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Autore: La Kurapikina    02/01/2012    2 recensioni
E se Efestione, a Babilonia, provasse a dissuadere Alessandro dal continuare il suo viaggio verso l'India??
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando la porta si aprì Alessandro non avrebbe mai pensato che potesse essere lui: era già da un po’ di tempo che si riprometteva di andarlo  trovare, ma non ne aveva il tempo, così aveva lasciato che Efestione continuasse ad evitarlo senza un motivo evidente.

In effetti era da quando avevano conquistato Babilonia che il giovane soldato evitava il suo re e ciò era molto strano soprattutto perché si trattava di Efestione, che aveva sempre avuto un rapporto speciale con Alessandro: amicizia? Da tempo entrambi i ragazzi sospettavano che ormai fosse evidente a tutti che quel limite era stato superato…

“Efestione… a cosa devo quest’onore?” Alessandro non voleva essere cattivo con lui, ma nella sua voce risuonava evidente la frustrazione: “Credevo di fosti stancato di un re… uno come te potrebbe puntare a sedurre un dio; chiederò a mia madre di mettere una buona parola con te con Dioniso…”

“Smettila. Subito.” Gli occhi chiari del generale si strinsero minacciosi e il tono di quelle parole, di solito caratterizzato da una flessione dolce, era severo ed irritato: “Non temi più gli dei, Alessandro? Devi stare attento o ti puniranno.”

Lui sbuffò osservando il compagno sedersi su una sedia proprio di fronte a lui, con i muscoli tesi come se stesse per andare in battaglia.

“E tu perché mi stai punendo, Efestione?”

Ci sono momenti in cui il silenzio sembra annientare tutto ciò che è diverso da lui, compresi gli uomini, i loro sogni e le loro speranze.

Nello stesso modo il silenzio del soldato distrusse la speranza di Alessandro, che per tutto quel tempo aveva continuato quasi involontariamente a tenerla stretta e viva nel proprio cuore: forse Phai non lo stava evitando e forse era tutto un malinteso che si sarebbe risolto con un paio di abbracci e risate.

Ma il soldato non parlava, anzi, aveva persino abbassato lo sguardo sulle proprie dita intrecciate e questo poteva voler dire solo che qualcosa non andava: dopo tutti quegli anni passati insieme Alessandro sapeva tutto dell’altro e conosceva a memoria il significato di ogni sua piccola reazione.

Improvvisamente il castello di carte accuratamente innalzato dal biondo crollò per la folata di fredda consapevolezza che quel silenzio e quegli occhi sfuggenti avevano portato.

“Efestione… Phai, cosa sta succedendo?” chiese il re con voce tremante; passò ancora qualche istante prima che l’altro rispondesse: il soldato stava cercando di recuperare la calma per affrontare quel discorso che, sapeva, una volta iniziato doveva essere portato a termine.

Ma non per tutti la sua conclusione sarebbe stata piacevole: in ogni caso o lui o Alessandro avrebbero sofferto.

“Xandrè io ho sempre creduto in te, ti ho appoggiato e sostenuto, ma ora… ora hai Babilonia, Alessandro, e un popolo che ti ama. Hai il potere, la gloria e il denaro… qui sei il grande re. Qui hai tutto ciò che un uomo potrebbe desiderare e forse anche di più.”

Nel momento stesso in cui il moro si interruppe per riprendere fiato un biondo sopracciglio del re scattò verso l’alto e il cuore di Efestione perse un battito: Alessandro sembrava scocciato e come inizio non era dei migliori.

“Cosa mi stai dicendo, di preciso, Efestione?”

Quest’ultimo, davanti al tono frustrato del re, prese un respiro profondo e decise che avrebbe affrontato il problema un po’ per volta, girandoci attorno: “Da quando siamo arrivati a Babilonia ti ho evitato…”

“Si, l’ho notato.”

“…ed ho riflettuto a lungo: tu sei in cerca di una casa, Alessandro, e io credo che questa sia perfetta per te. Come ho detto, hai tutto ciò che vuoi: fermati a Babilonia, non inseguire il tuo sogno ancora più a Oriente perché vi troveresti solo una triste fine. In ogni caso, io non verrò in India: mi fermerò qui, a Babilonia.” Aveva pronunciato le ultime parole in un sussurro appena udibile, quindi chiuse gli occhi ed aspettò che l’altro esplodesse; non dovette attendere a lungo.

