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Autore: Anima97    24/12/2011    2 recensioni
Non eri come un fratello, nemmeno come un padre.
In te non cercavo protezione, cercavo molto di più.
Desideravo le tue labbra. Ti amavo!
Pensavo che l'età non contasse... che stronzata.
Non si torna indietro, il passato è fatto solo di ricordi.
Ma, purtroppo, a volte ritorna.
Più forte, più bello e anche più vecchio di prima.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è l'amore
che va via.


Primo giorno di scuola del terzo superiore.
Cosa potrei pensare in un giorno come questo?
Beh, certo, il terzo superiore l’avrò fatto almeno altre due volte dato che sono stata bocciata...
Ma l’emozione c’è sempre.
Davanti la scuola, un normale studente di primo osserva tutti i volti, magari cercando qualcuno conosciuto.
O semplicemente immaginando che qualcuno in particolare sia un suo nuovo compagno di classe.
Ma io non sono come tutti gli altri.
Eh no, non fisserò qualcuno immaginando qualcosa, sono speciale, io.
Lo dice sempre mia madre.
Merda, sembro una mammona adesso.
Beh, allora basta pensare.
Osserviamo, ma senza immaginare.
C’è una ragazza con i capelli neri vicina a me.
E’ carina, ma sembra troppo grande...
Porto il mio sguardo più in la, solcando tutti i visi eccitati o tristi di studenti, per arrivare a quello di un uomo, in piedi davanti l’università affianco alla mia scuola.
Sta di spalle, ha i capelli lunghi, ricci e neri.
Sembra alto, almeno di qui.
Indossa un gilet beige e porta una borsa a tracolla strapiena.
Ha un libro in mano, forse è uno studente pure lui.
Si volta verso di me, ma fissa altrove.
E’… bellissimo!
 
Entro in classe, senza volerlo continuo a pensare a quell’uomo.
Quelli seduti ai banchi sono tutti ragazzini, più piccoli di me.
Solo qualcuno sembra più grande, ma non mi avvicino.
Mi siedo in disparte vicino la finestra e non troppo lontana dalla cattedra.
Quest’anno devo pensare a studiare.
Non mi posso permettere di farmi bocciare di nuovo.
Ma chissà chi era quell’uomo..
Ricordo che aveva un paio di occhiali leggermente tondi, un naso dritto e perfetto e una bocca sorridente.
Sul mento una leggera barbetta nera.
Ma perché continuo a pensarlo?
Cosa mi ha colpito tanto di lui?
Entra in classe il prof di non so cosa, non mi alzo, non mi va.
Speriamo finisca presto questa giornata.
 
