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Autore: BBV    01/01/2012    4 recensioni
Sequel di 'A Year Without Rain'.
2011, Wisconsin.
Victoria Hamilton torna a Longwood,
dopo tre anni d'assenza.
Con sé porta i ricordi di un'estate, di Nathan.
Ma tutto è diverso ormai.
"Un po’ le ricordavano Catherine e Heathcliff. In altre circostanze, fissando nella sua mente quelle due anime instabili, avrebbe trovato una certa soddisfazione nel rivedere il suo amore in quello eterno di due personaggi come i protagonisti di Cime Tempestose.
Ma adesso aveva ben chiaro cos’è che tanto le sembrava semplice accostare alle due figure: l’atroce dolore che erano destinati ad infliggersi l’un l’altro senza pietà. Perché quella passione, quell’amore inquieto e distratto, quell’amore così pieno di sé, invalicabile, era tanto forte quanto distruttivo. Li aveva consumati poco a poco, e ancora in quel momento Victoria poteva sentire il logoramento nel suo petto, che lavorava ancora per finire l’opera d'arte."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie ''The Rain Series''
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Capitolo 1

 


 

«Can you feel me

when I think about you?».

 

Tre anni. 1095 giorni circa. Qualche milione di ore, incontenibili secondi. Dopotutto quanto può essere veramente lungo il tempo? O veramente poco? Relatività è la parola d’ordine. Tre anni sono pochi, ma 1095 giorni sono tanti, eppure sono la stessa cosa. Così come i luoghi.

Los Angeles era soleggiata e calorosa, molto più di quanto lo fosse l’ammasso di persone in giro per Central Park nella mia New York. Mi sarei quasi abituata a quel ritmo sconnesso e caldo della città delle star se non fosse stato per mia madre. Quando le rispondevo al telefono ero quasi più certa dei rumori della Grande Mela piuttosto che delle sue parole, che tra l’altro erano quasi sempre le stesse. “Come stai? Hai mangiato? Hai parlato con tuo padre? E tuo fratello?”. Niente di insolito.

Meditai di chiamarla, giusto per prenderla un po’ in giro, quando un rumore di un paio di tacchi incerti ma veloci mi fece scartare l’idea.

«Forza Vic, dobbiamo muoverci, lo sai che Meg non ha pazienza!», mi rimproverò Kate. Aveva piegato le labbra in una smorfia e con una preoccupazione che mi avrebbe snervato se non avesse avuto ragione.

Lasciai stare le mie solite considerazioni e seguii la ragazza bionda davanti a me. Mi spinse con garbo nell’auto – come se ci fosse bisogno di mettermi a sedere al posto del guidatore -, afferrai al volo gli occhiali da sole grandi e neri, poi tirai un sospiro più lungo dell’aria che avevo nei polmoni.

«Meg dovrebbe darsi più al sesso e meno alla guerra contro di me!», dissi nell’istante in cui il motore si accese e l’auto grigia metallizzata sfrecciò tra le strade con poca pazienza.

«Non correre così! Vorrei arrivarci viva alla conferenza…e possibilmente con tutti i capelli in testa!», mi rimproverò. Inizialmente la ignorai accelerando ancora un po’, dato che adoravo far saltare i pochi nervi della mia migliore amica.

«Quando fai così mi fai ricordare che passi più tempo con Rachelle che con me».

Scosse la testa senza aggiungere altro, portò una mano verso lo stereo della macchina e lo accese con un gesto deciso; mentre con meno decisione cambiò qualche stazione radio fino a sceglierne una.

«Ehi, sbaglio o è la tua canzone quella che suonano alla radio?», risi rumorosamente rilassandomi sul sedile e girando abilmente lo sterzo con una sola mano.

Una mia canzone. Sembrava assurdo pensarci anche dopo tre anni. Ricordavo perfettamente l’istante in cui la mia vita aveva preso la piega diversa, quella decisiva.  

Megan mi era stata presentata tre anni prima durante una lezione all’ Accademia. Il preside era stato d’accordo nel dare la possibilità ad alcuni di poter proseguire da soli. Ed il mio momento arrivò più velocemente di quanto volessi. Non posso nascondere che all’inizio ero terrorizzata, quel mondo sembrava troppo anche per me che ero cresciuta preparandomi discorsi davanti allo specchio con il mio finto Grammy, ma ripetevo a me stessa tutte le notti che l’unica cosa che avevo voglia di fare era scrivere e cantare. E fu da quella determinazione, che partirono i primi piccoli successi. Prima la partecipazione a qualche concorso, una prima canzone lanciata alla radio…e poi via alla mia nuova vita. Beh, non fu solamente per quello.

