In un giorno di pioggia
La pioggia cadeva lenta ma costante, infinite gocce
provenienti dal cielo terminavano il loro viaggio infrangendosi sulla prima
cosa che incrociava il loro tragitto: foglie, terra, macchine, capelli…
In un punto preciso di Orange
County decine di abiti neri erano oramai inzuppati da
tutte le gocce di pioggia che fino ad allora avevano terminato la loro corsa,
alle volte mescolandosi con le loro sorelle, le quali però non provenivano dal
cielo, ma dagli occhi, e non erano dolci, bensì salate. Quante lacrime stavano rigando i volti di tutti i presenti; tutti
tranne uno. Due occhi, tinti da un colore simile al profondo blu
dell’oceano, in quel momento sembravano vuoti, privi di una qualsiasi luce che potesse dimostrare l’esistenza di
un’emozione; che fosse gioia, stupore, tristezza…Ma forse in una situazione
come quella gli unici sentimenti presenti erano la rabbia, la disperazione e
l’infinito dolore per una perdita così ingiusta, così prematura.
“Oggi siamo qui per dare il
nostro ultimo saluto ad una persona che noi tutti amavamo. Una persona che in un modo o nell’altro ha fatto parte della nostra
vita: come amica, come sorella, come figlia…”
Nel sentire quell’ultima parola Julie Cooper ebbe un mancamento ed improvvisamente le gambe le
cedettero come se quelle parole le stessero dando la conferma di ciò che ormai
era successo due giorni prima; prontamente, però, le
braccia di Neil Roberts la
sorressero, stringendola forte a se, e tentando così di infonderle un po’ di
quel coraggio che in una giornata come quella sembrava sparire come neve al
sole. Ma chi poteva darle la
forza necessaria per affrontare la morte della propria figlia di soli diciotto
anni? Chi poteva colmare quel vuoto così doloroso che le si era formato nel cuore così improvvisamente,
così duramente?!
Nessuno.
In quel giorno estivo e
così insolitamente piovoso ad Orange County tutti erano presenti al funerale di Marissa Cooper, nessuno aveva
osato mancare, nemmeno chi, come Luke Ward ed Anna Stern, era oramai
uscito dalla vita di quella così frenetica città, dove i pettegolezzi non
mancavano nemmeno alla notte
di Natale.
Mentre tutti sembravano
perdersi nelle le parole del parroco, ogni volta che sentiva pronunciare il
nome della sua migliore amica, la giovane Summer
stringeva forte la mano di Seth Cohen,
il quale non esitò ad avvolgere la ragazza in un caloroso abbraccio non appena
la tomba dell’amica venne
fatta scendere a terra, per poi essere ricoperta di un fitto strato di terra.
Neppure in quel momento,
però da quei ora così vuoti
occhi blu cadde una sola lacrima; tuttavia, ciò non stava ad indicare
disinteresse o odio per quella ragazza un tempo così solare, ma anche così
insicura e infelice. No…tutt’altro. Quello che li
aveva legati era uno di quei sentimento che si formavano una sola volta nella vita; uno di quei sentimenti
che nemmeno la morte può distruggere. Dopotutto chi, se non Ryan
Atwood, poteva dire di aver veramente amato Marissa Cooper; ma non come
figlia, o come sorella, o come amica….no
loro due non erano mai stati solo amici….MAI.
Da quel giorno in cui Ryan arrivò ad O.C.
e i suoi occhi incontrarono quelli così intesi di Marissa,
lei aveva sempre occupato un posto speciale nel suo cuore, un posto che
nessuna, nemmeno Lindsay, o Sadie
o Teresa, era riuscita ad usurpare. Del resto soltanto lei era stata capace a
farlo salire su una ruota panoramica. Già…quanto tempo era trascorso da quella
sera…due, tre anni? Ma se la ricordava come se fosse stato ieri: erano al Luna
park e doveva farsi perdonare per aver attaccato ,piuttosto duramente, Luke
durante una partita a calcio. Marissa se l’era presa,
ma lui che poteva farci se era geloso; in fin dei conti la gelosia era sempre
stato un aspetto decisamente
vivo nel loro rapporto. Prima Luke, poi Oliver, Teresa, perfino una donna, Alex. Un tira
e molla durato quasi tre anni, ma che avrebbe volentieri rivissuto
all’infinito. Perché momenti come quello
della ruota panoramica, dove si erano scambiati il loro primo bacio; il primo
capodanno trascorso insieme, dove per poco lui si giocava l’opportunità di
darle il bacio per celebrare l'inizio dell’anno nuovo; o l’ultima giornata
trascorsa insieme sulla piscina dell’abitazione tipo…già, momenti come quelli
non sarebbero più tornati, ma non li avrebbe mai dimenticati, come del resto
non avrebbe mai dimenticato lei, l’unica ragazza che era riuscita a farlo
davvero innamorare.
“…Ryan”
Un ombrello si posizionò a pochi centimetri di
altezza dalla testa bagnata del ragazzo ed una sottile mano si posò sulla sua
spalla ormai bagnata; il giovane Atwood non riuscì a
trattenere un leggero soprassalto, come se quell’improvviso
contatto con la realtà gli avesse fatto tornare alla mente ciò che era
successo. Lentamente il ragazzo si voltò e le sue supposizioni su chi poteva essere si rivelarono
fondate; dopotutto era impossibile non riconoscere quel profumo così
rassicurante e quel tocco così leggero che solo Kirsten
Cohen poteva avere. Nonostante la pioggia, la donna
indossava un paio di occhiali
da sole, classica ed inutile tattica usata per nascondere quelle infinite
lacrime che non sembravano
voler smettere di scendere.