Qual è il primo pensiero che ti sveglia la mattina?
Mmh, forse è una domanda un po’ troppo generica…
Facciamo una mattina in particolare: il primo giorno di scuola del quinto superiore.
Cosa può passarti per la mente appena sveglia?
“Non voglio alzarmi, non voglio alzarmi, non voglio alzarmiiii”
“Ma devi, figlia mia! Dai, sono le sei del mattino, ti dai una mossa?!”
“Ma è prestissimo!”
Di solito un’adolescente o forse più, il primo giorno di scuola, pensa solo a fare bella figura, essere solare e bella.
Ma non è il caso della protagonista di questa storia.
Lei, quella mattina, voleva solo dormire.
“Alzati!”
“Non mi va”
“Non vuoi rivedere i tuoi amici?”
Questo è un ottimo modo per invogliare un’adolescente, o forse più, ad alzarsi.
Dopo tre mesi e una settimana senza i vecchi compagni di scuola, chiunque sarebbe stato motivato ad alzarsi.
Ma, credo si sia capito, non è il caso della protagonista.
“Possono andare a fare in c..”
“COSA!?”
“Andare a fare in cosa? Che senso ha?”
Ormai era sveglia, tanto valeva abbandonare le calde coperte e dare inizio al processo di congelamento dei piedi.
Causa: il pavimento fatto rigorosamente da mattonelle bianche.
Magari ci fosse stato il parquet in casa!
Sua madre uscì dalla stanza infuriata, mentre lei cercò le ciabatte nel buio.
Alla fine sospirò, si alzò e accese l’orribile luce bianca, troppo accecante e fredda per i suoi gusti.
Adorava quelle giallognole, soffuse, dolci.
Non “quella merda da ufficio attaccata al soffitto della MIA camera”, come diceva lei.
Ma ormai si era arresa alla pigrizia dei genitori per comprare una lampadina decente e doveva accontentarsi.
Si avviò stancamente verso la cucina, grattandosi o stiracchiandosi.
Evitò di osservarsi allo specchio del corridoio per paura di prendersi un accidente e si sedette al tavolo.
Versò il latte, mise dentro il cioccolato in polvere e osservò per un po’ il microonde nella speranza che si fosse alzato da solo per prendersi la tazza e riscaldarla.
Osservò svogliatamente intorno a lei, sbadigliando:
Non c’era nessuno a cui affidare l’arduo lavoro di riscaldare il latte.
La madre, probabilmente, era tornata a dormire.
Il padre, giù nel garage, la stava aspettando in macchina.
“Dico io, ma che fa quello in macchina per un’ora tutte le mattine?!”
Era la domanda che la assillava continuamente, il mistero dei misteri.
Ma in quel momento poco le importava.
Miracolosamente si alzò, prendendo tra le mani la tazza e la mise nel microonde.
Impostò il tempo e guardò fuori dalla finestra.
Buio, come la sua mente.
Come il suo futuro.
Come il suo passato.
Forse il passato no.
Forse quello, almeno quello, si era salvato.
“Ahia!” chi mi ha dato una gomitata!?
Chiara fischietta con aria innocente e la spingo piano.
“Perché l’hai fatto?”
“Guarda li” con un cenno della testa indica a sinistra.
Sta uscendo dalla macchina, con la sua solita aria stanca ma tranquilla.
Non è scazzato come tutti gli altri, no.
Lui è speciale.
Mi volto verso chiara con gli occhi spalancati e un sorriso ebete in viso.
Lei mi guarda strafottente.
Ma perché le ho parlato di lui?!
Si risvegliò dalla trance ma volle continuare ad osservare il buio della finestra.
Ricordava perfettamente cosa provava ogni volta che lo vedeva, la mattina a scuola, e sorrideva.
Felicità, questo aveva sempre pensato che fosse.
Perché se lui era li, davanti ai suoi occhi (senza degnarla di uno sguardo), voleva dire che stava bene.
E se lui stava bene lei era felice, ecco tutto.
Ma ben presto questa sua teoria venne tagliuzzata da delle forbici roventi.
Forbici così calde che solo un essere, un sentimento, un dio ancora più caldo poteva tenere in mano.
Amore.
“BIP BIP BIP BIP”
 Il rumore assordante del microonde la fece muovere.
Tirò fuori la tazza fumante, ricordandosi la metafora appena pensata, e si diresse di nuovo verso il tavolo.
 
