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Autore: lightoftheday    04/04/2004    6 recensioni
Fan fic su Dominic Monaghan. Scoprire che non è così facile mantenere certi propositi, quando l’occasione si presenta davanti a te.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Monaghan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Leggete Dominic Monaghan e pensate che sia un nome qualsiasi. Una  pura convenzione. Ovviamente non lo conosco affatto e non voglio offendere né lui né nessun altro con le mie divagazioni.

Il titolo, come in un certo qual senso l’ispirazione per questa fic, è venuta ascoltando una canzone dei Negrita, dall’album “Radio Zombie”. Anche se alla fine c’entra poco, è la colonna sonora onoraria di questo racconto.

 

Nota del 23-5-2005: Se volete inserire questo racconto in forum, blog e quant’altro potete farlo. Ma non con il copia/incolla… Credo sia più opportuno, e soprattutto gradito per me, riportare il link di questo sito! Grazie!

 

Note: Non so quale sarà l’impatto di questa mia fic breve, volevo fare qualcosa di diverso da quello che ho fatto di solito, anche se forse non m’è riuscito. E’ parecchio che avevo avuto quest’idea, almeno due mesi fa avevo cominciato a scriverla. Oggi l’ho ripresa, finita e corretta, grazie anche a qualche spintarella di Moon e al suo aiuto. Come al solito, grazie Moon! che farei senza di te?

Comunque sono arrivata ad una conclusione: non scriverò mai più in prima persona, troppo pesante!!!  Spero che vi piaccia, Mandy.

 

 

Non ci guarderemo indietro mai

 

Sto osservando attentamente il mio viso allo specchio, alla ricerca di un piccolo particolare diverso, un niente mi basterebbe. Eppure non riesco a trovarlo, i miei tratti non hanno nulla di cambiato dall’ultima volta in cui li ho osservati, in questo stesso specchio.

Forse è una visione molto “wildiana” della vita, vorrei che il mio gesto s’incidesse nella mia carne a testimonianza della mia azione avventata e sconsiderata, come tutti i peccati commessi avrebbero dovuto incidersi sul bel viso di Dorian Gray. Forse servirebbe a lenire il mio senso di colpa, ma temo solo di star mentendo a me stessa.

 

Io e Alan siamo amici da una vita e credo che nessuno mi conosca meglio di lui. Abbiamo fatto lo stesso liceo, la stessa università, adesso viviamo insieme in un appartamentino del centro di Londra e lavoriamo gomito a gomito nello stesso atelier, aspettando che un giorno qualcuno scopra le nostre creazioni e ci faccia diventare due giovani stilisti di successo… ambiziosi, no?! Credo di essere stata io la prima a cui Alan ha confessato di essere gay, ma questa è un’altra storia, anche se è un piccolo particolare che ci caratterizza molto come coppia. E’ per questo che con lui non ho mai avuto segreti, il nostro è un rapporto così, del tutto aperto e sincero.

Parlando, quante volte era uscito fuori un discorso simile? Credo di non poterlo dire con precisione, ma sono state sicuramente molte. Con Alan passavamo le nottate a parlare di cavolate come questa… cosa faresti se lo incontrassi? La risposta di Alan era sempre la stessa, una cosa più o meno volgare, il livello variava a seconda della situazione, del fatto che fossimo soli io e lui o con altri, e del tasso alcolico. All’incirca diceva sempre una cosa del genere: “Se fossi lontano da casa, punterei verso il primo albergo, mi chiuderei dentro una stanza con lui e butterei la chiave!”. Io invece sono sempre stata più diplomatica, non che anche molto convinta del fatto che credo di essere assolutamente non incline a dare una soddisfazione ad uomo, specialmente se è uno famoso, che certamente di soddisfazioni ha l’occasione di togliersene anche troppe. Insomma, è o non è il sogno di tutte le donne mandare in bianco uno che pensa che verrai a letto con lui solo perché è chi è? Decisamente esaltante come pensiero, per non parlare del giovamento che avrebbe l’autostima di una come me nel farlo. Non importava molto chi fosse il soggetto in questione, il bellone di turno ci basta e ci avanza sempre. E’ che ultimamente, da quattro mesi a questa parte, il mio pensiero si rivolgeva sempre allo stesso soggetto, che poi un bellone esagerato nemmeno lo è poi tanto.

Dominic Monaghan.

