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Autore: Vanilla Planifolia    26/12/2011    3 recensioni
Un breve fuori corso raccontato da Marianne, la co-protagonista della storia "Ti odio perché ti amo.".
"Era tutta questione di esercizio, i dolci come la vita. Si doveva solamente prendere la mano e impegnarsi fino in fondo, senza mai distrarsi; perché era un attimo ed eri già morto. In un secondo qualcuno poteva pugnalarti alle spalle e distruggere tutto ciò per cui avevi lottato.
Difficile da credere, ma il mondo era nato per uccidere.
Bisognava stare molto attenti.
Ciò che ami può disintegrarti."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quelle parole che non riuscirò a dirti mai.




Buona Vigilia Marianne.

Quanti mi avevano già ripetuto quella frase? Un augurio che non aveva alcun senso dal momento in cui non poteva essere un Buon Natale senza lui. Lui, che non mi apprezzava per quella che ero davvero, lui che non mi amava e non mi avrebbe amata mai.
Eppure io, così dannatamente sola e sconsolata, immersa totalmente nella mia malinconia, non riuscivo ad accettare la sua assenza. Avevo bisogno di vederlo, di sfiorare il suo volto, di baciare le sue labbra e sentire il suo respiro sulla mia pelle fredda, sempre troppo fredda, se paragonata alla sua.
Lì, in mezzo ai parenti desiderosi di affetto.
Sola, nella calca di gente pronta per festeggiare quello che sicuramente si sarebbe rivelato il più bel Natale di sempre. Giustamente l'unica che non riusciva a godersi queste festività ero io, sempre e solamente io. Così chiusa nei miei pensieri, mai pronta per rivelarmi agli altri.
A dimostrazione del fatto che non sono mai stata capace di relazionarmi con gli altri.
«Anne, cara, mi prenderesti la farina, per favore?».
«Si, nonna».
«Brava bambina».
Bambina? No, non ero più una bambina da tanti, forse troppi anni. Meglio non pensarci, non adesso.
Steph mi tirò per il vestito, «Vieni a giocare con me?», chiese con i suoi dolci e grandi occhioni azzurri.
«Dopo, adesso devo aiutare a cucinare per la cena della Vigilia».
«Promesso?».
Annuii e mi allontanai.
Frankie mi seguì con lo sguardo mentre correva dal fratello con una macchinina rossa tra le mani, «Stephanel andiamo a far correre le macchine giù dalle scale?». Urlarono, risero. Infantili, ma perlomeno felici. Potevano ancora godersi tutta quella gioia data dalla giovinezza ora che ancora erano abbastanza piccoli da non doversi preoccupare di tutto il male del mondo.
«Anne! Vieni che dobbiamo preparare la torta!».
«Arrivo mamma...».
Perché ero lì? Qualcuno potrebbe ricordarmelo?
In mezzo a gente con cui non ero mai riuscita a instaurare nemmeno un lieve bagliore di fiducia. La famiglia di mia madre e tutto il suo seguito, persone che non mi avevano capita mai, gente che mi aveva ignorata dal momento in cui i miei si erano lasciati.
Era tutto così triste.
E lui non era lì con me per poterne parlare.
Lui non c'era mai per me.
Quando avevo bisogno di aiuto lui si voltava dall'altro lato e faceva finta di non conoscermi. A cosa serviva tutto questo? Che razza di amicizia è una che non ti dà nemmeno la possibilità di dimostrare al mondo che sei capace di essere una persona speciale?
Non è vita, questa.
Ed io non sapevo per quale razza di dannato motivo ero ancora lì a viverla.
Oh, sì, giusto, Buona Vigilia di Natale.
Quale Natale? Quale spirito natalizio del cazzo?
Sola.
Ancora una volta.
Perché? Per quale stupido motivo ancora lui non manteneva la sua promessa? Perché amava così tanto la compagnia delle altre e non la mia? Forse io avevo qualcosa che non andava bene, forse ero ammalata ed infetta da qualche strano morbo di cui non ero a conoscenza.
O forse era lebbra, la mia.
Qualcosa di sbagliato dovevo pur avere, qualcosa che mi ha sempre impedito di conquistarmi il suo amore. Un amore che non mi è mai stato concesso, nonostante facessi di tutto per meritarmelo.
Amami. Urlavano i miei occhi, il mio cuore, la mia anima. In una sorta di romanticismo assurdo e doloroso che non portava a nient'altro se non la morte.
Vaffanculo.
Non è amore questo.
Questo è odio.
«Marianne! Insomma, fai attenzione! Se giri in questo modo la pastella smonti le uova», mi rimproverò mia madre togliendomi il mestolo dalle mani, «O fai le cose per bene o non le fai affatto!».
«Si, scusa...posso riprovarci?».
Sorrise, forse si sentiva colpevole di avermi sgridata anche nel giorno più bello dell'anno. Mi porse nuovamente il cucchiaio di legno, che sembrava troppo grande per le mie mani da sempre troppo piccole, schioccandomi un bacio sulla guancia destra. «Riprovaci, in fondo non si può perdere sempre». Parole consolatrici, grazie mamma.
Chiusi gli occhi ed espirai profondamente.
Era tutta questione di esercizio, i dolci come la vita. Si doveva solamente prendere la mano e impegnarsi fino in fondo, senza mai distrarsi; perché era un attimo ed eri già morto. In un secondo qualcuno poteva pugnalarti alle spalle e distruggere tutto ciò per cui avevi lottato.
Difficile da credere, ma il mondo era nato per uccidere.
Bisognava stare molto attenti.
Ciò che ami può disintegrarti.
«Anne!», mi voltai verso Stephanel, «Ora puoi venire a giocare?».
Indicai con le mani la tortiera, «Secondo te?».
Rise della mia smorfia, «Sei buffa!».
Persi un battito, non era l'unico a pensarla in quel modo.
«Posso guardarti mentre cucini?».
«Si, certo che puoi», sorrisi affabile, lui, piccolo e magro, si sedette accanto a me. Stava canticchiando una di quelle canzoncine per bambini che si sentono così spesso alla televisione. Ogni tanto allungava il dito e lo immergeva nella pasta della torta, ne prendeva un bel grumo e se lo portava alla bocca, gustandolo intensamente.
«E' buono!», esclamò improvvisamente.
«Meno male, speriamo che da cotta sia ancora così buona».
Mia madre rise, «Se sentiamo odore di bruciato chiamiamo i vigili del fuoco!».
Tirai fuori la lingua in una smorfia orrenda.
«Marianne!», urlò nonna, «Non fare quelle facce brutte! Hai diciotto anni, ormai, comportati da signorina».
«Lascia perdere mamma, con lei è una battaglia persa in partenza».
Sbuffai. Anche secondo loro io avevo qualcosa di storto.
Ero una persona storta, che amava in modo storto.
E viveva in un mondo distorto, un po' strano. Avrei dovuto andare da un bravo psichiatra, un giorno di quelli.
«Marianne! Non distrarti!».
«Si, scusa...».

