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Autore: LivingTheDream    26/12/2011    6 recensioni
"«[...]Come si chiama?»
«Sherlock. Sherlock Holmes.» mormorò, continuando a camminare. Ad un certo punto si rese conto che Dom si era fermato qualche metro più indietro.
«Starai scherzando, spero!»
«N-no, non vedo perché dovrei.» rispose John, perplesso.
«Marcus! Hai capito chi sta cercando, John? Sherlock Holmes!»
«Quello Sherlock Holmes?»"
Crossover con Gears of War, spiegazioni sull'altro fandom all'interno. Adatta anche a chi non conosce il crossover ma si sente in vena di taaaanto angst.
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nda: Salve. Ecco che arrivo carina carina (?) e taaanto depressa con una Fandom!AU totalmente campata per aria.

Sherlock BBC – e fin qui, ci siamo – e Gears Of War – e qui un grande “cheeeeee?”.

Se non ci avete giocato – ebbenesì, è un gioco di guerra –, allora avete bisogno di qualche conoscenza base riguardo a storia e terminologia, quindi scorrete la paginetta fino alla fine e leggete quel bel pezzetto in grassetto. Perché non lo metto qui? Perché è brutto. Su, andate.

...

Fatto? Perfetto, possiamo iniziare.

 

 

Squadra di supporto Delta uno, qui comando, rispondete.»

John premette il dito sulla radiolina, ancora restio ad abituarsi ad un aggeggio così piccolo e potente allo stesso tempo, per rispondere alla donna che lo aveva appena contattato.

«Comando, qui caporale Watson.»

«Fate rapporto, com'è la situazione?»

«Siamo sul King Raven Cinque-Sette, con me ci sono Lestrade, Anderson e Donovan. Ci apprestiamo a tornare alla base per il-» il collegamento si riaprì senza che lui passasse la linea ed una voce più che conosciuta inondò le orecchie di John.

«Sono il tenente Holmes – Mycroft Holmes. State tutti bene?»

«Salve, tenente. Sono stato ferito alla spalla, e la gamba non accenna a guarire. Stiamo appunto tornando a Jacinto per rifornimenti e controlli medici.» rispose subito, mentre apriva il caricatore del Lancer per controllare che fosse tutto a posto.

«John!, grazie a Dio sei tu. Quindi hai intenzione di tornare a casa?»

«Ho già chiesto le pratiche per il trasferimento al comando, e, se tutto va bene, questa sarà la mia ultima missione.» sospirò, abbassando la testa per sfuggire agli sguardi traditi dei suoi compagni – non poteva farcela, non in quelle condizioni.

«Ah.»

Era tornato ad indossare la divisa degli COG da un anno, eppure gli sembrava una vita. Era stato subito promosso, senza rimanere per più di due giorni nello stesso posto, al comando della squadra Delta uno, di supporto allo squadrone Delta.

Perché era tornato? Sherlock.

Un unico, importante nome. Sherlock. Il suo coinquilino fino a prima dell'E-Day, il suo amico, il suo compagno, il ragazzo che ama – o meglio, che amava.

Ora tutto era diventato una scommessa.

Sherlock Holmes, uno degli ingegneri e strateghi migliori delle guerre Pendulum, fratello minore del tenente Holmes e fidanzato del caporale Watson, era scomparso da sedici mesi, e da allora non ne avevano avuto più notizie.

John aveva sentito di persone ritrovate anche a chilometri dalle loro case, il corpo martoriato ed il cervello a pezzi, incapaci di ragionare o vivere più come esseri umani, e quindi ormai ci aveva rinunciato, semplicemente – lo aveva accettato. Ora che anche la spalla e la gamba erano andati, aveva intenzione di sistemarsi in uno studio a guardare la guerra dall'altro – o meglio, quello avrebbe fatto se non fosse stato per una semplice, sintetica, frase.

«Abbiamo rintracciato Sherlock, John. È nel Vuoto.»

 

«Watson, mi auguro seriamente che ci stia prendendo per il culo! Prigionieri? E da quando?» Gregory Lestrade, soldato, raggiunse il caporale qualche passo più avanti, fissandolo da dietro la maschera dell'armatura.

