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Autore: Dottie93    30/12/2011    7 recensioni
Sulle note di “Far Away” dei Nickelback la mia prima N/Touko [FerrisWheelShipping]. Non credo sia una song-fic, ma non lo assicuro XD.
«Un bel ragazzo si presenta alla mia porta chiedendo di te, e tu non ne sai niente?»
[...]
«Eravamo un po' amici un po' nemici. Nessuno dei due ci ha mai capito niente.» risposi. «Siamo stati un po' trascinati dagli eventi, un po' dalle ambizioni personali. Non combaciavano e abbiamo finito per combattere.»
[...]
«Mi concedete questo ballo, signorina?» abbassai la testa ed emisi uno sbuffo divertito.
«Sei matto.» commentai, scuotendo la testa. Lui rise. «Io non so ballare. Ti pesterò sicuramente i piedi.»
«Sopporterò un po' di dolore,» rispose lui, alzandomi il viso verso il suo. «se serve a tenerti la mano.»
[...]
«Sul serio ti sono mancata?»
«Vuoi davvero che ti risponda?» mi guardò con un sopracciglio inarcato.
[...]
«Posso chiederti dove sei stato,» cominciai, fissandomi le unghie con attenzione. «oppure è un'altra informazione taboo?»
Lui rise. «Non erano informazioni taboo.» chiarì, scuotendo la testa.
[...]
«Non ti sto chiedendo di decidere
ora.» chiarii, pensando che, altrimenti, sarebbe scappato via. «Ma... tra qualche anno, ecco... pensaci.»
Buona lettura :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Touko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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FAR AWAY

This time, This place
Misused, Mistakes
Too long, Too late
Who was I to make you wait?

«Che cosa?» chiesi, incredula, mentre la professoressa Aralia mi porgeva il piccolo Caterpie. Non ci potevo credere, in più sensi: in primis, non credevo di poter mai tenere in braccio un verme senza gridare, poi perché quel verme era un Pokémon che a Unima era... non introvabile, ma quasi, e terzo perché mi stava chiedendo di... allenarlo! E, come ciliegina sulla torta, avrei dovuto lasciarle la mia squadra di Pokémon, quella che mi aveva accompagnata fin dall'inizio del mio viaggio, perché lei voleva studiare com'erano cresciuti. Non avrei neanche potuto volare! Che bella notizia! «Non credo di aver capito bene.»
«Ma sì che hai capito bene! Con questo il tuo Pokédex regionale è completato, giusto?» intervenne Belle, gioviale, portando delle Pokéball tra le mani. In effetti il maledetto Caterpie era l'unico di Unima che mi mancava da vedere – e catturare. «Devi solo farlo crescere, il Metapod non si trova ad Unima, lo sai.»
«Sì, ma...» provai a protestare. Ero appena tornata dal mio ultimo viaggio nella regione di Sinnoh. Da quando avevo sconfitto Nardo, il campione di Unima, dopo aver trovato i Sette Saggi per Bellocchio, ero partita per sconfiggere la Lega in una nuova regione, dato che ad Unima non mi era rimasto molto da fare e non avevo intenzione di crogiolarmi nei vecchi ricordi. Ero tornata sconfitta, e parecchio stanca. Avevo un umore tetro e Komor sembrava essersi vaporizzato, scomparso nel nulla, non appena la professoressa aveva dichiarato di aver una ricerca da affidare a uno di noi. Belle sembrava essere diventata indispensabile al laboratorio e io non avevo nemmeno fatto in tempo a salutare mia madre, che ero stata trascinata al laboratorio. Vita da Allenatore.
«Cosa c'è che non va, Touko?» volle sapere la professoressa, alzando lo sguardo dal suo blocco di appunti, mentre del fumo onirico di Musharna era in una macchina decisamente stramba.
«Beh..» tentai, distogliendo lo sguardo da lei. «Sono stanca morta!»
«Non ho certo detto che devi partire immediatamente.» mi fece notare lei, e io mi diedi mentalmente della stupida. Non so perché ma avevo pensato che mi avrebbe costretta a partire senza neanche avere il tempo di prendere fiato. Forse perché la prima volta era successo qualcosa del genere. «Riposati una sera, una settimana, fai come vuoi. Ci vuole tempo per far evolvere un Pokémon e qualche giorno non cambierà le cose. Tienilo con te per un po' e poi portalo nell'habitat dei suoi simili, forse lì crescerà più in fretta.»
Corrugai la fronte. «Il suo... habitat?» dovevo davvero arrivare fino a Sciroccopoli e andare fino a dove si trovavano i Caterpie? «Fin laggiù?»
«Il Bosco Girandola non è così lontano.» osservò lei, e io mi ritrovai di nuovo confusa. «Ci sono Pokémon Coleottero anche lì. Andrà benissimo, vedrai. Di solito in ambienti simili al loro habitat si sentono al sicuro.»
Guardai il Caterpie sonnecchiare tra le mie braccia. «Perché io?» mi stupii quando la mia stessa voce mi arrivò alle orecchie: non avevo mai avuto intenzione di dirlo ad alta voce. E, soprattutto, non in tono così lamentoso!
«Perché,» scandì la professoressa, alzando finalmente lo sguardo su di me, con una certa vena di rabbia nella voce e, anche se non sembrava che fosse diretta a me, mi fece rabbrividire ugualmente. «Komor se l'è svignata.» tornò a scrivere i suoi appunti. «Belle mi serve e tu non hai niente da fare, giusto? Sei l'eroe di Unima, nonché nuova Campionessa, non ti è rimasto molto da fare in questa regione. Puoi allenare un piccolo Caterpie per me, vero? Com'è successo col tuo Tepig.» sfiorai per istinto la Pokéball di Emboar che si trovava sul tavolo di fronte a me.
Sospirai: e mandai giù la risposta ironica che avevo sulla punta della lingua. «Signorsì!» risposi, portandomi via il mio nuovo Pokémon e la sua Pokéball.
«Ci vediamo, Touko!» mi salutò Belle, sistemando le sfere, che prima le occupavano le mani, in un armadietto. Mi salutarono anche i due professori Aralia e – finalmente – potei entrare in casa mia, sperando di non essere interrotta da qualcun altro.

