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Autore: Celest93    28/12/2011    1 recensioni
Charlene e Tyron, due ragazzi esperti di una materia che nessuno dovrebbe conoscere: l'infelicità, mischiata a tanto dolore, rabbia e paura, paura di dover rivivere i drammi che hanno caratterizzato la loro vita, tragedie che non augurerebbero a nessuno e che sperano di non dover nuovamente affrontare.
Lei a 18 anni, per la prima volta conosce la parola felicità, nonostante quel piccolo raggio di sole che ora le illumina le giornate sia nato anch'esso dal suo tormentato passato; Lui a 27 anni ha un solo obiettivo: vendicare ciò che gli è stato tolto, tanto brutalmente quanto violentemente, che non pensa più a crearsi una vita e ignorando il suo futuro, pensando a quello delle persone che deve far soffrire. Perchè l'unica vendetta possibile, è far soffrire persone a lui sconosciute, o quasi.
Le loro strade si incroceranno, ma nessuno pensa che l'altro abbia un passato degno della cronaca nera...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5
 
Perchè lo hai fatto, perchè?
Maledizione, io ti ho dato tutto!
E tu ti sei ripresa tutto ciò che mi avevi dato!
Però ora non ci sei più, non dovrei stare qui a mandarti a quel paese, perchè già ci sei...
Mi hai portato via la fiducia nei tuoi confronti; 
L'amore; 
La speranza;
Belle... l'unica cosa che non dovevi neanche permetterti di sfiorare, lei era la mia vita!
Stronza!
Assassina...
 