«Da quando Tai Kaliso si è sparato un colpo di Gnasher in bocca dopo essere stato ritrovato su una Chiatta delle torture dalla squadra Delta.»

Sally Donovan si voltò verso di loro «Kaliso! Lo conoscevo! Com'è possibile? Non erano mai giunte notizie del ritrovamento di torturati.»

«A quanto pare...» ribadì John, lasciando cadere la frase. Le loro voci rimbombavano sulle pareti bluastre delle gallerie del Vuoto, e tutta quell'imponenza incuteva timore – camminare con soli un'arma e due occhi ma in un luogo troppo grande per essere tenuto tutto sotto controllo, John non ci si sarebbe mai abituato. Per fortuna aveva altri tre componenti a guardargli le spalle, anche se nonostante quello continuava ad avere paura.

Paura di incappare in un improbabile Berserker – odiava quei bestioni, erano terrificanti –, paura di perdersi tra quei cunicoli, paura di fallire, di morire, paura di non trovare Sherlock, paura di trovarlo.

Morto.

«Watson, tutto bene?» un altro soldato lo riscosse dai suoi pensieri.

«Sì, Anderson. Venite, ho sentito un rumore.»

Però lui era il caporale. Lui non poteva aver paura.

Pochi secondi dopo Donovan si lanciò dietro una barriera, urlando «Abietti!» ed inforcando un Hammerburst mezzo scarico.

«Magari fossero solo quelli!» le urlò di rimando Anderson, indicandole altri nemici mentre faceva roteare goffamente una granata incendiaria – inutile dire che mancò il Boomer in retroguardia di almeno un paio di metri.

Dopo cinque minuti buoni di lotta, John si disse che sprecavano energia per niente, e si gettò oltre la linea che divideva le due fazioni. Iniziò a correre, mentre ricaricava il Lancer, ed attaccò una granata alla schiena del Boomer mentre faceva saltare la testa di un altro Drone, sollevandolo da terra e usandolo poi come scudo. Si lanciò verso l'ultimo con la motosega attiva giusto un attimo prima che il Boomer esplodesse in mille pezzi, schizzandolo di sangue mutante.

«Oh, che schifo. Non mi ci abituerò mai. Forza, gente. Il Nexus è da questa parte.» indicò, iniziando poi a correre. Nel momento in cui si rese conto di non essere seguito, si voltò sventolando la pistola d'ordinanza. «Ehi, voi! Sbrigatevi, i Delta avranno bisogno di noi!»

«Io non ci vengo, lì, Watson.» mormorò Anderson.

«Nemmeno io.» aggiunse Donovan. John volse lo sguardo a Lestrade.

«Mi spiace, ma quello è il covo della loro regina, e lo sai. Vorremmo riportare la pelle a casa, noi.»

A John si ruppe qualcosa all'altezza dello stomaco. In seguito lo avrebbe associato al significato di delusione.

Rimase immobile sul bordo della roccia, le dita serrate attorno al calcio dell'arma.

«È così, eh? Mollate.»

Gli altri abbassarono la testa, senza nulla da aggiungere.

John sentì decine di parole risalirgli dallo stomaco, in attesa di essere vomitate in faccia a chi lo aveva seguito per ben un anno senza praticamente mai discutere – gente a cui aveva salvato la vita innumerevoli volte, spesso rischiando anche la propria. Le decine di parole diventarono mille frasi; mille frasi che gli si spiegavano in testa, mille momenti da rinfacciare loro, mille insulti da sputargli davanti al naso. Eppure alzò gli occhi verso di loro e continuò, con la calma di chi non può permettersi di esplodere, con tutto quel lavoro ancora da fare.

«Sapete, anche io stavo mollando. Insomma, avevo perso le speranze. Invece voi avete ragione – ecco, sì, avete ragione. Voi due» aggiunse, quasi senza prendere fiato, indicando i soldati con la pistola « Anderson, Donovan, siete in guerra ma almeno siete insieme, no?» rise amaro, facendo cadere le braccia lungo i fianchi «come se non lo avessi notato, che c'è tra voi due. E tu, Lestrade, come sta tuo marito? Bene? Ah, giusto, lo abbiamo sentito proprio prima di scendere qui, alla trasmittente, eh? Chissà che strazio dev'essere saperlo al caldo ed al sicuro al comando, lì, a portata di radio.»

