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Autore: fers94    02/01/2012    0 recensioni
Rober fa ritorno a Madrid dopo tre anni di assenza per ritrovare la donna che ha sempre amato.
Il primo capitolo fa solo il punto della situazione, mentre nei successivi si sviluppa l'intreccio della storia.
(...) Il suo sorriso era quello di sempre, quello che i miei occhi avevano fotografato anni prima ed avevano gelosamente custodito in un angolo segreto della mia mente (...) [dal capitolo 3]
(...) - Buongiorno... Da quanto sveglio? - Da sempre. Ho passato la notte a guardarti dormire. Sembri un angelo quando dormi. - E quando sono sveglia, invece? - Quando sei sveglia, lo sei. (...) [dal capitolo 10]
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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36. La strada per tornare a vivere
 
 
Quattro giorni dopo, il 21 dicembre, Silvia fu dimessa perché non c'erano complicazioni. Ingrid e Juan si riscoprirono innamorati e si trasferirono a Barcellona, dove avevano intenzione di cominciare la loro vita insieme. Io e Silvia andammo a trascorrere il Natale a Lastres dalla famiglia di Pedro, insieme a lui e Lola. Per Natale, regalai a Silvia le fedine di fidanzamento. La cosa più bella è che io non avevo mai tolto neppure la fedina di cinque anni prima, che portavo al mignolo destro, e scoprii che lo stesso aveva fatto Silvia, che però l'aveva riadattata come orecchino, perché diceva che vederla al dito le faceva ricordare gli innumerevoli sbagli commessi; ma dato che aveva voglia di tenere un mio ricordo con sé, l'aveva messa in un luogo in cui non aveva la possibilità di guardarla e mettersi a rimpiangere il passato. Io invece l'avevo spostata al mignolo destro perché volevo vederla e ricordare, ma capire che avevo sbagliato e che non era più la mia donna per colpa di quanto fossi idiota ed immaturo (altrimenti sarebbe rimasta all'indice sinistro). Lo scoprii solo a Natale, ma fu bello in ogni caso. Le nuove fedine le mettemmo all'indice sinistro dove andavano solitamente, e tenemmo quelle vecchie dove le avevamo. Dopo il Natale, sempre insieme a Pedro e Lola, andammo a festeggiare il capodanno a Los Angeles, dove ci scatenammo a ritmo di musica (Silvia lo fece nei limiti visto lo stato gravido e i drammatici precedenti a riguardo). Per finire, Pedro e Lola lasciarono definitivamente l'America per fare anche loro ritorno a Madrid. Non avrebbero avuto problemi nel trovare un lavoro anche lì, visto che l'agenzia cinematografica da cui dipendevano aveva numerose sedi anche in tutta Europa, compresa la Spagna. "Madrid è casa nostra, Los Angeles è troppo movimentata per due neo-sposi e poi dista troppo da voi due, anzi, voi tre. Vogliamo tornare qui e restarvi vicino, perché è qui che i nostri cuori vivono davvero. E vogliamo che vivano, e che lo facciano di pari passo con i vostri, perché di grandi amici non ne abbiamo mai avuti né io, né Lola, e credo neanche voi. Beh, ora che ci siamo trovati sul serio, perché lasciare che le nostre strade si separino? Credo vada bene a tutti, quindi staremo qui anche noi."; questo fu un sms che mi inviò Pedro poco prima di atterrare a Madrid. E si presentò con Lola davanti a me e Silvia non molte ore dopo esserci salutati in aeroporto a Los Angeles. Io e Silvia eravamo tornati a vivere nella sua enorme villa di Madrid dove aveva abitato anche ai tempi dell'Arrànz, sempre da sola. Adesso c'ero io con lei. Pedro e Lola comprarono una casa abbastanza vicina alla nostra. Io ripresi a fare casting di teatro e ottenni qualche particina che mi fece riassaporare il grande amore verso quella mia sfrenata passione chiamata recitazione. Silvia lasciò temporaneamente il suo lavoro all'Arrànz per la gravidanza. Pedro e Lola accordarono con facilità un