Era la notte il momento peggiore, quell'attimo prima di addormentarmi rivedevo tutti i miei sbagli nella mente e li passavo in rassegna per rendermi conto di ciò che era stato e che non sarebbe tornato mai. Ricordavo lui, nei suoi più minuscoli particolari. Ricordavo il suo sorriso, i suoi occhi castani, i suoi capelli ribelli, sempre fuori posto.
Il suo modo di ridere, di gesticolare, di parlare, di arrabbiarsi.
In quel momento arrivava la tristezza.
Sentivo in me nascere la sua mancanza, sempre presente.
Immersa in un buio denso come gelatina, sentivo i respiri dei miei cugini – che dormivano beati nel letto accanto al mio in attesa fremente di Santa Claus anche nei sogni – ed il lento russare di mia madre, coricata al mio fianco. Udivo il rumore della notte, attorno a me, ovunque. Si nascondeva sotto il letto e dormiva, come un gatto, accoccolandosi dolcemente.
All'una e mezza della mattina di Natale il mio mondo cadeva da pochi minuti nel sonno in questa parte di Terra e si svegliava in un altro angolo del pianeta.
Ed io? Io ero sempre lì, nel dormiveglia. Pensavo, riflettevo e ricordavo.
Piangevo silenziosamente.
Abbandonata, nei miei sogni lui tornava sempre indietro. Mi abbracciava, mi teneva stretta e ripeteva insistentemente che sarebbe andato tutto bene.
Come poteva essere reale?
Lui non mi amava e non mi avrebbe amata mai.
Non importava quante volte ancora io mi sarei dovuta chinare per fargli capire quanto fossi disposta a dargli tutto ciò che voleva pur di ottenere un briciolo di schifosa considerazione da parte sua.
Odiavo ciò che mi faceva pensare.
Odiavo ciò che risvegliava in me.
Odiavo lui e ciò che era.
Odiavo che mi ignorasse solamente perché non facevo parte di quella cerchia di persone da lui ritenute giuste.
Chiusi gli occhi, non volevo pensare a niente.