C’era tutta un’altra storia che mi aveva spinta a fare quella scelta. A mollare tutto e dimenticarmi di non essere sola. Non importava poi tanto quanto tempo ci pensassi, metà della mia giornata era piena di parole, rumori, note e persone per fermarsi un attimo a riflettere.

Arrossii senza dire una parola. «Non ci credo», mormorò Kate tenendosi stretta alla cintura di sicurezza. «Dopo tre anni riesci ancora ad imbarazzarti se una tua canzone va alla radio o se ti fanno una domanda personale durante un intervista», mi sorrise accarezzandosi i capelli.

«Ti invidio. Non ti sei montata la testa, non come Elle perlomeno».

Alzai le spalle in un gesto disinvolto. «Rachelle ha sempre avuto la testa montata», e insieme alleggerimmo l’atmosfera con una risatina veloce pensando alla nostra teatrale amica dai capelli rossicci.

Mezz’ora dopo, entrammo nell’hotel dove si sarebbe tenuta la conferenza. In pieno corridoio, un intero staff di persone, capeggiate da una donna dall’aria spavalda, mi raggiunse a passo militare.

«Vic, corri a cambiarti. Niente di esuberante, niente di troppo sobrio. Vestiti normali». Mi ordinò Meg, come se si aspettasse che capissimo davvero la sua idea di “normale” dopo che lei a 35 anni andava in giro con una maglia ad arcobaleno, con la faccia di una cane stampata dietro la schiena.

Kate, visibilmente spaventata dall’espressione della mia agente, si nascose dietro la mia schiena spingendomi in avanti con una mano, nella speranza che Megan non potesse vederla e…

«Kate perché siete arrivate in ritardo?»…darle la colpa del mio ritardo. Un classico.

«Meg, è colpa mia. Kate ha cercato di farmi muovere, ma lo sai…sono lenta», spiegai con un sorriso di finto dispiacere irritando la povera donna dai nervi instabili.

Con un cenno esasperato mi indicò una porta. «Cambiati e studia il foglio sulla scrivania».

 

Consiglio sempre la frutta. Adoro mangiare sano. Faccio più sport che posso quando mi è concesso fuori dalla sala registrazione o da un tour.

«Stiamo scherzando?», gridai mentre Kate subiva i miei sfoghi contando i minuti che mancavano ad uscire da quello stanzino. «Non direi mai una cosa del genere. Io adoro il fast food…e non faccio sport da quando avevo dodici anni!», gridai contro il foglio che Megan mi aveva lasciato da studiare.

«Vicky!», disse Kate spaventata. «E’ solo una risposta…un consiglio. Non prenderla così, conosci Meg…», abbassò la voce. Guardandola, mi accorsi di aver esagerato e mi accasciai sulla sedia fissando l’orologio: avevo cinque minuti scarsi.

«Sei così suscettibile in questi giorni», mormorò di punto in bianco, con il tono incerto che adottava quando aveva paura di farmi arrabbiare.

«E’ solo che vorrei fare qualcosa di speciale per le persone che credono nella mia musica. Sai, così ho cominciato… è tutto sulla mia pelle», spiegai animatamente a Kate incurante del suo sguardo stranito. Mi sarebbe bastato dirlo, che poi fosse stato incompreso…beh, quello non mi importava più da un bel po’.

«Sono tre anni che facciamo concerti, servizi fotografici, interviste e non mi stancherò mai della vita che mi sono scelta», annuii sicura. «Ma…non so quanto ho detto di vero su di me in questi tre anni. Non se la mia manager continua a scrivere le risposte da dare…». Kate continuò ad a tenere le sopracciglia alte e la bocca corrucciata come una bambina che cerca di capire la matematica.

«Stai delirando», scosse la testa. Sbuffai perché piano piano cominciavo a credere di essere davvero patetica. Misi da parte l’argomento per evitare altre parole deliranti.

«Si, forse hai ragione».

«E poi?». Domandò ancora, insoddisfatta del giro di parole che avevo fatto. Era così difficile mentire ad una persona perspicace e sensibile come Kate.

«Poi cosa?».

«Che altro c’è?».

