Overboard
If you can take a chance
Find you that better man
Well, life seeps
From your quaint disease
You're giving all my lovin' away
Damn Girl – All American Rejects
*******************
Era bello passare la mattina con le amiche, era
bello avere un po’ di tempo per se stesse, doveva tenerlo a mente.
Hilary sorseggiò placidamente il suo espresso, accavallando
le gambe. “Tu e Max siete definitivamente tornati
insieme, quindi?”
Mariam ostentò un’espressione casuale. “Beh, sì.” I
sorrisi enormi delle sue amiche furono più di quanto potesse sperare, perché si
sentì finalmente felice. “Ma non siamo certo l’unica coppia all’interno del
gruppo.”
Arrossendo fino alla punta dei capelli, lanciò
all’irlandese un’occhiataccia, capendo il trucco di sviare la conversazione su
un altro argomento. “Beh… Non ne abbiamo mai parlato.” Farfugliò. “Diciamo che usciamo insieme.”
“Querida, non farmi ridere.” Julia roteò gli occhi. “Ti ho
vista tentare di staccargli le labbra dalla faccia proprio ieri sul pianerottolo.”
La bruna emise un ‘oh oh oh’
piuttosto ironico. “Da quando hai subito questo corso accelerato di inglese sei
più simpatica, lo sai?” la rossa sorrise in maniera fintamente dolce. “E poi
senti chi parla, il bue che da del cornuto all’asino.”
Questa volta fu Julia ad irrigidirsi
spasmodicamente, tra le risatine delle altre. “Mao ha lasciato Kurt!”
La diretta interessata roteò gli occhi. “Lo sapevano
già.”
“Bel tentativo.” Le concedette Mariam,
annuendo.
“Paraculo.” L’apostrofò ridendo Hilary.
Julia s’imbronciò. “Se proprio lo volete sapere, non
c’è nessun cambiamento nella mia vita, a parte che tra otto mesi diventerò zia.
Non è male se ci pensate. Mi sono già sposata, sono una divorziata, e tra un
po’ la famiglia Fernandéz si allargherà.”
Hilary assunse un’espressione preoccupata. “Raùl e Mathilda come stanno?”
Mao respirò a fondo prima di parlare. “Diciamo che sono
abbastanza scossi. Non sanno ancora su quale decisione vertere.”
Per un minuto le quattro rimasero in silenzio,
moltiplicando i loro pensieri fino a farli divenire enormi, fino a quando il
vibrare del cellulare della ragazza non riscosse un po’ tutte.
E poi il messaggio che lesse fu talmente veritiero da
farle accusare dei crampi allo stomaco. Semplicemente non rispose e mandò giù
il resto del suo caffè.
“Insomma, siete tutte nei casini.” Concluse Takao, sentendo il racconto della sua migliore amica.
Hilary sbuffò, incrociando le braccia sotto il
petto. “Più o meno. Però sai cosa? Mao e Rei la stanno facendo troppo lunga.
Che cazzo, potrebbe essere così semplice per loro..!”
“Che vuoi farci? L’amore fa male.”
La bruna ridacchiò per la battuta dell’amico
soprattutto per il tono usato. Piluccò un altro biscotto accompagnato al suo tè
e gli sorrise. “Tu che mi racconti?” quando vide il suo sguardo incupirsi, si
sentì a disagio.
“Sai cos’è strano? Il fatto che dopo un anno passato
lontani l’uno dall’altra improvvisamente ci siano riserve tra noi.” Borbottò,
mordendosi le labbra. “Devo ricordarti quanto ti adoro?”
La frase lo fece ridere e scuotere la testa. “No,
tranquilla.” Ribatté, sospirando leggermente. “Certe volte ci sono cose che
devi affrontare da solo, non puoi aggrapparti sempre agli altri.” Hilary fece
per ribattere, ma lui la precedette. “Ci faccio portare dell’altro gelato.”
Mentre lo fissava alzarsi dalla sedia ed andare al
bancone del bar, Hilary fu presa da mille pensieri contrastanti, che le
suggerivano in maniera differente come affrontare la situazione.
E poi fu un sms.
Non ci pensò nemmeno due volte a prendere il
cellulare del suo migliore amico e ad aprire il messaggio, era una cosa che
aveva sempre fatto e che lui faceva anche con lei. Quando però lesse il
contenuto, non poté impedire che una sonora imprecazione le fuoriuscisse dalle
labbra.
Dove sei? Ho proprio voglia di te… xoxo, Trish
“Ti ho preso il gelato alla nocciola come piace a
te! Vedi che amico-” al suo sguardo livido il ragazzo tacque all’istante,
chiedendosi cosa, in due minuti, potesse aver fatto cambiare umore alla sua
amica. “Che c’è?”
Hilary non disse nulla; semplicemente gli ridiede il
suo cellulare dove spiccava, visibile, il messaggio di Trisha.
“Oh, merda… Hila-”
La giapponese si alzò, rimettendosi il giaccone.
“Capisco che tu possa volere il tuo tempo, capisco che possano accaderti delle
cose… Ma tutto questo mi fa sentir inutile e non considerata.” Fece, asciutta.
“E ora, scusami.”
“¡Ojalà!” sentire Raùl esclamare in
spagnolo fu qualcosa di assolutamente comico. “Tu ti fidanzi e io divento
padre!”
Mao lo guardò di traverso. “Io non mi fidanzo.”
Puntualizzò. “Era un sms molto elegante che proponeva qualcosa di assolutamente
accettabile. Per la verità gli ho detto che ci avrei pensato.”
Lui inarcò un sopracciglio. “Ci devi pure pensare?”
fece, con tono mordace. “Mao, hai vomitato prima o dopo esser venuta via?”
Lei sbuffò pesantemente, fulminandolo con lo sguardo.
“Dopo, va bene?” si passò una mano tra i capelli, con aria confusa. “E non so
nemmeno cosa mi sia preso.” Borbottò. “Quella di Jared era una formale
richiesta di accompagnarlo al ballo in maschera, niente di… Illegale.”
La sola espressione della faccia di Raùl bastò a mandarla in paranoia. “Lui non è male, okay?
E’ così distinto, elegante, carino… Se solo non fosse così pressante...”
“Se solo non fosse così poco Rei.” Le fece il verso
l’amico, scoccandole un’occhiata ironica e beccandosene una omicida. “Tu non
hai un problema: la tua situazione è semplice; la mia lo è meno, capisci quello
che voglio dire?”
