Quando
la porta si aprì
Alessandro non avrebbe mai pensato che potesse essere lui: era
già da un po’ di
tempo che si riprometteva di andarlo
trovare, ma non ne aveva il tempo, così aveva
lasciato che Efestione
continuasse ad evitarlo senza un motivo evidente.
In
effetti era da quando
avevano conquistato Babilonia che il giovane soldato evitava il suo re
e ciò
era molto strano soprattutto perché si trattava di
Efestione, che aveva sempre
avuto un rapporto speciale con Alessandro: amicizia? Da tempo entrambi
i
ragazzi sospettavano che ormai fosse evidente a tutti che quel limite
era stato
superato…
“Efestione…
a cosa devo
quest’onore?” Alessandro non voleva essere cattivo
con lui, ma nella sua voce
risuonava evidente la frustrazione: “Credevo di fosti
stancato di un re… uno
come te potrebbe puntare a sedurre un dio; chiederò a mia
madre di mettere una
buona parola con te con Dioniso…”
“Smettila.
Subito.” Gli
occhi chiari del generale si strinsero minacciosi e il tono di quelle
parole,
di solito caratterizzato da una flessione dolce, era severo ed
irritato: “Non
temi più gli dei, Alessandro? Devi stare attento o ti
puniranno.”
Lui
sbuffò osservando il
compagno sedersi su una sedia proprio di fronte a lui, con i muscoli
tesi come
se stesse per andare in battaglia.
“E
tu perché mi stai
punendo, Efestione?”
Ci
sono momenti in cui il
silenzio sembra annientare tutto ciò che è
diverso da lui, compresi gli uomini,
i loro sogni e le loro speranze.
Nello
stesso modo il
silenzio del soldato distrusse la speranza di Alessandro, che per tutto
quel
tempo aveva continuato quasi involontariamente a tenerla stretta e viva
nel
proprio cuore: forse Phai non lo stava evitando e forse era tutto un
malinteso
che si sarebbe risolto con un paio di abbracci e risate.
Ma il
soldato non parlava,
anzi, aveva persino abbassato lo sguardo sulle proprie dita intrecciate
e
questo poteva voler dire solo che qualcosa non andava: dopo tutti
quegli anni
passati insieme Alessandro sapeva tutto dell’altro e
conosceva a memoria il
significato di ogni sua piccola reazione.
Improvvisamente
il
castello di carte accuratamente innalzato dal biondo crollò
per la folata di
fredda consapevolezza che quel silenzio e quegli occhi sfuggenti
avevano
portato.
“Efestione…
Phai, cosa sta
succedendo?” chiese il re con voce tremante; passò
ancora qualche istante prima
che l’altro rispondesse: il soldato stava cercando di
recuperare la calma per
affrontare quel discorso che, sapeva, una volta iniziato doveva essere
portato
a termine.
Ma
non per tutti la sua
conclusione sarebbe stata piacevole: in ogni caso o lui o Alessandro
avrebbero
sofferto.
“Xandrè
io ho sempre
creduto in te, ti ho appoggiato e sostenuto, ma ora… ora hai
Babilonia,
Alessandro, e un popolo che ti ama. Hai il potere, la gloria e il
denaro… qui
sei il grande re. Qui hai tutto ciò che un uomo potrebbe
desiderare e forse
anche di più.”
Nel
momento stesso in cui
il moro si interruppe per riprendere fiato un biondo sopracciglio del
re scattò
verso l’alto e il cuore di Efestione perse un battito:
Alessandro sembrava
scocciato e come inizio non era dei migliori.
“Cosa
mi stai dicendo, di
preciso, Efestione?”
Quest’ultimo,
davanti al
tono frustrato del re, prese un respiro profondo e decise che avrebbe
affrontato il problema un po’ per volta, girandoci attorno:
“Da quando siamo
arrivati a Babilonia ti ho evitato…”
“Si,
l’ho notato.”
“…ed
ho riflettuto a
lungo: tu sei in cerca di una casa, Alessandro, e io credo che questa
sia
perfetta per te. Come ho detto, hai tutto ciò che vuoi:
fermati a Babilonia,
non inseguire il tuo sogno ancora più a Oriente
perché vi troveresti solo una
triste fine. In ogni caso, io non verrò in India: mi
fermerò qui, a Babilonia.”
Aveva pronunciato le ultime parole in un sussurro appena udibile,
quindi chiuse
gli occhi ed aspettò che l’altro esplodesse; non
dovette attendere a lungo.