Sarà quella faccia da bastardo impenitente, quel sorriso furbetto, quella tendenza a dare sempre spettacolo di se stesso, a volte addirittura in modi decisamente troppo sopra le righe. Non so perché, ma ha cominciato ad attrarmi subito, per lo meno la prima volta che ho potuto vederlo fuori dai panni di Merry, il suo, per ora unico, personaggio.

Sarà che ho solo bisogno di innamorarmi, perché non mi capita più da tanto tempo, come mi dice sempre Alan. Ma forse ho esagerato nel voler farmi un’idea di lui come persona, attaccandomi poi a questa come se mi stessi innamorando, e questo lo dico persino a me stessa con una buona dose di vergogna.

Che cos’ho che non va? Sono carina, per lo meno nella media, credo di non essere una stupida. Dovrei uscire e cercarmi un uomo in carne ed ossa, non stare qui a pensare ad una faccia dietro alla quale io ho costruito una specie di uomo ideale. Sono quasi patetica, ma si sa, i meccanismi mentali umani sono fatti così, creano la felicità, e il sogno è l’unica droga che lui sa crearsi da solo per farti uscire dal grigiore quotidiano.

 

Una sera, un paio di settimane fa, Alan mi disse che sarebbe andato dopo il lavoro a trovare un amico, un tipo che mi aveva presentato una volta e con il quale aveva avuto una storia non ben chiarita. E’ uno che lavora alla nostra stessa casa di moda, nei piani alti, uno che conta insomma; quindi mi feci l’idea che Alan avesse qualcosa d’interessante per le mani. Aspettandolo a casa, mi chiesi che potesse esserci di tanto importante.

Entrò in casa circa un’ora e mezza dopo di me, raggiante, tanto che non potei trattenermi dal fargli il terzo grado.

- Tesoro mio, preparati ad una bellissima sorpresa…- disse, tirando fuori due biglietti dalla tasca del suo cappotto.

Non so come gli avesse avuti di preciso, forse era quello il motivo della visita a quel suo amico, fatto sta che quelli che aveva in mano erano due biglietti per la premiere londinese di “Troy”, e noi avremmo avuto accesso anche alla festa che si sarebbe tenuta dopo. Alan era tutto in fibrillazione per via di Brad Pitt, io sulle prime non avevo fatto i salti di gioia, e francamente non avevo avuto voglia di farli nemmeno dopo la notizia che ci sarebbe stato anche Monaghan. Il mio amico c’era rimasto un po’ male, pensava che sarei stata più entusiasta di quella notizia, ma perché avrei dovuto? Avevo già avuto modo di intrufolarmi in un paio di quelle feste, sempre per il fatto che Alan aveva smosso un po’ le sue conoscenze riuscendo a procurarsi degli inviti, e non era poi stato un granché. Un sacco di casino, locali affollatissimi, stampa assatanata, e io non sono mai stata il tipo che ama la mondanità più sfrenata. Sì, ci sarebbe stato Monaghan, e allora? Era più che probabile che nel marasma non l’avrei nemmeno visto per sbaglio.

- Parti subito con una negatività mostruosa, che palla al piede che sai essere!- mi aveva rimproverato subito lui nel sentirmi dire quella cosa. Alan semplicemente non accettava il fatto che io fossi meno espansiva di lui. E’ fatto così: lui non ci pensa, agisce; preferisce prendersi un sonorissimo palo, piuttosto che avere il rimorso di non averci provato.

Io non sono fatta così invece, quando mi sentì ribattere che se anche avessi visto Monaghan probabilmente non mi sarei neanche avvicinata, mise il broncio e si chiuse in camera sua. Mi ci volle un po’ per farmi perdonare: quando si decise ad uscire per mangiare qualcosa, incominciai a sorridergli con la faccia più innocente che potevo fare, non bastando misi un po’ il broncio anch’io, e la cosa finalmente funzionò. Però mi sono fatta strappare una promessa: che almeno ci avrei provato. Nella mia mente dicevo: ma provare a fare che? Mi vedo già presentarmi a Monaghan dicendo: Ciao, sono Miriam, e devo almeno provarci con te perché se no il mio migliore amico gay non mi lascia più entrare a casa stasera… oh cielo, tristissimo!

Accettai di fargli quella promessa, tanto credevo che non avrei avuto occasione di mantenerla.

