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Autore: kymyit    31/12/2011    0 recensioni
[Piemon/Yamato]
Un giorno, Yamato legge una lettera dall’Italia, destinata al suo compagno Piemon. Capisce solo che una donna di nome Barbara afferma quanto il digimon gli manchi e quest’ultimo parte per l’Europa, con urgenza. La delusione di essere solo uno dei tanti per il compagno, porta il digiprescelto, ormai uomo, a riflettere su quante cose abbia fallito nella vita, ma…
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Piemon/Piedmon, Yamato Ishida/Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Two Lonely Stars'
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Autore: kymyit
Titolo: Un'altra di nome Barbara
Fandom: Digimon
Personaggi: Yamato Ishida, Piemon/Piedmon
Numero scelto (di ogni categoria): 6
Genere: romantico, malinconico.
Rating: giallo
Avvertimenti: shonen ai, one shot


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E’ plumbeo il cielo là fuori e la pioggia confonde i contorni dello skyline di Tokyo. I colori si sciolgono come fossero pittura fresca su una tela fin troppo oleosa. L’aria pesante che tira comprime il petto e le tempie pulsano frenetiche. Il cervello è nel panico e gli occhi piangono senza ritegno. Pur sdegnandosi di quel riflesso debole di sé, Yamato Ishida non riesce a distogliere lo sguardo dal vetro imperlato per piovigginare persistente. Perché il ticchettio della pioggia ha l’effetto di una camomilla stordente e copre ogni altro fastidioso rumore che potrebbe riportarlo a quella dura realtà.
Sul tavolo alle sue spalle, c’è un foglio strappato in più parti. Tanti microscopici pezzi, tante parole interrotte, tante dolci frasi cariche d’affetto che vanno oltre a ciò che lui reputerebbe affezione. Non è per lui quella missiva ed è quello che gli rode il fegato e lo fa soffrire.
E’ per colpa di quella dannata lettera se son tre lunghi giorni che non ha sue notizie e si sforza di fingere di non volerne avere. Con la scusa di un lavoro ha lasciato casa sua, per staccare da ogni cosa che gli riporta alla mente lui. Eppure, vorrebbe vederlo aprire la porta della stanza ed è per quello che sta lì, davanti al vetro, a guardare il riflesso alle sue spalle.
Se lui dovesse entrare, non lo degnerebbe d’uno sguardo diretto, perché ha sbagliato.

Pensava fosse cambiato, che si fosse deciso a votarsi completamente a lui e invece no.
Non bastavano Vamdemon e Lady Devimon, c’era pure questa Barbara d’oltreoceano!
Come se dividerlo con due digimon Evoluti non fosse già un dramma per lui, misero essere umano.
Sospira, sconsolato.
Alla fine è solo uno stupido sognatore che s’illudeva di poter fare chissà cosa nella vita.
Diventare un musicista famoso o un astronauta in carriera, perché no? Poi avrebbe desiderato una casa grande con tanto di osservatorio astronomico privato e una bella moglie. Una donna graziosa, minuta, con i seni piccoli. Sì, effettivamente il fatto di non gradire le grosse taglie avrebbe dovuto metterlo in allarme da tempo, ma l’aveva reputata solo una questione di gusto personale.
Poi era arrivata la prima bastonata, perché le licenziose valli non gli interessavano.
Le guardava attraverso le riviste o i siti internet tutt’altro che casti e non provava assolutamente nulla.
Allora tirava fuori dai pantaloni quel suo affare, che di rizzarsi non voleva saperne, e lo guardava sconcertato. Non riceva impulsi, non sentiva fremere nulla di nulla nel basso ventre. E allora provò a osservare tutt’altro che quelle libidinose vallate e comprese che il suo cervello gradiva, invece, svettanti montagne e antri profondi.
Ma poiché il destino sa essere bastardo fino in fondo, non fu solo la sua aspirazione famigliare a finir gettata nel cestino. Non divenne né un cantante, né un astronauta.
Si costruì però una discreta fama impugnando una macchina fotografica, come suo padre.
Divenne un reporter d’assalto e qualche soddisfazione se la prese pure.
Quando, con altri come lui, faceva ressa attorno a quei poveri “very important people” che erano riusciti dove lui aveva fallito, oh, lì poteva sentirsi realizzato!
“Vedi cosa succede a desiderare la fama?” si diceva “Bisogna convivere con questi sciacalli che mangiano dai pettegolezzi più stupidi!”
E da bravo avvoltoio divorava ogni immagine, ogni dettaglio, ogni scorcio di vita insignificante, sentendosi, fra l’altro, profondamente fiero.
Il migliore in quello che faceva.
Il miglior sciacallo sulla piazza.
Aveva montato anche diversi scandali nei primi tempi, spinto forse da un’infantile gelosia verso chi, invece, era andato avanti nella vita e aveva ottenuto ciò a cui lui aveva rinunciato.
Infatti, perché costruirsi una famiglia, se poi l’avrebbe mandata a monte?
E lui, che odiava anche solo il suono della parola "divorzio", almeno di quella scelta di accettazione della sua omosessualità era andato fiero.