Alessandro
si alzò di
colpo, rovesciando la sedia, rosso in viso per l’ira
incontrollabile: “Mi stai
dicendo che o rinuncio al mio sogno o rinuncio a te? Aristotele disse
che
quella di annientare gli uomini e i loro sogni è una
caratteristica
dell’oriente, non degli amici infedeli e dei soldati
rivoltosi!”
Efestione
non poteva
averlo fatto: nonostante la collera del momento Alessandro non poteva
credere
che il SUO Phai avesse potuto costringerlo a una scelta tanto terribile.
Quando
il soldate rispose
i suoi occhi erano umidi e sembrava distrutto dalla situazione:
“Alessandro,
qui sei amato, sei al sicuro. Io vivo nel terrore di perderti: ad ogni
battaglia, ogni volta che affronti un nuovo popolo di barbari io vengo
invaso
dalla paura che tu muoia lasciandomi solo; ad ogni tua ferita, ad ogni
tua
sconfitta una parte del mio cuore muore, Xandrè. Se ti
seguissi in India
smetterebbe completamente di battere: è troppo pericoloso,
è un suicidio, e io
non voglio, non posso assisterti mentre ti rovini la vita. Fermati a
Babilonia,
ti supplico. Se non vuoi farlo per me, fallo per il tuo stesso
bene!”
Mentre
parlava l’Ateniese
si era inginocchiato di fronte al re, afferrandolo per le ginocchia ed
appoggiando la testa alle sue gambe: piangeva.
Il
corpo di Alessandro
venne attraversato da un brivido dato dal senso di colpa: Phai soffriva
a causa
sua e del suo sogno, si preoccupava per lui e per quello stava male.
Anche ora
era lì a piangere, dimenticando il suo orgoglio di soldato
ed abbassandosi a
supplicarlo, cosa che un guerriero Macedone non faceva nemmeno in punto
di
morte nel tentativo di salvarlo.
Alessandro
temette di star
per mettersi a piangere a sua volta di fronte alla dolcezza di quel
ragazzo
adorabile, quindi si inginocchiò a sua volta, prese il viso
di Efestione fra le
mani e lo baciò lentamente, tenendolo stretto anche quando
si separarono:
“Capisco le tue intenzioni, Phai, e sono nobili, come sempre.
Ma non posso
fermarmi: ho bisogno di proseguire, è l’unica cosa
che senso alla mia vita. È
l’unico modo che ho per dimostrare al mondo che non sono
schiavo di mia madre,
che sono un uomo e che valgo qualcosa. Ma non ti costringerò
a seguirmi: non
voglio vederti soffrire a causa mia e preferisco che tu stia qui, a
Babilonia,
lontano dai pericoli. Mi dimenticherai e smetterai di star male; ma
resta con
me stanotte, perché questo è veramente un addio
mio dolce Patroclo.”
Nonostante
quella
consapevolezza fosse dura e crudele, quando Efestione
incontrò gli occhi del suo
re capì che non c’era più nulla da
fare: non avrebbe convinto Xandrè a
fermarsi. Non lo avrebbe convinto MAI: quello era il suo sogno,
l’unica parte
della sua vita non controllata dal padre o della madre e chi era lui
per
toglierglielo? Prese la sua decisione.
Quella
notte la passarono
insieme, ma la mattina, quando Alessandro si svegliò,
Efestione non c’era: non
ne fu sorpreso.
Dopo
nemmeno un’ora radunò
l’esercito: era venuto il momento di marciare verso
l’ India.
Osservò
tristemente i
volti dei suoi uomini, stanchi ed arrabbiati, quando…
Efestione era accanto a
Clito, gli occhi arrossati, ma sorrideva con dolcezza.
Alessandro
gli corse
incontro con aria confusa e, ancora prima che glielo chiese, Efestione
gli
spiegò in un sussurrò, stringendosi fra le sue
braccia, evidentemente in cerca
di conforto e rassicurazione anche se cercava di essere forte:
“Non provare a
convincermi: almeno venendo con te ti posso proteggere. Patroclo ha
forse
abbandonato Achille sotto le mura di Troia?”
“Ti
amo piccolo.” Sussurrò
Alessandro stringendolo e cullandolo come se fosse il tesoro
più prezioso del
mondo, molto più prezioso dell’oro Macedone.
“Lo
so…”
E
come narra la leggenda
per il suo infinito amore verso Achille che lo spinse a seguirlo in un
impresa
folle e da cui in Pelide sapeva già non sarebbe tornato,
Patroclo morì per
primo.