“…andiamo?!”
La voce della donna,
nonostante volesse sembrare dolce e confortante, appariva insicura e
leggermente interrotta dal pianto; del resto conosceva Marissa
da una vita e il solo immaginare cosa
stesse provando Julie in quel momento
le creava un nodo in gola quasi impossibile da mandar giu.
“io resto ancora un po’…”
“ma ti ammalerai se rimani sotto la pioggia…”
“Mamma…”
Entrambi sembrarono non essersi accorti dell’arrivo di Seth, o per lo meno finché quet’ultimo
non decise di aprir bocca e lanciare alla madre il classico sguardo di chi
consiglia di lasciare stare, dopotutto in quel momento un raffreddore era
l’ultima delle preoccupazioni.
“ascolta mamma…potresti andare da Summer…è da sola, suo padre penso rimanga con Julie Cooper…”
Kirsten
sapeva benissimo che quella era una delle classiche bugie del figlio, ma
infondo aveva ragione; in un momento come quello
lei poteva fare ben poco per Ryan, tutti loro potevano
fare ben poco per lui. Così, dopo aver posato lo sguardo sull’ombrello nero del
figlio, che prontamente si posizionò
sopra il capo di Ryan, la donna si allontanò, andando
a raggiungere Summer, la quale non smetteva di
fissare la tomba dell’amica, con gli occhi gonfi per via delle lacrime.
“Ehi Ryan…se
resti qui da solo non è
peggio?!”
Alla domanda, probabilmente
retorica, del giovane Cohen non giunse nessun tipo di
risposta, ne un brontolio, ne
uno sguardo, ne un accenno del capo.
“Dai vieni a casa con noi…Summer ha bisogno anche del tuo aiuto…potreste consolarvi a vicenda…sempre nei limiti sia
chiaro…”
Nonostante l’occasione per
nulla allegra, la consueta battuta di Seth non poteva
mancare; al contrario di ciò che accadeva di solito, però, non sortì nessun
effetto, ne positivo, ne
negativo. Ryan continuava a fissare, come
ipnotizzato, la fotografia scelta per quella tomba
così ingiusta; era una foto recente, probabilmente di qualche mese prima. I
capelli erano lunghi e verso le punte
leggermente mossi; era bellissima con quel suo sorriso così dolce
e allo stesso tempo quasi malizioso; e quegli occhi azzurri, combinati con la
sua pelle chiara, sottolineavano ancora di più la sua dolcezza. Sì…era davvero
bella, ma nonostante sulla
foto fosse venuta bene, quest’ultima non le rendeva
giustizia; dal vivo ti bloccava il respiro in gola,…era così bella da far male.
E adesso che non poteva più sentire il suono della sua voce o accarezzare la
sua pelle così morbida, adesso che non poteva più sentire il suo profumo,
adesso…Ryan si malediva per tutte le occasioni che aveva perso per via del suo stupido
orgoglio, della sua gelosia, del suo carattere a volte così incompatibile con
quello di lei. Ma oramai lei se ne era
andata e l’unica cosa
che gli rimaneva era perdersi nei ricordi.
“Ok…ho capito…ti
aspettiamo a casa!”
Senza accorgersene il
giovane Atwood aveva dimenticato che Seth si trovava a pochi passi da lui e nuovamente sembrava
essersi perso nei suoi pensieri, distaccandosi completamente dalla realtà; ma
in fin dei conti quella era l’unica maniera per alleviare un po’ il dolore. Ma
che cos’era quello…il preludio di come sarebbero andate le cose d’ora in
avanti?Sarebbe andata avanti
così per sempre? Il suo ricordo avrebbe continuato a torturarlo per sempre?!
Mentre
il ragazzo dai capelli chiari continuava a rimanere incurante sotto la pioggia, una donna dai capelli di un intenso castano-rossiccio gli
si avvicinò, accompagnata da un uomo brizzolato sui quaranta. Non appena Ryan la riconobbe si sentì morire. immaginava cosa le avrebbe detto: Che era stato lui
ad ucciderla; che da quando era arrivato da Chino la sua famiglia era andata in
frantumi e sua figlia non era stata più la stessa. E lui cosa poteva dirle; era
vero…dopotutto se l’avesse convinta a rimanere a Orange County, Volchoc non li avrebbe
buttati fuori strada e lei…lei ora…
“Ryan…”
Sentendo pronunciare il suo
nome il ragazzo alzò lo sguardo, pronto a sentirsi dire qualsiasi cattiveria o
verità troppo crudele, visto che in un momento come quello la sua mente
sembrava essere in qualsiasi posto della terra tranne in quel cimitero. Ciò che accadde, però, non
era esattamente quello che si aspettava; Julie Cooper
infatti si allontanò dal signor Roberts e andò
ad abbracciare il ragazzo, senza curarsi della pioggia che sembrava non voler
cessare di cadere.
“Mancherà da morire…anche a
me…”
La voce della donna era
incrinata dal pianto e Ryan non riuscì a non
ricambiare l’abbraccio.
Nemmeno in quell’occasione però, le lacrime vollero scendere da quei
profondi occhi blu e l’unica cosa che rigava il volto del ragazzo erano le
mille gocce di pioggia che cadevano lente e costanti dal freddo cielo di Orange County.