfin si fosse arreso di fronte allo sleale incendio
delle candide navi dei Teleri in Losgard; se avesse maledetto la nostra stirpe e
con la sua schiera fosse tornato indietro da Araman per tentare il perdono dei
Valar; o se Fingon si fosse comportato come chi, giustamente offeso dalla
slealtà dimostrata, rifiuta il suo aiuto ai vecchi compagni e gioisce dei loro
mali, che ne sarebbe stato di Maedhros figlio di Fëanor?
Angband sarebbe
stata la tua prigione eterna e nessuno fra coloro che pensavi di poter chiamare
“amici” avrebbe spezzato le tue catene? Per quanto tempo Morgoth, l’Oscuro
Nemico, ti avrebbe sottilmente tormentato rinfacciandoti l’appartenenza ad un
popolo di pusillanimi incapaci perfino di essere fedeli al proprio
Principe?
I tuoi fratelli avrebbero portato avanti la guerra e si sarebbero
occupati di te solo in un giorno distante anche per quelli che sono i tempi
della vita degli Eldar.
Fingon figlio di Fingolfin, soltanto lui fra i
Signori dei Noldor è meritevole di essere chiamato da te “fratello”; mentre chi
ti è fratello nel sangue, e si è tirato indietro nel soccorrerti, non è degno
nemmeno di accostarsi a te e di posare lo sguardo sulle tue ferite.
Se la
vita ardesse ancora in nostro padre, Maedhros, credo che più di una testa
salterebbe fra quelle dei Noldor e la prima sarebbe quella del suo secondo
figlio. Di tre colpe, infatti, sarei maggiormente imputabile.
La prima –
la più imperdonabile nella mia condizione – è il mio assiduo e tacito struggermi
per Aman, per la grandezza e per la gloria di quelle terre che sempre hanno dato
ispirazione al mio cuore di poeta e che a lungo ho cantato con le mie arpe.
Nostro padre ha accusato i Valar Signori di Aman di essere simili a Morgoth; io,
però, non ne ho mai avuto alcun sentore, e trovo che queste lande dominate dal
male dell’Oscuro non abbiano niente in comune con le Terre Beate. Sono forse
l’unico fra i Noldor che non desidera rimanervi, né tantomeno essere fra i capi
di una così grande guerra. Tuttavia mi guardo bene dell’esprimere questi
considerazioni in pubblico e a voce alta: il mio cuore si consuma di lacrime per
la follia che dilaga fra i Noldor e che mette il padre contro il figlio, né
desidera alimentarla.
La seconda delle mie colpe è stata la vigliaccheria
che ti ha abbandonato fra i supplizi di Morgoth: essa cerca di soffocare anche
il giuramento pronunciato in Tirino. Se pure io provassi a sfuggire alla
dannazione, e a ritardare il momento in cui le parole da me declamate esigeranno
di essere messe in atto, il mio sarebbe un tentativo vano. Promettendo vendetta
all’illegittimo possessore dei Silmaril i Noldor hanno segnato la loro condanna,
poiché le Gemme della Luce di Aman sono fra le mani di un Vala, terribile in
potenza benché malvagio e corrotto.
Nostro padre fu davvero un grande
oratore; enorme fu, in quel momento, la sua capacità di mutare il mite cantore
in un implacabile guerriero!
E infine, il terzo fra gli errori che senza
dubbio lo deluderebbe, è il mio essere grato a Fingon figlio di Fingolfin, colui
che ti ha tratto in salvo. So che da tempo scorre cattivo sangue fra la nostra
dinastia e quella dei figli di Indis, e molti scontri e veleno designano anche
me nemico della seconda linea di Finwë; ma potrei forse non dimostrare tutta la
mia stima e la mia riconoscenza al solo degli Esiliati che si è riscosso dagli
antichi rancori e ha posto la tua salvezza in cima alle sue priorità?
Troppe
colpe verso te, verso nostro padre e verso il nostro patto tormentano il mio
animo e insudiciano i miei pensieri; meriterei unicamente lo sdegno dei Noldor e
il tuo ripudio.
Le Aquile nobili, le Aquile care a Manwë, le Aquile
maestose nunzie di Aman ti hanno portato in salvo qui, nei campi dell’Hitlum;
Aquile portatrici di salvezza e sollievo.
Ma alle mie orecchie le loro urla
sono grida di indignazione e rimprovero, e tutte le volte che ne odo l’alto
stridere è come se esse mi ammonissero: “Vergognati, codardo! Infimo
fra gli abietti della progenie degli Eldar!”.
Allora mi sembra che
ogni parte del mio cuore crolli in infinite schegge, troppo minute per venir
ricomposte, ma grandi abbastanza da ferirmi se tento di recuperarle; tremo
pensando che per me non esista più alcun cielo sicuro sotto il quale fuggire e
nascondermi.
Le brume della viltà mi saranno sempre compagne e
ammonitrici, in queste valli di pianto.
Mandos ha condannato i Noldor a
lacrime innumerevoli: troppo indulgente è per Maglor il Vile questo
castigo.
Oh, Varda Elentári! Oh, Manwë Súlimo!, voi che siete i più gloriosi
fra i Potenti! Se ancora prestate ascolto alle suppliche di coloro che sono
miseri fra gli Esiliati, questo è ciò per cui Maglor figlio di Fëanor vi invoca:
fate sì che io possa vivere in una sofferenza cento volte più dilaniante di
quella patita da mio fratello, e che infine Mandos sbatta le porte delle sue
Aule in faccia al mio spirito stremato da diecimila secoli di dolore! Possa il
mio animo non trovare requie fino alla Fine di questo mondo, e che dopo la Fine
i Valar intercedano per me presso Eru Ilúvatar, così che Egli sigilli il più
vile fra i suoi Figli nel Vuoto Atemporale. Tale desidero che sia la mia
sorte.
La viltà ha ghermito il poeta e ne ha fatto un reietto.
* * *
Note:
Era da anni che
non scrivevo più nulla da pubblicare; questo perché niente mi ha fornito la…
l’ispirazione (che brutto termine…)? No, diciamo… l’affascinante voglia di
raccontare.
Poi ho letto il Silmarillion; e il Silmarillion farebbe
innamorare anche un sasso.
Una delle cose belle di questo libro è che è pieno
di sottointesi, di scene che ci sono state ma non vengono raccontate, di
incontri e riflessioni lasciate alla fantasia del lettore. I pensieri di Maglor,
secondo figlio di Fëanor in età, dopo che Fingon ha salvato Maedhros da Angband,
secondo me sono stati simili a quelli che ho cercato di raccontare.
Spero di
non essere stata troppo profana: ho cercato di adeguarmi allo stile del
Silmarillion e la cosa è stata doppiamente difficile, dato che il mio narratore
è un poeta: ciononostante sono abbastanza soddisfatta, sia per la riuscita
linguistica sia per la coerenza dei personaggi.
Mi auguro, con questa
one-shot, di essere riuscita in miliardesima parte in ciò in cui è sempre
riuscito il professor Tolkien.
Ho citato un paio di versi di due canzoni:
una è Noldor (Dead Winter Reigns) dei Blind Guardian; l’altra
Breathe no More degli Evanescence. Il titolo stesso della one
shot, Songmaker’s Cry, è una citazione da Dead Boy’s Poem, dei
Nightwish.
Grazie al prezioso aiuto di Dama Gilraen ho risistemato
la storia, alleggerendola dal punto di vista dei vocaboli e della
sintassi.