Poi aveva incontrato nuovamente Piemon.
Proprio lui: il Nemico.
E ci andò a letto.
Fu tutto molto strano, perché s’incrociarono in una locanda nel Mondo Digitale e non successe nulla di terribile. Il digimon non lo uccise per vendetta, non gli fece assolutamente nulla che potesse ferirlo. Forse gli faceva pena, ubriaco come doveva essere. Neppure riusciva a ricordarla bene quella prima notte.
Le immagini si susseguivano confuse nella sua mente e solo pochi dettagli riaffioravano.
I graffi arrecati sulla pelle nivea dell’altro, che poteva ritrovare sul suo corpo anche se ormai erano cicatrici lontane. La sua saliva, che aveva un gusto inconfondibile e i suoi occhi bramosi, che gli incendiavano le viscere, ribollenti come magma nelle profondità di un vulcano.
Lo amò quella notte e le successive.
Lo amava ancora, per questo lo odiava per il suo tradimento, se così poteva considerarlo. Perché Piemon era schifosamente libertino e lui aveva accettato ingenuamente questo suo lato. Alla fine, ogni sua scelta gli si rivoltava contro e la propria vita gli parve solo un insieme di stupidi errori e di prestabilite prese per il culo.
Forse doveva davvero mollare tutto e riprovare a costruirsi una relazione stabile, un lavoro dignitoso e, magari, poteva provare a rimettere su la vecchia band.
I Teenage Wolves erano ciò che di più caro aveva al mondo. Ma poi, Takashi si era sposato, Yutaka era diventato il batterista di un gruppo più famoso del loro e Akira aveva avuto quel dannato incidente e da allora le sue dita non scorrevano più come una volta sui tasti bicolori della sua tastiera elettronica.
E di rimandare un curriculum a quelle dannate agenzie aerospaziali era solo una perdita di tempo. Per quante volte avesse inviato loro qualcosa, nessuno si era mai degnato di calcolarlo. Alla fine, era giunto alla conclusione che i sogni non sono destinati a realizzarsi, ma a far soffrire chi tenta di realizzarli. Chiusi nei cassetti della mente ardono e bruciano il cuore dei loro sognatori e quando la pioggia fredda della realtà li riduce in cenere, resta di loro solo il dolente ricordo dell’incompletezza.