L’orientale si voltò a fissarlo; quando quella
mattina si era incontrata con l’amico, l’aveva visto già parecchio più
consapevole e rilassato, ma ancora ben lungi dal sapere cosa avrebbero dovuto
fare lui e Mathilda. “Con Julia come va?”
Il ragazzo fece una smorfia. “Lo sai com’è fatta mia
sorella: all’inizio è uscita fuori di testa, poi ha riflettuto, e ci ha offerto
tutto il suo sostegno. Mi chiedo se dietro il suo cosiddetto riflettere, non ci
sia stato qualcuno.”
Mao inarcò le sopracciglia. “Qualcuno tipo Ivanov?”
“Eh.”
Non era un mistero che nei confronti della squadra
russa Raùl nutrisse timore ed insieme ammirazione,
per non parlare di sospetto. A cominciare dal rapporto fin troppo strano che
legava il russo con la sorella. Che cosa c’era tra loro? Quello che si sapeva
in giro era che, settimane prima, Yuri Ivanov era
finito all’ospedale e che a chiamare l’ambulanza era stata Julia Fernandéz. Cosa fosse accaduto, però, restava per lui un
mistero.
“Non saprei dirti.” Fece, riflettendo che, invece,
era parecchio probabile. “Tu e Mathilda avete preso
una decisione?”
Lui sospirò. “Lei è parecchio cattolica e lo siamo
anche noi, quindi niente aborto; si era pensato alla possibilità di dare in
adozione il bambino, ma al sol pensiero ha avuto una crisi di pianto.”
Mao si morse le labbra, dopodiché fissò attentamente
il suo migliore amico. “Tu come ti senti?”
Lo vide sbuffare ed allargare le braccia, come in
segno di resa. “Scombussolato. Non pensavo potesse accadere, mi sento confuso,
spaesato e l’unica cosa che posso fare è restare accanto alla mia fidanzata
perché capisco che per lei la questione è ancora più complicata e difficile.”
Si passò le mani tra i capelli, stancamente. “Non so che fare.”
La cinese gli sorrise, abbracciandolo e pensando a
quanto, in poche settimane, fosse cambiato e maturato quel ragazzo che aveva di
fronte: da un timido ragazzino era passato ad essere una persona solida e con
la testa sulle spalle, seppur con la stessa insicurezza. “Ti starò accanto,
tesoro.”
Raùl ricambiò l’abbraccio, dopodiché la fissò negli
occhi, scostandole fraternamente una ciocca di capelli dagli occhi per porla
dietro l’orecchio. “Devi prendere una decisione.”
La ragazza si morse le labbra, come spaventata. “Io
l’ho già presa.”
Posteggiando davanti il Plaza,
Hilary si accinse a mettere per bene la catena alla sua Kawasaki, e a liberare Freddie dalla gabbietta in cui l’aveva messo per portarlo a
spasso in moto.
Facendo si che il cucciolo trotterellasse verso il
giardino dell’hotel, cercò di scacciare il pensiero che le parlava di Takao.
Sospirando, fece un giro largo, andando verso il
giardino dove stava il gazebo, quello dove lei e un certo russo di sua
conoscenza si erano ritrovati a parlare più volte.
Non appena Freddie vide
una sagoma alta allenarsi a beyblade, incurante della
padroncina che lo teneva al guinzaglio, cominciò a voler correre verso la
persona conosciuta, spingendo la ragazza ad accelerare il passo per doverlo
assecondare.
Sentendo tutto quel chiasso, Kai
si voltò, ritirando Dranzer e sorridendo quando si
vide assaltato da un certo cagnolino. Freddie era lì,
e gli stava facendo le feste, scodinzolando allegro; Hilary era dietro di lui:
sguardo divertito, aria di chi la sa lunga, il fatto che dietro quella sagoma
da donna vissuta convivessero più volti lo stuzzicava da morire. Ogni volta si
domandava quale piccola sfaccettatura avrebbe assaporato della giapponese, e la
cosa buffa era che non ne era mai stanco.
“Credo tu gli piaccia molto.” Spiegò la ragazza,
scrollando le spalle. “Ha insistito per venirti a trovare.” Usò un tono
strafottente, quasi di presa in giro che gli fece inarcare le sopracciglia.
“Lo ringrazio per il pensiero, allora.” Fece,
beffardo, incrociando le braccia e non volendo sbilanciarsi affatto.
Hilary gli lanciò un’occhiata divertita e si andò a
sedere sulla panchina sotto il gazebo, facendogli venir voglia di seguirla;
quando il cagnolino si frappose tra i due e si distese placidamente, la
giapponese fissò dritto davanti a sé, per non cedere. “Con le Dolls stiamo preparando una sorpresa.” Cambiò discorso,
accavallando le gambe. “Per questo weekend sarà pronta.”
Lui si voltò a guardarla. “Sorpresa per i fan?”
La ragazza scrollò le spalle. “Chi lo sa… Ma
ricordati che vi saranno poche parole per un buon intenditore.” Sorrise,
schiacciandogli l’occhiolino.
Il moscovita si confuse per quella frase criptica e
decise che l’avrebbe studiata pensandoci più in là. “Come procedono le prove
con il gruppo?” Hilary fece per rispondere, ma lui continuò. “Hai ancora intenzione
di lasciar stare Takao?”
La ragazza s’irrigidì. “Non lo lascio stare. Sono
solo confusa, okay?”
“Tu sei amareggiata perché non ti ha detto di Trisha, non sei confusa.” Ribatté, capendo dallo sguardo di
lei di averci preso. “Fuggendo il confronto non risolverai niente, otterrai
soltanto di esserti messa la testa dentro la sabbia. Inutilmente, aggiungerei.”
La ragazza fece una smorfia. “Probabilmente non
voglio stargli davanti sapendo che quello che raffazzona sono soltanto palle.
Non capisco perché non me l’abbia detto.”
“Probabilmente perché deve capirci lui prima.”
Spiegò, con semplicità. “Sai bene quanto lui ti adori, e non mi venire a dire
di non esserne cosciente.” Lei sorrise. “Va’ da lui e parlagli, digli come ti
senti, litigaci… Ma prima ascolta quello che ha da dire, dopo sarai libera di
mandarlo al diavolo.”
Hilary lo fissò con tanto d’occhi, basita: chi era
quel ventenne maturo che le stava facendo quel discorso con un filo logico, e
dov’era l’orgoglioso e superbo Kai Hiwatari quindicenne che aveva conosciuto anni prima?
L’avevano rapito gli alieni, forse?