 

E invece lui era a pochi passi da me, se l’avessi chiamato per nome probabilmente mi avrebbe anche sentita. Stava parlando con un gruppo di persone tra cui credo ci sia stato anche Orlando Bloom, anche se non posso esserne sicura data l’oscurità del posto. Alan mi stava spingendo a farmi avanti, a presentarmi.

- Due chiacchiere, solo due cavolate… sarai capace a dire due cavolate!-

Sì, ne sarei stata anche capace, ma non avevo nessuna intenzione di correre il rischio di fare una figura ridicola. Monaghan stava parlando con delle persone, in piedi a pochi passi da me, e come se non bastasse teneva una donna per la vita, anche se non avrei potuto certo giurare che fosse perché era la sua compagna o semplicemente una che era lì per un caso fortuito e con cui magari faceva il cascamorto. Anche per questo fatto il mio alibi con Alan aveva retto fino a quel momento, ma sapevo che non sarebbe stato così per molto ancora. Lo conosco troppo bene per non sapere che il suo cervello era in moto da un po’, nel tentativo di escogitare qualcosa, era stranamente silenzioso, e si guardava intorno.

Avevo un po’ timore di quello che poteva architettare, conoscendolo a ragion veduta, quindi avevo provato a parlargli cercando di distrarlo, senza successo.

Improvvisamente mi era venuto un po’ freddo, dato che Alan mi aveva convinto a mettere un vestito piuttosto scollato, che mi lasciava le spalle scoperte. Era un ottimo colpo d’occhio abbinato a quelle scarpe altissime e molto eleganti che avevo messo, ma ciò non toglieva che non fosse una sensazione piacevole. Pensai che qualcosa da bere, possibilmente di forte, mi avrebbe reso meno nervosa e mi avrebbe anche riscaldata. Prima di andare al bar a prendermelo, chiesi ad Alan se volesse qualcosa anche lui.

- Eh?- mi chiese, dato che non aveva sentito nulla, immerso com’era nelle sue congetture.

- Dicevo, se vuoi anche tu qualcosa da bere…-

Lui mi guardò per un momento perplesso, poi blaterò:- Un gin tonic, grazie!-

So di averlo guardato con un'aria che era un misto tra perplessità e timore, quindi mi avviai, cercando di mantenere una certa classe passando accanto a Monaghan che, comunque, immerso com’era nelle sue chiacchiere, non mi avrebbe di certo notata. E sarebbe andata così davvero se non ci si fosse messo di mezzo Alan, che passandomi accanto ha visto bene di darmi una bella spinta facendomi perdere l’equilibrio. Per un momento ho pensato di star vivendo il momento più imbarazzante della mia vita, dato che caddi praticamente addosso alla schiena di Monaghan che, non aspettandosi quel colpo improvviso, per poco non perse l’equilibrio anche lui. In un momento cercai di rimettermi in piedi, e non appena mi  staccai da lui, si girò chiedendomi se andasse tutto bene. Non ho idea di cosa gli risposi, ho cercato di ricordarmelo, ma evidentemente ero troppo imbarazzata. Gli chiesi scusa, di questo ne sono quasi certa, perché lui mi tranquillizzò dicendo che non era colpa mia, piuttosto di quell’imbecille che mi aveva dato quella botta. Sono quasi sicura di aver sentito una delle persone che parlavano con lui aver rivolto ad Alan un’accusa del tipo:- Brutto stronzo, guarda dove vai!-. In effetti, chiunque fosse stato, aveva ragione.

Dopo neanche pochi secondi ero seduta nuovamente al tavolo, aspettando che Alan tornasse ed evitando accuratamente di guardare verso Monaghan. Ero stata tentata di andarmene per conto mio, di piantarlo lì da solo e senza spiegazioni, ma volevo almeno dirgli che era un idiota.

Cadendo mi ero fatta male alla caviglia, avevo preso una bella storta, e mi si era anche leggermente gonfiata. Subito pensai che con quei tacchi alti sarebbe stata una vera e propria impresa tornare a casa.  Aspettai quindi, un bel po’. Fu lui a non tornare.