impiego con la loro agenzia. Ogni giorno uscivamo insieme ed ogni tanto andavamo a trovare Ingrid a Barcellona, che ricambiava venendo a Madrid abbastanza spesso, anche per andare a trovare Esteban. Funzionava così ed eravamo felici. In quei giorni, capii che io non ero cambiato rispetto a cinque anni prima; in realtà ero indubbiamente cresciuto, ma più propriamente avevo semplicemente imparato a non vergognarmi delle mie fragilità ed a farle uscire liberamente, mettendo da parte il mio fare da gradasso e consegnando me stesso alle mie emozioni, alle quali prima avevo paura a darmi. L'amore non fa un uomo debole, anzi, lo fa più forte. Un uomo che cede alle emozioni non è un debole, ma è una persona forte. Cristobal mi aveva reso bene il concetto ed io capii che era proprio così, mentre cinque-sei anni prima pensavo l'esatto contrario. Silvia aveva spiegato tutto al mio cuore. Quelle giornate furono bellissime: Silvia col pancione ed io che ci tenevamo per mano per le strade di Madrid, con Pedro e Lola allo stesso modo al nostro fianco. Già, è qualcosa di semplice ma meraviglioso. Il parto di Silvia era previsto per gli inizi di agosto. A metà giugno, Carmen invitò tutti e quattro alla festa di fine anno scolastico nella sua scuola, dove ci siamo divertiti un mondo e tutti i ragazzi ed i docenti ci hanno fatto sentire a nostro agio. A fine mese poi, arrivò Sergio da Santos, e con lui in casa fu tutto ancora più bello. Lui e Silvia andavano perfettamente d'accordo e lui sembrava ricordarsi di lei, nonostante avesse solo intorno ai quattro anni quando passò del tempo con lei. Con Sergio, facemmo le prove della coppia di genitori, e sembravamo andare bene. Anche Pedro e Lola spesso vennero da noi e fecero questo genere di prove, e nemmeno loro sembravano tanto male. Fu un periodo meraviglioso. Agli inizi di luglio, io e Silvia andammo a trovare Tanya nella comunità di recupero psichiatrico dove era stata ricoverata dal giorno in cui aveva sparato a Silvia. Io ero andato a testimoniare alla polizia sull'accaduto una volta che Silvia era uscita dal coma e le forze dell'ordine avevano deciso che non era il caso di arrestarla, ma lasciare che guarisse in comunità tutto il tempo occorrente. Quel giorno, avevamo lasciato Sergio da Pedro e Lola ed eravamo andati a trovarla con l'appoggio di Puri. Ricordo che arrivò nella sala incontri a testa bassa, quasi vergognata. Si accomodò e Puri le diede una pacca sulla spalla, invitandola a salutarci. Dunque alzò lo sguardo e, con un malinconico sorriso, disse "ciao". Fu Silvia che le parlò, sicura di sé.
- Ciao Tanya. Come stai?
- Meglio. Io... Io credo che questi mesi qui mi stiano servendo. Io... Io credo di stare meglio.
- Sono molto felice.
- Silvia, mi dispiace di averti fatto del male. Volevo ucciderti e me ne vergogno così tanto. Eppure tu non mi hai fatto niente. Scusami. Non so come tu faccia a guardarmi negli occhi. Non merito la tua visita, per la mia cattiveria. E poi tu sei incinta, io non so come ho potuto fare una cosa del genere... E poi, tutti quegli insulti... Non so come scusarmi...
- Tranquilla, tu non stavi bene, non eri in te ed è inutile negarlo perché sappiamo benissimo che è la verità. Quindi... Non fa nulla. Ora stiamo bene sia io che la bambina. Manchi solo tu e devi pensare a te stessa, a guarire presto. Fidati, per me è tutto passato.
- Grazie davvero. Rober, scusami anche tu. Non so cosa mi sia preso quel dannato giorno, ma so che sto cercando di eliminarlo da me. Spero di riuscirci.
A quel punto la guardai negli occhi, perché fino a quel momento non ne avevo avuto il coraggio. Non so perché, ma per me non era facile rivederla dopo otto mesi e dopo tutto quello che era successo. La guardai ed ebbi la forza di risponderle.
- Non importa, pensa solo a stare bene.