Improvvisamente una consapevolezza si abbatté su di
lei come una secchiata di acqua gelida, solo molto più piacevole. Si avvicinò a
lui e lo baciò premendo le labbra sulle sue, e all’inizio lo sentì irrigidirsi,
sorpreso, per poi ricambiare il bacio con tutta la coscienza e la voluttà che
vi erano sempre tra loro.
Quando si ritrasse a poco a poco, lui sbatté gli
occhi. “Per che cosa era questo?”
Lei lo fissò, decisa ma anche emozionata. “Perché mi
piaci. E perché ho capito che tutti gli uomini sono uguali a loro modo, nella
loro forma, nel loro essere, ma… C’è l’eccezione. E che tu lo sei.” Sussurrò,
arrossendo fino alla punta dei capelli.
Il volto di lui parve rischiararsi come il cielo
quando sorge il sole, e quando i suoi occhi si posero su di lei, la ragazza
avvertì una fortissima sensazione di calore. “Non sarà semplice; sono una
persona complicata, ho una vita incasinata e talvolta starmi intorno è
un’impresa.”
Hilary dapprima sorrise, radiosa, poi incrociò le
braccia al petto e sbatté drammaticamente le palpebre. “Io invece sono Heidi,
ho la casetta in Canadà, un gatto, un pesciolino e
tanti fiori di lillà.” Canticchiò, prendendolo in giro; quando lo sentì
sospirare pesantemente gli assestò una pacca sul braccio per poi mettersi a
roteare gli occhi. “Siamo due teste troppo diverse, complicate, con una vita
assurda e un carattere schifoso ma, ehi… Ci arrendiamo?”
Le rivolse uno sguardo a metà tra lo schifato e lo
scandalizzato. “No.”
“Hiwatari, ho detto
arrendersi, mica mettersi a mungere i tori.” borbottò, alzando gli occhi al
cielo. “Quindi, appurato che vogliamo andare entrambi avanti anche solo per la
curiosità di vedere chi sarà ad uccidere prima l’altro… Non resta che accettare
la sfida e scoprirlo.” Fece, con tono pratico e un sorrisone sulle labbra. “Ah,
ovviamente sarò io ad uccidere te.”
Lui sospirò stancamente. “E’ ora di redigere
testamento.”
Estoy
con el agua al cuello; ¡ningun sentimiento por un tubo!*
Si morse le labbra, fissando il ragazzo dietro di sé
che osservava, annoiato, il centro commerciale all’interno del quale gli aveva
dato appuntamento. Quando gli aveva scritto l’sms era
riuscita a pensare soltanto che dopo sole ventiquattro ore che non lo vedeva ne
sentiva una mancanza disperata, e che, o gli parlava anche solo per un motivo
banale, oppure sarebbe morta come una tossicodipendente alla quale manca la
propria dose.
Estoy empanada.*¹
Dargli appuntamento in quel posto le era sembrato la
cosa più giusta e sensata, visto che aveva ragionato per trovare un luogo
neutro dove vedersi pochi minuti e via: il tempo sufficiente di acquietare la
sua voglia disperata, il suo bisogno di vederlo, sentirlo… E basta.
Vale, me do asco.*²
Stava fingendo di essere interessata ai vari oggetti
esposti in quel reparto, ma nel frattempo lo guardava fissare il negozio in
lungo e in largo, impaziente, come a domandarsi che diamine ci facesse lì.
Non aveva tutti i torti: lo aveva trascinato lì, lo
aveva a malapena salutato e in quel frangente si stava beando della sua
vicinanza fingendo di essere interessata ad altro. La verità era che non sapeva
cosa fare; la scoperta della volta scorsa l’aveva stordita miseramente e quasi
atterrata, come se si fosse trattato di sfidare a colpi di karate qualcuno.
“Fernandéz, se mi hai
trascinato qui inutilmente, io toglierei il disturbo.” Aveva ragione, eccome se
ce l’aveva, eppure non voleva che andasse via.
Era questo l’amore? Sentirsi esplodere il petto
fissando l’altra persona e, nel frattempo, aver voglia di dirgli cose
immensamente stupide e melense? Se sì, quanto si poteva divenire idioti da
innamorati?
Mentre lo realizzava, Julia si sentì perduta e
assolutamente spaesata; lei, che nella sua vita non aveva mai provato nulla se
non l’affetto smisurato per le sue amiche e per i suoi familiari, si sentì
persa, perché in fondo era colei che aveva giurato che non sarebbe mai potuta
morire per un uomo se non dal ridere.
“No… Perché?” sorrise, e un’idea si fece largo nel
suo cervello con prepotenza; con un sorriso accattivante gli fece cenno di
seguirla verso le scale mobili.
Superati due piani, il negozio di beyblade più grande del mondo si stagliò in tutta la sua
imponenza davanti a loro, e fu con tutta la naturalezza del mondo che Julia vi
entrò, rivolgendogli un sorriso.
Quel negozio sarebbe stato una tentazione per
qualunque vero appassionato di beyblade: dai pezzi di
ricambio, alle riviste in stile News of
the World, alle trottole vere e proprie, ad un piccolo campo da gioco, vi
era proprio di tutto. C’erano appassionati dello sport che facevano la fila per
comprare attrezzi che avrebbero permesso loro di esercitarsi al loro sport
preferito, e lì, senza dubbio, non mancava niente.
“Ottima idea venire qui.” Borbottò lui, guardandosi
intorno. “Così poi un branco di persone scatenate ci riconosceranno e noi
saremo fottuti: sei un genio.”
Julia roteò gli occhi. “¿Por qué no te callas? Non vedi que son todos... Impegnati?*³ Basta non farsi notare. Se ti
metti con quell’aria sostenuta, sfido io che ti riconosceranno all’istante.”
Yuri sbuffò, ignorando il commento poco carino nei
suoi riguardi e continuando a camminare dietro quella spagnola pazza capace di
trascinarlo nelle situazioni più assurde ed intrepide.
Il negozio era affollatissimo, pieno di ragazzini di
tutte le età che, aiutati dai commessi, si sforzavano di migliorare grazie agli
attrezzi e a tutte le diavolerie che vendevano per attirare la gente
appassionata di quello sport che, da generazioni, era in grado di attirare
veramente chiunque.
Il russo fissò con aria divertita la spagnola
prendere da uno scaffale un paio di occhiali da sole e una sciarpa e indossarli
con nonchalance; quando subito dopo lei gli mise in testa le stesse cose,
facendogli fuoriuscire un borbottio non ben definito, capì cosa aveva in mente.