E’ la terza notte di gelo quella appena calata come un triste manto sulla sua depressione. Come se la pioggia incessante non fosse abbastanza, le folgori squarciano il cielo strepitante di fragorosi boati. Il crepitio dell’acqua è più simile al rumore di centinaia di cocci di vetro e l’umidità che aleggia nella camera d’hotel penetra le ossa come un demone infido e perverso.
Yamato giace immobile, nel dormiveglia, agognando delle grandi mani che lo avvolgano per donargli un po’ di calore. Giusto un minimo, almeno per rinfrancare le ossa da quella pungente debolezza.
-Perché sei andato via?- gli dice la voce di lui, da qualche parte là, nella sua mente.
-Stronzo, sei tu che sei andato da quella…- mormora piano, con gli occhi chiusi, tentando di non pensare a nulla, per precipitare il più velocemente possibile fra le braccia di Morfeo, ma, invece che quelle del sonno, sono altre due braccia che gli cingono il corpo intirizzito. Due braccia grandi, dalle proporzioni discutibili e dal calore travolgente.
Yamato apre piano gli occhi e la vede, illuminata dalla luce dei lampi, quella sagoma odiata e agognata.
Lo fissa, Piemon, quasi sconcertato, come se non riuscisse a capire cosa gli passi per la testa.
-Ti ho chiamato un sacco di volte.- gli dice pazientemente –Ma avevi il cellulare spento.-
-Tanto eri impegnato.- risponde lui, crogiolandosi in quel calore maledetto cui non vuole sottrarsi.
-Mi sarebbe piaciuto sentirti, infatti, per staccare un po’.-
-Sono stufo di essere il tuo stacco dalla routine.-
E’ deluso, amareggiato, ma Piemon è paziente. Sa che lui è così: grande, grosso e così dannatamente sensibile. Se volesse davvero ferirlo, non ci metterebbe meno di uno schiocco di dita. Non può far altro che cercare di chiarire con lui quella faccenda che rasenta il ridicolo, ma sa che se non usasse il giusto tatto, Yamato ne soffrirebbe, perché è davvero tutto molto più semplice di quello che potrebbe sembrare. Solo uno stupido fraintendimento, una cosa con cui fino a poco tempo prima si divertiva a stuzzicarlo. Perché non c’é nulla di male nell’infierire con doppi sensi sapientemente mirati e allusioni gettate là, al momento giusto.
No, quel fraintendimento è gonfio di gelosia e va ridimensionato con la massima cura e urgenza.
-Sono stato in Italia.- dice e Yamato si stringe nelle spalle, come se volesse tapparsi le orecchie, ma non lo fa davvero, perché ha atteso anche lui la resa dei conti. Piemon si morde il labbro superiore e prosegue il delicato discorso –Kirara, è sposata con uno di quelle parti.-
Yamato si volta appena verso di lui, chiedendosi cosa c’entri la partner umana di Piemon con questa Barbara.
-Hanno tre figli, sai. Due maschi e una femmina…- Piemon si trattiene, ma ormai deve lanciare quell’ultimo dardo, la verità, anche se questa ferirà l’orgoglio del suo compagno, deve fargli sapere che non l’ha tradito, che anche lui è cambiato da quando stanno insieme –Barbara ha quindici anni e mi scrive spesso. E’ un po’ esuberante… ma è solo una specie di nipote e ultimamente non stava bene.-
Yamato lo guarda colpevole, scombussolato.
-Davvero?-
Piemon annuisce e gli mostra la lettera che ha rimesso insieme. Accende l’abatjour e fa una delle sue magie. Yamato prende quella missiva fra le mani malferme e la rilegge attentamente, tradotta in giapponese. D’italiano ne capisce ben poco, si confonde con le coniugazioni dei verbi, coi modi di dire… in effetti, è stato avventato. Ma ha letto “ti voglio bene” e “non vedo l’ora di dormire con te”, sente di avere tutto il diritto di sentirsi geloso.
Piemon pare gli legga nella mente e lo abbraccia, schioccandogli un bacio sulla guancia. Si fruga nelle tasche e gli mostra una fotografia che lo ritrae con la sua protetta.