«Bentornata.» mi fece mia madre, e mi suonò alquato ironica. Sorrisi: se l'aspettava quasi quasi anche lei un'altra interruzione. «Stavo per chiamare la polizia, pensavo che la professoressa Aralia ti avesse rinchiuso in qualche strana macchina per studiarti.» rabbrividii al pensiero che i miei poveri Pokémon stavano – probabilmente – per subirlo davvero quel destino.
«L'ho evitato per poco.» scherzai, non del tutto sicura che non ne sarebbe stata capace. «Però, ti ho portato un verme.» alzai il Caterpie in modo che potesse vederlo bene. Corrugò la fronte, forse disgustata, io comunque avevo cominciato a trovarlo carino. Il fascino di un Pokémon che dorme tra le tue braccia non può essere sconfitto.
«Vuoi posare quel coso e venire ad abbracciarmi o devo aspettare ancora per molto?» mi chiese, con le mani sui fianchi, con una voce scherzosamente autorevole. Posai il piccolo sul divano, con grande disapprovazione da parte di mia madre, che non era più abituata ad avere Pokémon per casa, e mi buttai tra le sue braccia. «Finalmente sei tornata, bambina mia.»
La strinsi forte e solo allora mi accorsi quanto mi era mancata. «Esatto!» esclamai, sorridendo. Stavo per aggiungere che non me ne sarei andata per un bel po', che avevo bisogno di un po' di vacanze, ma poi mi ricordai di ciò che era entrato in casa con me e che ora dormiva beato sul divano. «E non resterò a lungo.»
Lei mi sorrise come se se lo aspettasse. «Oh, lo so.» mi chiesi se avesse avuto un qualche genere di oggetto per prevedere il futuro. «Voi giovani Allenatori non state mai a casa a lungo e quando quel Caterpie ha varcato la soglia insieme a te, qualcosa mi ha detto che saresti ripartita presto.» mi lasciò andare e mi guardò come qualcuno che la sapeva lunga. «E poi c'è anche un altro motivo, no?»
Ero sconvolta: aspettavo che mi rivelasse qualche altra cosa sul mio futuro, perché lei sembrava saperne più di me sulle mie stesse intenzioni. «Che stai dicendo?»
«Non mi dirai che non ne sai niente.» aveva un sopracciglio inarcato e le braccia conserte: okay, non mi credeva, nemmeno un po'. Solo che io non avevo fatto niente. «Un bel ragazzo si presenta alla mia porta chiedendo di te, e tu non ne sai niente?»
Il mio stomaco ribollì. «Bel ragazzo?» chiesi, mentre il mio sguardo vagava per la stanza, come se improvvisamente potessi trovarmelo davanti. «Capelli lunghi, cappello nero, occhi verdi, alto e...»
«Niente capelli lunghi.» rimasi per un momento delusa dall'osservazione: aveva tagliato i capelli? «Pei il resto è come hai detto. Chi è?»
Come spiegarle chi era N? «Un mio amico.» lei inclinò la testa, socchiudendo gli occhi. «Mamma!» la bloccai, prima che potesse dire qualcosa. «L'ho conosciuto durante il mio primo viaggio, ma poi lui se n'è andato chissà dove, non ho più avuto sue notizie. Lui ha l'altro drago leggendario, magari voleva chiedermi qualcosa a proposito del mio.»
Lei represse visibilmente un sorriso. «Ne sono sicura.» e si capiva che non lo era affatto.
«Perché vedi sempre le cose che non ci sono?» mi chiesi perché ero così decisa a dimostrarle che aveva torto. Lui era andato via, chi era per pretendere che lo aspettassi per tutto quel tempo? Era passato parecchio e anche se avevo avuto una cotta per lui, era passata nel momento in cui avevo capito che era stato tutto tempo sprecato. Questo era quello che mi ero detta quando avevo deciso che non sarei stata male perché era andato a farsi una vita vera. Comunque, non riuscivo a capire cosa potesse volere, ora. «Non è che solo perché è un ragazzo allora è l'amore della mia vita. Anche Komor lo è.»
«Sì, ma Komor è diverso.» spiegò lei, facendo una smorfia di frustrazione, probabilmente perché non riusciva a dire le cose chiaramente. O almeno abbastanza perché anche io potessi capire. «Ho parlato un po' con questo ragazzo. Komor parla di te come se tu fossi la sua sorellina, ma lui... beh, lui no. Quando gli ho chiesto come vi siete conosciuti, ha cominciato a parlare e non si è più fermato. Aveva qualcosa... beh, quel qualcosa che Komor non ha.»
Arrossii. «Ci hai parlato?» mi nascosi il volto tra le mani: e io che volevo farle credere che non ci avevo avuto molto a che fare!
«Gli è molto dispiaciuto che tu non ci fossi.» proseguì lei, sorridendo. «Mi ha detto di dirti che si sente in colpa per quello che è successo tra voi.» mi lanciò un'occhiata eloquente. «Ma non si è spiegato oltre, cosa dovrei supporre?»
«Ti ha raccontato tutta la storia?» chiesti, sbuffando. «Eravamo i due 'attori protagonisti' per la fiction “Eroi di Unima: ventunesimo secolo" e ci siamo fatti la guerra praticamente per tutto il viaggio. Io l'ho sconfitto e ho fatto arrestare suo padre, non eravamo esattamente migliori amici. Era un tipo strano, un po' contorto ed è sparito senza dire praticamente niente, tranne:» mi schiarii la gola e tentai di imitare il suo tono di voce, per come lo ricordavo. «Realizza il tuo sogno, Touko, fa' che diventi la tua strada... qualcosa del genere.»
«Non credo che la cosa fosse così brutale come la dipingi, non è vero?» chiese lei. «Perché lui sembrava tenere a te.»
«Eravamo un po' amici un po' nemici. Nessuno dei due ci ha mai capito niente.» risposi. «Siamo stati un po' trascinati dagli eventi, un po' dalle ambizioni personali. Non combaciavano e abbiamo finito per combattere.» presi un respiro e decisi di fare la domanda. Tanto lo sapevo che lei si aspettava che la facessi. Mia madre sembrava essere Babbo Natale certe volte. «Dov'è lui, ora? Vorrei parlarci.»
«Ha detto che non sapeva se sarebbe stato ancora a Unima quando saresti tornata.» mi rispose lei e io la guardai stupita. «Sì, gli ho chiesto dove sarebbe andato, visto che pensavo che tu volessi saperlo. Ma non sembrava sicuro nemmeno lui, però ha anche detto di dirti che ha imparato molto durante il suo viaggio e che ha capito.»
«Capito... cosa?»
«Non lo so.»
Scossi la testa: per sapere qualcosa di più avrei dovuto trovarlo, ma era impossibile. E la cosa che più mi faceva arrabbiare era che si fosse presentato proprio quando io non c'ero. Bene. «Vado a farmi una doccia.» dissi, sbuffando e dirigendomi al piano di sopra.
«Vuoi niente di particolare per cena?»
«Qualunque cosa andrà bene.» risposi, prendendo il Caterpie. «Lo chiamerò... lo chiamerò... Robert. Bel nome, non trovi?»
«Se lo dici tu...» mi sorrise e mi spinse su per le scale, dicendo di fare in fretta a lavarmi o la cena sarebbe diventata troppo fredda, per quando avrei finito.

Just one chance
Just one breath
Just in case there's just one left
'Cause you know,
you know, you know


«Che ne dici, Zekrom?» chiese N al Pokémon su cui stava volando. Il ragazzo sentì come se il drago gli stesse rivolgendo la propria attenzione. «Ce ne andiamo a Sinnoh a cercarla?» per tutta risposta, Zekrom emise una serie di grugniti. «Giusto...» non poteva andarci sul suo Pokémon, dato che non era un posto che aveva già visitato. E cercare qualcuno per un'intera regione non era qualcosa di semplice, l'aveva già sperimentato. Zekrom continuò a parlargli, e N corrugò la fronte quando lui gli chiese perché hai così tanta fretta di trovarla?
«Un punto per te, amico mio...» commentò N, sorridendo e appoggiando la schiena contro quella del drago. Si tenne il cappello con una mano per non farlo volare via. «Ma se cominciassi a spiegartelo ci metterei secoli.» il Pokémon parve lamentarsi. «Sono certo che lo capiresti, lo so... sono io che ci metterei troppo a spiegarlo. La voglio vedere per almeno un milione di ragioni.» e non era del tutto certo di volerle condividere a voce alta. Una volta, forse, l'avrebbe fatto, ma adesso le cose erano un po' diverse.
Vuoi sfidarla per una lotta con i Pokémon? Chiese il drago dopo qualche minuto di silenzio.
«Credo proprio che tu abbia appena indovinato una delle principali ragioni, Zekrom.» rispose il ragazzo, dandogli una pacca sulla schiena. «Devo sapere se sono migliorato e devo farle delle domande, soprattutto per quanto riguarda i vecchi proseliti di mio padre.»
Sei sicuro di voler sapere queste cose?
«No.» ammise lui, e si sorprese di quanto Zekrom lo conoscesse. «Ma ci sono cose che vanno sapute, anche se non ci piacciono. Ho scoperto che la verità, per quanto brutale, è mille volte migliore di una bella menzogna. Ho vissuto tutta la vita in una bella menzogna, ho bisogno di risposte, di risposte vere.»
Vuoi vedere lei perché sai che non ti mentirebbe nemmeno se sapesse che la verità potrebbe non piacerti?
N sorrise. «Anche.» voleva solo un'occasione, un attimo di tempo per vederla e per parlarle, doveva sapere, dimostrare a se stesso di essere cambiato.
Ti diverti a fare il misterioso con me?
«Ricordati che sei l'unico con cui posso farlo, ogni tanto.»
Quindi vuoi vederla perché ti senti solo.
«Non sono solo.» gli ricordò, ma la sua affermazione lo mise in agitazione. «E smettila di psicanalizzarmi. Sei un mio amico, non il mio dottore.»
Lo sentì emettere uno sbuffo, come se avesse voluto ridere. Ho ragione.
«Avan–» si bloccò, vedendo qualcosa muoversi a una strana andatura e velocità. «Che cos'è?»
Zekrom spostò lo sguardo in quella direzione. Non ho mai visto un Pokémon del genere muoversi a quella velocità. N si limitò ad annuire. «Scendiamo per vedere che succede.» e il drago ubbidì.