Poco distante stava il piccolissimo campo di beyblade, dove due ragazzini che non dovevano avere più di
dodici anni si stavano sfidando e in maniera alquanto traballante: nessuno
stava prestando loro attenzione, ma quando Julia, al di sopra dei suoi occhiali
da sole, gli lanciò un’occhiata che lui interpretò al volo, sentì un brivido
correre lungo la schiena; lungo, eccitante e sensuale.
Non ci volle molto prima che i due sgomberassero il
campo, e allora, tempo un’occhiata famelica, vorace, assolutamente affamata
l’una dell’altro, e Wolborg e Thunder Pegasus furono lanciati sul campo, pronti a combattere una
battaglia che pareva fatta di sentimenti piuttosto che di sport.
* “Sono con l’acqua al collo! Nessun sentimento
proprio per niente!”
*¹ “Sono fusa.”
*² “Okay, mi faccio schifo.”
*³ “Perché non chiudi il becco? Non vedi che sono
tutti…”
Aiutando Hilary a porre il cagnolino dentro la
gabbietta, si stupì di quanto gli potesse piacere quella nuova realtà; avevano
passato un pomeriggio parlando di tutto e di più, passeggiando per quella New
York che aveva imparato, per quanto potesse, a conoscere, e quando la ragazza
gli aveva detto che per lei era ora di tornare a casa a studiare si era sentito
quasi deluso, nonostante fosse lì con lei da un bel po’ di ore. La verità era
che voleva sapere tutto di lei, non se ne sarebbe stancato mai.
“Perfetto, allora io vado.” Freddie
abbaiò alla frase di Hilary, facendola sorridere; la giapponese sellò la
Kawasaki togliendo il cavalletto ed infilando la chiave nel riquadro.
Si avvicinò a lei, fissandola, serio. “Sta’
attenta.”
Lei sorrise, reggendo il casco tra le mani. “Nessun
cucciolo verrà investito stavolta, lo prometto.” Le labbra di lui sfiorarono le
sue in un tocco dapprima timido ed innocente per poi farsi via via più deciso, e
allora fu solo per uno schiarimento di voce che udirono da dietro, che lei non
gli gettò le braccia al collo e non lo attirò a sé, dimenticando dove si
trovavano.
“Rei.” Sussurrò, schiarendosi la voce ed
allontanando l’altro ragazzo da sé.
Il loro amico aveva un sorriso sincero sulle labbra
e si avvicinò a loro con l’aria di uno che ha appena scoperto qualcosa di
magico. “Congratulazioni, ragazzi.”
Kai roteò gli occhi e Hilary arrossì per poi
ridacchiare, e zittì il cagnolino che, da dentro la sua gabbietta, iniziò ad
odorare rumorosamente per sentire chi diavolo era arrivato. La giapponese si
scostò una ciocca di capelli dalla fronte, infine sorrise, indossando il casco.
“Noi andiamo.” Fece, indicando Freddie. “Ciao a tutti
e due.”
Quando Kai la osservò
andare via, non poté fare a meno di chiedersi se non fosse andata via così
bruscamente a causa di Rei, perché aveva percepito che lui volesse parlargli.
Qualche secondo dopo, il cinese sospirò
profondamente, come uno al quale mancavano le parole, e allora capì che la sua
ragazza ci aveva visto lontano un miglio. “Che succede?”
“Mao è andata a letto con Raùl.”
Borbottò, lo sguardo tetro. “E’… E’ incredibile! Quella ragazza mi farà uscire
pazzo. Un attimo prima stavamo alla grande, quello dopo stavamo litigando sul
fatto che io avrei problemi con le sue decisioni prese qui.”
“E’ vero?”
“No!” esclamò, con tutta la forza possibile. “Non sono
proprio entusiasta di quello che ha fatto o non ha fatto con Raùl, ma… Non mi importano o suoi errori o le sue scelte.
Io voglio stare con lei.”
Kai lo fissò ironicamente. “E perché non vai da lei a
dirglielo?”
“Mmm… La tua padroncina ha
esagerato come al solito, eh Fred?”
Hilary sbuffò alla frase detta da una persona di sua
conoscenza: camicia messa alla rinfusa, capelli spettinati, aria beata,
lentiggini sul volto…
Roteò gli occhi ed iniziò a ridere non appena si
accorse che Freddie si era accoccolato accanto a lui.
“Sta’ zitto, Max; solo
perché ti sei rimesso con la mia coinquilina non ti autorizza a startene qui a sputare
sentenze.” Borbottò, fintamente accigliata ma in realtà divertita. “A
proposito, dov’è?”
“Sotto la doccia.” Rispose pigramente l’americano,
per poi prendere a fissarla in maniera seria.
“Non ti sembra di star esagerando con questa
situazione di Trisha e Takao?”
quando lei le rivolse un’occhiataccia, lui contrattaccò con uno sguardo
limpido. “Hils, Takao non
sa più che fare: quanti sms ti ha mandato? Mille? E quante volte ti ha
chiamato? Duemila?” La vide mordersi le labbra ed appoggiarsi al frigo. “Mi ha
dato questo.”
Quando toccò quella foto, fu come colta da un
flashback troppo grande per essere quantificato.
Il karaoke…
“Era la festa dei sedici anni di una nostra compagna
di scuola.” Spiegò, la voce gracchiante. “Avevano sfidato Takao
al karaoke, e lui mi trascinò a cantare, dicendo che insieme eravamo
imbattibili.” Nemmeno si rese conto di star sorridendo. “One…” bisbigliò, ricordando la
canzone degli U2 che avevano cantato quella sera.
“Immagino che con la sua voce melodiosa abbia minimo rotto tutti i vetri in circolazione.”
Hilary rise. “Diciamo che ci è andato molto vicino.”
Max osservò l’aria trasognata dell’amica e sospirò. “Credo
che te l’abbia mandato come simbolo del fatto che ne avete passate troppe per
mandare tutto a puttane.”
In quel momento dal bagno uscì una Mariam con un accappatoio avvolto attorno al corpo; Hilary
le lanciò una breve occhiata, prima di andar via.
Mariam guardò prima l’amica- coinquilina chiudersi la
porta alle spalle, poi il ragazzo sbuffare, infine inarcò le sopracciglia. “Ti
lascio cinque minuti e combini un disastro. Possibile che tu non sappia stare
da solo?”