Kirara sorride fra lui e Luca, suo marito. Davanti a loro ci sono i figli Massimo e Gabriele e, abbracciata a Piemon come un koala, una ragazzina castana, Barbara.
-Anche a lei piace dormire insieme al sottoscritto.- dice Piemon -Devo essere proprio morbido.- ridacchia e Yamato coglie la frecciatina, ricambiando il bacio con una gomitata allo stomaco del compagno.
-Stupido.-
-Gelosone.- ribatte il digimon, col preciso intento di farlo arrossire. E come ci riesce… Yamato assume la colorazione di un pomodoro fresco e la sua temperatura corporea sale di più gradi all’improvviso, quasi stordendolo. Piemon trova tutto questo molto eccitante, ma sa che non deve toccarlo. Non deve strappargli i pantaloni e stringerlo a sé per quello.
Vuole che capisca che lui, e solo lui, è la persona che ama davvero.
L’unico con cui riesce a ridere e scherzare con sincerità, senza secondi fini. L’unico che gli fa dimenticare di essere stato un signore della guerra e della carneficina, un bastardo assassino che tanto dolore ha inferto negli altri. Yamato l’ha perdonato, forse preso da necessità di sentirsi amato, ma comunque l’ha fatto e gli ha donato se stesso senza esitare, tanto tempo prima. Ormai è adulto, ma ogni volta che è felice, i suoi occhi brillano come quelli di un bambino e lui vuole rivedere quel luccichio sognante che negli ultimi tempi sembra aver perduto.
Così si alza e prende una piccola scatola precedentemente lasciata sul tavolo. Si siede sul letto, di fronte al suo fidanzato e gliela porge, solenne e sornione e Yamato si domanda dapprima cosa ci sia in quella scatoletta azzurra con tanto di fiocco dorato, perché potrebbe contenere un anello, e la cosa lo fa arrossire ancora di più di quanto la vergogna non abbia già fatto, ma la faccia di Piemon non lo rassicura per nulla e sta sul chi vive. Per com’è fatto il digimon, potrebbe esserci un guantone da pugilato caricato a molla lì dentro o un fiore spruzzatore o qualche altra diavoleria da pagliaccio.
Lo guarda negli occhi, tentando di leggervi un indizio, ma il bastardo ha lo sguardo impenetrabile e beffardo da sfinge che lo manda su di giri, così, rassegnato, scioglie il nodo e allora si accorge dei buchi sulla scatola. Piccoli ma sapientemente praticati. Guarda ancora Piemon e nota che il suo sguardo è più dolce, così riordina una ciocca ribelle dietro l’orecchio e apre il regalo.
Lo vede lì, quel cosetto bianco con gli occhi neri e grandi come teste di spillo e tanta, tanta pelliccia da fare invidia, e si scioglie in un sospiro di tenerezza.
-Un… un criceto?- domanda perplesso ma intenerito dall’animaletto che annusa l’aria umida, curioso, sporgendo il musetto fuori della scatola.
-L’ho comprato in Italia.- afferma Piemon carezzando sia l’animaletto vero, che quello umano –Mi ricorda qualcuno.-
Yamato sogghigna divertito –Non riesco ad immaginare chi.-
Il digimon si finge pensieroso e picchietta con l’indice sulle labbra scarlatte.
-Un tizio piccoletto, con gli occhi luccicanti e il musetto tenero. Non so se hai presente… è anche un tipetto a cui piace molto darci dentro, ma ha un caratteraccio…-
Il minore incassa, può dargliela vinta stavolta, ma solo perché si è reso conto di essere stato davvero troppo avventato ed infantile.
-Ahia!- esclama il digimon ritraendo il dito dall’animale che gli ringhia contro isterico e stavolta è Yamato a ridere, a crepapelle.
Il piccolo roditore si rifugia fra le pieghe del suo pigiama e il digiprescelto continua a ridere, aggrappato alla spalla del suo compagno.
-Come dicevo…- dice Piemon ancora -…ha anche il tuo dannato vizio di mordere.-
Yamato vorrebbe dirgli che quel mostriciattolo somiglia anche ad un certo signore delle tenebre: stesso colore, stesso vizio di infilarsi fra i suoi vestiti, stessi occhi fintamente compunti e stessa dolcezza, solo più celata sotto la criptica buffoneria.


