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Autore: NeverThink    26/12/2011    3 recensioni
Io, ero il suo satellite e non potevo farci nulla. Stregata, ammaliata dalla sua voce calda e gli occhi color del cielo. Impotente dinanzi ad Amore che, inclemente, non mi permetteva di respirare profumi che non mi ricordassero quel sentimento celato così a lungo.
Lo guardai, come un cieco guarda il sole per la prima volta.
Lui sorrise. Il mio cuore palpitò.

La scena di una nuova intimità. Un'intimità che due persone hanno a lungo desiderato e che si realizza in una sera come tante.
Un nuovo centro di gravità.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno gente e, anche se un po’ in ritardo, a tutti voi buon Natale.
Un paio di notti fa, ho fatto un sogno e ho pensato di ricamarci un po’. Spero che queste mie parole vi piacciano, anche se non sono nulla di speciale. Vengono dal cuore, nonostante tutto.
Ancora mille auguri e buon anno nuovo!

La canzone  con cui ho scritto questa one-shot (che ne porta anche il titolo) è:  Gravity di Embrace.

 

 

Gravity

 


 

  I suoi occhi azzurri, per un istante, incontrarono i miei.

    Amavo, Joshua, per ragioni che non sapevo spiegare. Ero inevitabilmente legata a lui. Un legame tanto forte, che ben poteva essere paragonato a forti catene d’acciaio che non mi permettevano di gravitare altrove. Io, ero il suo satellite e non potevo farci nulla. Stregata, ammaliata dalla sua voce calda e gli occhi color del cielo. Impotente dinanzi ad Amore che, inclemente, non mi permetteva di respirare profumi che non mi ricordassero quel sentimento celato così a lungo.

    Lo guardai, come un cieco guarda il sole per la prima volta.
    Lui sorrise. Il mio cuore palpitò.

    Avevo conosciuto Joshua sei mesi prima, nel negozio di cd, dove lavorava come commesso. Lui aveva ventitré anni, io venti quando capii che non avrei mai potuto amare nessuno, come amavo lui. Lo capii quando mi strinse a sé, alla festa di compleanno della mia migliore amica, nonché fidanzata di suo fratello, per ringraziarmi di averlo fatto sorridere in un momento in cui gli eventi avversi lo avevano costretto sul bordo di un precipizio.
    Eravamo diventati amici, lo avevo accompagnato alla lapide di quella madre mai conosciuta.
    Mi ero innamorata, e lui lo sapeva.

    I suoi occhi indugiarono nei miei, imperscrutabili, gettandomi nel più totale sconforto e dolore dinanzi a quell’improvviso muro di ghiaccio.
    Eravamo ad una festa. Forse era il compleanno di qualcuno, nemmeno lo sapevo, avevo solo accompagnato un’amica e non mi aspettavo di trovare lui.
    La musica alta, le risate, le voci, diventarono pian piano tanto assordanti da farmi pulsare la testa di dolore e fischiare le orecchie, mentre l’aria che respiravo pareva bruciasse le pareti dei miei polmoni.

    I suoi occhi indugiarono sui miei per attimi che mi parvero eterni e dolorosi, fino a che non mi fece segno col capo di seguirlo. Lo seguii fino al piano superiore, dove la musica era più flebile e le voce più soffocate. Gli ero dietro, ma non abbastanza da entrare con lui nella stanza. In cima alla scalinata riuscii solo a vedere la porta che si chiudeva.
    Deglutii a fatica e dovetti aspettare qualche secondo di troppo, prima di prendere coraggio ed entrare in quella stanza. La luce flebile  della scala non mi permise di distinguere la disposizione dei mobili, né la figura di Joshua. Col cuore che pareva scoppiarmi nel petto, entrai nell’oscurità della stanza, chiudendomi la porta alle spalle.
    Restai immobile, per alcuni istanti, e l’unico suono udibile era il mio respiro pesante ed accelerato. Poi accadde qualcosa che mai avrei immaginato potesse accadere, se non nei miei più intimi e reconditi sogni. Un paio di mani mi sfiorarono le spalle, costringendomi ad indietreggiare.
    Il cuore mi balzò in gola ed un brivido mi attraverso la schiena, facendomi venire la pelle d’oca.
«Jodie…», mormorò al mio orecchio. La sua voce era morbida come velluto, carezzevole come seta, leggera come un petalo di rosa sull’acqua. L’avrei riconosciuta ovunque, fra mille calde e roche voci, fra le fiamme dell’infermo, fra le raffiche di vento e l’incessante pioggia.
    Il suo profumo m’inondo i polmoni, dandomi alla testa.
    Quella vicinanza improvvisa mi mozzò il respiro, mentre le sue mani cercavano le mie.
potevo sentire il calore del suo viso sulla mia guancia ed il rumore del suo respiro leggero al mio orecchio.
    Nella totale oscurità lasciai che a vedere fossero i miei sensi.
    Trovò le mie mani, se le portò sul petto, all’altezza del cuore. Sentirlo battere frenetico contro il palmo m’inumidì gli occhi, non potei evitarlo.
    «Lo senti?», nella sua voce una sfumatura di disperazione.
    Non riuscii a rispondere, a muovere un solo muscolo. L’unico suono che riuscii a emettere fu un mugolino.
    «Puoi sentirne il suono?» chiese ancora affondando il viso fra i miei capelli e lasciandosi andare contro di me.
    Istintivamente, incapace di controllare il mio corpo, portai una mano fra i suoi capelli color del cioccolato e gli accarezzai con estrema delicatezza e dolcezza, chiudendo gli occhi e lasciandomi andare contro il muro, accogliendo con tutta me stessa, abbracciando con l’anima, il corpo di Joshua così vicino al mio.
    E in un momento tanto lungo e breve allo stesso tempo, le sue labbra furono delicatamente sulle mie. Fu un bacio casto, dolce, tenero, un leggero sfiorarsi, due anime che s’incontravano per la prima volte, due essenze che, piano, si univano l’una all’altra.
    «Perdonami.» gemette.
    «Per cosa?» chiesi. La mia voce sembrava appartenesse a qualcun altro, in quella situazione così irreale.
    «Per aver aspettato così tanto.»
    Scossi il capo. «Non importa.» sospirai sincera ed improvvisamente appagata, mentre gli accarezzavo i capelli con una mano e con l’altra gli sfioravo la mandibola.
    Le sue labbra furono nell’incavo del mio collo, dove baciarono con delicatezza la mia pelle accaldata, prima di posarsi ancora sulle mie labbra e baciarle con passione, desiderio, un improvviso amore che mi fece tremare le gambe.
    Le sentii cedere, tanto che dovetti aggrapparmi alle sua spalle per non cadere.
    «Jodie...»
    Le sue mani furono sulle mie natiche, con dolcezza mi sollevarono da terra ed io incrocia le gambe ai suoi fianchi.
    «Joshua…»
    Le sue mano mi carezzavano il viso, mentre il suo corpo fremente mi spingeva contro il muro e le mie mani s’incrociavano sulla sua nuca nuda.
    «Ti amo.»
    Nell’oscurità, mi strinsi a lui, tanto forte da riuscire a stento a respirare, nascosi il viso nell’incavo del suo collo, e lui fra i lunghi capelli scuri che mi ricadevano in onde sulle spalle.
    «Oh, ti amo anch’io, e non posso smetterlo di farlo.» soffia con voce spezzata dall’emozione.
    Poi le sue labbra tornano appassionate sulle mie, in quel momento tanto perfetto da sembrare un sogno... ma non lo era. Quel momento era realtà, una realtà durata un vita. Il mio centro di gravità.

   
 
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