«Watson, senti, noi-»

«Ah, lasciate stare. La divisione Gamma ha subito un attacco, muovete il culo ed andate ad aiutarli. Non ho bisogno di voi.» terminò, girando le spalle e sparendo tra il fitto della vegetazione luminescente del vuoto.

Sentiva i passi lontani del resto del gruppo, e pur di non sentire quel rumore di tradimento accese la radio, cercando la frequenza della squadra Delta.

«Qui caporale John Hamish Watson, mi ricevete? Signor Fenix, mi riceve?» chiamò, e subito l'auricolare iniziò a sfrigolare.

«Qui caporale Marcus Fenix. Chiamami pure Marcus, Watson, qui siamo tutti nella stessa merda, tanto. Ho sentito molto parlare di te. Complimenti per il recupero e la difesa di quegli Arenati sulla costa, il mese scorso.»

A John scappò un piccolo sorriso. «Nulla in confronto alle tue imprese, Marcus. Chiamami pure John. La mia squadra mi ha abbandonato, datemi la vostra posizione.»

«Abbandonato? Dannazione, morti?»
«No, in quel caso li avrei giustificati. Poi ti spiego.»

«Vediamo la tua posizione sul radar, segui la strada e sei da noi in poco.»

Accelerò il passo, iniziando a correre nonostante il dolore lancinante alla gamba – al momento, quella era l'ultima cosa di cui preoccuparsi.

«Sto arrivando. Siete diretti al Nexus, vero?»

Sentì Marcus tossire leggermente. «Non esattamente, stiamo facendo una deviazione.»

«Ah, per quale motivo?» chiese, affannando leggermente.

«Dobbiamo cercare un prigioniero, quindi non so se ti converrà seguirci. Avremo le Locuste attaccate al culo, non so se mi spiego.»

«Vengo con voi.» disse subito, rallentando. A qualche metro di distanza vedeva due sagome scure ed imponenti, ed ad un tratto si sentì decisamente inopportuno, al loro fianco.

Non era mai stato un soldato come gli altri COG – grossi, muscolosi, alti – anzi, era anche più basso della media, e preferiva l'agilità alla forza. Però non poteva tirarsi indietro per così poco, quindi si avvicinò a loro con un ultima corsetta, Lancer carico e pronto nella mano destra.

«In che senso “vieni”?» ormai la radio era inutile, li sentiva benissimo anche senza.

«Nel senso che anche io ho ancora qualcosa da perdere.»

Gli altri due si voltarono, e John non si era mai sentito così forte.

 

Camminarono per un'oretta almeno, disturbati da attacchi isolati e deboli, ma fu solo dopo la prima mezz'ora che John riuscì a capire meglio l'intento dei suoi nuovi compagni di viaggio.

«Mia moglie.» spiegò Dominic Santiago, detto Dom, caporale e amico di Marcus Fenix. Insieme erano le figure più conosciute delle guerre Pendulum, e, a quanto sapeva John, non si erano mai divisi fin da quando erano bambini. Dove andava uno, andava anche l'altro, e quanto pareva doveva essere così anche in quel momento.

«È sparita anni fa, ma non ho ancora smesso di cercarla. Finalmente il comando l'ha rintracciata in uno di questa specie di campi di prigionieri, così abbiamo mandato avanti gli altri e Marcus ha accettato di accompagnarmi.» disse, indicando l'amico qualche metro più avanti. «E tu?»

«Il mio ragazzo.»

«Ragazzo o ragazza

John ridacchiò «Ragazzo, ragazzo.» anche Dom iniziò a ridere, a bassa voce.

«Tranquillo, non ci siamo mai fatti problemi e certo non inizieremo ora. Qual è la vostra storia?»

