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Autore: Nackros    31/12/2011    5 recensioni
Marte, quella era la meta, la sua nuova casa.
Era quel pianeta che osservava quando ancora la sera si poteva sedere tra le tegole ed il comignolo e che pensava fosse così irraggiungibile.
Era stato reso vivibile “apposta per tutti noi esseri umani”, avevano detto.
Avevano costruito sul suolo rosso di quel corpo celeste, lavorato per rendere l'atmosfera vivibile, ma non erano riusciti a salvare la Terra.
Per questo si trovava lì, sul retro di una navicella spaziale, a guardare la Terra allontanarsi sempre di più da lei, troppo immersa nei suoi pensieri per accorgersi della presenza alle sue spalle di un ragazzo che la scrutava meravigliato.

[...]
In un futuro forse neanche troppo lontano la Terra non è più abitabile e gli esseri umani si preparano a compiere la più grande migrazione mai avvenuta.
Ed è proprio sul retro di una navicella in rotta per Marte che due ragazzi, dopo tanto tempo, si rincontrano.
Dal capitolo 5:
Lentamente tutto stava tornando come prima, o almeno per quanto ciò fosse possibile.
Ma come in ogni cambiamento c'era sempre qualcuno che rimaneva indietro; Gwen si sentiva esattamente così, in ritardo, come fosse troppo tardi per poter recuperare.
Lì in piedi, in attesa di rientrare a casa, si rese conto di essere l'unico punto fermo in un mondo che continuava a scorrere, a mutare. Era una sensazione strana, un po' come quando ci si siede sulla panchina di una stazione e si vedono tutti partire, mentre tu rimani fermo ad osservare il mondo che va avanti senza aspettarti. Come se la sua presenza non avesse importanza in mezzo a tutto quel via e vai di vite.
Nessuno si sarebbe fermata ad attenderla. Tanto valeva rimanere ferma ad aspettare. Ad aspettare cosa, poi?
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La gente le aveva parlato molto su come sarebbe stata la nuova vita di tutti una volta toccata la terra rossa di Marte. I racconti di storie di paesaggi fantascientifici ai limiti dell'immaginazione si alternavano a quelle di scene di una vita quasi totalmente identica a quella che avevano passato sulla Terra.
Ormai le voci erano talmente tante che era diventato difficile riconoscere cioè che era vero dai semplici pettegolezzi.
Quella mattina la gente allo sbarco numero sedici mormorava nervosa, stretta tra le cinture di sicurezza dei loro sedili.
Avevano etichettato i loro bagagli, riponendoli dove gli era stato indicato, ed ora aspettavano il momento dello sbarco con il cuore che martellava insistentemente nel petto.
Erano famiglie con bambini o semplici coppie di giovani ragazzi, le mani intrecciate in una leggera trama color carne dalla quale spiccavano minuscole fedi dorate.
Gente giovanissima, ma che aveva comunque deciso di legarsi tramite quel vincolo così sacro pur di non perdersi.
Una mano, ecco cosa sarebbe servito a Gwen.
Un po' di carne, qualche ossa... Niente di più. Una mano da poter stringere, che le dicesse che in quel momento sarebbe andato tutto bene, che non era realmente sola.
Tra tutta quella gente, quelle trame di pelle e di sangue, provava quasi paura ad abbassare lo sguardo, ad osservare quegli spazi tra le sue dita così vuoti senza niente in grado di colmarli.
Era rimasta così, ferma ed immobile, con quel foglio accartocciato a tenerle compagnia per tutta la durata delle manovre di atterraggio, ignorando il nodo alla gola e le lacrime calde solleticarle il collo.
Una donna, seduta a fianco a lei le si era avvicinata.
«Va tutto bene, signorina?», le aveva chiesto, sbattendo più volte le ciglia lunghe e nere, con l'aria visibilmente preoccupata.
Gwen era rimasta un attimo in silenzio prima di risponderle.