That I love you
I have loved you all along
And I miss you
Been far away for far too long


Quando misi piede a Zefiropoli, Robert mi camminava ancora di fianco. Aveva rifiutato più e più volte di rientrare nella sua Sfera Poké e ogni notte insisteva per dormire nel sacco a pelo insieme a me. Era irritante avercelo intorno, soprattutto quando non lo vedevo più e mi mancava il respiro a pensare di averlo perso definitivamente.
«Rob,» dissi, fermandomi. Il Pokémon mi guardò, interessato. «davvero non vuoi rientrare nella Pokéball?» il suo sguardo si trasformò: l'interesse divenne accusa, come se gli avessi appena detto che avrei fatto spezzatino di Caterpie per cena. «Perfetto, ho capito, non menzionerò più quell'affare. Hai la mia parola. Hai bisogno dell'infermiera Joy?» lui per tutta risposta mi saltò in braccio e tentò di leccarmi la faccia. «Rob, no! Rob, no!» caddi di schiena cercando di evitare le leccate del Caterpie, ma senza nessun successo. «È sempre un piacere quando mi dai retta, Robby.» mi tirai su, togliendomi dalla faccia la la sua dimostrazione d'affetto bavosa, e passai un braccio intorno al Caterpie, con l'intenzione di dirigermi verso il Centro Pokémon.
Era più pieno di quanto avessi mai osato immaginare. Zefiropoli era una città minuscola, più grande di Soffiolieve, certo, ma pur sempre minuscola, contentente circa cinquanta abitanti che, a quanto pareva, si erano tutti riuniti al Centro. «Che succede?» domandai a una vecchietta. A pochi passi da lei, un ragazzino, forse sui dieci anni e, a quanto pareva, al suo primo viaggio, si guardava intorno, ma non sembrava affatto spaventato o agitato. Aveva con sé un Charmender – che ero sicura si trovassero solo a Kanto. Rob cominciò a tremare tra le mie braccia e si premette contro di me, quasi avesse voluto nascondersi tra le mie costole. «Povero piccolo...» dissi, accarezzandogli la testa: a volte era così... tenero! I Pokémon di fuoco gli facevano paura, ma – su questo non avevo dubbi – se avesse dovuto proteggermi, li avrebbe affrontati.
La vecchietta mi fece segno di avvicinarmi. «Un Pokémon molto grosso ha coperto il sole per un attimo.» in un altro momento quella constatazione non mi avrebbe fatto né caldo né freddo, qualunque Pokémon di qualunque dimensione avrebbe potuto essere sbaragliato dalla mia fortissima squadra. Il grosso, gigantesco, enorme problema era che i miei adorati erano dalla professoressa Aralia e non potevano aiutarmi, avevo solo Rob, ma era piccolo – nonostante fosse cresciuto un po' da quando eravamo partiti, qualche giorno prima – e non potevo pretendere che si battesse con qualche strano Pokémon. Oltretutto, strava tremando come una foglia alla vista di un Charmender. Povero.
«Rob, tranquillo...» cercai di tranquillizzarlo, dandogli delle pacche gentili. «Non ti farà niente.» mi rivolsi di nuovo alla vecchietta. «Che cosa ha coperto il sole?»
«Sembrava un gigantesco lucertolone proveniente dagli Inferi.» mosse le mani come se avesse dovuto indicarmi una schiera di diavoli in fila lungo il muro. O era terrorizzata, o amava le commedie. «E sembra che stia venendo proprio da questa parte.»
Ma che fortuna, pensai, con ironia. Se era un altro Pokémon Leggendario di Unima, ormai era andato, anche se l'avessi incontrato. Non c'era possibilità di catturarlo senza indebolirlo. «Perché? Zefiropoli che ha di particolare?»
«Di recente è stato trovato un teschio strano. L'hanno portato qui ma... non sanno di che tipo di Pokémon sia.»
Questo era molto interessante. «Davvero?»
«No.» intervenne il bambino, accarezzando la testa del suo Charmender. «La parte del sole oscurato è vera, ma non sappiamo se fosse un Pokémon, era troppo distante. Per il resto, mia nonna ha una grande fantasia.»
«Guastafeste.» borbottò lei, tornando a sedersi su una delle poltroncine vicino all'entrata. Rimasi delusa: i fossili mi ineressavano molto, dal momento che erano di Pokémon esinti da secoli. Peccato.
«Ti va una lotta, per ammazzare il tempo?» domandò il bimbo, con aria di sfida. Io a dieci anni non ero così, mi dissi. Avevo iniziato il viaggio più tardi rispetto agli altri, perché mia madre e le mamme di Belle e Komor avevano preferito che studiassimo. Avevo diciassette anni e sfidare un bambino di dieci mi sembrava... impari.
«No.» risposi, infatti. Lui sembrò disapprovare.
«Non hai abbastanza fegato, forse?» mi girai verso di lui: il Campione di Unima che viene insultato da un poppante? Ma non esiste! «Certo, se hai solo uno stupido Caterpie non ti biasimo! Ho ricevuto questo Charmender da mio padre che è andato per lavoro a Kanto, nessuno qui a Unima ne ha uno.»
«Complimenti.» commentai, sarcastica, mordendomi subito dopo la lingua. Continuavo a ripetermi che aveva solo dieci anni. Lui non lo prese come un insulto e ghignò. «Aspetta qui solo un secondo, curo il Pokémon.» non riuscii a resistere. Rob mi guardò come se avessi appena firmato la sua condanna a morte e avessi promesso di torturarlo anche dopo l'eterno riposo. «Avanti, Robby, fai a pezzi quello stupido Charmender!» lo consegnai all'infermiera che me lo restituì qualche minuto dopo. Era davvero, ma davvero inquietante il modo in cui quelle donne si somigliavano tutte. «È il momento di scendere in campo, piccolo, fammi vedere che sai fare!»
«Allora non te la sei data a gambe.» quel bambino era fin troppo sveglio. Avrei dovuto fargli abbassare la cresta. «Vai, Charmender, tocca a te!»
«Coraggio, Rob, fagli vedere chi sei!» lui avanzò, e prima di girarsi e fronteggiare il nemico mi lanciò uno sguardo che mi fece stringere lo stomaco. «Usa Azione, Rob.» però, prima o poi avrebbe dovuto confrontarsi con qualche altra cosa piuttosto che uno stupido Purrloin o un Lillipup, doveva conquistarsi la dignità. Un Purrloin potevano batterlo davvero tutti.
«Braciere, Charmender!» gridò il bimbo. Rob venne preso di striscio dalle fiamme, ma si guardò una zampina bruciacchiata con orrore. Guardò me subito dopo e, se l'avessi creduto possibile, avrei giurato che aveva cominciato a scuotere la testa. Si diresse come un fulmine all'uscita e scomparve dalla mia vista.
«Rob!» gridai, partendo all'inseguimento del mio piccolino. Il bambino scoppiò a ridere e io lo fulminai con lo sguardo. «Oh, sta' zitto!» spostai la gente che si era accalcata davanti all'entrata dicendomi che uscire era pericoloso – finché non avessero capito cos'aveva oscurato il sole –, e uscii. Caterpie non si vedeva più. «Robert, Robert è pericoloso, vieni qui! Bob, dove sei?»
Mi avviai verso il museo, da lì la strada si vedeva molto bene. «Robby!» lo chiamai di nuovo. Ero disperata, non sapevo da che parte andare: dovevo tornare indietro o andare avanti? Mi sedetti davanti al museo, finché le parole della professoressa non mi rimbombarono in testa: Di solito in ambienti simili al loro habitat si sentono al sicuro. «Il Bosco Girandola!»