John iniziò, sospirando. «Era un ottimo stratega, ci eravamo conosciuti al comando generale a Jacinto. Era affascinante, intelligente, freddo, spietato – non so nemmeno cosa mi spinse ad innamorarmene, sinceramente. Avevo abbandonato la guerra, eppure mi costrinsero a tornare come sentinella, ed ogni volta che lo lasciavo da solo era un incubo. Poi, una notte, durante il mio turno di ronda, si aprì un buco di Locuste proprio nel nostro quartiere. Era un anno fa, ma lo ricordo come fosse ieri. Diedero l'allarme ed io corsi come mai credo di aver fatto in vita mia, non so quanti record olimpionici devo aver battuto, quel giorno. C'erano Locuste ovunque, Droni, Boomer, Abietti, anche una mezza dozzina di Reaver, mi pare, un attacco di quelli che devi solo scappare e pregare, possibilmente contemporaneamente. Invece sono corso fino a casa nostra facendomi largo tra quell'inferno, ma sono arrivato in tempo solo per vedere il suo volto sparire tra la folla.»

Dom lo lasciò parlare, aspettando che continuasse.

John si passò una mano sul volto, stropicciandosi gli occhi. «... urlava il mio nome. Poi è arrivato un Brumak e non l'ho visto più. In quel momento pensai fosse morto, però non fu ritrovato né il cadavere né la targhetta, ed ho continuato a cercare. Ieri suo fratello mi ha detto che lo avevano trovato, e così eccomi qui.»

«Cazzo, mi spiace. Non sai quanto ti capisco. Come si chiama?»

«Sherlock. Sherlock Holmes.» mormorò, continuando a camminare. Ad un certo punto si rese conto che Dom si era fermato qualche metro più indietro.

«Starai scherzando, spero!»

«N-no, non vedo perché dovrei.» rispose John, perplesso.

«Marcus! Hai capito chi sta cercando, John? Sherlock Holmes!»

«Quello Sherlock Holmes?» chiese Marcus, una volta raggiunto dagli altri due.

«Ah-ha!» confermò Dom, al che John intervenne.

«Scusate, come fate a conoscerlo?»

«Un nostro compagno, Damon Baird, è un esperto tecnologico, oltre che un soldato. Parla continuamente di lui, citando le sue scoperte e i suoi macchinari. Cazzo, speriamo almeno di trovarlo vivo!»

«A chi lo dici...» sussurrò John tra sé e sé, prima di abbassare la testa e continuare a camminare lungo quel cunicolo buio ed umido verso l'ultima speranza che ancora gli fosse rimasta.

 

Si sentiva pesante. Pesante e pieno di tristezza, e per una volta far saltare la testa a tutte quelle cazzo di Locuste non gli sembrava tanto crudele.

Avevano appena trovato Maria, e John era sicuro che l'immagine di quella donna tanto bella e leggiadra trasformata in uno scheletro svuotato di ogni sentimento sarebbe rimasta per sempre lì nella sua mente, nitida come in una fotografia.

Nascosto dietro un macchinario bucherellato dai proiettili, la sua testa sbucava ogni tanto allo scoperto per mirare al cuore di quelle bestie infernali, capaci di tali crudeltà ma incapaci di comunicare – forse i Boomer, ma l'unica cosa che 'comunicavano' è che stavano per sparare, tutto qui il loro massimo.

Voltò lo sguardo a Dom, accovacciato e riparato da una roccia anche più grossa di lui – urlava e sparava, quasi come senza controllo, ma le granate che lanciava avevano la potenza e la precisione di proiettili, in quel momento. Non pianse nemmeno una lacrima – chissà quante ne aveva versate fino a quel momento – ma si limitava a stringere i denti e vendicarsi, vendicare sua moglie e i suoi figli e i suoi genitori, e non si sarebbe fermato fino alla morte dell'ultima di quelle fottuttissime bestie, glielo si leggeva in faccia.

Marcus, invece, copriva le spalle all'amico, come sempre aveva fatto. Lo guardava con il labbro tra i denti, morso praticamente a sangue, e scaricava la mitragliatrice addosso ad ogni Locusta che osasse mirare a Dom anche solo per sbaglio.

E a quel punto la vide.

La catena, c'era. Anche loro avevano la loro catena – solida, forte, roba che l'acciaio non era niente in confronto – che li collegava, passando attraverso quella pietra e quelle bestiacce, fin sotto l'armatura, ancorata al cuore.

