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Autore: Bianca Wolfe    02/01/2012    0 recensioni
Quello che John Cramhole, londinese trentasettenne, aveva capito della vita era che non sempre l'impegno dà i suoi frutti. Quasi mai. Basta un piccolo rivolo d'aria che un castello di carta va a cadere, a distruggersi. Cercherà, quindi, un modo per sopravvivere, aiutato da una ragazza un po' inusuale.
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Dal primo capitolo:
Fino all’ultimo momento, però, pensò di rimanere a casa; ma mentre era seduto sul divano a guardare in tv chissà quale programma, il suo sguardo si andò a posare in qualche modo sullo smoking affittato appeso sulla credenza vuota che aveva lasciato lì per dare almeno una parvenza di addobbo, al suo salotto. Al diavolo, pensò e in men che non si dica era nella doccia a lavarsi.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Destinata a chissà cosa, ho iniziato a scrivere questa storia in un momento delicato della mia vita.
Volgerà al suo termine? Mai. John Cramhole rimarrà sempre un personaggio di cui si sarà grattata soltanto la superficie, e di cui non si assaggerà mai il suo interno.


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Capitolo 1
Crying over London

 

 

 

 

 

 

Ci si può svegliare in soli due modi, la mattina: bene o male. E, incredibilmente, ciò non è determinato dai sogni o dagli incubi. O meglio, sì, sono determinanti anche quelli, ma non come pensate voi. Lasciatemi spiegare: un cattivo risveglio è sottolineato dall’aver sognato, bello o brutto sogno che sia. Vi starete domandando: “Perché mai?”. Perché gli incubi – lo sappiamo tutti – ci donano quell’ansia che rimarrà nel nostro corpo intero per tutta la giornata, facendoci guardare intorno circospetti e spaventati; i bei sogni, invece, dopo averci regalato un sorriso pieno di felicità appena svegli, ci darà poi tristezza nella consapevolezza che quel sogno non si realizzerà mai. Quando invece non ricorderete cosa avrete sognato, state certi che prendete la giornata con più filosofia, perché non avrete aspettative.
            Questo, John Cramhole lo sapeva bene. Lo aveva creato lui, questo pensiero, e godeva del primato di sonni tranquilli e bui. Quest’uomo di trentasette anni, originario di Londra, non sognava più da molto tempo, ormai, e la cosa non gli creava alcun problema. Anzi! Ricordarsi del periodo in cui i sogni erano “all’ ordine della notte” gli faceva provare una stizza tremenda, mentre adesso era più tranquillo. Spensierato, potremmo dire. Ma come faceva il signor John a non sognare?
            Bisogna sapere, prima di tutto, che egli fu sposato per ben sette anni – dai venti ai ventisette –, ma che poi la moglie lo lasciò. « Sei un buono a nulla » era stata la spiegazione, e sotto questo aspetto non poteva certo ribattere: laureato in giurisprudenza, John sarebbe dovuto essere ormai un avvocato di successo, viste le capacità e la volontà. Il problema fu il fallimento dello studio legale in cui lavorava e che lo ha poi fatto vagare per un anno e mezzo alla ricerca di un altro ufficio. Ma chi può mai volere un avvocato fallito così giovane, nella propria società? Nessuno, a parte qualche studio legale di basso rango – e infatti a uno di questi era legato il nostro avvocato. Questo fu il periodo peggiore della sua vita: la lieve depressione per la sua mediocrità, sommata ai continui lamenti della moglie, non facevano che provocare la sua mente che creava incubi sempre peggiori. Quando poi la moglie presentò le carte del divorzio, egli iniziò a sentirsi più… Leggero. Come se l’amore per la moglie non fosse mai esistito. All’inizio si chiese cosa fosse andato storto, ma pian piano capì che non gl’interessava, che per Francine non c’era mai stato amore; forse, una volta, del rispetto, ma era sparito anche quello. E con la pesantezza, vennero a mancare i sogni, ed eccoci ritornati al punto di partenza, con un quesito in meno da risolvere.