«Sono solo un po' nervosa», le aveva risposto con un finto sorriso.
La donna aveva annuito poco convinta, ed era ritornata subito dopo ad accarezzare i capelli corvini del figlio.
Gwen le era stata grata per non aver insistito. Non le era mai piaciuto parlare dei propri problemi alla gente, tanto meno avrebbe desiderato farlo in quel momento.
Ma per un attimo, per un infinito attimo, aveva come odiato quella donna.
Forse quello non era il termine corretto, forse sarebbe stato più preciso dire che era gelosa, ma non le era piaciuto il modo in cui le sue mani della donna si erano delicatamente mosse nel momento in cui si era portato un ciuffo di capelli scuri dietro orecchio.
Per un istante aveva visto anche su quell'anulare sinistro e sottile l'anello dorato emettere un flebile luccichio.
Quella donna era sposata, aveva un figlio. Non era sola ed aveva probabilmente pochi più anni di Gwen. Quanto tempo le ci sarebbe voluto, invece, a lei ottenere tutto quello? Ne sarebbe stata in grado dopo tutto ciò che era successo?
Era strano ma dopo quel tempo passato con Trent le sembrava quasi impossibile immaginare la sua vita con un altro. Forse lo era veramente, impossibile. Non sapeva se avrebbe avuto la forza di ricominciare; a malapena sapeva dire dove si sarebbe trovata tra qualche ora.
In quell'instante, nel mezzo dei suoi pensieri, un forte stridore distrasse Gwen dalla sua mente.
Quando quel suono fastidioso cessò, cadde il silenzio.
Una voce annunciò qualcosa, solo parole impercettibili e non in grado di sovrastare il mormorio della gente appena riniziato e più forte di prima.
Quando iniziarono a dividere le persone in piccoli gruppi per preparali a scendere al suolo il cuore di Gwen pompò forte nel petto. Battiti veloci, pieni d'ansia e di paure. Non era come quando ad accelerarne il ritmo era uno scambio di sguardi con Trent.
Avvertirono tutti dei possibili giramenti di testa dovuti a dei cambi di pressione, di non preoccuparsi per lo strano iniziale formicolio alle braccia che avrebbero potuto provare nei primi cinque minuti in cui avrebbero toccato la terra....
“Saranno tutte situazioni momentanee, vi abituerete presto”.
Già, ma quanto le ci vorrebbe voluto, non al corpo ma alla mente, ad abituarsi a quella situazione?
Mentre avanzava verso l'uscita si sentì confusa, distaccata da tutto il resto. Forse era un sogno, uno strano sogno, molto realistico, ma pur sempre un sogno...
Nel momento in cui si ritrovò davanti all'uscita una strana luce le illuminò gli occhi.
Emettendo un sospiro fece un passo in avanti.
Appena toccò la terra le sue scarpe si ricoprirono di una fine polvere rossiccia.
Per un attimo trattenne il fiato, chinando leggermente il capo e socchiudendo gli occhi.
Poi, quando l'ossigeno venne a mancare, ispirò fortemente.
Poteva respirare.
Era stato stupido, ma era stata seriamente spaventata dall'idea che ciò non fosse possibile.
Un sorriso stupito le si disegnò fugace sul volto, mentre alzava lo sguardo verso la volta celeste.
Il cielo sembrava leggermente opaco però era... Bello.
Il rosso dominava il paesaggio, dove spiccavano strani edifici e torrette biancastre e, alle sue spalle, la navicella che le aveva fatto da casa per tutta la durata del viaggio. Vista dall'esterno era veramente enorme, eppure era l'unica cosa ad apparirle familiare in quel luogo. Intorno a lei gruppi di persone osservavano con aria spaesata l'ambiente. Quasi inconsciamente Gwen si ritrovò a cercare il viso di Trent tra tutti quei volti, rendendosi conto solo dopo di quanto ciò fosse inutile.