Ero furiosa, avevo cominciato a torturarmi nervosamente le mani da un tempo che mi sembrava infinito, ma che in effetti non lo era. Incominciavo anche a sentirmi stanca, una stanchezza dovuta più al fatto che mi stavo davvero annoiando; mi guardai la caviglia, notando che il gonfiore si era accentuato ancora, piegai il busto verso il basso e mi passai la mano sul punto dolorante. Presi il bicchiere che avevo lasciato sul tavolo, c’era ancora del ghiaccio dentro, lo passai sulla caviglia giovandomi della sensazione che provavo. Alan quella volta me l’avrebbe davvero pagata, non gli avrei dato più retta e non mi sarei più fatta coinvolgere in simili situazioni. Aveva passato ogni limite possibile. Potevo entro certi limiti sopportare il fatto che mi avesse fatto fare una bella figuraccia, ma sapeva che avevo indossato quelle scarpe, perché quindi rischiare che mi potessi fare male?

 

- Ciao.-

Quel saluto era arrivato forte e chiaro, capii che era per me. Alzai la testa, mantenendo il busto piegato e il bicchiere con il ghiaccio premuto sulla caviglia. Credo di essere diventata rossa in quel momento, mi tranquillizzai pensando che il locale era troppo buio perché si notasse. Risposi al saluto, non muovendomi.

- Mi avevi detto che andava tutto bene, ma non mi sembra.- disse, poi si fermò per una breve pausa, durante la quale io continuai a guardarlo incredula. - Mi posso sedere?-

- Sì…- dissi io, che non avevo idea del perché stava succedendo tutto questo.

Evidentemente aveva notato il bicchiere che tenevo appoggiato alla caviglia, pensai, così lo riappoggiai sul tavolo immediatamente.

- Niente di serio, spero…-

- No, no.- lo tranquillizzai. - E’ che anche i tacchi alti non mi aiutano…-

- In effetti lo posso immaginare!- mi rispose guardandomi in piedi e sorridendo.

Dopo pochi secondi mi aveva teso la mano dicendo Dominic, mi sarebbe venuta voglia di dirgli ma davvero?, fortunatamente mi trattenni.

Cominciammo a parlare, di stupidaggini. Chi sei, cosa fai, quanti anni hai.

Io ero agitata, sapevo che cominciando a parlarci avrei potuto rovinare l’immagine che avevo costruito di lui nella mia testa, anche se sapevo che questo non avrebbe potuto che essere salutare, per certi versi. Lui com’era comprensibile, non parlò molto di sé, ma, come mi ero immaginata, cominciò a parlarmi con ironia del fatto che quella festa era davvero noiosa. Mi fece ridere, facendomi dimenticare quanto fossi arrabbiata. Capii subito che era un tipo al quale piaceva far ridere la gente che aveva intorno, e questo lato del suo carattere sicuramente è stato un punto a suo favore. Dopo poco tempo già non mi ricordavo più con chi stessi parlando: quello che avevo davanti era solo un ragazzo simpatico, che mi aveva risollevato il morale in un momento in cui avevo visto tutto nero e che continuava a tenermi compagnia.

- Ho intenzione di scappare da qui, sto pianificando una fuga a tutti gli effetti. Vieni con me?- mi chiese all’improvviso. Lo guardai un po’ sospettosa, ma non mi andava di dirgli di no. Feci per guardarmi intorno, in un gesto istintivo, cercando con gli occhi Alan. Dominic si accorse della cosa, e mi chiese con aria preoccupata:- Sei con qualcuno?-

- No.- gli risposi di getto, ricordandomi del brutto tiro che Alan mi aveva giocato non molto più di due ore prima. Sì, me ne sarei andata via senza avvertirlo, era il minimo che potessi fargli.

Ma non avevo pensato, accettando quell’invito sull’onda dell’entusiasmo, alla mia caviglia, la cosa però mi è tornata prontamente alla memoria non appena feci per mettermi in piedi. Non potei trattenere una smorfia di dolore, tanto che Dominic preoccupato mi prese il braccio chiedendomi come stessi. Non stavo bene, provai a muovere un passo e sentii un gran dolore. Sapevo che non era niente di grave, che mi sarebbe passato tutto in un paio di giorni, ma in quel momento c’era poco da fare. Dovevo tornare a casa e metterci del ghiaccio, ma soprattutto dovevo togliermi quelle scarpe.