Riuscii a dire solo quello, intimidito dal fatto che potessi influire sui pensieri di Tanya, e pensai che fosse meglio mantenere distacco proprio ora che stava uscendo dal tunnel. Però la trovai decisamente meglio rispetto a prima. Silvia aveva insistito per andare lì a dire a Tanya che non ce l'aveva con lei, ed io volevo appoggiarla. Tutto sommato andò bene, nonostante io non dissi praticamente nulla. Mi dispiaceva molto per Tanya, ma allo stesso tempo mi faceva piacere che stesse un po' meglio. Il mese di luglio passò velocemente. In realtà, in quel periodo saremmo voluti andare tutti insieme in crociera sul Mediterraneo, ma le donne dal quinto mese di gravidanza in su non possono essere imbarcate, quindi rimandammo il tutto all'anno successivo, così ci sarebbe stata anche la piccola. D'altra parte Silvia era tra l'ottavo e l'ultimo mese e non sarebbe stato proprio il caso. A fine luglio, Silvia venne ricoverata all'ospedale di Madrid per via della fine del tempo di gravidanza, dove aveva passato anche il suo infelice periodo di coma. Rincontrammo il dottor Ruiz per i corridoi, che ci riconobbe e fu felice di vedere che stavamo bene così come la nostra bambina, ed io e Silvia cogliemmo l'occasione per ringraziarlo della sua magistrale operazione di rimozione della pallottola, che nonostante i rischi e il coma, alla fine era riuscita. Quei giorni, l'ospedale mi sembrava molto più bello e sereno di come i miei occhi l'avevano dipinto nei giorni del coma di Silvia. Era sempre lo stesso, ma questa volta i miei respiri non pesavano e le mie lacrime se ne stavano tranquille ad abbracciare il mio sguardo, senza sentire la necessità di buttarsi a capofitto lungo il mio viso. Silvia mi aveva chiesto se volessi assistere al parto ed io non ebbi dubbi nell'accettare. Lei aveva l'enorme paura che qualcosa andasse storto e che potesse andare a finire come sua madre, ma io cercai di toglierle questi brutti pensieri dalla testa. Le dissi che era il momento migliore della sua vita e che io le sarei stato accanto. Nulla sarebbe potuto andare per il verso sbagliato, almeno quel giorno. Avevamo già pagato abbastanza per i nostri errori ed avevo fede che questa volta il cielo avrebbe voluto regalarci solo sorrisi. Il grande giorno fu il 4 agosto. Ero con Sergio a tenere compagnia a Silvia, a letto da sei giorni in attesa che le si rompessero le acque. Fuori c'erano Pedro e Lola, avendo saputo che da un momento all'altro sarebbe nata la bambina. C'era anche Alicia, che nonostante non avesse ancora recuperato i rapporti con Silvia, aveva intenzione di essere presente in quell'importante avvenimento nella vita della nipote. Io ero accanto al letto di Silvia e avevamo parlato un po' delle solite cose. Ci stavamo dando un bacio mentre Sergio stava giocando con un Nintendo, quando improvvisamente Silvia si tirò via da me di scatto. Io non avevo immaginato che stesse succedendo quello che stava succedendo, quindi le chiesi spiegazioni.
- Amore, che ti prende?
- Chiama qualcuno... Mi si sono rotte le acque...; mi rispose lei con un filo di voce.
- Oh mio Dio... Sì, certo... Arrivo subito, eh? Arrivo!
Presi Sergio in braccio e scappai fuori per il corridoio chiamando un dottore a tutta voce. Pedro e Lola erano lì in sala d'attesa e appena mi videro urlare, mi corsero incontro. Lola subito chiese che cosa mi prendesse.
- Rober, che succede?
- Sta per nascere! È arrivato il momento! Meglio che vada perché voglio assistere al parto... Potreste tenere Sergio per favore?
- Ma sì, certo. Lascialo qui. Però chiamaci appena sarà nata, d'accordo?
- Naturalmente...; mi girai verso Sergio, lo accarezzai e guardandolo ripresi, - Resta solo un momento qui con Pedro e Lola, che adesso papà va da Silvia perché sta per nascere la tua sorellina! Ci vediamo dopo, campione!
- Va bene papà, però poi la potrò vedere anch'io?; disse Sergio.
- Ma certo tesoro, ti porterò io da lei non appena sarà nata...; risposi.
- Va' pure, Rober. Aspettiamo tue notizie, eh!; fece Pedro.
- Certo. Avvertite anche Alicia, per favore. Adesso devo scappare. Grazie ragazzi!; dissi infine io, scappando dietro l'equipe di medici diretti in sala parto.