Entrò in macchina e sbuffò un “ciao”.
Non ricevette risposta, si voltò verso l’uomo al suo fianco e alzò gli occhi al cielo.
“Babbo! Babbo svegliati!”
Il padre aprì gli occhi con un mugolio assonnato e accese il motore.
“Sicuro di voler guidare?”
“Conosci qualcun altro che lo potrebbe fare?”
La ragazza si indicò e l’uomo ridacchiò facendo muovere la macchina.
Lei cominciò a osservare fuori dalla finestra, ma non vide nulla di interessante.
Eppure una volta adorava osservare, anche la cosa più inutile e noiosa, un tempo la incuriosiva.
Anche la nebbia.
Anche le nuvoloni grigi di un temporale.
Anche un cielo senza nuvole.
Il cielo era la sua fonte di ispirazione più grande e poetica.
Ma il tempo aveva rattrappito ogni suo sogno o passione.
Non aveva più motivi per cui osservare.
“La smetti!? Lo stai fissando da ore!”
Elena borbotta, ma chi se ne frega.
Sta ridendo! Sta parlando e ridendo!
Ha una voce dolcissima!
“Seee va beh, l’abbiamo persa di nuovo!”
“Wow! Per una volta ti sei vestita normalmente!”
“Fai poco  lo spiritoso, papà”
“E tu fai poco la faccia tosta, figlia”
C’era sempre stato un rapporto d’amicizia tra i due, ma negli ultimi tempi lei era molto fredda.
Con tutti, compresa con se stessa.
Scese dalla macchina e si avviò verso la fermata.
Vide i suoi soliti compagni di bus attenderla, ma non li rivolse nemmeno un sorriso.
“Ciao! Come va?”
“Come al cazzo”
Elena, Giovanni e Chiara la guardarono amareggiati.
Poi si rivolsero uno sguardo, come per intesa, per decidere chi dovesse essere il primo a parlare.
Sapevano che per lei era difficile, sapevano che probabilmente non le sarebbe passata.
Chiara si fece coraggio, in fondo era la sua migliore amica, pensava.
“Abbiamo saputo la notizia..”
Lei la fissò per un istante in modo nervoso.
Batté il  piede per terra più volte per calmare la rabbia.
Non si poteva vivere in un piccolo paesello senza che qualcuno sapesse i fatti suoi!
“E allora?” rispose secca e arrabbiata, come quando si accende il motore di una moto da corsa.
Perché lei era pronta a rombare, per poter dire tutto quello che pensava.
“Salve” non devo tremare, non devo tremare!
In fondo è una persona come le altre! Devo parlargli come se fosse un perfetto sconosciuto!
“Salve” mi risponde di rimando, ma mi guarda confuso e interrogativo.
“Scusi se la disturbo...” non ricordo cosa devo dire.
Osservare i suoi occhi a mandola e color bronzo, con quella bellissima sfumatura grigia che ha sui…
Smettila! Non fa bene osservarli a lungo, quegli occhi!!
Mi osservo le mani, senza sapere che fare.
Non ricordo più niente.
“Tutto ok?”
“UN QUESTIONARIO!”
Perché urlo?!
Scoppia a ridere, mentre io divento un pomodoro bruciacchiato.
Di certo la sua melodiosa risata mi aiuta a sciogliere i nervi tesi.
Sorrido imbarazzata e gli porgo un foglio “Lavoro per il giornale della scuola qui di fronte, stiamo chiedendo alla gente cosa ne pensa del nostro istituto, le va di fare questo questionario con me?”
Dì di si! Ti prego!
Ripenso a quello che ho detto e correggo subito “Volevo dire: il questionario non lo deve fare per forza con..”
“Certo!”
Lo guardo negli occhi.
Mossa sbagliata!
“Certo cosa?”
“Voglio fare il questionario con lei!”
Sei proprio una cretina.
Aspetta, ma ha detto si!
Vorrei urlare di gioia, ma non posso!
“M-mi d-d-dia del tu!”
La balbuzie di Giovanni mi fa un baffo!
Mi sorride.
Oggi il mondo ce l’ha proprio con me allora!
Giovanni le sventolò davanti agli occhi la mano “C-ci ss-seii? Il pu-pullman è aarriva-ato”
Lei si risvegliò dai pensieri e osservò in silenzio il pullman che si avvicinava.
Cosa doveva fare?
Salire sarebbe stato un dramma per lei: arrivare davanti scuola e non vederlo più, passare sei ore della sua vita sapendo che lui era troppo lontano da lei, forse infelice, forse con un’altra.
Non sopportava la lontananza ed era impaziente.
Aveva bisogno di lui come se fosse cibo.
Ed è anche per questo che sarebbe stato inutile decidere di non salire sul bus.
Tanto vale non prendersi un’assenza il primo giorno di scuola.
La porta le si aprì proprio davanti al suo naso e lentamente salì gli scalini.
Timbrò il biglietto come se stesse imbucando la lettera da inviare al marito in guerra.
Si volse verso l’interno del pullman e vide che non c’erano posti a sedere.
“Bello” sospirò, cosa poteva pretendere, era il primo giorno di scuola, tutti volevano la presenza!
Osservò i nuovi volti dei piccoli studenti, ma non a lungo, se ne fregava.
Si posizionò al centro del bus, togliendosi lo zaino dalle spalle, e prese il walkman dalla tasca.
La musica l’avrebbe distratta da eventuali ricordi.
Oppure no.


Mondo Nutopiano:
Eccomi qua, mi cimento nel romantico!
Questo primo capitolo non è 
Slice of life, lo so, dal prossimo sarà diverso.
Spero vi piaccia, comunque vorrei sapere cosa ne pensate :D
Grazie!

Peace & Love.
MelinAnima.


*Piccolo spazio pubblicitario*
Eh già, dal primo capitolo metto la pubblicità.
E' ovunque, lo so.
Ringrazio Morning Moon, che m'ha dato il "permesso" per pubblicare questa storia.
Dato che lo Slince of life romantico (con un po' di introspettivo) è nel suo stile, le ho chiesto il permesso.
Io la amo, vi consiglio vivamente di visitarla.
Questo capitolo è dedicato solo a lei e chi mi ha aiutato col titolo (ergo: Plant e Diami)!
  
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