Tra una smorfia e l’altra riuscii a dire:- Mi dispiace, ma temo che dovrai fuggire da solo… credo che per me la serata sia finita.-

Vidi che cambiava espressione, ma evidentemente era un tipo che non si dava per vinto tanto facilmente. Mi guardò cercando di essere convincente. - No, per favore, non mi mollare, una volta tanto che trovo qualcuno con cui si possa parlare ad una di queste feste!-

Lo guardai a mia volta e gli sorrisi. - Mi dispiace davvero! - dissi ripetendomi, - Ma ho veramente bisogno di mettere del ghiaccio su questa caviglia, avrei dovuto già farlo due ore fa…-

- Hai ragione, - mi rispose assumendo un’aria pensierosa, - se non ti sembro fuori luogo potresti venire da me, così continuiamo a chiacchierare e ti puoi mettere il ghiaccio…-

Ho avuto l’impressione che la mia occhiata gelida ma soprattutto piena di stupore non gli abbia permesso di finire la frase. Non volevo essere cattiva, ma quantomeno quella proposta era davvero avventata, anche se nei suoi intenti, almeno apparenti, non voleva esserlo. Tuttavia non proferii parola, e credo che la mia dura espressione si sia addolcita progressivamente, tanto che lui continuò.

- Per favore…- mi disse, inclinando un po’ la testa di lato.

Sorrisi vedendolo fare così, non so se in quello sguardo che mi rivolse c’era sincerità o solo la furbizia, quella di chi da quelle situazioni c’è passato tante volte e adesso sa come districarsi. Io volli leggerci solo cose positive. Alla fine fu indubbiamente convincente.

Aveva una stanza nello stesso albergo dove era stata organizzata quella festa, fortunatamente non dovetti camminare molto per arrivarci, in ogni modo lui non smise un attimo di sorreggermi.

Entrare nella sua stanza mi mise addosso una certa inquietudine, cercai di stare tranquilla, pensando che, in fondo, non stavo facendo niente di male. Mi fece sedere su una poltrona del piccolo soggiorno di quella lussuosa stanza d’albergo, poi chiamò il servizio in camera per il ghiaccio, chiese anche una bottiglia di Champagne, cosa che mi fece tutt’ad un tratto capire la situazione. Insomma, mi ero messa in una bel casino, e avevo fatto tutto con le mie mani. Non doveva essere difficile dire no, era una semplice parola, una sillaba. Ma non ero stata capace di pronunciarla al momento giusto. Se adesso Dominic si era fatto un’idea sbagliata la colpa era mia, e mia soltanto.

Mentre stavo seduta ad osservarlo parlare al telefono, persa in questi pensieri, mi sentii davvero una sciocca, oltre che del tutto non in grado di gestire quella situazione.

Ero imbarazzata, e non riuscii a dire quasi nulla nel lasso di tempo che abbiamo aspettato che il ghiaccio arrivasse, mi limitai a sorridergli mentre mi parlava. Mi chiese se stavo bene, aveva notato il mio imbarazzo evidentemente, quindi cercai di essere più convincente possibile nel dirgli che era tutto apposto.

- Non sei molto credibile come bugiarda…- mi disse, inclinando nuovamente la testa e sorridendo, come aveva fatto prima alla festa. Mi fece sorridere nuovamente, cosa che fu anche un po’ utile per dissimulare l’imbarazzo che era cresciuto ulteriormente in me nel momento in cui capii di essere stata scoperta.

Suonarono alla porta proprio in quel momento, spezzando quel momento con mio sollievo. Dominic si alzò dalla poltrona e aprì, tornando pochi secondi dopo con la borsa del ghiaccio in mano, porgendomela. Articolai un grazie a mezza voce, poi mi concentrai nel gesto di togliermi la scarpa, allacciata con una piccola fibbia proprio sulla caviglia. Non era un compito facile, dovevo cercare di farlo in modo da non muovere la caviglia stessa, cosa che non era possibile, almeno per me. Mi lasciai scappare una smorfia di dolore, Dominic mi chiese se poteva aiutarmi. Credo di essere arrivata al culmine dell’imbarazzo in quel momento, gli dissi di no, che non c’era alcun bisogno, ma lui era già partito.

Si era messo in ginocchio davanti a me, mi aveva preso con dolcezza il piede, appoggiandoselo sulla gamba. L’imbarazzo fu immediatamente sostituito, sparì quasi del tutto lasciando il posto ad una sensazione che conosco abbastanza bene. Incredibile, era bastato sentire la sua mano sulla mia gamba, sentire le sue dita che si muovevano leggere nel far scivolare via il mio piede da quello strumento di tortura, per farmi assalire dalla sensazione di intorpidimento che mi prendeva ogni qual volta mi sentivo attratta da qualcuno.