Entrai accodandomi ai medici, poi uno di loro tornò indietro per chiudere la porta. Silvia mi chiamava in maniera lamentosa, così io mi precipitai accanto a lei. La baciai e le strinsi la mano più forte che potessi, poi le sussurrai che ero lì con lei e che sarebbe andato tutto bene, bastava ascoltare quello che i medici le avrebbero detto di fare. Io non avevo mai assistito ad un parto in vita mia e non sapevo se fosse normale che Silvia stesse urlando così tanto. Non ho idea di quanto durò il tutto. Quasi svenni dall'emozione, però, quando sentii il gemito di un neonato. Era mia figlia. Era fra le braccia dell'ostetrica. La portò un attimo più in là per metterle una coperta addosso, ed io piansi di gioia. Silvia era stremata ma con gli occhi pieni di immensa felicità e mi lasciò la mano per asciugarmi le lacrime. Con il sorriso più bello che ha mai fatto in vita sua, mi disse quel "ti amo" che porterò sempre inciso nel cuore, perché quella sarà sempre una delle immagini più belle di tutta la mia esistenza. Io la baciai, dunque arrivò l'ostetrica che porse a Silvia la piccola. Credo che fino a quel momento non avessi mai visto una creatura così piccola. Quasi si teneva nel palmo della mano. Piangeva dolcemente. Aveva pochi capelli in testa e il faccino schiacciato. Era meravigliosa. Silvia aveva in faccia un sorriso stupendo e stringeva delicatamente la bambina a sé. A mia volta io stringevo Silvia e guardavo la nostra bambina con lo sguardo totalmente incantato. Era mia figlia. Era nata grazie a non so quale miracolo ed era sopravvissuta ad un coma di cinquantadue giorni. Era la figlia della donna che ho sempre amato e non c'era regalo più bello che la vita mi potesse riservare. Avevo solo ventisei anni, ma la mia vita in quel momento mi sembrò la migliore che si potesse desiderare. L'ostetrica venne poi a riprenderla per metterla nel nido, così le mise un bracciale e chiese come volessimo chiamarla. Silvia mi guardò e disse:
- Amore, possiamo darle il nome di mia madre?
- Non devi neppure chiedermelo... Certo, andrà benissimo.; e la baciai sulla fronte.
- Bene, allora dottoressa... La bambina si chiama Leyda!
- Cognomi?; chiese allora l'ostetrica.
- Arenales, Jauregui.; rispondemmo in coro io e Silvia.
L'ostetrica sorrise e portò la bambina alle culle, dicendo che l'avrebbe riportata da Silvia all'ora della prima poppata. Io dissi a Silvia che sarei tornato subito, il tempo di dire a Pedro, Lola ed Alicia che era andato tutto per il meglio e di far vedere a loro e Sergio la bambina dalla vetrata. Corsi nel corridoio sorridendo e gridando "È nata, è nata", dunque vidi Pedro corrermi incontro e mi gettai fra le sue braccia. Poi abbracciai anche Lola ed Alicia, e dissi che la bambina si chiamava Leyda come la madre di Silvia, dunque presi in braccio Sergio ed accompagnai tutti alla vetrata per far vedere loro la piccola. 
- Eccola, è nella culla numero 26!; e la indicai.
- Che meraviglia!; fece Lola, commossa.
- Già, è bellissima... Beh, allora tanti auguri idiota!; disse Pedro, dandomi una pacca sulla spalla.
- Però tu resterai sempre anche il mio di papà, anche adesso, vero?; fece Sergio guardandomi negli occhi.
- Ma certo tesoro! Non devi preoccuparti!; e lo baciai.
- Davvero tanti auguri, Rober. Sono felice che tu sia riuscito a rendere felice Silvia e non c'è regalo più bello di un figlio che poteste fare insieme al mondo.; disse Alicia.
Le sorrisi, poi si allontanò per telefonare a Carmen ed annunciarle il lieto evento, mentre io, Pedro, Lola e Sergio, andammo nella stanza di Silvia. Lola fu quella che si precipitò più frettolosamente fra le braccia di Silvia.
- Tesoro, la piccola è meravigliosa! Auguri, mamma!; le disse abbracciandola.
- Complimenti, Silvia. Tanti auguri!; fece Pedro.