«Shane non mi ha chiamata ieri. Lui mi chiama sempre, ogni settimana per dirmi qualcosa di stupido…ma ieri non l’ha fatto e sono preoccupata», confessai rendendo la mia voce roca e bassa. Irriconoscibile quell’improvviso senso di apprensione che mi veniva nei confronti di Shane da quando non lo vedevo più così spesso. Lui era rimasto a Longwood per torturare e magari anche conquistare Marnie, l’eccentrica bruna di Longwood. Ancora mi sorprendeva accostare i loro nomi: si assomigliavano così tanto, come potevano sopportarsi l’un l’altra? Ah, la forza della amore. Sospirai.

«Conosciamo tutti Shane: si sarò dimenticato o sarà stato troppo occupato a farsi perdonare l’ennesima scorrettezza da Marnie», rise leggermente trattenendo un lunga risata di gusto.

«Si, sicuramente».

Fui sul punto di sospirare e rilassare i muscoli quando mi ricordai che non avevo il permesso di farlo. Sbuffai e mi diressi, facendo a Kate il cenno di seguirmi, verso la porta chiusa a chiave.

Mi dispiacque dover abbandonare il calore tiepido e la luce soffusa di quella piccola stanza.  

Il cellulare vibrò sul tavolino prima che potessi chiudermi la porta dietro le spalle. Sebbene sapevo che Kate mi avrebbe lanciato un’occhiataccia e che Meg se la sarebbe presa con me se avessi ritardato ancora, risposi lanciandomi di peso.

«Non ci crederai maiiiii». Una voce, che all’inizio faticai a conoscere, prolungò la vocale finale in preda al…panico? All’eccitazione? Non capii subito.

«Indovina quale pezzo di idiota mi ha chiesto di sposarlo?». Gettai un gridolino avventato senza riuscirlo a trattenere. Kate sobbalzò al mio fianco. Ma cosa stava succedendo?

«Stai scherzando?», urlai.

Una voce lontana e ovattata mi rispose al telefono. «Già me ne sto pentendo». Shane.

«Ma quando? E dove…ma soprattutto, perché?».

«Perché sono talmente irresistibile che ha deciso di legarmi a lui a vita». E per quanto stesse ridendo, mi sembrò la frase più tenera mai sentita dalla bocca di Marnie.

«Oh ragazzi, non posso crederci». Sorrisi tanto da spaventare Kate di fronte a me. Non capitava spesso che stirassi così tanto i muscoli facciali.

«E’ la notizia più bella che mi danno da una vita!». Mi lasciai scappare una risatina isterica: mi stavo forse emozionando? Avevo capito bene? E io cosa ci facevo ancora lì?

La mia coscienza alzò le spalle. D’altronde era una cosa normalissima, mio fratello si stava sposando con una delle mie migliori amiche ed era felice. Il mio compito di sorella implicava l’emozione.

«E farai da testimone a Shane, vero?». La domanda, seppur stupida, fu la punta dell’iceberg che si sgretolò in tante piccole lacrime. Pensai che il piano di non far arrabbiare Meg era andato in frantumi in quel preciso istante.

«Sarebbe un onore», sospirai.

Avevo imparato a conoscere Marnie abbastanza bene da sapere che troppo entusiasmo a volte era solo una forzatura della voce che nascondeva la paura di dire qualcos’altro. Mi chiesi che altro avesse da dire dietro una notizia così lieta.

«C’è qualcos’altro?». La sentii sospirare. Esitò un po’ diffondendo silenzio, poi rigettò tutto troppo rapidamente per soffrire lentamente.

«Cioè?». E la sua voce si tradì nuovamente.

La sentii sospirare e poi richiamare ossigeno. Esitò un po’ e rigettò tutto troppo rapidamente per soffrire lentamente. Fu come un secco di ghiaccio in inverno. Forte, pericoloso ma controllabile.

«Nathan è fidanzato con Carmen da quasi un anno».

So che la gente cambia e queste cose succedono, ma io ricordo ancora com’era prima di tutto questo. Diceva una mia maledetta canzone.

Nathan. Quante volte il suo nome era risuonato nella mia testa, tra le parole delle mie canzoni ma mai detto ad alta voce? Troppe volte per rimanerne scioccati.