Corsi a perdifiato, per strada non c'era nessuno, e mi infilai tra gli alberi, gridando il nome del mio piccolino. Non potevo assolutamente sopportare l'idea di averlo perso: che camminasse al mio fianco quanto voleva, col rischio di pestarlo, avrei fatto più attenzione. Volevo solo che tornasse da me. «Bobby! Rob!» gli avevo dato milioni di soprannomi, e lui aveva imparato a rispondere a tutti quanti in pochissimo tempo. No, non potevo averlo perso. Evitai la strada dritta: non sarebbe uscito dal bosco, se lì si sentiva al sicuro. «Robert! Robby!»
Sentii gli occhi bruciarmi per le lacrime, e più pensavo al nome del mio Caterpie, più la voglia di piangere aumentava. «Robby...» lo chiamai un'ultima volta prima di scoppiare a piangere. Anche il Bosco era deserto, per cui non mi preoccupai minimamente che qualcuno potesse sentirmi – e pensare a qualche strana bestia agonizzante – e non mi limitai: singhiozzai con quanto fiato avevo in gola. «Rob!»
Camminai per un altro po', ma non potevo vedere un palmo dal mio naso, visto che le lacrime mi annebbiavano la vista, sussurravo il nome del mio Pokémon e tiravo su col naso. Non potevo arrendermi, che razza di Allenatore sarei stata?
Dopo qualche altro minuto, sentii il suo inconfondibile verso: non c'erano Caterpie al Bosco Girandola, doveva essere per forza Robert. Mi asciugai gli occhi con la manica della maglietta. «Robert, sono io, dove sei, piccolino?» fece di nuovo il suo verso e iniziai a correre, col cuore che mi martellava nel petto: sperai che non fosse tra le grinfie di qualche Swaddlon, o Cottonee o li avrei mandati K.O. a mani nude.
«Robby!» quando entrò nel mio campo visivo stavo ancora piangendo, ma questa volta era per il sollievo. Non c'erano Swaddlon o Cottonee in giro, ma la zampina del mio Caterpie era guarita. «Stai bene, piccolino?» lui gorgogliò qualcosa e tornò indietro, lasciandomi spiazzata. «Ehi, Rob! Aspettami!» corsi per raggiungerlo e andai quasi a sbattere contro un albero per tenerlo d'occhio. «Dove vai?»
Saltò sulle gambe di qualcuno e si fece accarezzare la testolina. Davvero non mi aspettavo che ci fosse ancora qualcuno sano di mente che non si era rintanato nel Centro Pokémon di Zefiropoli. «Sei tornato.» commentò il ragazzo, mentre lui faceva rumorini di apprezzamento per le sue attenzioni.
«Scusami...» mi intromisi, tanto per far sapere che c'ero anche io. «Potrei riaverlo? Sono impazzita per cercarlo, dopo che è scappato via.» quando il ragazzo alzò lo sguardo mi mancò il respiro. Mi posai istintivamente una mano sullo stomaco che sembrava essersi chiuso come una cassaforte: avrei riconosciuto quegli occhi tra un milioni di altri, anche a venti passi di distanza, com'eravamo in quel momento. «Non posso crederci.» fu tutto quello che riuscii a dire.
Il suo sorriso parve illuminare lo spazio circostante. «Touko!» mi riconobbe subito. Erano passati due anni da quando lui era partito. «Che ci fai qui?»
Sorrisi: io ci abitavo lì, ma lui? Decisi di rimandare a dopo le domande. «Sono qui per lui.»
«Lei» mi corresse, come se fosse stato lui quello a non aver capito bene. Ma quale “lei"?
«No, per il mio Caterpie.» spiegai, indicando il mio Pokémon in braccio a lui. «Rob.»
N, ovviamente, non riuscì a trattenere una risata. «È una femmina.» mi disse, premendo le labbra le une contro le altre per smettere di ridere. Io distolsi lo sguardo, e solo dopo capii che mi aveva detto.
«Cosa? Aspetta... cosa, cosa, cosa?» mi avvicinai e quasi gli strappai Caterpie dalle mani. «Sei una femmina? E io... ti ho chiamata Robert?» lei mi guardò negli occhi come se non capisse che dicevo. Forse per loro un nome valeva l'altro, ma dovevo andare assolutamente dal Giudice Onomastico e restituirle la dignità. Povera piccola. Mi girai verso N che era ancora scosso dalle risate. «E dai, smettila!»
Si riprese qualche secondo dopo. «Scusami.» disse, scuotendo la testa, e allora li notai: i suoi bellissimi capelli brutalmente potati. «Ma è stato troppo divertente.»
«No,» lo corressi io, stavolta. «È stata una figuraccia, poverina...» per non parlare di quanto mi sentissi in imbarazzo io, per non aver pensato di controllare il sesso del mio piccolo amico... anzi, piccola amica, apparentemente. Mandai giù della saliva, pensando a qualcosa da dire, perché lui si limitava a fissarmi come se fossi stata qualcosa di particolarmente intrattenente. Avrei potuto chiedergli dell'incontro con mia madre, ma la mia lingua sembrava appiccicata al palato e la mia gola secca come un fiume nel deserto. Aiuto.
N prese un bel respiro. «Ci sono delle cose che vorrei chiederti.» mi disse, improvvisamente guardandomi negli occhi. Io arrossii. «È stata una fortuna esserci incontrati ora, stavo per andare via.»
Già, pensai con amarezza, tu vai sempre da qualche parte. Era meglio tenerlo per me, però. «Cosa volevi dirmi? Ho sentito che hai visto mia madre.» però potevo cogliere la palla al balzo.
Lui sorrise improvvisamente, e io decisi di sedermi, prima di cadere perché le mie gambe erano diventate incapaci di tenermi in posizione eretta. Lo guardai meglio: era cresciuto ed era diventato più... più... affascinante. Distolsi lo sguardo e lo posai su Caterpie, per non andare avanti con strani pensieri. Credevo che la mia cotta, per quanto stratosferica, fosse finita un bel po' di tempo fa. «Sì, è vero.» si ricordò lui. «Quando ci ho parlato ho capito da chi hai preso.»
«Lo sai,» cominciai, giocando con le zampine di... dovevo trovarle un nuovo nome. «ha detto la stessa cosa un poliziotto che è venuto a casa mia.»
Lui ridacchiò. «È una brutta cosa?» inclinò la testa da un lato e mi fece un sorrisetto. Io socchiusi gli occhi come a chiedergli che volesse.
«Avanti, spara.» lo incitai, per non cadere in qualche silenzio imbarazzante. «Cosa volevi chiedermi?»
Lui appoggiò la schiena al troncò dietro di sé, distendendo le gambe. «Un sacco di cose.» ammise, abbassando lo sguardo. «Non so proprio da dove cominciare.»
«Allora comincio io.» proposi, spinta dalla curiosità. Anche lui sembrava impaziente di sapere la mia domanda, dal modo in cui si girò a fissarmi. «Cos'hai capito?» quando mi accorsi che non aveva idea di cosa stessi parlando, mi spiegai meglio: «Hai detto a mia madre che “hai capito" durante il tuo viaggio. Cosa?»
«Qualcosina.» fu la sua ambigua risposta. Ridacchiò, quando lo guardai male. «Va bene. Ti spiego.» mi fece l'occhiolino e io distolsi ancora lo sguardo dal suo, per evitare che vedesse il rossore sulle mie guance. «Sai prima non sapevo molto sulle relazioni interpersonali. Potevi chiedermi qualunque altra cosa: botanica, chimica, matematica, Pokémon... ho sempre ricordato tutto quello che leggevo, anche una volta sola.» un vero genio, pensai con una punta di invidia, prima di ricordarmi che razza di infanzia aveva avuto. «Ma di come rapportarmi a qualcun altro... non sapevo niente. Sai, i ragazzi del Team Plasma non mi vedevano come un amico, ma come il loro capo e, anche se non avevo mai avuto un amico vero, capivo che non era lo stesso. E perfino con mio padre il rapporto non era.. beh, lo sai... non era dei migliori.» d'istinto gli strinsi una spalla e lui mi rispose con un mezzo sorriso. «Adesso è diverso, ho conosciuto un sacco di Allenatori, e ho visto che c'è tanta gente come te... o meglio, che la pensa come te e che riesce a farsi amare dai propri Pokémon.»
«N, è fantastico!» lo scossi un po' per l'euforia. «Hai degli amici.»
«Già...» rispose lui, sorridendo più apertamente. «Sembra strano, no?»
Gli strinsi la spalla un po' di più, rendendomi conto che, in fondo, mi piaceva ancora, esattamente come mi era piaciuto due anni fa. E che mi era mancato, anche troppo.

I keep dreaming you'll be with me
and you'll never go
Stop breathing if
I don't see you anymore