Poi lo sentii.
Era un suono familiare, di quelli che ti risvegliano anche dal sonno più profondo.
Il mio cellulare aveva vibrato sul comodino.
Lo afferrai controvoglia, sbloccai lo schermo e lessi hai un nuovo messaggio. Era lui. Lui? Davvero? No, non poteva essere. Stavo sognando, di certo.
Guardai l'ora, le due e mezza. Cosa ci faceva ancora sveglio a quell'ora?
Il mio cuore batteva forte, aveva scritto a me in quella notte in cui tutto sembrava andare per il verso sbagliato. Aprii il messaggio e sentii le lacrime di rabbia scorrermi sul volto freddo: “Buon Natale a tutti, belli e brutti! Un bacio.”.
Oh, si, certo. Che cosa ti aspettavi Marianne? Era un semplice messaggio di convenzione, sai, no, di quelli che si inviano ogni anno a una cinquantina di persone solo per ipocrisia, perché, in fondo, a nessuno importa mai del prossimo.
Un bacio.
Sapevo bene, io, dove poteva infilarselo quel suo schifosissimo bacio.
Non avrei mai avuto veramente un bacio, perché illudermi fingendo che di me gli importasse veramente qualcosa? Non era così e lo sapevamo perfettamente entrambi.
Premetti il pulsante di risposta, pronta a scrivergli tutto ciò che pensavo di lui. Le mie dita tremavano mentre inconsciamente digitavo le parole che sentivo nel cuore.
Scrissi, a lungo, sapendo perfettamente che non glielo avrei inviato mai quel messaggio che conteneva tutto ciò di cui più avevo paura, ciò a cui speravo. Ciò a cui più tenevo.
Spensi il cellulare, lo posai sul comodino.
Lasciando tra le bozze la mia confessione.

Ti odio. Odio questo tuo modo di fare solo per tenermi buona, qui, in un angolo, in attesa di potermi sfruttare quando più ne hai bisogno. Ti odio perché so che non riesco a negarti tutto questo affetto che mi brucia dentro e mi uccide ogni giorno di più.
Ti odio perché sono perdutamente innamorata di te.
E queste solo le parole che non riuscirò a dirti, mai.”







Le parole dell'autrice

Buon Santo Stefano, miei amati lettori,

ciò che avete appena letto è un piccolo fuori corso della nostra Marianne (che è ambientato qualche mese dopo ciò che sta accadendo adesso nella storia) – per i lettori a cui lei è sconosciuta, la co-protagonista del mio racconto “Ti odio perché ti amo.” attualmente in corso che potete trovare a questo link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=862071&i=1 – scritto per tutti coloro che mi avevano chiesto di sapere qualcosa di più su questa giovane ragazza che fa “impazzire” il nostro Liam.

Un capitolo autoconclusivo che, spero davvero con tutto il mio cuore, vi sia piaciuto.

Questo è il mio regalo per voi, fatemi sapere che cosa ne pensate.
Vi auguro delle feste splendide.

Un bacio,
vostra, Vaniglia
  
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