            L’unica cosa che era certa, per John Cramhole, era l’amicizia che serbava per un suo collega, Anthony Johnson. Il caro e vecchio Tony, più anziano di lui, ma sempre un amico e consulente fidato. La loro amicizia poteva essere definita professionale, poiché s’incontravano spesso allo studio di uno o dell’altro – lavorando in uffici differenti. Qualche volta pranzavano insieme, sempre in bei locali che John non poteva permettersi di certo, ma non l’aveva mai detto ad Anthony. Non poteva, si vergognava. Mai uno di loro aveva fatto visita alla casa dell’altro, né conoscevano i vari parenti. Non che John avesse molti da presentargli: c’era solo Gerty, sua sorella, che assomigliava così terribilmente al padre (mentre lui assomigliava interamente alla madre); e poi, per contro, egli era a conoscenza della famiglia di Tony. Il vecchio amico aveva una moglie, Aurora, morta in un incidente stradale da cinque anni. Non ne parlava mai, era stata nominata per caso una o due volte. E poi, Tony aveva i suoi due figli: Nathan, il maggiore, di ventiquattro anni e creatore di problemi a causa della sua vita movimentata, e Alyssa, di diciannove anni, più tranquilla, a parer suo. John Cramhole non li aveva mai incontrati.
            Fu il ventotto di marzo che questa situazione cambiò. In uno dei loro soliti pranzi, infatti, Tony invitò John a un improbabile evento. « Amico mio, » esordì il più anziano dei due, e l’altro iniziò a preoccuparsi vista la solennità del richiamo « Da quant’è che ci conosciamo? Anni. Troppi da contare! E da quanto ti racconto dei miei figli? Si tratta sempre di un tempo ragionevole. Beh, credo sia arrivata l’ora d’incontrarli, entrambi; e quale migliore occasione del compleanno della più piccola? Alyssa compirà domani vent’anni, un bel traguardo, per una donna. T’invito, quindi, e spero che accetterai il mio invito, sempre che tu non abbia già altri impegni ».
            Parlava sempre così, il vecchio Tony: come se dovesse proporre l’arringa finale di un importante processo; in modo forbito, ma gentile, con un tono di voce capace
di assoggettarti al primo epiteto. Eppure John aveva paura di accettare quell’invito: non conosceva i figli del suo amico, e presentarsi a una festa di uno di essi gli sembrava inappropriato. « Non lo so, Tony. » rispose quindi « Tua figlia potrebbe ritrovarsi in imbarazzo nell’incontrare uno sconosciuto alla propria festa di compleanno… ».
            « Non dire nemmeno una cosa del genere! » Anthony, d’altro canto, era sicuro di quanto fosse buona la sua idea. « Con Alyssa ho già parlato, e mi ha assicurato di essere d’accordo con la mia idea. In più, è una festa in maschera – una sua decisione originale – quindi un imbarazzo, come lo chiami tu, e intendo quello del guardarvi dritto in faccia, è eliminato ».
            John sospirò. Come poteva dire di no al suo unico, grande amico? Annuì, senza aggiungere alcuna parola: aveva appena accettato l’invito.