Quasi un anno con Carmen. Carmen. L’amica di Emma. La cruda sorpresa bloccò il flusso di lacrime di gioia che le parole di Marnie avevano scatenato. Un anno. Era molto di più di… quanto fossimo stati insieme noi. Ma d’altronde, eravamo mai stati davvero una coppia? Per un attimo mi esaminai dentro. Eh si, faceva ancora male.

Dopotutto erano passati solamente tre anni.

Avevamo cercato di tenere stretto un legame ancora troppo fragile. Il settembre di tre anni prima, ero tornata a Longwood per partecipare alla recita del collegio di Nate. Aveva ricevuto la parte di Peter, senza che io avessi dubbi ed ero stata così fiera di lui che niente avrebbe potuto smentire quello che ero stata capace di dirgli durante l’estate, tutti lo eravamo, anche Emma, che aveva ricominciato a parlarmi. Sembrava davvero tutto assurdamente perfetto.  

I litigi cominciarono quando lui accettò di partecipare ad un corso di medicina ed io conobbi Meg. Poi fu come una fiamma al gelo. Parole taglienti, sguardi accusatori: avevamo cominciato a distruggerci a vicenda proprio come sapevamo sarebbe accaduto. Proprio come entrambi avevamo promesso l’un l’altro.  
E in una notte di dicembre, quando capii che tutto sembrava insostenibile, quando mi resi conto che mancava poco alla pazzia, andai via.

L’unica cosa che fui capace di dire in quell’istante, dopo tutti quei ricordi in un unico flashback fu:

«Nathan chi?».

«Tentativo patetico, Vic». Sospirò Marnie, meno ironica di quanto volesse. La sua voce, che risultò afflitta anche via telefono, non l’aiutava affatto. Se toccava agli altri stare male per lei, quella storia non sarebbe mai finita. La infastidiva ancora il modo in cui le persone la guardavano con tristezza quando si trattava di Nathan. Loro non sapevano niente.

«Non vedo perché tu debba dirmelo. Non roviniamo la tua bella notizia con queste cose, per favore». Ma il colpo di tosse fu d’obbligo quando la voce mi si bloccò giusto per farmi risultare meno credibile.

«Si, hai assolutamente ragione». E prolungò la voce finché non decisi di attaccarle il telefono in faccia felice e turbata da tutte quelle novità.

Mi ero perfino dimenticata di Kate al mio fianco. «Ehi, tutto bene?».

Annuii.

«Dobbiamo andare. Ti racconto tutto dopo». Spiegai frettolosamente. Mentre percorrevo il corridoio, tutto sembrò conformarsi ai miei pensieri. Le mura bianche si incupirono al mio passaggio, le voci diluirono lentamente lasciando spazio solo ad un'unica voce che ero disposta a sentire in eterno. La mia.

Fu inevitabile pensare che avrei dovuto, al più presto, organizzare il mio ritorno a Longwood, finalmente, dopo tre anni.

Meg mi passò una mano sul braccio, forse per rassicurazione, forse per spingermi a muovermi. L’unico risultato fu la pelle d’oca. Io rallentavo, gli altri correvano.

Mi stava aspettando un nuovo viaggio. Non ero ancora sicura però se fosse un viaggio nel passato o nel futuro, il solo pensiero mi spingeva al vomito.  

Nel frattempo mi conveniva sfornare uno dei miei sorrisi migliori e la pacatezza mal riuscita di Victoria Hamilton e andare ad affrontare una conferenza stampa dove io sembravo, stranamente, l’assoluta protagonista.

 

Fine Primo Capitolo.

 

 

Qualche mese fa ‘A Year Without Rain, la prima parte di questa storia ha compiuto un anno.

E’ stato un primo viaggio bellissimo e quel ricordo non ha fatto altro che alimentare la mia sconsiderata voglia di scrivere. Come promesso ai miei personaggi, la loro storia non poteva finire in a senso unico, perciò, vi lascio a ‘Come In With The Rain’.

Dal prossimo capitolo una cosa di fondamentale importanza cambierà in questa storia: “Come in with the rain” non verrà più scritta in prima persona. Nonostante io ami “la prima persona”, volevo provare a cimentarmi nella terza persona, magari dando più spazio a molte scene viste da un punto di vista maggiore.
Grazie.

http://www.youtube.com/watch?v=WCBMur8gyS8A
Questo è il booktrailer di Come in with the rain. Parlatemi anche di questo video, se vi va! ;)

Qui c'è la prima parte della serie ---> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=573625&i=1

 

  
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