*****
 
Ho tentato il suicidio.
Quelle parole restarono sospese tra noi, mentre il mio cuore aveva cessato di correre. Lo guardavo confusa, delusa e arrabbiata. Si, arrabbiata con me stessa. Per quanto dolore io avessi provato, non mi era mai saltato per la mente di suicidarmi, avevo pensato egoisticamente che nessuno poteva mai avere provato una cosa simile alle torture che avevo dovuto subire io, nessuno.
E invece Tyron aveva vissuto qualcosa, qualcosa di tanto forte da portarlo a voler compiere un gesto tanto estremo.
Avevo paura di sapere per quale motivo lui avesse preso in considerazione di porre fine alla sua vita, ne avevo talmente paura, che mi voltai, pronta ad andarmene.
Per un soffio, un misero secondo di troppo, avevo immaginato me stessa in quella situazione. Confidarsi, parlare e mostrare le proprie paure ed essere snobbati, ignorati, non era bello, lo avevo provato sulla mia pelle.
Per questo ritornai sui miei passi, lo guardai mentre si torturava le mani tra di loro, mentre i suoi occhi cercavano qualcosa, un indizio forse, nel mio viso. 
Cercavano comprensione, aiuto; io lo stavo lasciando solo, e il senso di colpa improvvisamente pesava come un enorme macigno sul petto, mentre le mie gambe si mossero lente verso di lui, e come attirate da una calamita, mi ritrovai presto a guardarlo, a cercare di capire se potevo avvicinarmi ancora, o mi avrebbe cacciata via come aveva fatto con Marg.
Forse voleva essere consolato, oppure solo lasciarlo sfogarsi; ignorai quelle supposizioni e lo abbracciai. Lui d'impulso aprì le sue gambe per farmi spazio, mentre le sue braccia correvano a circondarmi i fianchi.
Mi abbassai verso il suo viso, per guardare meglio quegli smeraldi verdi, a leggere la disperazione che gli aveva fatto inumidire gli occhi, ma che per orgoglio non le avrebbe mai versate, quelle lacrime.
"Non dicevi sul serio?" Bisbigliai, avvicinandomi al suo orecchio.
"Io non ti ho detto niente." Rispose utilizzando lo stesso tono di voce usato da me, accompagnando il tutto con una tenera carezza sulla guancia.
Come avevo immaginato, si era già rimangiato tutto per l'orgoglio. Prima lanciava il sasso, facendomi prendere dei colpi al cuore, poi non appena si ritrovava davanti a delle domande spinose, ritirava la mano. Nonostante ciò, non volevo costringerlo a confidarsi con me se ancora non si sentiva pronto. 
Non mi staccai dal suo abbraccio, lo strinsi più forte passandogli la mano su quei bellissimi capelli scuri. Mi ero lasciata trascinare dalle emozioni e non mi resi conto che erano già parecchi minuti che eravamo l'una stretta all'altro, finchè non parlò di nuovo, con una strana intonazione nella voce.
"Tu non sai niente, ok? Se gli altri ti chiedono qualcosa, tu non sai niente!" 
Mancava qualcosa, perchè mi stava minacciando? Loro sapevano, dalle espressioni che assunsero le loro facce, perchè avrei dovuto mentire? Come sempre decisi di accontentarlo, annuendo con la testa.
Ascoltai il ritmo del suo cuore contro il mio petto, batteva regolare, non un battito veloce, niente. Evidentemente la mia vicinanza non gli faceva nessun' effetto, al contrario della sua su di me.
Decisi di allontanarmi, ero rimasta in quella posizione anche troppo e non sapevo quanto potevo comportarmi in modo così confidenziale con il capo, quando due dita mi presero il mento, avvicinandomi al suo viso.
Mi si bloccò il respiro, mentre sentivo il suo sulla mia faccia, gli occhi che ridevano al posto della bocca, forse per il colore porpora che assunse il mio viso per quella misera distanza.
Sorrise sghembo, mentre gli occhi continuavano a studiare la mia faccia; i miei, di occhi, erano stranamente fissi su quelle labbra piene, invitanti.
Sentivo il rombo del mio cuore nelle orecchie, se avesse parlato non l'avrei di certo sentito.
Chiusi involontariamente gli occhi, dandogli forse la possibilità di spingersi oltre il confine direttore-dipendente, finchè non sentii le mie labbra coperte dalle sue, in un tenero bacio a stampo. Vi sostò sopra più tempo del dovuto, incendiandomi.
Si allontanò, fissandomi mentre cercavo ancora di capire qualcosa, qualcosa che non fossero quelle deliziose labbra, per poi tornare di nuovo a lambire le mie labbra con le sue, lasciando da parte la dolcezza per spingersi oltre, mentre le sue mani scivolavano in alto, verso i miei capelli; ci passò dentro la mano, avvicinandomi ancora di più al suo viso, mentre la sua lingua cercava la mia, per iniziare a giocarci, rincorrersi e legarsi infinite volte, togliendomi il respiro.
 Presa da un impulso, posai le mani sul suo petto ben modellato, allontanandolo da me, guardandolo sconcertata.
"Tu..." Non trovai tempo per finire, la porta che si apriva dell'ufficio aveva fatto prendere un colpo a tutti e due.
Mi voltai accaldata e imbarazzata, maledicendo Marg e il suo tempismo, mentre sentii Tyron alle mie spalle sospirare frustrato. Non era l'unico.
"Tyron...  tutto bene?" La domanda giunse ovattata alle mie orecchie, mentre ancora cercavo una spiegazione a tutto.
Gli occhi indagatori della mia amica passarono da Tyron al mio viso, cercando di capire, sicuramente riuscendoci, cosa poteva essere successo tra noi.
Regolarizzai il respiro, impedendomi di fare qualsiasi cosa se non andarmene. Mi voltai un ultima volta verso Tyron: si passava distrattamente le mani tra i capelli in un gesto nervoso, ignorandomi. Non voltò minimamente lo sguardo nella mia direzione, anzi. Tornò a guardare, assorto, come se fosse in un'altro mondo, quella fotografia.
Mossi velocemente dei passi, fino a superare Marg e dirigermi verso le scale, evitando accuratamente di guardarla; tuttavia, non appena arrivai al piano inferiore, trovai Effy ad aspettarmi. 
Non avevamo mai parlato, quindi trovai strana la sua richiesta di conversare, ma nonostante ciò, la seguii fuori.
"Cosa c'è tra te e Tyron?"
"Niente."
"Cosa vi siete detti prima?"
"Niente." Il tremolio alla mia voce le fece capire che stavo mentendo.
"Ha utilizzato anche sta volta la scusa del suicidio?"
Per poco non mi strozzai con la saliva: scusa? Cosa voleva insinuare con quell'affermazione?
"Cosa vorrseti dire, scusa?" Domandai con troppa enfasi.
Mi squadrò dall'alto in basso, soffermandosi sul mio viso, prima di prendere un respiro e parlare.
"Beh, semplicemente quello che so; se lui ha utilizzato la scusa del suicidio allora ti conviene stargli alla larga, e sono sicurissima che lui l'abbia utilizzata. Lo conosco abbastanza per sapere quello che dico, e fidati, ci sono passata anch'io" Parlò come se stesse parlando del tempo, muovendo a tratti le mani con noncuranza, guardandosi le unghie; io invece ero allibita! Come poteva dire tutte quelle cattiverie? Contro Tyron per di più?
"Tu sei solo gelosa, di la verità!" Incrociai le braccia, assumendo una posa sicura, mentre lei continuava a squadrarsi le mani. Con semplicità, senza alzare la voce o mostrare un segno di nervosismo, mi rispose.
"No, semplicemente so quello che dico. Se non vuoi ritrovarti nei casini fino al collo tra qualche mese, stagli lontana già da adesso. E non potrei mai essere gelosa di qualcosa che non è tuo, giusto?" Restai senza parole di fronte alla sfacciataggine dell' ultima insinuazione. Aveva ragione, me ne resi conto, ma non poteva dirmelo così. Accompagnò quelle parole con un sorriso, che se fossi stata in un altro contesto, avrei definito quasi dolce, quello che una mamma rivolgeva al proprio figlio, quello che io rivolgevo al mio Peter.
Se ne andò via, accompagnata da Seth e gli altri, mentre io ancora cercavo di dare un senso a quel sorriso. Lei mi odiava! Non poteva rivolgermelo, o qualcosa le frullava nella testa, qualcosa di preoccupante.
Con ancora quei pensieri presi la mia roba e uscii dal negozio, diretta verso casa mia.
Presi un bel respiro prima di incamminarmi, pensando alla giornata appena passata, dalla stanchezza alla scoperta del tentativo di suicido, al bacio e alle insinuazioni di Effy.
L'indomani sarei stata a casa tutto il giorno, finalmente un giorno da dedicare al mio cucciolo senza preoccupazioni.
Mi ricordai anche che avevo un incontro con un'agente immobiliare il lunedi, dovevo prepare la roba che mi sarei dovuta portare dietro, quindi, avevo ancora bisogno di Lucy.
Mi ripromisi di chiamarla non appena sarei arrivata a casa.
Quando mi trovai nei pressi del mio quartiere, il mio sguardo cadde involontariamente sulla casa di fronte alla mia, e nuovi flashback, dolorosi, si impossessarono di me.
 