Max sorrise, sornione, prima di attirarla a sé,
fregandosene del fatto che fosse grondante d’acqua. “Eh, no. Vedi che mi causi
dipendenza?”
Non la capiva: non capiva perché diavolo quel giorno
avesse deciso di trascinarlo in quel dannatissimo centro commerciale e lui,
allocco, avesse accettato di seguirla.
D’accordo, sulle prime era stato pure divertente
quell’intermezzo nel negozio di beyblade, specie
quello scontro finito in parità, ma ora che cosa c’entrava il momento nel
negozio di biancheria intima femminile, con quella musica pop assordante a
tutto volume? Era violenza psicologica, altro che storie!
Sbuffando per l’ennesima volta, si ritrovò ad
guardarla male, mentre la osservava scegliere reggiseni, slip, e altra
biancheria di cotone, pizzo e diavolerie varie che al solo adocchiarla gli
faceva venire voglia di sentirsi male un’altra volta.
Dannatissima Fernandéz.
“Te stai
annoiando, Ivanov?” cinguettò l’infernale spagnola,
rivolgendogli di soppiatto un sorriso che non prometteva nulla di buono.
“No, figurati; è sempre stato il mio sogno
circondarmi di reggiseni e mutande.”
Julia rise di una risata cristallina e puramente
sua, per poi rivolgergli un sorriso sincero. “Ho quasi fatto.” Gli diede le
spalle per, ancora una volta, mettersi a cercare altri capi intimi, e, quello
che successe dopo, Yuri Ivanov, non lo poteva immaginare
nemmeno nei suoi pensieri più torbidi.
Quando, con una quindicina di indumenti tra le mani,
Julia si diresse verso il camerino, trascinandosi dietro lui, Yuri non poteva
assolutamente immaginare che di lì a pochi secondi ci sarebbe stata una sfilata
di intimo avente per protagonista una focosa spagnola che conosceva bene con
indosso gli slip e i reggiseni più impalpabili che si potessero mai immaginare.
Indumento dopo indumento, Yuri capì come mai poco
prima aveva avuto l’impressione che quella dannata madrilena fosse stata
mandata direttamente dall’inferno per fargli scontare le sue malefatte: era
audace, attraente, lasciva e in più pareva non lasciarsi prendere, leggiadra e
impalpabile come quegli indumenti che portava.
Durante quella sfilata si era guardato intorno più
volte per vedere se vi era qualche commessa nei paraggi che li stava fissando o
se vi potessero essere delle dannate telecamere.
“Mmm… Me sa qué devi venire tu aquì.”
Quando udì il commento della ragazza da dentro il camerino, inarcò il
sopracciglio: entrare? E perché? “Animo,
¡Ivanov!” sbuffando, controllò che non lo vedesse
nessuno, per poi chiedersi come mai fosse portato a dare corda alle idee
strampalate di quella spagnola del cavolo, ed entrare di soppiatto.
Ciò che vide lo lasciò di stucco.
Julia era di fronte a lui, con un sorriso divertito;
indossava un negligé che pareva di pizzo bianco, che
con la sua pelle abbronzata creava un contrasto assolutamente sublime ed
eccitante; la musica pop non aveva smesso un solo minuto di suonare, pulsando
nelle loro orecchie e facendo loro pensare la stessa cosa nello stesso istante:
nessuno li avrebbe sentiti.
Dopo essere stato battuto a carta, forbice e sasso, Max sbuffò, prendendo posto accanto al conducente ma
mettendo il broncio, mentre una Mariam sorridente e
soddisfatta apriva la portiera si immetteva al suo posto. Quando mise la chiave
nel riquadro per accendere la mustang, l’americano le indirizzò uno sguardo
deluso. “Perché non vuoi che io guidi?”
“Perché nessuno deve toccare la mia macchina.” Fece,
accendendo la vettura e partendo alla volta del posto dove avevano deciso di
andare.
Max non capiva come quella vecchia auto del ’73, rossa,
vecchia e quasi andata potesse fare tanto breccia nel cuore della sua ragazza; ce
l’aveva da un bel po’ di tempo, eppure si rifiutava di farsene comprare
un’altra. Come mai, era un mistero.
Si ritrovò ad armeggiare con lo stereo dell’auto,
chiedendosi se avesse ancora i cd di quei vecchi cantanti degli anni ’60 che le
piacevano tanto; quando lei gli porse un cd che conosceva bene, scosse la
testa, pensando che certe cose non sarebbero mai cambiate.
Le note di Helter Skelter si sparsero nell’abitacolo, e rimandarono Max all’anno di prima, a quando in quella stessa auto, a
Washington, stavano ore ad ascoltare Beatles e a parlare di loro.
When I get to the bottom, I go back to the top of
the slide where I stop and I turn and I go for a ride ‘till I get to the bottom
and I see you again.
Senza volerlo, si ritrovò a battere sul finestrino
il tempo della canzone, e scosse la testa pensando a quanto in effetti i
Beatles entrassero in testa e non uscissero più; un po’ tutto quello che
riguardava Mariam era così.
La ragazza trovò posteggio per miracolo di fronte il
centro commerciale; qualche ora prima si era informata per sapere dove fosse il
negozio di beyblade più grande del mondo e con Max si erano organizzati per andarvi prima che lei
iniziasse a lavorare; quel centro commerciale era senza dubbio immenso, e
posizionato di fronte Seaside, la spiaggia dei
Newyorkesi, il solo posto in cui un luogo del genere – così grande, quasi
immenso – potesse avere luogo a New York; ma loro, in vista della finale di
bey, volevano soltanto entrare in quel negozio per respirare un po’ aria di
sport.
Una volta entrati, dovettero dirigersi verso la
grande mappa posta davanti l’entrata per vedere dove si trovava quello che
cercavano, ma fu una voce che conoscevano bene e un intenso rumore di tacchi a
farli voltare entrambi.
“¡Gilipollas!”* capelli spettinati, rossa in volto, denti
digrignati, era proprio Julia Fernandéz quella che
procedeva spedita verso non si sapeva che meta, e pareva avercela proprio con
colui che procedeva dietro di lei, le labbra strette e gli occhi assottigliati
in due fessure, niente popò di meno che Yuri Ivanov.
Max aggrottò la fronte e si voltò verso Mariam con fare interrogativo, ma lei gli fece cenno di non
fare alcunché; videro i due sibilare e ringhiare come due animali, fino a
quando lui non disse qualcosa che gli valse un sonoro schiaffone e qualcosa di
detto a denti stretti; dopodiché Julia se ne andò, intraprendendo l’uscita.