Era palese anche il disperato tentativo da parte di Marcus di salvare Dom, non da qualche attacco fisico, assolutamente, ma da sé stesso. Dom stava lentamente cadendo a pezzi e spettava a lui fare qualcosa. Chissà da quanto tempo andava avanti quella situazione, pensò John, provando istantaneamente un senso di ammirazione per quel legame così forte.

«John! Jack lo ha trovato!» la voce di Marcus lo distolse dai suoi pensieri, e subito sentì lo stomaco torcersi fino a fargli male. L'altro era davanti al robot fluttuante che li seguiva ovunque – Jack, per l'appunto – il quale mostrava sul display la foto di Sherlock – la foto del suo Sherlock.

John corse vicino a loro, fermandosi un secondo per affondare la motosega nel ventre di una Locusta che strisciava a terra, mezza viva – lo chiamavano “giustiziare”, nel linguaggio degli COG.

Osservò la foto sullo schermo tremolante per qualche secondo, sfiorandola con le dita ed annuendo, dopodiché Jack si avvicinò ad una delle gabbie dei prigionieri – strette, alte, somiglianti a dei sarcofagi anche nelle dimensioni – ed iniziando a forzarla.

I secondi gli sembrarono ore ed i minuti giorni, eppure arrivò il momento in cui il robot ritirò le sue dita meccaniche, lasciando spazio alla porta di aprirsi senza nemmeno il benché minimo suono – anche se probabilmente erano le orecchie di John ad essere totalmente disconnesse dal cervello.

Il silenzio nella sua testa in quel momento assordava più delle grida di dieci Brumak messi insieme, e lasciò cadere il fucile ormai scarico a terra, le dita svuotate di qualsiasi forza.

Il suo primo pensiero fu quello di afferrare Sherlock – le sue gambe di sicuro non riuscivano a reggere il peso del suo corpo, seppur questo fosse ormai ridotto all'osso.

Il secondo pensiero fu di farlo inginocchiare a terra, dato che anche le gambe di John vacillavano pericolosamente.

Il terzo pensiero si perse, affogando nelle lacrime. Ma tanto ormai nulla più importava sul serio.

John era lì, tra le braccia gli ultimi resti di ciò che il suo nemico si era preso, Sherlock, e tutto il suo cuore, che in quel preciso momento gli si stava staccando dal petto per andare a morire lontano da quello spettacolo tragico e mostruoso.

Tentò di affondare le dita tra i tanto amati riccioli di Sherlock, ma avvertì al tatto solo qualcosa di arido, di spento e privato di qualsiasi vita – il nero era sparito, lasciando posto ad un colore che nulla aveva di quello che aveva fatto innamorare John, al tempo. Buona parte erano caduti, lasciando il posto a ciuffi radi, mal tenuti, ruvidi, secchi.

Lasciò scorrere i pollici lungo le sue guance scavate di natura, ma che nulla avevano di naturale, in quel momento. La pelle del viso era assetata e rovinata in alcuni punti, logora e lacerata in altri, dove le lacrime erano state libere di scorrere prima che la forza gli venisse a mancare anche semplicemente per piangere.

Gli occhi incavati stavano spalancati a fissare il terreno, lo spazio tra i loro petti, praticamente nullo, e John ne volle rivedere il colore, nella lontana e disperata speranza che almeno quello fosse rimasto, che il ghiaccio freddo e deciso di quello sguardo fosse ancora capace di ucciderlo e farlo innamorare come faceva ogni volta. Tentò di alzargli il mento il più delicatamente possibile, così da farsi guardare in faccia, ma ogni volta Sherlock scuoteva debolmente la testa, appesantendola e lasciando cadere di nuovo il mento sul petto, rassegnato.

In quel momento le lacrime liberarono la gola di John per qualche secondo, lasciandogli un attimo di tregua dal bruciore allucinante che gli impediva di parlare. «Sh-Sherlock, Sherlock mi senti? Ti prego, dimmi di sì, fammi un cenno, fa qualcosa! Oddio, Sherlock, quanto-quanto ti ho cercato – ovunque, tra gli Arenati, tra i dispersi, negli ospedali – da-dappertutto, sul serio, tra i cadaveri, eppure tu non c'eri, non c'eri mai, non-non potevo mai sapere se e quando saresti tornato. P-perdonami, ti prego, perdonami se ne sei capace, non sarei mai dovuto uscire quella notte – mai, mai...»

