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Autore: Fra The Duchess    12/08/2006    4 recensioni
Un'assenza. Cosa può succedere ad un ragazzo che ruola difficilmente la propria adolescenza priva di quella grinta generale che spinge a vivere, intorpidendo i sensi in un sonno che pare secolare, prima che qualcuno lo desti bruscamente nella vita reale? è la situazione di Matteo. Tedio globale rivolto al mondo, poi una presenza seguitata da altre, gradevoli e non, lo facciano ripiombare nellà realtà, dove responsabilità e critiche non si possono fuggire. Una storia un poco agrodolce, tra parodie comiche e malinconiche in una vita, che non sempre è ciò che si sogna.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


* * *

-“Antonelli”


-“Presente.”


-“Buzzati”


-“Presente.”


Lentamente, nello scorrere monotono del registro, le mani si alzano pigramente accompagnate da voci atone nell’immobile grigiore dell’aula.


-“Castiglioni”


-“Presente.”


Sembra meccanico, le voci divenute parte di un coro piatto, battente sullo stesso ritmo.


-“Colombo”


-“…”


Nell’intervallo in cui la risposta tarda, interrompendo la cadenza come una nota stridente cade gelido il silenzio.


* * *











CAPITOLO 1


Dalla finestra”


Ormai lui era caduto in quel muto silenzio da molto tempo, dalla finestra di camera sua guardava le stagioni mutare e aveva imparato che la gente è facilmente mutabile di forma.

La vicina col cane che andava a fare jogging per cercare di snellire la linea irreparabilmente a pera la sera sembrava un’altra persona quando passava sotto i lampioni del marciapiede a braccetto con il postino mentre il marito guardava la partita di calcio con le urla che si sentivano per mezza via stravaccato sulla poltrona e una bottiglia di birra in mano mentre la mattina lo si vedeva correre trafelato con la cravatta che sventolava come una bandiera multicolore, la ventiquattrore sotto braccio.

I bambini del quartiere che un giorno giocavano come fratelli prima che qualcuno di loro pensasse di essere migliore degli altri perché andava ogni lunedì a scherma oppure a danza e prendesse pian piano le distanze dagli altri perché affetti di chissà quale malattia.

Vedeva gente occupata in conversazioni al cellulare, gente annoiata che mostrava la propria indifferenza per il mondo strascicando i piedi e ruminando una cicca in bocca.

In questo suo torpore con un occhi pigri vedeva il mondo passare senza prenderne parte, mentre dentro di sé piano rideva facendosi beffe di tutte quelle persone “Perché vi affaticate tanto? È inutile…tutti finirete allo stesso modo, quando la triste mietitrice busserà al vostro uscio cosa risponderete? Non ho tempo aspetti in linea? La morte non aspetta nessuno…” Si diceva mentre adagiato sul davanzale poggiava la schiena alla cornice, il volto assonnato dai pigri raggi del sole di primavera che quel pomeriggio riscaldava tiepido la terra. Nel giardino di casa sua l’erba ormai verdeggiante pareva piena di vita tra svolazzi tremuli di farfalle e il ronzio delle api. Il canto degli uccelli cinguettanti formava un piccolo concerto disordinato ma piacevole ad orecchio umano, ma lui era indifferente a tutto ciò. Con occhi morti scrutava quel paesaggio che sapeva, non sarebbe durato per sempre. Con l’autunno le farfalle sarebbero cadute sotto la falce gelida della pioggia, labili creature. Cosa contava la bellezza se prima o poi avvizziva?

Le api con i loro pungiglioni erano solo armi suicide, piccoli illusi lavoratori. Non contava se una moriva difendendo l’alveare perché ce n’erano tante altre pronte a sostituire il suo posto. Non aveva senso la loro vita, svolgevano un compito a circuito chiuso, nascere, vivere per l’alveare, morire. Nessuno ti ricorda dopo che spiri, perché non servi più.

Con tali pensieri accompagnava quello sguardo spento, le mani poggiate lungo i fianchi con i palmi rivolti verso l’alto. Le ciocche corvine cadevano lungo il suo volto pallido dal troppo chiuso ma non gli importava nulla del proprio aspetto.


-“Colombo?”


Perché avrebbe dovuto faticare di rendersi presentabile a quel mondo che tanto non si curava di niente?


-“Scusa sei Colombo?”


Tutti si impegnano per sembrare ciò che non sono…


-“INSOMMA SEI COLOMBO O NO?!!!”