«Dai, non è vero.» mi lanciò uno sguardo a metà tra il divertito e l'irritato, e io strisi al petto il mio Caterpie – che avevo deciso di chiamare Joanna – perché non mi schizzasse il cuore fuori dalla gabbia toracica. Sarebbe stato uno spettacolo raccapricciante. «Non erano così male.»
«Sembravano dei salami.» fu il mio commento, come se la questione fosse chiusa lì. Ed era vero, c'era da ammetterlo: le divise del Team Plasma erano inguardabili. E ancora peggio erano conciati i Sette Saggi, ma lo tenni per me. D'accordo che N sembrava essere un po' più aperto mentalmente dell'ultima volta, ma se si era offeso per le tutine dei suoi sottoposti, figuriamoci per quelle dei Saggi. Poi mi venne un dubbio. «Non le avevi scelte tu, vero?» non ricordavo nemmeno di com'eravamo finiti a parlare delle divise, dato che eravamo partiti dall'arresto di suo padre e degli altri Saggi.
«No.» confermò, e io sospirai di sollievo. «Però ho sempre desiderato metterne una.» mi puntò un dito contro, con gli occhi ridotti a due fessure. «E non ti azzardare a ridere.»
Premetti le labbra così forte che, penso, sbiancarono. Non avevo intenzione di ridere per ciò che aveva desiderato, ma per come mi aveva detto di non farlo. Era meglio cambiare argomento, prima di offenderlo in qualche modo. «A proposito!» sollevai il mio Caterpie con così tanto slancio che per poco non glielo lanciai in faccia. Lui si fece indietro, infatti. «Non ti ho ringraziato per esserti preso cura di R... Jo.»
Lui tornò a sorridere e me lo prese dalle mani. «Non preoccuparti.» disse, toccando con il suo naso quello di Jo. «Aveva una zampetta bruciata, non potevo lasciarla così.» lo guardai, intenerita: avevo la tentazione di abbracciarlo fino a stritolarlo. Mi trattenni, ma solo per amor della decenza.
«C'è altro che... volevi chiedermi?» guardai Jo che emetteva un sacco di suoni di compiacimento per via delle coccole che stava ricevendo. Vidi N muoversi e cambiare posizione. Si appoggiò al petto Jo e cominciò a farle i grattini sulla schiena. Lei, per tutta risposta, fece qualcosa che somigliava pericolosamente alle fusa e chiuse gli occhi, rilassata. Io, invece, mi morsi l'interno di una guancia, provando qualcosa di brutalmente vicino all'invidia. Ero troppo stupida per raccontarlo in giro.
«Ora che ci penso... sì.» distolsi l'attenzione dal mio fortunatissimo Pokémon e la rivolsi a lui. Mi guardava in modo strano, e mi mossi a disagio sull'erba e cercai di pensare ai maialini volanti per calmare il battito furioso del mio cuore. Allontanò la schiena dal tronco e mosse il viso per incontrare i miei occhi. «Hai realizzato il tuo sogno, alla fine?» quando lo guardai confusa, data la vuotezza del mio cervello in quel momento, lui sorrise. «Hai detto di avere un sogno, quando sono andato via. L'hai realizzato?»
Arrossii, allontanandomi un po'. «Non lo so.» ammisi, riprendendomi Jo che sibilò perché contrariata dal mio gesto. Ma avevo bisogno di qualcuno da stringere. «Volevo diventare una grande Campionessa, ma...» il bruciore per la sconfitta era ancora troppo recente, e mi venne voglia di sotterrarmi per la vergogna. «non sono riuscita a vincere a Sinnoh.» lo guardai, non sapendo che aspettarmi dalla sua espressione. «Ora che ci penso, credo di averlo del tutto distrutto, quel sogno.»
«Mi dispiace...» fu il suo turno di darmi conforto, ma invece della spalla mi strinse la mano. Ebbi l'impulso di tirarla via, ma non lo feci per non ferirlo.
«Sono scappata, N, è questa la verità.» ormai era come se le parole le stessi vomitando. «Forse il sogno era una scusa, forse... non lo so. So solo che essere l'Eroe e tutto il resto... erano tutte responsabilità troppo grandi per me, ero solo una bambina. Sono una bambina.»
Lui mi rivolse un sorriso comprensivo. «Lo so, Touko.» alzai lo sguardo quando usò il mio nome, chiacchieravamo da un po', ma l'aveva usato solo per salutarmi. Rabbrividii e gli strinsi la mano più forte. «Ti capisco, anche io sono scappato.»
«Tu avevi un buon motivo.» lo interruppi, scuotendo la testa. «Il tuo mondo è crollato come un castello di carte, hai dovuto recuperare tutte le tue certezze, capire chi eri tu e chi erano gli altri per te. Ma io? Io sono stata solo una sciocca.»
«Non è vero.» mi contraddisse, e mi tirò a sé per abbracciarmi. Spostai Jo su un lato perché non finisse schiacciata tra noi due e mi beai del calore del suo abbraccio. «Lo sai cosa sogno io, ogni tanto?»
Scossi la testa. «Io ogni tanto sogno di essere felice.» risposi io. Lui appoggiò la testa sulla mia, ridacchiando.
«Anche io.» ammise, ma poi strinse la sua presa su di me, quando tentai di sciogliere l'abbraccio. «E spesso sogno te.» alzai la testa, sconvolta.
«Me?» lui annuì, in imbarazzo. Io gli misi le mani sulle spalle e mi allontanai un po': non potevo lasciarlo in quello stato per troppo, anche se era davvero carino. «Io, invece, ti ho sognato una volta sola.» stavo mentendo, ovviamente. Subito dopo che era sparito avevo continuato a sognarlo per giorni. Solo che dirlo suonava come una specie di persecuzione.
«Oh...» fu il suo commento, e mi parve anche piuttosto deluso. Sorrisi.
«Ho sognato che eri tornato,» decisi di dire la verità almeno su questo. «e che non saresti più andato via. Sembrava che mi si sarebbe mozzato il fiato se tu fossi scomparso di nuovo.»
«Oh...» ripeté, ma il suo tono deluso era completamente scomparso.

On my knees, I'll ask
Last chance for one last dance
'Cause with you, I'd withstand
All of hell to hold your hand


«C'è un'altra cosa che ho imparato.» si alzò improvvisamente, facendo un sorriso birichino che ebbe lo stesso effetto di una scarica elettrica. Mi alzai anche io, solo per l'urgenza di fare qualcosa che non fosse saltargli al collo.
«Cosa?» lo guardai in attesa e lui mi porse una mano, inginocchiandosi. Corrugai la fronte, confusa, prima di mettere la mia nella sua. Mi incitò muovendo le dita verso di sé e decisi di fidarmi. Mi avvicinò, alzandosi e mi passò una mano dietro la vita e per un attimo sembrò che volesse realizzare i miei desideri. «Cosa...» mi abbracciò stretta.
«Mi concedete questo ballo, signorina?» abbassai la testa ed emisi uno sbuffo divertito.
«Sei matto.» commentai, scuotendo la testa. Lui rise. «Io non so ballare. Ti pesterò sicuramente i piedi.»
«Sopporterò un po' di dolore,» rispose lui, alzandomi il viso verso il suo. «se serve a tenerti la mano.» e lì, si aprì una voragine nel mio stomaco e mi sentii come se stessi precipitando dalla cima del monte più alto del mondo.
«A vostro rischio e pericolo, mio re.» accettai, mentre lui mi rivolgeva un sorriso malizioso che mi fece temere che le mie viscere, dal vuoto senza fine che erano diventate, si fossero trasformate in Zebstrika imbizzarriti.
Io non sapevo nemmeno che genere di ballo avesse intenzione di fare insieme a me, ma non chiesi, tanto per me sarebbe stato lo stesso: o tango, o valzer o qualunque altro, per me erano sconosciuti in ogni caso. «Segui me.» era facile a parole, ma bisognava vedere se ne sarei stata in grado e, considerando la mia attitudine alla danza, ero piuttosto dubbiosa. Guardai i nostri piedi, non appena iniziò a muoversi, ma si stava facendo buio e non riuscivo a vedere bene. Quando urtai qualcosa, capii che la mia vittima non era una radice e nemmeno Jo che sonnecchiava poco distante da noi sull'erbetta.
«Scusa.» dissi fermandomi. «Non credo di essere adatta per questo genere di cose e...»
«Non ti preoccupare.» mi interruppe, stringendo la presa sulla mia vita. Non avevo nemmeno le scarpe adatte, i miei stivali probabilmente avevano fatto fuori il suo piede in modo brutale. «So che quand'è così la soluzione è solo una.»
«Smetterla?» ofrii io, quasi speranzosa, anche perché stare così avvinghiati avrebbe potuto crearmi degli scompensi mentali, che capitavano già senza che lui fosse presente.
«Questo non sarebbe divertente.» o imbarazzante, mi dissi silenziosamente. «Dai, sali sui miei.»
«No.» risposi, ancora prima di elaborare un pensiero coerente. «Non posso...» aggiunsi. Quando mi guardò come se volesse ulteriori spiegazioni, mi trattenni dallo sbuffare. «Sono pesante e sarebbe molto peggio che se ti pestassi il piede ogni tanto, non credi?»
«Avanti.» mi incitò, come se non avessi parlato. «È tutta una scusa per fare il maniaco, quindi non è un problema.»
Risi. «In questo caso...» cominciai, stando attenta a non fargli male. «Forse un po' di male ai piedi ti farà bene, magari il fatto di averli schiacciati ti impedirà di spostare le mani da dove dovrebbero stare.»
«Ne dubito.» rispose subito lui, sostenendomi con più forza. «È statisticamente improbabile che un ragazzo di diciannove anni possa tenere le mani a posto.»
«Sai,» dissi, mentre sistemavo anche l'altro piede e mi tenevo saldamente alle sue spalle per non cadere e rompermi qualche osso. «non credevo che avrei mai sentito nella stessa frase “maniaco"e “statisticamente", soprattutto da te.» lui mi guardò dubbioso, ma si vedeva che scherzava. «Pensavo fossi un bravo ragazzo.» mi finsi scandalizzata.
Iniziò a muoversi di nuovo, io ondeggiavo sui suoi piedi in modo pericoloso, ma lui fece in modo di non farmi cadere mai. «L'occasione, mia cara,» disse lui, semplicemente, posandomi a terra come se fossi stata leggera come una piuma. «fece l'uomo ladro.» abbassò la testa e mi baciò, e fu come se fossi andata in sovraccarico di qualcosa: la mia mente fece black out, diventò una grossa nuvola rosa. Non riuscivo a connettere il cervello in modo decente, sapevo solo che le labbra di N erano appiccicate alle mie. E la mia coscienza del mondo si fermava lì.
Quando si allontanò da me, ridacchiava. «Comunque,» cominciò, mordendosi il labbro inferiore, non sapevo se per non ridere o per via di quello che era appena accaduto. «avevi ragione: sei davvero pesante.»
Bastardo.

