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Autore: paido    28/12/2011    1 recensioni
Questo breve racconto parla di una regione che coesiste con la realtà come l'altra faccia di una stessa moneta, è la descrizione di come io trovai la porta per raggiungere questo luogo e del primo contatto che ebbi con i suoi abitanti i quali successivamente sarebbero stati per me fonte di ispirazione per molti altri racconti, avventure, scoperte e bizzarri personaggi.
Genere: Poesia, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il soffitto, finemente intonacato, era quasi accarezzato dal rametto più alto del sontuoso abete che, da un secolo a questa parte, era diventato un parente strettissimo e irrinunciabile d’una festa tanto sospirata. Le luci prodotte dalla fiamma danzante, sul suo palcoscenico scoppiettante, l’antico caminetto, produceva riflessi che simpatizzando con la penombra della stanza esaltavano l’effetto colorato dei tanti monili antichi che la mia famiglia era solita utilizzare per addobbare l’antico albero. Si era soliti, nei giorni che precedevano la grande festa, raccogliersi intorno al tepore irradiato dalla danza magica prodotta sui legni secchi e, osservando uno degli antichi addobbi, si soleva trasmettere agli altri attraverso un racconto improvvisato il sentimento che il magico paramento aveva scoccato nei nostri cuori. Fu ventitré anni fa che la mia fantasia ci trasportò a Vele di Vento. Tra i tanti mondi, le tante realtà che ho conosciuto, Vele di Vento è forse stato il luogo che più m’ ha turbato nelle notti di bambino. La mitica città affonda i suoi millenari artigli nelle profondità d’un deserto. E’ un incrocio di strade, asfaltate e non, dove macchine futuristiche, ai limiti del concepibile, superano lussuose carrozze in stile vittoriano, a bordo delle quali nobili dandy si coprono il naso con ricamati fazzoletti per il puzzo che emanano taluni quartieri o per l’allergia che il pelo degli splendidi sauri potrebbe provocare alle pelli bianche come maschere di cera inespressiva che indossano. Macchine d’ogni sorta e fattura sbuffano vapore, ad ogni movimento dei loro meccanismi, librandosi in un cielo in cui l’alternarsi di sole e luna non rispetta alcuna legge astronomica. Vele di Vento è difficile da descrivere a parole, è una zona dell’universo senza spazio e senza tempo, una stella incontaminata dell’infinito dove convergono tutte le energie, tutte le possibilità, tutte le speranze ed i sogni. La città delle città trasuda disordine e caos e un’ alito d’entropia l’ avvolge. Bambini corrono urlando, nei cortili consunti dall’acqua dei panni stesi ormai da tempo immemore, vecchi si trascinano su bastoni ricurvi nei vicoli oscuri, fagotti variopinti dormono sotto cumuli di giornali anche nelle notti più fredde e fontane prosciugate irrompono sfarzosamente da giardini pensili. Mercati risuonano di urla di venditori e di viandanti vittime della magia compiuta su di loro da abili tagliaborse. Labirinti di vie in cui si è trascinati da una folla variopinta di esseri, la cui inespressività è dovuta alle sottili maschere bianche e lisce, scompaiono per ricomparire in altri quartieri, in altre baronie. Il popolo di Vele di Vento vaga brulicando come un fiume impazzito, matto senza meta e senza sogni. Alberi, alti più delle guglie di ibridi palazzi architettonicamente moderni ma costruiti con materiali vetusti, si librano verso l’alto. Costruzioni antiche di cristallo splendente si stagliano sfidando il cielo plumbeo. Gruppi di villaggi, conglomerati di case di paglia e argilla rinforzate dall’esterno da assi di legno contorte e travi d’acciaio brunito e corroso dalla ruggine, sono sempre osservati da fiabeschi manieri arroccati su promontori inespugnabili. E’ questo l’aspetto d’una città spinta nell’universo dalla propria follia. Mi trovai spesso a camminare sulla sabbia, che circonda da ogni dove quella aliena presenza che sembra nutrirsi della fantasia dei propri abitanti. Quel coagularsi mutevole di vite. A volte, girandomi verso quella fonte di energia ebbi l’impressione che ella stessa mi osservasse mentre vomitava, verso il cielo, alte colonne di fumo nero da monumentali ciminiere dalla pelle d’edera e muschio. Fu nel deserto che lo incontrai, il saggio che non di materia era fatto, ma di parola scritta da tempo. Nonostante le mie domande fossero fatte nel presente lui rispondeva dal passato. Si presentò a me come un libro affondato per metà nella sabbia. Si presentò a me come parola scritta. Lessi il saggio: “Il deserto di Vele di Vento è formato da tanti granelli, e, ogni granello rappresenta un sogno una speranza, ancora sopiti nel cuore delle creature che popolano il tempo e lo spazio al confine infinito dell’universo”. Poi l’ inchiostro continuò a riempire pagine ingiallite dal tempo: “Gli abitanti di questa città sono privi della speranza che i loro sogni si possano realizzare e vagano in processione, compiendo sempre gli stessi alienanti gesti, rendendosi prigionieri d’una condanna che scontano, pur essendo liberi. Indossano quelle maschere inespressive che gli