All’urlo acuto s’infranse il filamento del pensiero che stava seguendo cadendo bruscamente nel duro impatto con la realtà, lentamente volse gli occhi bigi alla causa del suo brusco atterraggio con espressione non poco infastidita.

Si trattava di una ragazza dal volto ovale che lo scrutava con la fronte aggrottata, ferma e ritta dietro il basso muretto che delimitava i confini della casa. Indossava una divisa scolastica come ad evidenziare la sua appartenenza all’istituto che avrebbe dovuto frequentare anche lui. Si chiedeva come potesse conoscerlo in quanto non aveva amicizie di quel luogo. Eppure sembrava sicura mentre gli occhi verdi si alzarono su di lui, determinati, le labbra rosee strette in una linea decisa. :-“Allora?”

Domandò nuovamente al suo silenzio distaccato.

-“Perché vorresti saperlo?” Chiese, si sorprese di quanto la sua voce suonasse roca alle proprie orecchie, da quanto non parlava?

-“Non è educato rispondere ad una domanda con un’altra domanda.” Ribatté lei lasciandolo di stucco ma non ci volle molto perché si riprendesse dal proprio stupore. :-“Chi sei tu per dirlo mocciosa?” Sbottò seccato.

-“Ho solo precisato. Comunque ti ho portato i compiti.”

-“I…che cosa?” Forse non aveva sentito, di cosa diavolo stava blaterando quella lì?

-“Compiti.” Ripeté :-“Sei sordo per caso?”

-“Io...non ho compiti.” Rispose invece freddamente.

-“O si che ne hai, e sono in arretrato di un bel po’ di mesi…” Insistette mentre con un braccio si passava la cartella in avanti chinandosi poi per rovistarvi. Lui guardava le sue movenze precise sempre più confuso. :-“Ma tu chi sei?” Fu tutto quel che riuscì a dire.

-“Una tua compagna di classe ovviamente” Gli lanciò un sorriso smagliante alzando il volto su di lui prima di continuare a cercare :-“ecco!” Esclamò infine tirando fuori un fascio di fogli e quaderni. :-“Qui ci sono tutti gli appunti e gli esercizi…” Spiegò sfogliando per accertarsi che vi fosse tutto quel che doveva esserci.

-“Io non ho compagni.” Distolse lo sguardo da ciò che lei ora reggeva sotto braccio.

-“Beh ma sei sul registro di classe.”

-“Non importa, è solo una cosa scritta, non ha valore fondamentale.”

-“Se mi apri ti do i compiti.”

-“Allora non hai capito.” Ora volse gli occhi inespressivi verso di lei :-“Io non sono come te, vattene.”

-“Certo che non sei come me, figurati se io voglio farmi bocciare per non frequenza!” Sbottò scuotendo la testa mentre le lunghe trecce bionde ondeggiarono al suo fare.

-“ E allora perché sei qui a “disturbarti” per me? Ah no aspetta ho capito…” Gli occhi si ridussero a due fessure :-“Ti hanno mandato “loro”?”

-“Loro chi?” Si sorprese.

-“Loro….Loro!” Sbottò facendo un gesto stizzito della mano :-“Quegli stupidi adulti…”

-“I professori dici?” Rise :-“ Strano modo di parlare!”

-“Non sta a te giudicare come parlo…” Sibilò tra i denti, stava cominciando ad irritarsi.

-“Beh, allora?”

-“Cosa vuoi ancora?”

-“Mi apri o no?”

-“Ma allora sei proprio stupida! Ho detto di no!” Strinse i pugni.

Come mi hai chiamata Io che sono gentile e ti porto…”

-“NON SO CHE FARMENE DELLA TUA GENTILEZZA STRONZA!” La interruppe gridando improvvisamente l’espressione divenuta assassina dalla rabbia:-“VATTENE, VATTENE A CASA!”

Lei rimase di stucco, la bocca semi aperta da quella reazione inaspettata. I fogli le caddero di mano ed ebbe la scusante di abbassarsi a raccoglierli prima di poter nuovamente trovare la forza di spiccare parola. Quando mostrò nuovamente il volto sembrava essersi parzialmente ripresa:-“Tornerò anche domani, stanne certo, finché non mi aprirai il cancello.”

Quindi con un gesto risentito girò sui tacchi. La vide percorrere il marciapiede a passo spedito per poi voltare l’angolo, a quel punto si afflosciò nuovamente con espressione soddisfatta dipinta sulle labbra in una smorfia cinica. Tanto non sarebbe tornata, ne era sicuro.

Con uno sbadiglio ricadde nei propri pensieri dimenticandosi completamente della sgradita interruzione.








  
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