Con un espressione delusa ispirò nuovamente quell'aria ferma ed inodore, passando a posare lo sguardo su un uomo dai capelli brizzolati, probabilmente sulla cinquantina, che camminava con passo svelto e sicuro nella loro direzione, distinguendosi dagli altri per la sua aria sicura.
Mentre si avvicinava Gwen poté notare un cartellino appeso al petto, sulla sinistra, senza tuttavia riuscire a metterlo a fuoco.
Lei non sembrò l'unica ad esserne attirata, altri insieme a lei si voltarono ad osservarlo.
«Siete dello sbarco numero 16?» domandò, senza bisogno di dover richiamare l'attenzione, oramai già tutta puntata su di lui.
La gente annuì con dei mormorii confusi.
«Bene», proseguì l'uomo, segnando distrattamente qualcosa su un palmare «Io sono Victor Hodges, lavoro come organizzatore sociale. Vi accompagnerò presso le vostre nuove abitazioni. Mi pare che vi abbiano già avvertito di questo prossimo secondo viaggio, giusto?»
Il gruppo annuì nuovamente, questa volta con meno sicurezza.
«Ottimo. Non dovrete preoccuparvi per la durata, questo sarà decisamente più breve, un'ora e mezza circa, per l'esattezza. Adesso immagino che alcuni di voi si stiano chiedendo come facciano a respirare senza alcuna attrezzatura o senza galleggiare nel vuoto. Probabilmente ne avrete già sentito parlare, ma ultimamente ho scoperto che circolano molte versioni piuttosto incerte su tutto ciò. Sopravvivere su questo pianeta è possibile poiché ci troviamo come all'interno di una grande “bolla” che ci divide dall'atmosfera esterna. Come sapete ognuno di voi è stato assegnato a diversi settori. Potete considerare ognuno di questi settori come delle città diverse, ognuna situata all'interno di una Bolla ben distinta e in delle zone dove il terreno è più depresso, in modo da garantire maggiore protezione dalle intemperie. Questa Bolla ci protegge dall'esterno; tempeste di sabbia, basse temperature, assenza di ossigeno e gravità... Fa apparire la vista del cielo un po' più sfuocata del normale a causa del suo spessore però, in compenso, ci permette di sopravvivere. E' tutto regolato da dei laboratori ai confini della Bolla... Un capolavoro della scienza. Più avanti avrete tempo di capirne meglio il funzionamento, ma per il momento è essenziale che ne conosciate un aspetto generale.»
L'uomo continuò a parlare, ma Gwen perse il significato di quel discorso. Tutte quelle parole le apparivano come delle frasi confuse e sconnesse, senza significato. Aveva smesso di ascoltarle.
Erano diventate un semplice sottofondo dei suoi pensieri.
Chiuse gli occhi lentamente. Poteva avvertire il leggero senso di stordimento, come un ronzio alle orecchie. Sollevò nuovamente le palpebre, portando lo sguardo al cielo.
La sua mente era altrove, lontana dalla Terra, da Marte, da tutto, da qualsiasi corpo celeste esistente.
Galleggiò per un tempo indefinito nel vuoto. Aveva così tanta confusione nella testa, così tanti pensieri da non riuscire a metterne a fuoco neanche uno. Era nel nulla.
Poi, la voce dell'uomo, la riportò alla realtà.
«Ora vi pregherei di seguirmi per dei controlli e per accertare alcuni documenti. Poi potremmo procedere per il secondo imbarco.»
Ancora confusa Gwen seguì il gruppo, fino ad arrivare ad una di quelle strutture metalliche bianche ben distinguibili dal rosso ruggine della terra.
Intorno a lei altri gruppi di persone si muovevano in direzioni diverse, ognuna con una mano stretta in quella del figlio, della madre... Della persona che amavano.
Ogni tanto incontrava con lo sguardo persone sole come lei, come Trent.