I'd give it all
I'd give for us
Give anything but I won't give up
'Cause you know,
you know, you know
That I love you
I have loved you all along
And I miss you
Been far away for far too long


«Comunque,» dissi io, dopo qualche minuto di silenzio. «devi ancora spiegarmi chi ti ha insegnato a ballare.»
Lui inclinò la testa da un lato. «Confido che questa sia una di quelle storie che non sentirai mai, invece.» e questa sola frase bastò a moltiplicare la mia curiosità a riguardo. «Sai com'è... una di quelle cose che sono successe ma che si fa finta che non siano mai accadute.»
«Oh, beh,» iniziai io, sistemandomi meglio contro l'albero dietro di me. «non avresti dovuto dirmelo, allora. Quando non vuoi parlare di una cosa è meglio che ti inventi una balla, piuttosto che far sapere agli altri che non vuoi dirlo. Li spingi a insistere.»
«D'accordo.» sembrò cedere lui. «In realtà, la scommessa era o andare a ballare in una specie di discoteca oppure fare una settimana in una spiagga per nudisti, tutti maschi ovviamente. Quale ho scelto, ormai, è oscenamente evidente.» e mi fece l'occhiolino. Evitai di pensare a cos'era successo poi, e mi concentrai sul nostro discorso.
«Davvero?» non so se ero più sorpresa o contenta dell'idea che non avesse scelto la spiaggia.
«No.» mi rivolse l'ennesimo sorriso birichino quando lo guardai male.
«Perché cavolo mi hai detto una balla?»
Fu il suo turno quello di sembrare confuso. «Sei stata tu a dirmi di inventarne una se non voglio dire la verità.» socchiuse gli occhi, come se avesse voluto sfidarmi a contraddirlo. «Mi sbaglio?»
Feci una smorfia. «Certo che no.» concessi, sentendomi offesa. «Ma non sapevo che fossi un grande attore di teatro.»
Nei suoi occhi brillò una scintilla maliziosa e il mio stomaco si contorse. «Vuoi sapere com'è che sono diventato così bravo?»
Avrei dovuto strozzarlo. Era una specie di compito divino che non poteva non essere eseguito. «No.»
«Che peccato. Questa storia avrei anche potuto decidere di raccontarla.»
«Davvero?» era più una speranza, dato che era quasi evidente dal suo tono di voce che non voleva farlo seriamente.
Lui non smise di sorridere ma inarcò un sopracciglio, senza rispondere. Io gli feci la linguaccia e rivolsi la mia attenzione a Jo, che stava mangiucchiando una foglia secca. Era così carina! «Mi sei mancata. Mi è mancato parlare con te.»
Mi domandai se l'avessi sentito per davvero o se era uno scherzo della mia mente, martoriata dai postumi del bacio di quel disonesto, maledettissimo ragazzo. Poi mi resi conto che la nostra discussione era stata all'insegna della presa in giro, almeno da parte sua, negli ultimi dieci minuti. «Cos'è un'altra balla perché non vuoi raccontarmi degli aneddoti potenzialmente imbarazzanti che potrei ritorcerti contro al momento meno opportuno – per te?» non ero arrabbiata, forse per via di quella frase che mi aveva ammorbidita un po'.
«No.» confermò lui. «È che ho avuto modo di pensare durante il tempo in cui sono stato via.»
Ghignai. «Tra un nudista e l'altro, vuoi dire.» lui chinò il capo da un lato, come se mi stesse dando ragione. «Allora, a cosa hai pensato?» lo vidi dubbioso su cosa dire, a volte sembrava che stesse per parlare ma poi non lo faceva. Allungai una mano in avanti. «Aspetta, aspetta,» dissi, mentre il battito del mio cuore si faceva di nuovo improvvisamente udibile alle mie orecchie. «non stai per dirmi che... mi ami, vero?»
Lui sorrise e gli Zebstrika tornarono. «No.» era irritante ricevere sempre la stessa risposta, soprattutto se erano tutte domande per cui non la volevo sentire. «Stavo pensando a qualcosa per farti dire “davvero?" e rispondere “no", per farti arrabbiare un altro po' e smaltire l'imbarazzo, ma questa è sicuramente meglio, specialmente data la tua faccia.» rise.
Distolsi lo sguardo, mentre sentivo chiaramente le guance bruciare. Ringraziai che fosse buio, anche se potevo scommettere che se n'era accorto. «D'accordo,» concessi, sbuffando. «me lo merito.» lui mi diede un pizzicotto su una guancia e poi si stese sull'erba. «Sul serio ti sono mancata?»
«Vuoi davvero che ti risponda?» mi guardò con un sopracciglio inarcato.
«Sì.» confermai. Insomma, non potevo certo essere l'unica a marcire nel disagio!
«Sì.»
«"Sì", cosa? “Sì, rispondo" o “Sì, mi sei mancata sul serio"?» lui ridacchiò, non appena finii di parlare.
«Non lo sapremo mai.»
«E dai!» protestai, ma lui non aveva nessuna intenzione di chiarire i miei dubbi.

I keep dreaming you'll be with me
and you'll never go
Stop breathing if
I don't see you anymore
So far away
Been far away for far too long
So far away
Been far away for far too long


«Allora,» dissi, mettendomi il mio Caterpie sulle ginocchia. «Dove andrai, stavolta?» perché lo sapevo che sarebbe ripartito, non solo perché aveva detto di averne intenzione, lui era semplicemente il tipo che non si ferma mai.
«Non lo so.» ammise, pensieroso, prendendo la Ball contenente Zekrom. «Ci devo pensare un po'.»
«Posso chiederti dove sei stato,» cominciai, fissandomi le unghie con attenzione. «oppure è un'altra informazione taboo?»
Lui rise. «Non erano informazioni taboo.» chiarì, scuotendo la testa. «Sul serio non è niente di interessante, niente per cui prendersela, almeno.»
«Non me la sono presa.» assicurai, ma in realtà mi fece piacere che l'avesse notato. «Allora, dove sei stato?»
«Dopo che sono uscito dalla torre sono andato a Intramondo.» raccontò, con lo sguardo perso nel vuoto. «Avevo bisogno di andare in un posto lontano, e alla fine mi sono combinato nella regione di Jotho, fin troppo lontano.»
«E...» tentai, non sapendo bene come porre la domanda. Insomma, lui era stato via due anni, che ne sapevo di cosa poteva essere successo? «c'erano... ragazze?» la mia gelosia era del tutto ingiustificata, dal momento che, durante il nostro primo viaggio, nessuno dei due aveva mai fatto una mossa per far capire all'altro che c'era – se c'era – qualcosa di più che disaccordo riguardo i Pokémon e rivalità.
«Scherzi?» mi fece lui, quasi scandalizzato. «Non ci sono ragazze a Jotho, non hai visto il cartello a Intramondo “Vietato alle donne"? È tutt'oggi un mistero come possano continuare a nascere bambini, e, oltretutto, rigorosamente maschi.» stavolta lo picchiai sul serio. Una misera botta sul braccio, d'accordo, ma mi diede comunque una certa soddisfazione.
«Sei un bue.» dissi soltanto.
«Avanti, questa me l'hai proprio voluta far dire.» si difese lui, massaggiandosi il braccio. Sapevo che non poteva fargli così male, perciò pensai che volesse impietosirmi. Non accadde. «Ti ho detto che ti ho sognata spesso.» mi ricordò e io arrossii. «E con tutti quei nudisti, come diamine facevo a correre dietro alle ragazze?»
«Sei un maniaco, l'hai detto tu.» gli feci notare.
«Sì,» rispose lui, ma non sembrava proprio convinto. «ma sono anche un bravo ragazzo,» mi concesse lo sguardo più innocente del suo repertorio. «l'hai detto tu.»
«Io ho detto che credevo che tu lo fossi.» puntualizzai. «E poi non sei stato tu a dirmi che è l'occasione a fare l'uomo ladro?»
«Sì,» ammise lui, ma non sembrava avere intenzione di darmi ragione sull'argomento. «ma solo se riguarda te.»
«Parli sul serio?» non sapevo se dovevo sentirmi lusingata o meno.
«Mmm...» fu quello che dovetti accettare come risposta, insieme all'ennesimo sorriso malizioso. Mi chiesi se significasse qualcosa il fatto che non avesse risposto “No."