Non sentirai alcun dolore se stai ferma, hai capito?
Un brivido lungo la schiena...
Ora stai ferma e smettila di piangere, mi dai sui nervi, mocciosetta!
Le sue luride manacce sporche sul mio corpo...
Che hai da strillare, ti ho detto di tacere!
I suoi colpi, violentissimi...
Che c'è, non dirmi che sei svenuta per così poco!
La vista che mi abbandonava insieme alle forze e alla voce...
Svegliati, puttana!
Le lacrime, le uniche che mi avevano tenuto compagnia in quel periodo, stavano spingendo per tornare fuori.
"Hey"
Urlai, voltandomi di colpo, scossa da brividi di paura e terrore, nel sentire quella voce. Le lacrime, che mi ero ripromessa di non far cadere, avevano ormai raggiunto terra, mentre il mio cuore batteva all'impazzata dallo spavento.
Non volevo sapere niente, mi accasciai a terra, tenendomi la testa e singhiozzando, piangendo e disperandomi... non dovevo pensare a lui...
"Non volevo spaventarti." Una voce dolce, ma che avevo scambiato per quella di quel mostro, mi parlava, vicina al viso, cercando di tranquillizarmi.
Il mio corpo sussultava, i singhiozzi non avevano intenzione di lasciarmi sola, le lacrime anche, mentre i miei pensieri tornavano indietro di 8 anni, quando tutto era iniziato.
L'ultima cosa che ricordai furono due braccia forti che mi circondavano, calde, strette attorno alla mia vita, rassicuranti.
Poi il buio.




 
   
 
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