Chissà dov'era in quel momento.
Forse non era del tutto sola nella sua solitudine, c'era gente altrettanto sperduta come lei senza nessuno pronto a stringerle la mano in quel momento, pensò mentre veniva invitata ad entrare in un edificio bianco dalla forma moderna.
All'interno di quello strano posto si ritrovò a dettare i suoi dati ad una donna con il capo chino sullo schermo di un computer, dietro ad una delle decine di scrivanie che ingombravano quel luogo.
Forse avrebbe trovato qualcuno con cui consolarsi.
Forse quel qualcuno potrebbe essere Trent. Magari potrebbe essere lui.
«Bene, quindi... Gwendolyn Fahlenbock, giusto? Originaria di Toronto?» chiese la donna digitando le ultime parole sulla tastiera.
«Si, si...»
«Ottimo. Ultima cosa; ci sono stati per caso dei problemi con il trasferimento?»
«Beh, mio fratello e mia madre che non sono riusciti ad imbarcarsi insieme a me...»
«Si, questo è problema che è capitato a molti. Ciononostante mi pare di vedere dai dati che rimarrete collocati in abitazioni quasi adiacenti...»
«Capisco, però ci sarebbe anche un ragazzo... Noi saremmo dovuti rimanere insieme, invece allo sbarco ci hanno separati ed io...» la voce le tremò, impedendole di continuare.
«Mmh, strano. E' raro che succedano errori del genere... Dal computer, però, lei non mi risulta sposata»
«Ecco, effettivamente io non lo sarei... Ma non si potrebbe», si affrettò ad aggiungere prima di venire interrotta «trovare un modo per rimanere comunque insieme?»
«Mi spiace, ma se non siete sposati o legati da qualche vincolo di parentela non è possibile»
«La prego, non si può trovare un soluzione?» la implorò Gwen.
La donna sospirò.
«Non è possibile, veramente. Non ci è permesso.»
Anche Gwen sospirò, portandosi le mani alla fronte.
«Non potrei almeno sapere dove si trova, contattarlo in qualche modo? La prego, per favore...»
«Non posso, sono dati personali. Mi dispiace, sul serio, ma proprio non è possibile»
«Oh... » rispose delusa, «Non potrebbe proprio...?»
«No» disse duramente «non mi è permesso»
Gwen osservò quella piccola possibilità di ricongiungersi a Trent andare in frantumi riuscendo ad emettere in risposta un semplice «E' lo stesso, non fa niente»
Eppure non era niente. Il quel momento venire a conoscenza di una qualsiasi singola informazione su di Trent sarebbe stato fondamentale. In qualche modo un fastidioso granello di speranza non voleva cedere dentro di lei, aggrappato alla convinzione che forse rincontrarsi sarebbe veramente stato possibile.
«Signorina?» la richiamò la donna.
«Si?» rispose distrattamente.
«Questi sono i suoi nuovi documenti», disse porgendoglieli «è importante che lei li porti sempre con sé. Questa, invece è una tessera magnetizzata. Le servirà come chiave per la sua nuova abitazione ed è fondamentale che non la perda. Ottenerne una nuova copia in tempi brevi sarebbe piuttosto difficile oltre che costoso, naturalmente.»
Gwen se la rigirò per un po' nelle mani, poi ringraziò la donna e tornò a raggiungere il resto del suo gruppo.
«Bene, vedo che ci siamo tutti», annunciò Victor Hodges «adesso dovremmo terminare degli ultimi controlli prima di intraprendere il secondo viaggio che vi porterà alle vostre abitazioni. Giungeremo a destinazione tramite un maglev, un treno a levitazione magnetica, che passerà attraverso una rete di tunnel sotterranei».
Gwen rabbrividì. Cos'altro avrebbe dovuto sopportare dopo quello? Magari ritrovarsi a vivere sottoterra? L'idea di dover passare del tempo in un tunnel chiuso non faceva che terrorizzarla ancora di più.