In quel momento, come in un sogno – come in un incubo , vide gli occhi di Sherlock fissarlo, segno che almeno le più basilari funzioni cerebrali non gli erano state succhiate via da chissà quale pratica abominevole, e che probabilmente la sua mente geniale ed abituata agli orrori della guerra aveva resistito relativamente meglio rispetto agli altri.

«J-Jo-» riuscì solo a mormorare, prima che la voce gli si perdesse da qualche parte in quell'universo parallelo che il suo cervello doveva avergli creato per sfuggire a tutto quel dolore.

«Scusami, Sherlock, scusami, ti prego – scusami.» mormorò ancora, tenendo la fronte poggiata a quella dell'altro, gli occhi immersi nei suoi – niente più ghiaccio, solo un grigio turbinio di ricordi e paura, di terrore e di fuga, in cui John poteva vedere tutto, anche se avrebbe preferito farne a meno.

Sherlock abbassò di nuovo la testa, e John se la portò al petto, stringendolo delicatamente per paura di fargli ancora più male, facendo scorrere le dita sulla schiena e sentendosi tremare allo sfiorare cicatrici, tagli, ferite aperte e sanguinanti, pelle logora e livida, spaccata – quasi strappata da chissà che allucinanti torture – e più le avvertita più desiderava di sentirle sue, tirarle via da Sherlock ed accollarsele una ad una, senza tralasciarne nessuna e disposto anche a soffrire il doppio, pur di espiare le proprie colpe.

Non avrebbe dovuto lasciarlo solo.

Non avrebbe dovuto lasciarlo.

Non avrebbe dovuto. Non avrebbe dovuto, e basta.

 

«John...» mormorò Marcus, avvicinatoglisi, dopodiché poggiò uno strano macchinario ai suoi piedi. John piangeva ancora a testa alta, con le lacrime che gli scendevano lungo le guance ed il naso che colava, e non accennò a lasciare Sherlock nemmeno con una mano per rimediare a quello stato penoso.

Lui non aveva mai pianto, fino a quel momento. Lui non era Dom.

«John, ecco, tieni questo. Se sei davvero sicuro che Sherlock ce la possa fare, allora attiva il radar e tentate di uscire da qui – tu, e Sherlock. Noi dobbiamo andare avanti, Baird e Cole hanno bisogno di noi. Ce la fai da solo?» chiese infine, e John annuì, tornando ad osservare Sherlock, accoccolato ed immobile tra le sue braccia.

«Grazie per averci accompagnato.» aggiunse Dom, poggiandogli una mano sulla spalla.

«Grazie a voi, Delta. Buona fortuna, abbiamo bisogno di voi per sopravvivere.»

«Buona fortuna anche a te, chiederemo tue notizie.» rispose Marcus, recuperando le armi.

«Lo stesso, ragazzi. Guardatevi le spalle, mi raccomando.» salutò John, la voce debole e raschiata da qualche parte in fondo alla gola.

«Ricorda, fratelli fino alla fine.» aggiunse Dom, voltandosi. John non capì subito, ma poi abbozzò un sorriso – terribilmente stonato rispetto alle lacrime bloccate agli angoli della bocca – ed annuì piano.

«Fino alla fine.» ripeté annuendo, in forma di rispettoso saluto verso qualcuno che ne aveva viste anche più di lui.

Quando fu da solo, senza perdere nemmeno un minuto, attivò il radar, e prese delicatamente Sherlock tra le braccia, deciso a rischiare almeno un'ultima volta.

I soccorsi arrivarono, ma lui non mollò Sherlock su quella dannata barella nemmeno per un istante – la gamba strepitava, la spalla gli doleva come mai prima, ma ormai cos'era il dolore fisico? Un vano tentativo del suo corpo di reagire, forse. Ma a quale scopo, quando Sherlock aveva raccolto tutte le sue forze per arpionare tre dita alla maglietta di John, per appoggiare la testa al suo petto, per fargli sentire il suo cuore che, nonostante tutto, batteva ancora, anche se Sherlock stesso non ci guadagnava nulla, da quel battito?