L’irlandese si rivolse verso il suo ragazzo e non
disse niente, certa che avrebbe capito con un solo sguardo; rincorse la sua
amica immediatamente e, non appena fu davanti a quell’idiota di Ivanov gli lanciò uno sguardo talmente gelido volto a farlo
pentire di essere nato, dopodiché si accinse a vedere dove poteva essere finita
Julia.
La fermata degli autobus era poco distante da lì, e
per fortuna la beccò in tempo prima che potesse fare qualsiasi cosa: sapeva che
la spagnola non era una piagnucolona, quindi quando le afferrò il polso e le
vide il volto rigato dalle lacrime, la voglia di andare da quell’Ivanov del cavolo e andargli a spaccare la faccia fu ancora
più forte.
“Mariam? ¿Qué estas haciendo aquì?”*¹ chiese,
tirando su con il naso.
“Ero con Max, e ti ho
sentita con Ivanov.” Spiegò, senza mezzi termini.
Lei scosse la testa, determinata.“E-Estoy asì por el tiempo.”*² Fece, mettendo
il broncio e facendo ridere l’altra.
“Da quando sei metereopatica?”
“Siempre. Soy sensible, ¡yo!”*³ a quella frase Mariam
scoppiò a ridere, facendo fare un sorriso anche a Julia che, poi sospirò
pesantemente. “Da asco quando sai che
devi lasciar perdere ma non puoi, perché stai ancora aspettando che
l'impossibile avvenga.”
L’irlandese passò un braccio attorno alle spalle
dell’amica, poggiando la testa su quella di lei. “Sì, fa proprio schifo.”
Sussurrò, sorridendo e baciandole la testa. “Vieni, ho mollato il mio ragazzo
all’entrata del centro commerciale; andiamo al bar a prendere qualcosa.”
Julia fece una smorfia. “No, no: siete venuti qui
per stare in pace. Non vi voglio rovinare il pomeriggio!”
Mariam la fissò, sbattendo gli occhi. “La pianti di
sparare cazzate?”
* “Coglione!”
*¹ “Mariam? Che stai
facendo qui?”
*² “Sto così per il tempo”
*³ “Sempre. Sono sensibile, io!”
Davanti ad un caffè macchiato, che Julia chiamava cortado, un
espresso e un frappé, Max e
Mariam ascoltarono attentamente la spagnola
sproloquiare circa il suo pomeriggio con un certo russo di sua conoscenza: la
ascoltarono urlare, sibilare, la videro mordersi le labbra, passarsi le mani
tra i capelli e bere di scatto il suo caffè macchiato, nonché battere
violentemente una mano sul tavolo, facendo sobbalzare entrambi. I due si
scambiarono un’occhiata veloce giusto per attestare che stavano pensando la
stessa cosa, dopodiché i loro sguardi si focalizzarono nuovamente sulla
spagnola.
“… ¡No lo sé como! La musica era altissima, in quel negozio non
c’era ninguno,
lo giuro! Ma quando siamo usciti dal camerino la commessa ci ha intimato di non
farci rivedere mai più in quello stupido negozio.” Fece, con una smorfia. “Io
l’ho presa iniziando a ridere, lui no.”
“Non è da Yuri Ivanov
avere senso dell’umorismo, scusa se te lo dico.”
All’intervento di Max,
Julia sbuffò, pensando a quanto avesse ragione. “Quando siamo usciti io stavo
ancora ridendo, e lui ha iniziato a sibilare cose assurde. Ha detto che avevamo
fatto una figura de mierda,
che lui, Yuri Ivanov, non se era mai vergognato
tanto, che solo quando era con me gli succedevano queste cose.”
Mariam capì. “Fammi indovinare: una parola ha tirato
l’altra e-”
Julia annuì. “Eravamo davanti all’ingresso quando ha
detto che non gli era mai capitato di esser cacciato da un negozio, e che si
vergognava di andare in giro con me; a quel punto gli ho dicho de andar a tomar por-”
Mariam l’interruppe immediatamente. “L’hai mandato
affanculo, okay.”
L’altra annuì. “Sì, gli ho detto che me dava asco e gli ho dato uno
schiaffo.” Ammise, prendendosi la testa tra le mani.
Per un paio di secondi, nessuno parlò; i due
osservarono la madrilena disegnare forme probabilmente geometriche sul bordo
del tavolo, dopodiché Mariam cercò lo sguardo
dell’amica, che ottenne solo dopo un paio di secondi. “Non è la prima volta che
vi capita una cosa simile.” Allo sguardo perplesso della spagnola, la mora vide
di spiegarsi meglio. “Nella vostra situazione particolare, nel vostro rapporto
particolare di amici con benefici, avete… Beneficiato – diciamo così – in
diversi luoghi, dovunque e comunque. E qualche volta è capitato che vi abbiano
anche ammonito.”
Julia scosse la testa, evidentemente troppo seccata
per qualunque cosa. “Non riesco a ricordare.”
“Sul bordo piscina dell’hotel, per esempio, quando
vi scoprirono per la lezione di acqua-gym. Io non
riesco a ricordare che Ivanov si sia arrabbiato – per
lo meno, tu non me lo hai raccontato. O nel giardino pubblico dell’Upper East Side, per esempio, quando rischiaste la multa.”
Julia fissò l’amica sbattendo gli occhi. “No entiendo donde
tu voglia arrivare.”
“Tu e Ivanov state
camminando sul filo di un rasoio: basta un nulla per far scappare uno di voi
due lontano mille miglia, in fondo i presupposti affinché questa situazione non
funzioni ci sono tutti. Siete troppo diversi, la vostra storia sta iniziando da
qualche scopata qua e là, e abitate a continenti di distanza.”
La Fernandéz impallidì. “¡El campeonato..! Yo…” si guardò intorno, respirando come se le mancasse
l’aria, e gli occhi le si fecero lucidi; mai più di allora Mariam
capì quanto in quel frangente Julia fosse fragile.
“Tuttavia credo che vi sia una cosa che stia alla
base del vostro rapporto, per la quale valga la pena di continuare tutto
questo.” Fece, seria. “I sentimenti che provate l’uno per l’altra.”
Julia fissò l’amica come se si fosse bevuta il
cervello, spalancando occhi e bocca. “L’uno per l’altra? Mari, tornare con lui
ti ha fatto male, perdoname!”
sbottò, paonazza. “No, per niente, proprio per niente.” Borbottò, scuotendo la
testa.