But you know, you know, you know
I wanted, I wanted you to stay
'Cause I needed
I need to hear you say
I love you
I have loved you all along
And I forgive you
For being away for far too long


«Si è fatto davvero tardi.» notò N, guardando il cielo che ormai si era quasi totalmente oscurato. «Dev'essere ora di cena.» per tutta risposta, il mio stomaco brontolò.
«Come non detto...» arrosii io, mettendomi una mano sulla pancia. «È proprio ora di andare, non è così?» non volevo proprio salutarlo di nuovo, soprattutto perché non avevo la minima idea di quanto sarebbe stato via. Sapevo bene che non avevo alcun diritto di fermarlo o sentirmi offesa per questo, ma c'era la stessa sensazione di... mancanza che avevo avuto per tanto tempo, dal nostro ultimo incontro alla Lega Pokémon.
Lui mi rivolse mezzo sorriso. «Così sembrerebbe.» sospirò, ma nessuno dei due sembrava aver voglia di muoversi.
Pensai di prendere l'iniziativa, tanto che avevo mai da perdere? «Ti andrebbe di accompagnarmi ad Austropoli?»
«Cosa?»
«Uffa! Hai capito bene.» risposi, scocciata. «Qui a Zefiropoli sembrano tutti impazziti dopo che hanno visto Zekrom, e non ci sono parecchi posti dove trovare un letto per dormirci.»
«Accidenti...» imprecò lui, sottovoce. «Non ci ho pensato prima di scendere di quota...»
«Perché mai hai scelto un posto del genere?»
«Ho visto Rob che correva come un fulmine.» mi spiegò, lanciando un'occhiata al mio Pokémon. «Insolito per un Caterpie.»
«Jo» lo corressi io. «Ad Austropoli c'è anche il Giudice Onomastico, così potrò cambiarle nome. Non è una grossa deviazione e poi è notte. Non si sa mai che potrebbe succedermi, sono senza Pokémon, ricordatelo.»
«Il ponte Frecciadiluce è pieno di criminali, è risaputo.» commentò con ironia.
«Come hai detto tu prima,» feci io, alzando entrambe le sopracciglia e assumendo un'espressione di superiorità. «è tutta una scusa per fare la maniaca.»
«Giustamente, ora è il tuo turno.» si alzò e mi tese una mano che io presi subito dopo aver agguantato Jo. Mi mise una mano su un fianco per non farci sbilanciare, e continuò: «Sono tutto tuo.»
«Tutta questa consensualità potrebbe farmici ripensare.» osservai, con finto disappunto.
Lui sembrò farsi più interessato. «Devo mettermi a strillare come una donnetta?» domandò. «Non posso assicurare nulla sulla buona riuscita dell'urlo, ma posso sempre provare.»
«Già... perché limitarsi?» lui non rispose ma sorrise.
«Avanti, madmoiselle, prima che arrivi qualche malfattore ad attentare alla vostra virtù.» mi trascinò verso la strada senza lasciarmi la mano.

«Posso farti una domanda?» chiesi, mentre attraversavamo il ponte. Tutto era silenzioso, non c'era nessuno e non passavano nemmeno delle macchine, sotto i nostri piedi.
«Abbiamo passato il pomeriggio a farci domande.» fu la sua risposta.
Mi trattenni dal dirgli che non c'era bisogno di puntualizzare sempre tutto. «Come mai sei voluto andare via da Unima?»
«Perché ero un ragazzino.» disse, guardando il cielo. «Perché non sapevo dove andare e perché non c'era nessun motivo per cui avrei dovuto restare qui.»
«Ma qui c'è casa tua.» osservai.
«Casa?» domandò, in tono retorico. «Non ho mai potuto chiamare casa quello stupido castello. Sono andato via perché non era rimasto nessuno... cioè, non c'è mai stato nessuno che mi amasse. Ho scelto Jotho perché sapevo che mio padre aveva... offerto, per così dire, lì a mia madre un soggiorno.»
«Oh... è l'hai trovata?» quando lui scosse la testa, mi sembrò completamente scoraggiato. Decisi di dirgli qualcosa di – speravo, almeno – confortante. «Io volevo che tu restassi.»
«Davvero?»
Non era il caso di fare dello spirito e ripagarlo con la stessa moneta, quindi optai per la verità. «Beh.. a modo mio, ti volevo bene.» mi schiarii la voce. «Ti ho... sempre voluto bene.»
«Quindi sono perdonato?» chiese, con un sorrisetto sulle labbra.
«Perdonato? Per essere stato via anche troppo tempo?» era una domanda retorica. «Non credo ci sia qualcosa da perdonare, in fondo. Non avevamo firmato qualche contratto, ognuno fa le scelte che vuole.» ci avevo messo mesi per capirlo, ma alla fine l'avevo accettato. «Ci sono delle cose che non possiamo evitare di fare. Credo che il tuo viaggio sia una di quelle.»
«E non è ancora finito.»
Io annuii. «Lo so.» dissi, mentre scendevamo le scale verso Austropoli. «Non è finito per nessuno dei due.»
«Tornerai a Sinnoh?»
«No.» scossi la testa. «Non credo proprio. Adesso, poi, ho da fare con Jo e non voglio che mia madre resti sola per tanto tempo. Quando sono tornata a casa... ho capito. Lei è sempre stata sola da quando me ne sono andata. Ha praticamente... vissuto per me. Non posso abbandonarla subito, per tanto tempo.»
«Capisco.» rispose lui, mesto. Io alzai la testa per guardarlo, mentre ancora mi stringeva la mano. «Quindi non c'è nessuna possibilità che tu venga con me?»
Negai, di nuovo, con la testa. «Se mio padre fosse ancora vivo, lo farei senza pensarci due volte. Ma, purtroppo, non posso. Io amo viaggiare.» presi un bel respiro. «E viaggiare con te si prospetta interessante, prese in giro comprese.»
Lui sorrise, un po' colpevole. «Mi dispiace per quello...» tentò di dire.
«Non ci provare.» lo interruppi subito. «Ti sei divertito un mondo, ammettilo.»
Lui increspò le labbra. «D'accordo. È vero.» ammise. «Era solo per gentilezza.»
«Certo. Gentilezza.» lo presi in giro io. «Sei diventato davvero un ragazzaccio.»
Lui mise su l'espressione di quello che non può farci più niente, ormai. «Ancora non mi hai spiegato come hai intenzione di abusare di me.» mi ricordò. «Mi sbaglio, o la ragazzaccia, tra i due, sei tu?»
«Non ho mai cercato di dare l'impressione del contrario.» mi difesi. «Sono finita a diventare l'Eroina di Unima coattivamente.»
«Naturalmente.» commentò lui, sospirando in modo teatrale. «Ma stai svicolando la domanda principale.»
«La verità è che sto prendendo tempo per pensarci.» scherzai io, dandogli uno strattone al braccio. «Non mettermi fretta. Intanto ti va un Conostropoli?»
«Perché no?»