Note: Scritta per il contest Nomi, cose e città indetto da GiannaDana. I prompt erano:

Nome: Barbara
Oggetto: lettera strappata
Città/Luogo: hotel
Animale: topo
Mestieri: giornalista

Ehm.... è una storia un po' strana, all'inizio è un tripudio alla depressione, poi alla dolcezza... però sono riuscita senza problemi ad incastrare ogni elemento richiesto e, inoltre, visto che di Piemon si tratta, ci sta anche bene. Certo è un incosciente a mettere un cricetino teneroso in una scatola per chissà quanto tempo Q^Q se lo trovava morto poi sai che figura?!
Ok, ok... scritta al presente. Questo è stato difficile, si si.
Kirara e famigliola bella sono miei personaggi. Non credo ci sia nulla di rilevante da rivelare su di lei (marito e figli li ho inventati apposta per l’occasione). Vamdemon sarebbe Myotismon e nella mia mente incasinata c’è una sorta di quadrato amoroso fra lui, Piemon, Yamato e Lady Devimon. Un vero casino, comunque. E’ ambientata in un possibile futuro, quindi potrebbe anche essere plausibile come cosa.


Finalmente abbiamo ricevuto i giudizi e come avrete visto dal bannerino: sono arrivata secondaaaaaa *stappa bottiglia di champagne*
Ecco il giudizio della giudice Ro-chan che ringrazio tantissimo visto che ci si disperava per dei risultati che non arrivavano più e poi è arrivata lei e: et voilà!!!





«Un’altra di nome Barbara» di kymyit, seconda classificata.
Correttezza grammaticale: 8/10
Stile e lessico: 9/10
Coerenza della trama: 9/10
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
Utilizzo dei prompt assegnati: 9/10
Gradimento personale: 4,5/5


Non leggevo su questo fandom da molto – troppo, direi – tempo, e sono stata più che lieta di trovarmi tra le mani la tua storia.
Prima di tutto, fai un’ottima introspezione del protagonista; il pezzo più interessante del tuo brano è infatti quello legato ai suoi – posso definirli così, vero? – sogni infranti, le sue illusioni di bambino. Il desiderio di formare una famiglia che va a scontrarsi con la crudele realtà dei fatti, con la consapevolezza di non poter amare una donna e di conseguenza avere figli.
La delusione per non essere riuscito a diventare ciò che voleva. Il fastidio di essere sì un grande, ma in negativo – è un paparazzo. Il migliore, certo, ma pur sempre un verme che insegue chi è riuscito a sfondare per mero guadagno.
Il fatto che la descrizione sia così cruda – anzi, direi che è proprio amara – rende la storia molto vivida; mi ha fatto accapponare la pelle in più punti, anche se non saprei spiegare davvero il perché.

Anche il legame venutosi a creare tra Yamato e Piemon mi è piaciuto: per certi versi è reale, per altri è mera fantasia, ma si tratta pur sempre di un attaccamento morboso da ambo le parti che sa tanto di vero. Non tanto dal punto di vista di Piemon, quanto proprio da quello di Yamato: in Piemon vede quasi un ultimo appiglio alla realtà, l’unico essere in grado di amarlo e non farlo cadere nella disperazione. Saperlo lontano senza perché lo annichilisce – quasi impazzisce per la gelosia, arrivando a distruggere una lettera di cui neppure ha davvero capito il senso.
Non può davvero fidarsi eppure lo vuole con sé; ecco, è questa l’impressione finale che mi ha dato Yamato.
Sfoglia la lettera e così scopre l’esistenza di Barbara, e anche se non ha idea di chi sia questa ragazza non riesce a frenare la gelosia – è una compagna di letto di Piemon? E lui, perché è andato via? Questa Barbara è così importante?
Fino al ritorno di Piemon la descrizione di Yamato che ci dai è di un uomo che nella follia quasi ci sguazza – ma solo fino all’arrivo di Piemon. Una volta entrato in scena il digimon – e una volta chiaritasi la faccenda – Yamato si tranquillizza parzialmente; anche se non dà totale fiducia al compagno riesce comunque a credergli, e il culmine del fluff si ha quando Piemon tira fuori da uno scatolo bucherellato un criceto.