Il dolore di John non era nulla – il suo amore, forse, qualcosa di più.

Il dolore di Sherlock, invece, era tutto – di loro due, però, non sarebbe rimasto più niente, se non una catena rotta ed abbandonata da qualche parte tra le macerie di quell'umanità.

 

John Watson sarebbe arrivato fino alla fine della guerra, dopo quel giorno. Avrebbe combattuto al fianco di COG e Arenati, avrebbe sconfitto orde di Locuste prima e di Splendenti poi, avrebbe raccolto i resti di quella terra che aveva perso padri, madri, mogli, mariti, figli, soldati, anime.

Avrebbe rincontrato Dom, anche se avrebbe preferito non farlo non al funerale di quest'ultimo, morto per salvare la sua squadra, morto per salvare Marcus.

John Watson sarebbe giunto fino alla fine, avrebbe raccolto vite e cadaveri, medagliette e cibo, sarebbe morto in tempo per vedere anche l'ultimo di quegli abomini chiudere gli occhi e non riaprirli mai più.

Avrebbe lottato da solo o con squadre diverse, senza più legami e senza amici, essendo silenziosamente grato solo ai Delta ed essendo innamorato ancora della stessa persona che, anni prima, gli morì tra le braccia appena uscita alla luce del sole.

John Watson sarebbe stato uno degli eroi della guerra, un esempio per i ragazzi, un ricordo per i suoi compagni.
Sarebbe stato uno di quelli per cui la vittoria fu solo un altro modo di chiamare una sconfitta.

 

 

 

 

Gears of War, questo sconosciuto.

*attenzione, le informazioni seguenti NON saranno prese da zia Wiki o affini*

Gears of War è un videogioco horror/sparatutto ambientato su Sera, luogo indefinito abitato però da umani. Un bel giorno, precisamente detto E-Day – giorno dell'Emersione – le Locuste, abitanti NON umani, ma rettili umanoidi, del sottosuolo, attaccano la gente in superficie per vendicarsi dello sfruttamento dei loro territori per il prelevamento dell'Imulsion, un potente carburante. Qui delle belle foto - ATTENTI, fanno schifo! - di un Drone, di un Boomer, di un Abietto, di un Reaver, di un Brumak e di un Berserker, tutti nominati nella storia. Sappiate solo che sono dei tipi di combattenti nemici, e tant'è. Anche gli Splendenti lo sono, tranquilli. Sono uguali, solo che esplodono.

Scoppia una guerra, e tutto il periodo è detto “delle guerre Pendulum”, che dura... non poco, vi basti sapere questo.

La neo-formata squadra Delta – Marcus Fenix, Dominic Santiago (<3) (presenti nella storia), Damon Baird e Cole Train (nominati) – si fa un culo come una casa durante tutti i tre giochi, combattendo in prima fila.

Nel secondo capitolo della saga, Dom trova finalmente la moglie Maria, scomparsa molti anni prima, prigioniera delle Locuste. La donna non rivede nemmeno la luce del sole, poiché le sue condizioni rasentavano talmente la morte psicologica e fisica di una persona che viene, per amore e per pietà, uccisa dallo stesso marito, che ne esce distrutto.

La storia è ambientata in questo momento, nel giorno del ritrovamento di Maria, durante l'operazione “Tempesta nel Vuoto” – il Vuoto è, per l'appunto, la “casa” delle Locuste, ed il Nexus è la loro base.

I COG sono dei soldati scelti, e i ranghi vari li conoscete. Lancer, Hammerburst e Gnasher sono delle armi, ora sapete anche questo.

Che altro? Il King Raven è un elicottero, Jacinto è la città più grande, gli Arenati sono civili dispersi e la guerra la vincono i nostri, anche se alla fine nessuno riesce a rallegrarsene più di tanto.

In fondo, la guerra è guerra. E ricordate, si è sempre fratelli fino alla fine.

Ora tornate su, se volete leggere, sì? Grazie mille, ve ne sono grata.

 

Questa storia è stata scritta per il prompt 32 della maritombola, “Fandom!AU”.

   
 
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