«Stiamo lavorando per rendere i viaggi ancora più veloci, tuttavia questo non avrà una lunga durata. Nell'attesa riceverete alcune informazioni riguardati i nuovi stili di vita che dovrete adottare. Ora vi prego di seguirmi.»
Sempre più confusa Gwen camminò fino a raggiungere ad un punto molto simile all'entrata di una metropolitana, con scale mobili dirette verso il basso, ma molto più pulita e moderna, dai colori chiari e brillanti.
Continuò ad andare avanti tra i corridoi affollati, mantenendosi vicino al gruppo fino a quando arrivò ad una zona in cui tutta la folla sembrò districarsi in diverse code.
Davanti a lei treni dalla forma lunga e affusolata si riempivano di gente.
«Da questa parte», li avvisò la loro guida «dovete far scorrere la tessera magnetica che vi è stata data ai controlli in questa fessura e poi potrete salire e prendere posto»
La folla scorreva in file lente e quando finalmente anche Gwen poté sedersi si lasciò sprofondare sul sedile emettendo un lungo sospiro.
Si sentiva esausta e confusa. Aveva addirittura perso la cognizione del tempo, non aveva idea di che ora potesse essere. Il mormorare della gente ormai era diventato un sottofondo fastidioso e difficile da ignorare. Dopo un po' una voce annunciò la partenza.
Guardò fuori dal finestrino da cui si potevano semplicemente osservare le luci del tunnel scorrere ad intermittenza. Si fermò per un attimo ad osservare il suo riflesso stanco finché il suo fiato caldo non appannò il vetro. Fuori doveva fare freddo.
Si strinse nella sua felpa, appoggiandosi allo schienale morbido.
Tirò fuori dalle tasche i suoi documenti e la tessera magnetica. Quando la sue mani toccarono la carta ruvida del foglio datole da Trent si fermò un attimo ad accarezzarne le pieghe.
Quando la rilesse vide come le parole del ragazzo erano ancora segnate lì, con l'inchiostro un po' sbavato ma ancora ben marcate, con quella scrittura unica e scorrevole.
Alla fine era accaduto realmente, si erano divisi.
Eppure quelle due parole, quel “ti amo”, era sempre lì, scritto su quella carta, pronto a ricordarle che forse non era ancora tutto deciso.
Probabilmente sarebbe toccato a lei scegliere quando sarebbe stato il momento di segnare la scritta fine alle parole di quella lettera.
Non si sentiva ancora pronta ed in grado di farlo e chissà se mai ne sarebbe stata capace pensò, mentre le luci scorrevano veloci fuori dal finestrino conducendola nuovamente verso qualcosa di sconosciuto.
Questa volta, però, non c'erano le braccia di Trent pronte a stringerla e a rassicurarla, nessuna voce vicina a sussurrarle dolci consolazioni.
Questa volta era sola e l'idea della solitudine la terrorizzava ancor più del senso di claustrofobia che le premeva sul petto.
Erano riusciti a inventare milioni di cose, a distruggere un pianeta e a trovare le risorse per colonizzarne un altro.
Allora, perché era veramente così difficile trovare il modo per far sì che due persone potessero stare insieme?






Prima di tutto scusatemi tantissimo per il ritardo.
Ammetto che lavoravo da un pò al capitolo ma sono riuscita a finirlo solo ora.
Sono un pò di fretta, quindi non l'ho riletto molto bene. Quando avrò tempo lo ricontrollerò più attentamente, corregendo eventuali errori.
Ho deciso di pubblicarlo adesso perchè non so se sopravviverò al Capodanno :P
Quindi colgo l'occasione per augurarvi un felice anno nuovo! 
Ora scappo a preparami!
E, come al solito, ringrazio tutti voi che continuate a seguirmi ;)


 

   
 
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