Ecco, direi che è questo l’unico passaggio a non avermi convinto, a essermi sembrato troppo sentimentale: l’animaletto acquistato in Italia mi è parso… fuori luogo, quasi. Un po’ incoerente, visto e considerato il clima che si respirava poche righe prima.
Anche il finale, rispetto al resto della storia, è un po’ troppo tirato via: dopo un’analisi così interessante di Yamato forse sarebbe stato più sensato prendersi qualche altro centinaio di parole per dare al brano una conclusione degna di questo nome, piuttosto che un fine che sa tanto di continua; la battuta finale risulta piacevole ma priva di una vera conclusione, così che, lo ammetto, ho ricontrollato un paio di volte la mail per essere sicura di non essermi persa qualche pezzo.

Il lessico da te usato è molto buono: ben amalgamato allo stile, piacevole. Talvolta un po’ troppo alto, però – ma la colpa di ciò va attribuita allo stile stesso, che talvolta risulta quasi troppo aulico. In più di un pezzo – specie all’inizio – mi è sembrato eccessivo, con frasi costruite in maniera quasi artificiosa; si nota un ottimo lavoro di base e tanto impegno, in ogni caso.
Ti consiglierei comunque di alleggerire qualche struttura – sempre all’inizio del testo, ripeto, perché poi lo stile si adatta magnificamente alla storia –, in modo da rendere tutto più scorrevole.

Solo una cosa… All’inizio del testo, in «[…] son tre lunghi giorni che non ha sue notizie […]», quel «sue» risulta quantomeno ambiguo; Piemon non è stato citato, in precedenza, così che il «sue», stando a quello che il lettore sa, può solo riferirsi a Yamato. Capisco il tuo desiderio di tenere celata l’identità di Piemon, ma non sarebbe stato più semplice scrivere «sue» in corsivo, così da creare nel lettore una sorta di curiosità e chiarire che il «sue» in questione è un personaggio misterioso?

Ci sono vari errorini – non tutti gravi, sta’ tranquilla, ma qualcuno di più penalizzante c’è – che purtroppo hanno influito su questa voce di giudizio.

In primis: tra i trattini – siano essi brevi o lunghi – e la parola che li segue/precede è necessario uno spazio. L’hai omesso sistematicamente in tutti i discorsi diretti – e talvolta hai pure mischiato ai trattini brevi quelli lunghi, il che è grammaticalmente scorretto. Comprendo sia un errore ormai radicato nello stile, ma trovo necessario fartelo presente perché tu possa eventualmente correggere.

La «è» maiuscola non necessita di apostrofo, bensì di accento: è un errore assai grave, questo, molto ripetuto dai fanwriter – capisco che le tastiere non agevolino l’utilizzo della «È», visto e considerato che digitarla è complicato, ma purtroppo si tratta di un errore abbastanza grave.

In «–Kirara, è sposata con uno di quelle parti.-», oltre a esserci il già citato problema coi trattini, è anche presente una virgola tra il soggetto, «Kirara», e il suo verbo, «è sposata». Immagino volessi dare enfasi alla lettura, ma sistemata così la frase è scorretta.
In «Si siede sul letto, di fronte al suo fidanzato e […]» manca una virgola tra «fidanzato» e «e»; stesso dicasi di «[…] gliela porge, solenne e sornione e […]», dove la virgola è assente tra «sornione» e «e».

Ho poi un dubbio riguardo: «[…] dal vetro imperlato per piovigginare persistente […]»; non so se tu abbia omesso volutamente o meno un «il» tra «per» e «piovigginare», ma ritengo sia necessario. In alternativa potresti sostituire quel «per» con «dal».

I prompt sono stati usati tutti; l’unico per cui non me la sono sentita di darti punteggio pieno è «topo», perché all’interno della tua storia c’è sì un roditore, ma è un criceto. Per il resto nulla da eccepire, è stato citato tutto.


   
 
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