Max la osservò. “Non credi che lui ti ricambi?”
La madrilena serrò le labbra. “No. Potrò pure
disgraziatamente essere fregata, provare qualcosa per lui, ma lui non c’è
cascato. No, propio
no.” Fece, amara, un sorriso sarcastico sulle labbra.
Mariam la fissò attentamente. “Il campionato finirà tra
poco meno di due settimane e poi ognuno di noi tornerà da dove viene: tu non
vuoi dirgli cosa provi?”
Julia fece tanto d’occhi per poi azzardare una
risatina stridula, nervosa. “Non scherziamo, por favor. Non oso nemmeno immaginare
cosa accadrebbe…” sussurrò, rabbrividendo.
L’irlandese la fissò seriamente negli occhi, e il
verde smeraldo s’incontrò con il verde prato. “La più grande debolezza degli
esseri umani è la loro esitazione nel dire agli altri quanto li amino finché
sono accanto a loro. Chi ha tempo non aspetti tempo. Pensaci.”
La festa in maschera era fissata per le nove di
quella sera, ed era già passata dall’Avalon per
compiere il suo dovere: povero Mitch, in quel periodo
aveva trascurato a dir poco il lavoro, ma non sarebbe più accaduto. Gliel’aveva
promesso, dopo essersi sentitamente scusata.
In quel frangente, si stava recando al Plaza, pronta a fare un’altra cosa per la quale si sentiva
pronta: aveva due ore e mezza di tempo prima di farsi trovare pronta da Jared,
ma prima c’era qualcosa che doveva assolutamente, doverosamente fare.
In quei mesi aveva giocato a beyblade
solo per dovere, e non per la passione che distingue una campionessa; i Baihuzu non erano stati uniti e compatti, facendosi
eliminare alle semifinali forse anche un po’ per colpa sua, ed era suo dovere
dopo mesi, chiedere scusa a chi di dovere.
Quando attraversò il corridoio con un po’ di
pesantezza nel cuore, realizzò che erano mesi che non faceva quella strada, il
che era strano; la porta le si spalancò davanti, e sorrise, mordendosi le
labbra come soleva fare quando era piccola.
“Ciao, fratellone. Posso entrare?”
Quando ricevette l’sms di
Mao, Hilary scosse la testa, non pensando a niente: ne aveva già avuto
abbastanza in quei giorni per mettersi a pensare anche alla sua amica, quindi
avrebbe fatto come voleva lei e le avrebbe ordinato sul letto il vestito per il
ballo in maschera, i collant panna e le decolleté nere. Doveva solo vedere che
tipo di pochette la sua amica poteva abbinarvi.
Mentre recuperava la chiave dell’appartamento della
sua amica, andava a vedere le borsette che avevano in comune lei e Julia,
capiva che non ne avevano nessuna adatta, rientrava nel suo appartamento e ne
prendeva una in prestito a Mariam, dall’abbaiare di Freddie capì che era rientrato qualcuno. Quando si affacciò
e vide che era proprio la mittente dell’sms, le
sorrise e la invitò ad entrare nel suo stesso appartamento, facendole vedere
cosa le aveva preparato.
“Grandioso.” La cinese si sedette stancamente sul
divano; pareva sfinita. “Mi prendi una delle red bull
che ci sono in frigo, per favore? Vorrei dormire ma non posso, è stata una
giornata assurda e io devo ancora andare ad una festa in maschera.” Hilary si
diresse in cucina e tornò con la bevanda che l’amica bevve tutta d’un fiato,
dopodiché Mao si rivolse alla bruna con aria disperata. “Non ho avuto tempo di
prenotare dal parrucchiere, mi devi aiutare.”
La bruna annuì. “Ci penso io.”
La cinese aveva degli splendidi capelli setosi e
liscissimi che si potevano acconciare come si volevano; con l’aiuto di una
piastra e di una spazzola mise su una pettinatura semplice ma all’apparenza
elaborata, con una mezza coda fermata da un elegante nastro verde ed i restanti
capelli cotonati a mo’ di boccoli.
Mentre apprendeva dell’asfissiante giornata
dell’amica, Hilary restò senza parole quando sentì del messaggio di Jared e
della chiacchierata che aveva avuto con Raùl e, dal
suo canto, le raccontò di Kai e di Max che le aveva portato quella foto.
“Mi ha scatenato una serie di flash back.” Rivelò,
mentre la truccava. “Non posso dire certo che non gli voglio più bene, chiaro;
solo che non può sbagliare e subito dire… Ehi, scusa, facciamo pace?” fece,
stizzita, mettendo via il make-up per poi andare a prendere i vestiti.
Mao si osservò, soddisfatta del risultato. “Io non
credo, sai? Credo invece che Takao stia facendo di
tutto per tornare ad essere tuo amico, e che si sia reso conto di aver fatto una
grandissima cavolata. Correggimi se sbaglio: più del fatto stesso ti danno
fastidio le bugie pietose che ti rifilava ogni volta, e sei arrivata al limite.
Ti senti presa in giro volutamente.”
Hilary sbuffò, porgendogli i collant che la cinese
si affrettò ad indossare. “Mi conosci troppo bene.”
“Dopo cinque anni, vorrei ben vedere.” fece,
prendendo il vestito ed iniziando ad indossarlo.
La bruna non rispose, osservandola semplicemente ed
aiutandola quando fu il momento di armeggiare con la lampo. Una volta indossate
i tacchi, era pronta; indubbiamente bellissima, indubbiamente elegante ed
aggraziata, avrebbe fatto impallidire chiunque l’avesse guardata. “Attenta, o
stasera potresti ricevere anche una proposta di matrimonio.” Mao sgranò occhi e
bocca, facendo per mandarla a quel paese, ma il campanello suonò: era l’ora
della verità.
Quando la porta si spalancò, notò subito che c’era qualcosa
che non andava: tanto per cominciare Gao e Kiki non c’erano, poi la suite era
nel silenzio più assoluto, ed infine Lai era seduto al tavolo, come immerso nei
suoi pensieri. Che poteva essere accaduto?
“Siediti.” Alla parola precisa e ben calibrata
dell’amico d’infanzia, Rei si stupì, e fu con naturalezza che fece come
richiesto; Lai aveva un cipiglio serio, ma non arrabbiato, tutt’al più
neutrale. Che cosa gli potesse essere accaduto era un mistero, ma lo avrebbe
scoperto di lì a poco. “Da quanto ci conosciamo, noi?”