Alessandro si alzò di colpo, rovesciando la sedia, rosso in viso per l’ira incontrollabile: “Mi stai dicendo che o rinuncio al mio sogno o rinuncio a te? Aristotele disse che quella di annientare gli uomini e i loro sogni è una caratteristica dell’oriente, non degli amici infedeli e dei soldati rivoltosi!”

Efestione non poteva averlo fatto: nonostante la collera del momento Alessandro non poteva credere che il SUO Phai avesse potuto costringerlo a una scelta tanto terribile.

Quando il soldate rispose i suoi occhi erano umidi e sembrava distrutto dalla situazione: “Alessandro, qui sei amato, sei al sicuro. Io vivo nel terrore di perderti: ad ogni battaglia, ogni volta che affronti un nuovo popolo di barbari io vengo invaso dalla paura che tu muoia lasciandomi solo; ad ogni tua ferita, ad ogni tua sconfitta una parte del mio cuore muore, Xandrè. Se ti seguissi in India smetterebbe completamente di battere: è troppo pericoloso, è un suicidio, e io non voglio, non posso assisterti mentre ti rovini la vita. Fermati a Babilonia, ti supplico. Se non vuoi farlo per me, fallo per il tuo stesso bene!”

Mentre parlava l’Ateniese si era inginocchiato di fronte al re, afferrandolo per le ginocchia ed appoggiando la testa alle sue gambe: piangeva.

Il corpo di Alessandro venne attraversato da un brivido dato dal senso di colpa: Phai soffriva a causa sua e del suo sogno, si preoccupava per lui e per quello stava male. Anche ora era lì a piangere, dimenticando il suo orgoglio di soldato ed abbassandosi a supplicarlo, cosa che un guerriero Macedone non faceva nemmeno in punto di morte nel tentativo di salvarlo.

Alessandro temette di star per mettersi a piangere a sua volta di fronte alla dolcezza di quel ragazzo adorabile, quindi si inginocchiò a sua volta, prese il viso di Efestione fra le mani e lo baciò lentamente, tenendolo stretto anche quando si separarono: “Capisco le tue intenzioni, Phai, e sono nobili, come sempre. Ma non posso fermarmi: ho bisogno di proseguire, è l’unica cosa che senso alla mia vita. È l’unico modo che ho per dimostrare al mondo che non sono schiavo di mia madre, che sono un uomo e che valgo qualcosa. Ma non ti costringerò a seguirmi: non voglio vederti soffrire a causa mia e preferisco che tu stia qui, a Babilonia, lontano dai pericoli. Mi dimenticherai e smetterai di star male; ma resta con me stanotte, perché questo è veramente un addio mio dolce Patroclo.”

Nonostante quella consapevolezza fosse dura e crudele, quando Efestione incontrò gli occhi del suo re capì che non c’era più nulla da fare: non avrebbe convinto Xandrè a fermarsi. Non lo avrebbe convinto MAI: quello era il suo sogno, l’unica parte della sua vita non controllata dal padre o della madre e chi era lui per toglierglielo? Prese la sua decisione.

Quella notte la passarono insieme, ma la mattina, quando Alessandro si svegliò, Efestione non c’era: non ne fu sorpreso.

Dopo nemmeno un’ora radunò l’esercito: era venuto il momento di marciare verso l’ India.

Osservò tristemente i volti dei suoi uomini, stanchi ed arrabbiati, quando… Efestione era accanto a Clito, gli occhi arrossati, ma sorrideva con dolcezza.

Alessandro gli corse incontro con aria confusa e, ancora prima che glielo chiese, Efestione gli spiegò in un sussurrò, stringendosi fra le sue braccia, evidentemente in cerca di conforto e rassicurazione anche se cercava di essere forte: “Non provare a convincermi: almeno venendo con te ti posso proteggere. Patroclo ha forse abbandonato Achille sotto le mura di Troia?”

“Ti amo piccolo.” Sussurrò Alessandro stringendolo e cullandolo come se fosse il tesoro più prezioso del mondo, molto più prezioso dell’oro Macedone.

“Lo so…”

E come narra la leggenda per il suo infinito amore verso Achille che lo spinse a seguirlo in un impresa folle e da cui in Pelide sapeva già non sarebbe tornato, Patroclo morì per primo.

 


  
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