Era come se per un momento avessi smesso di pensare, perdendomi totalmente in quel tocco leggero, di una lentezza che posso immaginare non sia stata affatto casuale. In quel momento Dominic alzò la testa e mi guardò, facendomi tornare un po’ in me stessa. Non mi disse niente, allungò la mano verso di me facendomi pensare, anzi, desiderare, che me l’appoggiasse sul collo, attirandomi verso di se, invece mi prese solo la borsa del ghiaccio dalle mani. Mi sentii, se possibile, ancora più idiota di come mi ero sentita per tutta la sera.

- Ma sei sicura che non sarebbe meglio portarti al pronto soccorso? Lo dico nel caso che fosse qualcosa di più di una semplice distorsione…- Mi chiese un po’ preoccupato, non accennando né ad alzarsi né a lasciare la presa sulla mia gamba.

- Tranquillo, davvero.- gli dissi dopo qualche secondo. - Se fosse come dici, non sarei nemmeno riuscita  a fare quei due passi che ho fatto per venire qui… Conosco la sensazione, a quattordici anni ho dovuto lasciare la danza per via del fatto che cadendo mi sono rotta l’altra caviglia. Ringraziando il cielo non mi sono fatta male a questa.- dissi, toccandomi l’altra caviglia. - Sai, è rimasto un punto un po’ delicato.-

Dominic non sembrava essere molto convinto, ma credette a quello che gli dicevo e si tranquillizzò. Sempre tenendomi la gamba si alzò e avvicinando una sedia dove, con la stessa leggerezza che aveva usato fino a quel momento, mi  appoggiò il piede assicurandosi che il movimento non mi facesse male. Mi preparai alla sensazione di freddo che l’impronta della sua mano avrebbe lasciato non senza rammarico, mentre lui prendeva la bottiglia di Champagne e i due bicchieri che erano stati lasciati su un carrello all’ingresso.

Versando lo Champagne nei bicchieri, Dominic, seduto alla mia sinistra, mi disse che si sentiva un po’ imbarazzato, cosa che mi stupì non poco. - E come mai?- gli chiesi dopo aver deglutito il primo sorso.

- Non lo so.- mi rispose lui sorridendo, ma non guardandomi.

- Pensavo che certe insicurezze la gente come te non le avesse.- commentai infelicemente.

- E questo che vuol dire?-  mi rispose lui, tornando a guardarmi. - La gente come me è gente tutto sommato comune, non abbiamo niente di diverso, e ci imbarazziamo anche noi ogni tanto…-

- Scusami.- lo interruppi bruscamente, convinta di aver detto la più grossa banalità che poteva venirmi in mente. Lui però non badò affatto alle mie scuse, si fermò solo un memento, ricominciando da dove io l’avevo interrotto.

- …ci imbarazziamo anche noi ogni tanto in una situazione come questa. Perché guardandoti non mi viene in mente niente di intelligente da dirti, eppure non dovrebbe essere difficile, no?-

Dopo queste parole mi produssi in un vero e proprio numero da circo nel tentativo di salvarmi dall’imbarazzo che era tornato improvvisamente. Cominciai a parlargli senza nemmeno sapere cosa stessi dicendo di preciso.

- Senti, mi dispiace di aver detto quella stupidaggine, lo so che è un’affermazione del tutto classista, non penso che siate tutti dei palloni gonfiati, anche perché sei il primo con cui mi capita di scambiare due chiacchiere, quindi anche volendo non avrei termini di paragone, non lo dico perché lo so, ma solo perché dicono che siate così, ma sbagliano, perché magari anche gli altri lo dicono solo per come potrebbe apparire una certa categoria…-

Mi fermai solo quando Dominic cominciò a ridacchiare, prima piano, poi sempre un po’ di più, fino a che non poté trattenere una risata. Da principio tutto questo mi aveva lasciata un po’ stupita, anche leggermente indignata, poi feci mente locale al discorso che avevo fatto, e mi feci contagiare da quella risata.

- Allora hai intenzione di prenderti gioco di me, eh?- dissi fingendo di essere un po’ arrabbiata, senza togliermi il sorriso dalle labbra.-

- No, no, non volevo…- disse cercando di smettere di ridere, non riuscendoci. Del resto nemmeno io ci riuscivo, ed era molto bella come sensazione.