impediscono di parlare, ma solo di respirare, mute ombre di ciò che furono. Essi respirano tutti la stessa aria, sentono tutti le stesse emozioni,vedono tutti le stesse immagini, uguali vanno, girando sempre nella stessa direzione. Essi vivono fuori dalla loro realtà in un limbo che li annichilisce, disprezzati dalla consapevolezza d’aver fallito. Vele di Vento sarà inghiottita dal deserto che i suoi abitanti hanno nutrito rinunciando ai loro sogni, alle loro speranze” Improvvisamente lessi uno sbuffo che aveva in se la stanchezza e l’abitudine di chi non si sorprende ormai più di nulla:”Uffa! Sono stufo di vagare in questa immensa spiaggia senza mare! Tu non ci crederai, ragazzo, ma in un tempo immemorabile questo deserto era una lussureggiante foresta abitata da ogni specie di creatura sia in estate che in inverno. Già, l’inverno con la neve che imbiancava le immense foreste di conifere e i tetti e le torri e Vele di Vento era la capitale d’un regno fatato e magico ed i suoi abitanti erano allegri e gioviali con tutti i forestieri che approdavano qui sulla nave dei propri sogni. Nel regno ogni abitante poteva dare sfogo alla propria, individuale creatività, ma di questo ormai è rimasto solo più il volto grottesco in cui ti sei imbattuto giungendo fino a me. Le costruzioni che hai veduto rappresentano monumenti d’un tempo che fu ma si stanno sgretolando perché tutta la città sta somigliando ad un castello di sabbia secca che ha perso l’umidità della vita”. È essenziale perché tu capisca cosa fummo e cosa siamo che io ti doni un alito della mia energia, andrai in una realtà parallela e vedrai Vele di Vento nel suo massimo splendore, fulgida in un giorno qualunque, un giorno che per te sarà come il più bello dell’anno: il giorno dei giorni quello che aspetti sospirando, ma anche, purtroppo, quello che passa come una carrozza che và di gran carriera. Sentii un formicolio impossessarsi delle mie membra, come quando si sta per troppo tempo in una posizione che impedisce al sangue di fluire nelle vene e sembra d’essere stati privati dei propri arti. Cominciai a diventare trasparente, tanto da vedere attraverso me stesso. Le cellule del mio corpo iniziarono a percorrere strane traiettorie come fossero accelerate da un immenso sincrotrone. Mi svegliai in groppa ad un animale strano, avrei giurato fosse un cavallo ma mi pareva di legno e ferro, e ciò che gli usciva in pressione dalle grosse narici mi sembrava vapore. Facevamo gincane a velocità folli tra gli alberi carichi di palle colorate con tutte le sfumature dell’arcobaleno più scintillante che avessi mai veduto. Dalle colline lussureggianti e innevate e dal folto della foresta si unirono a me altre creature, è difficile descrivere la moltitudine di variopinte differenze tra loro, perché non c’è fantasia che possa dare un’idea di quel fiume di diversità bizzarra e spaventosa che allo stesso tempo li accomunava e divideva in un simpatico coro di colori e voci grottesche. La cosa che più mi colpì mentre il mio illogico destriero galoppava verso la fine di quella magica foresta fu che per quanto diversi fossimo, tutti ci muovevamo verso l’orizzonte. Arrivammo ad un abete altissimo e riccamente ornato, tutti ci fermammo, io per primo e gli abitanti di Vele di Vento dietro di me. Una voce uscì metallica dal tronco millenario:”Diavolo d’un ragazzo” disse:”Grazie per aver fatto rivivere ancora la speranza negli abitanti del mio regno, la vostra corsa verso le inimmaginabili bellezze che hai visto, ha dato loro amore e forza di esistere. Anche l’opera d’arte più bella non è nulla senza qualcuno che la osservi, e la canzone più melodiosa è silenzio senza nessuno che la ascolti. La mia città è ormai condannata, ma voglio farti un dono prima che tu torni alla tua realtà. Dall’albero cadde su un letto di soffice neve una grossa palla dal colore azzurro con sfumature bianche e color fragola, questo monile ti rammenterà negli anni che verranno del nostro incontro e dell’aiuto che hai dato al mio popolo nel tentare di ritrovare ognuno la propria personalità per il raggiungimento di un bene comune”. Dette queste ultime parole lo splendore che mi circondava iniziò a girare vorticosamente, fino a non riuscire più a distinguere i colori che assunsero tutti la tonalità della neve. Mi svegliai osservato da sguardi increduli e radiosi, i miei famigliari mi dissero che mentre raccontavo la mia storia mi addormentai e che nonostante gli sforzi per risvegliarmi, pareva che il mio corpo non volesse reagire. Poi, con voce suadente mio nonno mi guardò dritto negli occhi e mi chiese da quale degli addobbi presi spunto per raccontare la mia storia; io guardai l’abete in tutta la sua imponenza, e scorsi tra i rami una grossa palla mezza nascosta colorata di blu, con sfumature bianche e color fragola e gliela indicai con l’indice. Lui mi guardò con occhi pieni di malinconia e disse:”Non se la cavano molto bene, vero?” e io risposi:” No, penso che Vele di Vento sia stata per sempre inghiottita dal deserto delle sue speranze perse”.
  
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