Buongiorno gente
e, anche se un po’ in ritardo, a tutti voi
buon Natale.
Un paio di notti fa, ho fatto un sogno e ho pensato di ricamarci un
po’. Spero
che queste mie parole vi piacciano, anche se non sono nulla di
speciale.
Vengono dal cuore, nonostante tutto.
Ancora mille auguri e buon anno nuovo!
La canzone con cui
ho
scritto questa one-shot (che ne porta anche il titolo) è:
Gravity
di Embrace.
Gravity
I suoi occhi
azzurri, per un istante, incontrarono i miei.
Amavo, Joshua, per ragioni che non
sapevo spiegare. Ero inevitabilmente legata a lui. Un legame tanto
forte, che
ben poteva essere paragonato a forti catene d’acciaio che non
mi permettevano
di gravitare altrove. Io, ero il suo satellite e non potevo farci
nulla.
Stregata, ammaliata dalla sua voce calda e gli occhi color del cielo.
Impotente
dinanzi ad Amore che, inclemente, non mi permetteva di respirare
profumi che
non mi ricordassero quel sentimento celato così a lungo.
Lo guardai, come un cieco guarda il
sole per la prima volta.
Lui sorrise. Il mio cuore palpitò.
Avevo conosciuto Joshua sei mesi
prima, nel negozio di cd, dove lavorava come commesso. Lui aveva
ventitré anni,
io venti quando capii che non avrei mai potuto amare nessuno, come
amavo lui.
Lo capii quando mi strinse a sé, alla festa di compleanno
della mia migliore
amica, nonché fidanzata di suo fratello, per ringraziarmi di
averlo fatto
sorridere in un momento in cui gli eventi avversi lo avevano costretto
sul
bordo di un precipizio.
Eravamo diventati amici, lo avevo
accompagnato alla lapide di quella madre mai conosciuta.
Mi ero innamorata, e lui lo sapeva.
I suoi occhi indugiarono nei miei,
imperscrutabili, gettandomi nel più totale sconforto e
dolore dinanzi a
quell’improvviso muro di ghiaccio.
Eravamo ad una festa. Forse era il
compleanno di qualcuno, nemmeno lo sapevo, avevo solo accompagnato
un’amica e
non mi aspettavo di trovare lui.
La musica alta, le risate, le voci,
diventarono pian piano tanto assordanti da farmi pulsare la testa di
dolore e
fischiare le orecchie, mentre l’aria che respiravo pareva
bruciasse le pareti
dei miei polmoni.
I suoi occhi indugiarono sui miei per
attimi che mi parvero eterni e dolorosi, fino a che non mi fece segno
col capo
di seguirlo. Lo seguii fino al piano superiore, dove la musica era
più flebile
e le voce più soffocate. Gli ero dietro, ma non abbastanza
da entrare con lui
nella stanza. In cima alla scalinata riuscii solo a vedere la porta che
si
chiudeva.
Deglutii a fatica e dovetti aspettare
qualche secondo di troppo, prima di prendere coraggio ed entrare in
quella
stanza. La luce flebile della scala non
mi permise di distinguere la disposizione dei mobili, né la
figura di Joshua. Col
cuore che pareva scoppiarmi nel petto, entrai
nell’oscurità della stanza,
chiudendomi la porta alle spalle.
Restai immobile, per alcuni istanti,
e l’unico suono udibile era il mio respiro pesante ed
accelerato. Poi accadde
qualcosa che mai avrei immaginato potesse accadere, se non nei miei
più intimi e
reconditi sogni. Un paio di mani mi sfiorarono le spalle,
costringendomi ad
indietreggiare.
Il cuore mi balzò in gola ed un
brivido mi attraverso la schiena, facendomi venire la pelle
d’oca.
«Jodie…»,
mormorò al mio orecchio. La sua voce era morbida come
velluto,
carezzevole come seta, leggera come un petalo di rosa
sull’acqua. L’avrei
riconosciuta ovunque, fra mille calde e roche voci, fra le fiamme
dell’infermo,
fra le raffiche di vento e l’incessante pioggia.
Il suo profumo m’inondo i polmoni,
dandomi alla testa.
Quella vicinanza improvvisa mi mozzò
il respiro, mentre le sue mani cercavano le mie.
potevo sentire il
calore del suo viso sulla mia guancia ed il rumore del suo
respiro leggero al mio orecchio.
Nella totale oscurità lasciai che a
vedere fossero i miei sensi.
Trovò le mie mani, se le portò sul
petto, all’altezza del cuore. Sentirlo battere frenetico
contro il palmo
m’inumidì gli occhi, non potei evitarlo.
«Lo senti?», nella sua voce una
sfumatura di disperazione.
Non riuscii a rispondere, a muovere
un solo muscolo. L’unico suono che riuscii a emettere fu un
mugolino.
«Puoi sentirne il suono?» chiese
ancora affondando il viso fra i miei capelli e lasciandosi andare
contro di me.
Istintivamente, incapace di
controllare il mio corpo, portai una mano fra i suoi capelli color del
cioccolato e gli accarezzai con estrema delicatezza e dolcezza,
chiudendo gli
occhi e lasciandomi andare contro il muro, accogliendo con tutta me
stessa,
abbracciando con l’anima, il corpo di Joshua così
vicino al mio.
E in un momento tanto lungo e breve
allo stesso tempo, le sue labbra furono delicatamente sulle mie. Fu un
bacio
casto, dolce, tenero, un leggero sfiorarsi, due anime che
s’incontravano per la
prima volte, due essenze che, piano, si univano l’una
all’altra.
«Perdonami.» gemette.
«Per cosa?» chiesi. La mia voce
sembrava appartenesse a qualcun altro, in quella situazione
così irreale.
«Per aver aspettato così tanto.»
Scossi il capo. «Non importa.»
sospirai sincera ed improvvisamente appagata, mentre gli accarezzavo i
capelli
con una mano e con l’altra gli sfioravo la mandibola.
Le sue labbra furono nell’incavo del
mio collo, dove baciarono con delicatezza la mia pelle accaldata, prima
di
posarsi ancora sulle mie labbra e baciarle con passione, desiderio, un
improvviso amore che mi fece tremare le gambe.
Le sentii cedere, tanto che dovetti
aggrapparmi alle sua spalle per non cadere.
«Jodie...»
Le sue mani furono sulle mie natiche,
con dolcezza mi sollevarono da terra ed io incrocia le gambe ai suoi
fianchi.
«Joshua…»
Le sue mano mi carezzavano il viso,
mentre il suo corpo fremente mi spingeva contro il muro e le mie mani
s’incrociavano sulla sua nuca nuda.
«Ti amo.»
Nell’oscurità, mi strinsi a lui,
tanto forte da riuscire a stento a respirare, nascosi il viso
nell’incavo del
suo collo, e lui fra i lunghi capelli scuri che mi ricadevano in onde
sulle
spalle.
«Oh, ti amo anch’io, e non posso
smetterlo di farlo.» soffia con voce spezzata
dall’emozione.
Poi le sue labbra tornano
appassionate sulle mie, in quel momento tanto perfetto da sembrare un
sogno...
ma non lo era. Quel momento era realtà, una
realtà durata un vita. Il mio
centro di gravità.