Le cose andarono molto velocemente dopo quella risata liberatoria. Per me è stato come se, in un solo attimo, tutto il disagio che avevo provato fosse sparito, non lasciando nemmeno il ricordo della sensazione che mi aveva stretta allo stomaco per tutta la sera. In fondo, l’avevo voluto fin dal primo momento che lui aveva posato gli occhi su di me.

Mi prese il bicchiere dalle mani, appoggiandolo sul tavolino di vetro che era davanti a noi, accanto al suo. Con un semplice gesto della mano mi aveva spostato i capelli dal viso, baciandomi subito dopo.

La sensazione fu come se attorno a noi fosse tutto sparito.  Il tavolo davanti a noi, i bicchieri, la mia scarpa abbandonata sul pavimento, le stesse pareti di quella stanza si erano dissolte, non avvertivo in alcun modo la realtà. L’unica cosa che mi teneva legata a quel momento erano le sue mani sul mio corpo e la sua lingua che cercava la mia.

Dimenticato ogni imbarazzo e ogni remora è stato facile abbandonarsi alle sensazioni che ho provato. Mi è sempre piaciuto il senso di distacco da qualsiasi cosa che sia volutamente ragionato quando faccio l’amore con qualcuno, anche stanotte non è stato diverso. Sentendo le sue mani sotto la mia gonna, mentre si facevano strada lentamente ma con decisione sulle mie cosce, tentando di non muovere troppo la mia caviglia dolorante e mantenendo le mie mani sul suo collo, mi sono seduta sulle sue ginocchia, quasi come se volessi dominare quella situazione, tenermela stretta per non perdere niente.

 

Un sorriso. Questo mi si è appena increspato sulle labbra, mentre ripercorro nella mia testa tutti i nostri gesti. Quando abbiamo cambiato stanza è stato lui a prendermi tra le sue braccia, stavamo ridendo per via del fatto che io, non curante della mia caviglia, mi ero tirata in piedi prendendogli le mani, per invitarlo ad alzarsi con me. Per poco non avevo rischiato di cadergli nuovamente addosso.

Mi ha fatta sedere sul letto, e in un gesto molto simile a quello che aveva fatto non molto tempo prima, si era inginocchiato davanti a me e mi aveva tolto l’altra scarpa. Questa volta, quando aveva allungato la mano verso di me, era stato per percorrere il mio corpo, passandomela sul ventre, sullo stomaco, tra l’incavo dei seni, fermandosi sul mio collo, facendomi sdraiare mentre anche lui si sdraiava accanto a me, riprendendo a baciarmi. Mi piaceva l’odore della sua pelle, sentire la tensione di tutti i muscoli del suo corpo sotto le mie mani. Mi è piaciuto il suo modo di fare l’amore con me, anche se non credo che dovrei parlare di amore. Eppure la sensazione che ho provato non è stata quella di un vile atto meccanico, e forse è questo il motivo per cui non riesco a sentirmi in colpa adesso.

Ci siamo addormentati, io mi sono svegliata soltanto stamattina all’alba. Filtrava appena un po’ di luce dalla tenda tirata, quanto bastava perché io riuscissi ad orientarmi. Ho provato una sensazione di paura, paura che lui si svegliasse e mi trovasse ancora lì. Avevo timore che la mia presenza fosse fuori luogo, che magari lui si dimostrasse scostante con me, distruggendo la sensazione che avevo e che ho ancora, quella che per lui non sia stata la semplice scopata di una notte.

Me ne sono andata, senza dire una parola, senza guardarmi indietro. Ho preferito tenermi il dubbio, piuttosto che rimanere delusa.

 

Adesso continuo a guardare il mio viso, e ancora, anche dopo aver ripercorso nella mia testa questa lunga notte, non riesco a vedere niente, assolutamente niente di cambiato.

Perché, del resto, qualcosa dovrebbe esserlo?

Forse sarò presuntuosa a parlare anche per Dominic, ma credo di essere nel giusto quando dico che, infondo, non credo che ci guarderemo indietro, mai.

 

 

…Complici e simili

da credere alle favole,

coi nostri sogni in gola,

questa notte è fatta apposta per noi

che non ci guarderemo indietro mai…

   
 
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