«Hai deciso se tornerai mai a Unima dopo essere ripartito?» lo chiesi giusto per non farmi false speranze a riguardo. «Non lo so.» rispose lui. Perlomeno, era sincero.
«Ma... vorresti?»
«Cosa devo fare con te?» chiese, non so se più a me o a se stesso, scuotendo la testa. «Mi fai quasi sempre domande a cui non so rispondere.»
Abbassai lo sguardo sul mio cono gelato. Jo era a dormire in una stanza che avevo trovato in un palazzo qualche metro più avanti rispetto alla bancarella dei coni insieme alla mia borsa perché capisse che sarei tornata. «Scusa.»
«Non mi stavo lamentando.» chiarì lui, che aveva quasi finito il suo gelato.
«Oh...» commentai, senza sapere che altro dire. Decisi che era meglio cambiare argomento, se non volevamo marcire nel silenzio finché non se ne fosse andato. «Come sta Zekrom?»
«Bene, credo.» rispose lui, io lo guardai, confusa. «Adesso si finge un po' un esperto di problemi di ogni genere, da quelli di stomaco a quelli di testa. Gli piace prendermi in giro.»
«Chissà da chi ha imparato.» commentai, immergendomi nel mio gelato. N si limitò a ridacchiare. «Posso vederlo?»
«Qui, in città?» domandò, scettico. «Non mi sembra un'idea saggia, dato quello che è successo a Zefiropoli.»
Io scossi le spalle. «Al massimo si rintaneranno tutti al Centro Pokémon – sempre ammesso che ci stiano tutti – e le strade sarebbero tutte libere. E poi con questo freddo non c'è nessuno in giro.»
«Se qualcuno chiama la polizia,» mi avvertii in tono scherzoso. «ci pensi tu.»
«Dalla mia ho che sono il Campione di Unima. E poi se tu vuoi portare in giro il tuo drago, perché non puoi? Se fosse viziato come Jo e ogni volta dovesse venire la polizia...»
«D'accordo... hai vinto.» lanciò la Ball in aria e il drago si mostrò davanti a noi. Non lo ricordavo così grande, ma dovevo anche ammettere di non averlo mai visto così da vicino. Ci eravamo incontrati in “due" occasioni, nella prima c'erano N e Reshiram in mezzo, nella seconda solo Reshiram. Adesso potevo vedere che ero alta più o meno quando una delle unghie delle sue zampe posteriori.
«Ciao, Zekrom.» il Pokémon emise uno sbuffo.
«Ti ha salutata anche lui.» tradusse N, per via dell'inquietante modo in cui capiva come se parlassero i Pokémon.
«N mi ha detto che gli hai dato del filo da torcere, lo sai?» Zekrom guardò N e, se fosse stato una persona, avrei detto che aveva appena inarcato un sopracciglio, come a spingere N a negare tutto. «Fagli mangiare i gomiti, è stato veramente, veramente» sottilineai, guardandolo. «cattivo.»
«Non ho intenzione di tradurre questa frase.» indirizzò uno sguardo a Zekrom e io lo alternai tra i due. «No.»
«Non vale se tu capisci e io no!» lo rimproverai. Lui arrossii. «Adesso lo devo sapere per forza. Spara.»
«Ha detto: “Che strano, eppure era così ansiooso di vederti".» distolse lo sguardo e io gli presi una mano.
«Scusa, siamo stati dei cattivoni anche noi.» lo presi in giro. «Scherzi a parte, Zektrom, trattalo bene, voglio che sia intero la prossima volta che ci vediamo. Dopotutto, stavolta non avevo Pokémon e non ci siamo potuti sfidare. La prossima volta non succederà.»
«Ha detto che mi sta dietro come se fossi suo figlio. Grazie, Zek.» era ironico, ma si vedeva che si volevano bene. Per un istante mi venne il magone per i miei Pokémon, al laboratorio dalla professoressa Aralia. Anche se sapevo che il giorno dopo sarei tornata indietro, per vedere come stavano, mi mancavano molto. «Tra poco andiamo.»
«Di già?» chiesi, e dovetti suonare sconvolta perché mi abbracciò.
«Te l'ho già detto, Touko, non lo so se tornerò un'altra volta.» mi morsi un labbro per non parlare. «Non voglio che mi aspetti inutilmente.»
«Io non ho nessuna intenzione di aspettare.» misi in chiaro. Ed era vero, lui mi piaceva, forse più di quanto fossi disposta ad ammettere, persino con me stessa, ma non avevo la benché minima intenzione di aspettarlo per tutta la vita. Ognuno fa le sue scelte, e si prende le responsabilità per esse, io avevo scelto di non seguirlo, stavolta, come anche due anni prima, e avrei convissuto con quella scelta, se lui non fosse più tornato. Se lui avesse avuto intenzione di tornare da me senza ripartire più, le cose avrebbero potuto essere diverse.
«Ne sono felice.»
«Senti, lo so che devi partire,» cominciai, lentamente. «non ti sto dicendo di deciderti ora» chiarii, pensando che, altrimenti, sarebbe scappato via. «Ma... tra qualche anno, ecco... pensaci.» lui mi accarezzò i capelli e io lo presi come un invito a continuare. «Pensa a quello che vuoi fare. Se vuoi continuare a viaggiare, è una scelta tua, ma se vuoi restare... fammi sapere, insomma.» questo per rivederci almeno un'altra volta.
«Touko, tu mi piaci molto.»
«Anche tu mi piaci molto.» risposi subito, ma lui mi bloccò con una mano.
«Però non so se ti amo.» e nemmeno io lo sapevo. Gli sorrisi, e probabilmente N capì che per me era lo stesso. «Ma ti prometto che ti farò sapere.» si girò verso Zekrom e gli disse. «Coraggio, andiamo.» lui emise dei suoni che parvero di rimostranza ma lui lo ignorò.
Solo che questa volta non avevo intenzione di ripetere la stessa scena di due anni prima. «Dove pensi di andare, così in fretta?» lui mi fissò, interdetto. «Non è così che si saluta una ragazza che “ti piace molto", e poi avevo promesso che avrei abusato di te.»
Lo tirai verso di me per la camicia. «Giusto.» convenne lui, avvicinando il viso al mio. «Perdona la mancanza.»
«Sarà meglio.» e lo baciai. Mi strinse a sé e io gli strinsi il braccio più forte che potevo, quando si allontanò un po' giusto il minimo indispensabile perché sentissi che aveva da dire, pensai che volesse lamentarsi di ciò.
«Non strillerò come una donnetta.» sussurrò, baciandomi di nuovo. Sorrisi contro le sue labbra e quando si allontanò definitivamente, mi morsi l'interno di una guancia. «A proposito,» aggiunse, con un sorriso malizioso sulle labbra. «Come maniaca fai davvero, davvero schifo. La prossima volta che ci vediamo, pretendo che sia tu a strillare come una donnetta.»
Arrossii, per via delle varie implicazioni che la frase poteva avere. «Che intendi?» non appena mi mossi, mi accorsi che il gancio del reggiseno era più lento del normale: era aperto. Non ebbi il tempo di dire nulla, perché N partì in groppa a Zekrom, in una fuga molto scenografica e a tempo record.
Bastardo.

So keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me and, never let me go
Keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me and, never let me go
Keep breathing
Hold on to me and, never let me go
Keep breathing
Hold on to me and, never let me go


«Jo, vieni qui, dai smettila di svolazzare in giro.» strillai, dalla panchina su cui ero seduta. Ero tornata a Sciroccopoli con Joanna – che, ormai era diventata un Butterfly – perché mi avevano chiesto di portarla a partecipare ad un Musical. Di Butterfly se ne vedono davvero pochi a Unima. Ero seduta perché mi ero slogata una caviglia, cercando di riacchiapparla. «Devi prendere la pozione!»
Qualcuno, all'improvviso mi coprì gli occhi con una mano. Pensai a Belle, di solito era lei che lo faceva. «Sorpresa.» la voce era maschile e sapevo bene a chi appartenesse.
«N...» era una constatazione. Lo sbuffo che emise mi disse che ci avevo azzeccato. Non avevo dubbi. «Come mai mi appari sempre quando sono con Jo?»
«Beh, sai...» disse, sedendosi accanto a me. «ha esercitato un certo fascino su di me, fin da quando l'ho vista per la prima volta.»
«Lei.» puntualizzai io, con un certo fastidio.
«Lei.» confermò lui, reprimendo un sorrisetto.
Feci una smorfia, e incrociai le braccia. «Dunque... hai deciso?»
«Certo.» apparentemente, capì subito a che mi riferivo e Jo si andò a posare tra le sue braccia, come se l'avesse sempre conosciuto. Era maledettamente irritante che si comportasse così con lui e non con me. «Sono qui per questo.»
Inclinai la testa da un lato, sorridendo. Lui, però, non si decideva a sputare il rospo. «Quindi? Hai intenzione di dirmelo?»
Lui fece schioccare la lingua. «Pensavo di tenerti un po' sulle spine, in realtà.» non capii se stesse scherzando o meno dal suo tono di voce. «Non sei d'accordo?»
«Facciamo questo gioco, allora.»
Lui corrugò la fronte, come se non si fosse aspettato una risposta del genere. «Non sei curiosa?»
«Certo che lo sono.» ammisi, ma non c'era motivo di nasconderlo, dato che era palese. «Solo che so come funziona con te,» feci un mezzo sorriso, e lui socchiuse gli occhi, e sembrava... compiaciuto? Non avrei saputo dirlo. «ci vogliono i tempi giusti.»
«Non sono stato via per molto...»
«Punti di vista.» commentai. «A me potrebbero essere sembrati secoli.» lui mi trattenne per una manica della camicia e mi avvicinò a sé, Jo sembrò capire che aria tirava e volò sopra le nostre teste. «Sembra che tu voglia baciarmi.»
«Punti di vista.» disse con le labbra quasi sulle mie, ma non successe nulla di ciò che aspettavo: mi sfilò il cappello dalla testa e se lo mise, e solo allora notai che il suo non lo aveva. «Allora, dove andiamo?»
«Cosa?» domandai, interdetta. «Non me lo dici sul serio?»
Lui mi rivolse un sorriso malizioso. «Ci vogliono i tempi giusti, no?» mi fece il verso e io ebbi la tentazione di picchiarlo. «Avanti, andiamo a farci quel giro sulla ruota che ci siamo promessi.» Invece di prenderlo a calci, gli arpionai il braccio che mi porgeva e lo strinsi forte: magari se l'avessi tenuto stretto non sarebbe andato proprio da nessuna parte.


Angolo autrice
Siete arrivati alla fine, bene XD.
Volevo dire solo che alcune informazioni, ovviamente, sono scandalosamente false in modo parziale o totale (per esempio, riguardo quanto si trova un Pokémon o le situazioni familiari di questi due). Non fateci caso, servivano allo scopo :)

  
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