“Da sempre.” Rispose meccanicamente; era impossibile
quantificare il tempo. Lì al villaggio erano tutti un gruppo immessi l’uno ad
interagire con l’altro praticamente ab eterno. Non avrebbe saputo dire né la
data né il giorno di quando vide l’amico la prima volta.
Lui annuì. “E’ passata a trovarmi mia sorella, poco
fa.” Rivelò, fissandolo negli occhi. “Abbiamo parlato molto. Mi ha rivelato
molte cose, troppe che io ignoravo, e solo ora ho compreso il perché di molte
sue scelte che l’hanno portata, mesi fa, ad allontanarsi dal gruppo.”
Nonostante stesse morendo di curiosità, non osò fare
domande. “Mi fa piacere che vi siate ritrovati.” Fece, cauto.
Lai gli rivolse uno sguardo ironico. “Mia sorella a
quel campionato, anni fa, si dichiarò a te, e tu dicesti di ricambiarla ma che
al primo posto, per te, vi era il beyblade.” Quel
repentino cambio di discorso fece sì che Rei si confondesse. “Te lo chiederò
una volta soltanto, e vedi di non prendermi in giro, o non risponderò delle mie
azioni.” Fece, severo. “Che cosa provi per mia sorella?”
Che cosa c’entra, adesso? Fece per chiederglielo, ma
vedendo quelle iridi color caramello così simili a quelle di Mao fissarlo in
maniera decisa, non poté far altro sospirare. “La amo probabilmente da sempre.”
Sussurrò, osservando la reazione dell’amico che, fortunatamente, non batté
ciglio.
“Non voglio sapere perché tu la desti per scontata;
sono cose che dovrai spiegare a lei.” Fece, alzandosi e spingendolo a fare lo
stesso. Rei sbatté gli occhi, non capendo. “Cos’hai intenzione di fare nei suoi
riguardi? Restare qui e rimanere con il dubbio, oppure andare da lei?”
Sapendo che il suo amico non si sbilanciava mai
sulla sorella per niente, sentì improvvisamente crescere in lui una adrenalina
non indifferente. “Dov’è, ora?”
Tutto sommato, quella festa non era male: Mao
sorrise quando l’orchestra attaccò a suonare l’ennesima ballata e Jared la fece
roteare, facendole fare una piroetta che la divertì molto; era stata bene
attenta a godersi quella festa dall’inizio alla fine, ben sapendo che era
l’ultima del genere alla quale sarebbe mai andata.
Quando la ballata finì, Mao si accostò al muro della
grande sala da ballo, decisamente stanca; gettando uno sguardo all’orologio
notò che tra un ballo e l’altro si erano già fatte le undici, e che sarebbe già
stata ora per lei di andare.
Sbuffò: quanti compiti ingrati le stavano capitando,
in un giorno solo?
“Ehi, eccoti.” Jared la raggiunse nell’enorme
terrazza, porgendole il coprispalle in tinta con il
vestito. “Ti ho già ricordato quanto sei bella stasera?”
La ragazza si morse le labbra per non ridere,
pensando a Julia e alla smorfia comica che avrebbe fatto al sol sentire quel
discorso melenso e sdolcinato, dopodiché si voltò. “Devo parlarti.”
Lui si incupì per quel tono serio. “E’ a causa dei
miei zii che hanno creduto stessimo insieme? Lo sai come sono fatti, hanno-”
Lei gli si avvicinò, un sorriso sulle labbra. “A
causa di tutto.” Sussurrò, decisa. “Stasera mi hai dato tutto quello di cui io
avevo bisogno, e per questo io ti sarò grata eternamente: sei dolce, bello, mi
hai offerto una vera favola. Ma… C’è altro.” Alla faccia cupa di lui si morse
le labbra, e scrollò le spalle. “Amo un altro; pensavo di poter riuscire a
dimenticarlo, e non ci sono riuscita.”
Il ragazzo aggrottò la fronte. “Lo sapevo,
ovviamente.”
Lei annuì, fissando il vestito non suo. “Mi
dispiace. Ovviamente ti ridarò indietro tutto quello che tu hai insistito per
comprarmi-”
Jared dapprima ostentò un’espressione ferita,
dopodiché parve riprendersi, infine scosse la testa con decisione. “Mi hai
detto che è sempre stato il tuo sogno partecipare a party di questo genere: se
lo tieni, magari ti ricordi di me.”
Mao sorrise, dolce. “Ma io mi ricorderò sempre di
te!” si abbracciarono da amici, e la ragazza accettò di buon grado quando lui
le chiamò un taxi che si propose di stare ad aspettare assieme a lei, fino a
quando non fu chiamato da un parente.
Dalla terrazza stessa, osservò il panorama,
perdendosi nei suoi pensieri e lasciando che la sua mente si rimandasse a
flashback come quando, con Julia, aspettò l’alba sulla terrazza dell’ospedale;
anche lì con la sua amica si era persa in flashback assurdi ed elucubrazioni
mentali non indifferenti. Per cosa, poi?
Fu il suono di una voce conosciuta a farla
sobbalzare; si sporse dalla terrazza e, quando vide chi vide, per poco non si
sentì mancare.
Che ci faceva lui lì?
Continua
Ce l’ho fatta!
Mi scuso sentitamente per il mostruoso ritardo, ma
sembra che qualcuno mi abbia lanciato il malocchio per quante cose ho avuto da
fare!
Parola mia, questo capitolo è stato un parto, ha
avuto bisogno di modifiche su modifiche, e sinceramente non sono contenta
nemmeno ora, ma accontentiamoci. U.U
Okay, momento delle lamentele finito: questo è il
penultimo capitolo (che, tra l’altro, poteva tranquillamente chiamarsi “questione
di sms” per quanto li ho citati, LOL) e beh… Siamo al capolinea! T.T
Spero abbiate passato un bellissimo natale, perché
con questo io vi auguro buon capodanno e… Basta. e.e
Siete voi che dovete augurarmi buon compleanno (notare il dovete) perché questa pazzoide che vi sta parlando domani
fa vent’anni! T___T anzi no. U.U Faccio 2.0 anni. Così è molto più accettabile.
*soddisfatta*
…
Va bene, la pianto. Noi ci vediamo la prossima
settimana con il finale di Overboard. Non ve lo dico
il titolo, se no che gusto c’è? Vi dico solo che questa è l’unica storia per la
quale ho ideato due finali. La prossima settimana vedremo quale sarà, quindi
badate a voi. *minacce vane*
Grazie veramente di tutto, alla prossima.
Hiromi