- Grazie, ragazzi. Grazie davvero.; rispose lei sorridente.
- Sapevo che ce l'avreste fatta ad avere questa bambina... L'ho sempre saputo!; disse Lola.
Sergio non disse nulla, ma abbracciò Silvia. Dopodiché, Pedro lo prese in braccio e se ne andò via, così come Lola, come per lasciarmi solo con Silvia. Lei si tirò su e mi abbracciò forte. Era davvero felice. La baciai e la tenni per mano, quindi accarezzandola cominciai a parlare.
- Hai visto che è andato tutto bene?
- Sì, avevi ragione tu. Grazie per essere rimasto qui durante il parto, immagino che io fossi in condizioni pietose, no?
- Ma che dici, amore! È stato tutto così bello... Sai, i dottori hanno detto che tra un paio di giorni possiamo andare a casa con la bambina se è tutto a posto.
- Spero non ci siano problemi...
- Non credo. Almeno stavolta, no. Oggi è il primo giorno della mia nuova vita. Mi sento l'uomo più fortunato del mondo. Perché ho te, ho un lavoro, ho degli amici ed ho due bambini. Non c'è altro che si possa desiderare. E comunque, dato che non ricordo se te l'ho già detto, beh, io ti amo.
- Sai, anche io mi sento la donna più felice del mondo. Ti amo anch'io, scemo.
Ci scambiammo tenerezze per un'ora circa, poi entrò Alicia. Io feci per uscire e lasciarle sole, ma Alicia insistette affinché rimanessi lì dov'ero, allora così feci. Poi fu lei a parlare per prima.
- Beh, Silvia... A breve verrà Carmen a farti visita. Ad ogni modo, io ti faccio i miei migliori auguri. Sono contenta che tu abbia realizzato il tuo sogno di diventare madre e che lo abbia fatto con un ragazzo che ti vuole davvero bene per quello che sei come Rober. All'inizio pensavo fosse solo un arrogante arrivista, ma poi ho capito che non è così e soprattutto ho capito che ti ama. E so che lo ami anche tu, quindi credo che siate perfettamente pronti per questa bambina. Beh, io di amore ci ho sempre capito ben poco, però un cuore ce l'ho e le emozioni so riconoscerle. Io volevo solo augurare a te, lui e questa bambina di essere più felici possibile, e di non avere più problemi. Silvia, come ultima cosa vorrei dirti che io sono qui e ci sarò sempre per te, semmai vorrai farmi partecipe della tua vita. So di non aver diritto di esserne, però so anche che mi dispiace per tutti i contrasti che abbiamo avuto in passato e so che ti voglio bene. Davvero.
- D'accordo, zia. Ti ringrazio. Credimi, farò quello che sento di dover fare e se un giorno sentirò di aver bisogno di te, ti chiamerò. Giuro che lo farò. Ormai l'orgoglio ho imparato a soffocarlo. E comunque, anche io ti voglio bene.
- Bene, allora io vado. Devo tornare a New York. Spero di rivederci presto. Buona fortuna.
- Anche a te, zia.
Alicia si avvicinò e strinse Silvia, lasciandosi scappare qualche lacrima. Silvia ricambiò l'abbraccio ad occhi lucidi e sguardo basso, poi le diede un timido bacio sulla guancia. Dunque Alicia abbracciò anche me e mi sussurrò in un orecchio di prendermi cura di sua nipote e della bambina. Infine, uscì da quella stanza senza voltarsi. Silvia quindi abbracciò me, ed io la strinsi in silenzio al mio petto. Poco dopo arrivò Carmen, seguita a ruota da Gabriela e svariati allievi affezionati a Silvia, che vennero nell'arco di quei due giorni a farle visita. Silvia fu finalmente dimessa e portammo a casa anche Leyda. Era una meraviglia. Un mese dopo, con la riapertura dell'Arrànz, Carmen organizzò una festa per la nascita della piccola, invitandoci come una sorta di ospiti d'eccezione. Io e Silvia eravamo innamoratissimi, e tutti ci fecero i complimenti per Leyda. Quando raccontavamo tutta la nostra strana storia d'amore, le persone stentavano a crederci oppure si perdevano dopo poco. Però era sempre bello raccontare il tutto. È per questo che lo faccio ancora adesso. 
   
 
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