 

Nel pomeriggio si ritrovò ad affittare uno smoking elegante e una maschera semplice, per niente sfarzosa, nera come l’abito e che copriva metà del volto, ovviamente a eccezione degli occhi. Più e più volte si ritrovò a pensare: “Ma cosa sto facendo?”. La risposta che si dava era che stava andando a trovare un amico e la sua famiglia.

 

 

*

 

 

La sera seguente fu tediato, in animo suo. Non sapeva se andare o no, a quella festa: di solito declinava tutti gli inviti da parte dei colleghi – che credeva l’avessero preso in antipatia, per ciò –, ma in quella occasione era diverso: era stato Anthony Johnson a chiederglielo, e rispondere negativamente sarebbe stato maleducato, soprattutto per gli intenti che l’amico aveva.
            Fino all’ultimo momento, però, pensò di rimanere a casa; ma mentre era seduto sul divano a guardare in tv chissà quale programma, il suo sguardo si andò a posare in qualche modo sullo smoking affittato appeso sulla credenza vuota che aveva lasciato lì per dare almeno una parvenza di addobbo, al suo salotto. Al diavolo, pensò e in men che non si dica era nella doccia a lavarsi.

 

Sulla strada per la casa di Tony, John si fermò da un fioraio, dove comprò un bellissimo bouquet per la festeggiata: non poteva certo presentarsi a mani vuote! Mezz’ora dopo, si ritrovò di fronte all’imponente cancello che proteggeva l’immensa villa dei Johnson. Un fattorino prese la sua piccola e malconcia Volkswagen e la portò al parcheggio, mentre lui saliva incerto le scale ed entrava in casa, il suo miserabile bouquet in mano. Un secondo fattorino lo prese e lo sistemò insieme agli altri regali. John si guardava intorno, non sapendo che fare, dove andare. Si sentiva ben più giovane dei suoi trentasette; si sentiva piccolo e indifeso e spaesato.
            Le speranze si riaprirono quando Anthony lo venne a salutare. « John! » esclamò, evidentemente contento della sua presenza « Sei venuto davvero, allora. Ottimo! Resta qui, vado a chiamare prima Alyssa, così potrete conoscervi. Mi raccomando: non muoverti. » e, così come apparve, sparì, lasciando l’amico di nuovo da solo e perso.
            Sembrarono passare parecchi minuti, eppure Tony non tornava. La stranezza più grande e che, di punto in bianco, si dimenticò di lui. Chissà come, la sua attenzione venne attirata da una figura: era vestita di un abito bianco, rifinito da paillettes che la illuminavano, facendola assomigliare a un angelo; la maschera era elaborata, ma non ridicola, colorata d’argento, seppure non fosse di quel materiale – era evidente. Lo stava guardando, incuriosita e attratta quasi quanto lui, forse anche in egual misura. Quando si accorse che lui ricambiava lo sguardo, si voltò e se ne andò, i capelli morbidi e ondulati, neri come la notte, che saltellavano al suo passo.
            La seguì. Senza alcun perché, ma lo fece, dimenticando che fosse a una festa di una sconosciuta, dimenticando che Tony gli aveva detto di aspettare lì, dimenticando persino ogni convenzione. Stava seguendo una sconosciuta per il puro piacere di farlo, per conoscerla. Arrivò al primo piano, e poi a un terrazzo bello grande, quasi quanto una sala da ballo regolare. Il terrazzo era completamente ingombro, ma coperto in sommità dal terrazzo sovrastante, del secondo piano. John riuscì comunque a notare che stava piovendo. Qualcuno sta piangendo su Londra, non poté fare a meno di pensare.
            Avanzò, cercando con lo sguardo quella figura bianca che non poteva certo essere sparita all’improvviso. In più, sarebbe stato difficile per lei nascondersi, visto il suo vestito, impossibile da mimetizzarsi nell’oscurità.
            « Perché mi hai seguita? » la domanda gliela pose una voce femminile, calda in un sussurro, alle sue spalle.
            Si voltò ed eccola, un po’ più bassa di lui. I suoi occhi color nocciola sembravano brillarle e le labbra erano increspate in un sorrisetto che a lui pareva perfetto per incorniciare quel volto. « Io… » Io, cosa? « Non lo so ».
            Il sorriso di lei divenne divertito. « Non ti conosco. Non sei l’unico, stasera, ma tu hai qualcosa di… diverso. » gli girò intorno, come nel tentativo di collocarlo in qualche gruppo che lei aveva ideato nella sua mente.
            « In che senso? » chiese John, non avendo niente di meglio da dire.
            « Non lo so. » questa volta fu lei l’incerta.
            Si guardarono per un po’, in silenzio. L’uomo pensò bene di presentarsi, e lo fece, protendendo una mano verso la sua interlocutrice per una stretta formale e dichiarando il suo nome di battesimo – solo quello, tralasciando il cognome.
            « Io mi chiamo… » iniziò lei, ma vennero interrotti da una voce che esclamava: « Alyssa! », e quello era Tony, che apriva l’anta della porta-finestra che conduceva al terrazzo e li raggiungeva. Quando notò che John era in sua compagnia, sorrise ingenuamente. « Oh, vedo che vi siete appena conosciuti! Senza di me, è una gran conquista, per quanto riguarda il caro e vecchio John. Non è vero? ».
            John non poté che annuire, ringraziando il cielo che la maschera gli coprisse il volto perché si sentì avvampare. « Stavo giusto per fare gli auguri alla festeggiata » prese la mano di Alyssa Johnson, la figlia del suo grande amico, già protesa per quella stretta di mano e gliela baciò con fare galante, proveniente da chissà dove. « Auguri » ribadì.
            Alyssa sembrava sorpresa: guardò prima lui, poi suo padre. « Quel John? » chiese con tono sbalordito « John Cramhole, l’avvocato? ».
            Tony annuì, e lei trovò una scusa per andarsene, dicendo che doveva andare a salutare altri ospiti. Per il resto della serata, John non riuscì più a vedere la ragazza da cui era stato tanto attratto.

   
 
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