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Autore: mac86    02/01/2012    4 recensioni
Washington, Vigilia di Natale. Una donna, ex ufficiale, si aggira per la città tutta trasandata e senza apparente motivo. O così pare.. (fatemi sapere cosa ne pensate please!)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Version:1.0 StartHTML:0000000171 EndHTML:0000072036 StartFragment:0000002459 EndFragment:0000072000 SourceURL:file://localhost/Users/manuelapines/Desktop/Fanfic.docDisclaimer: non possiedo niente. Sono una studentessa povera in canna. Non possiedo i personaggi creati da Donald Bellissario né li uso a scopo di lucro.
 
E’ una piccola one shot senza alcuna pretesa. 
Dopo questa introduzione veramente TRISTE, lo so, vi lascio alla lettura.
*Me si ritira in un angolo in attesa di giudizi*
 
Grazie a Penny per aver letto la ff e avermi spronata a continuare a scrivere
 
 
SE TUTTO IL RESTO SEI TU
 
E' tutta la mattina che giro per il centro della città per comprare i regali.
Entro ed esco dai negozi, perchè non so neancora bene cosa regalare. Non so neanche a chi devo fare i regali, visto che sono sola.
Stare dentro ai negozi affollati mi disturba: il vocio della gente, gli spintoni, anche quelli non voluti, mi irritano. E in poco tempo, questione di attimi, arriva l'ansia, il panico. E scappo fuori. L'ultima volta anche con un maglione in mano. E' suonato l'allarme, tutti si sono voltati a guardare questa povera donna che era già in strada con l'appendino ed il maglione verde penzolante.
Hanno pensato che volessi rubarlo. Passo davanti ad una vetrina e mi dico che sì, posso capirli, se non si fidano di me: sembro uno zombie. anzi, lo sono: occhiaie nere, qualche taglio sul labbro causato dal freddo di questi giorni.
Capita, quando non ti importa più niente di te stessa.
Ed è quello che sta succedendo a me.
"Sei troppo stressata" mi ha detto Richard, "Non hai voluto ascoltare i miei consigli in questi mesi, così hanno deciso dall'alto per te. Sei sospesa dal servizio fino a nuovo ordine."
Un modo come un altro per dire che ho fatto una cazzata troppo grande ma, considerata la mia brillante carriera, non se la sono sentiti di dirmi che mi licenziano.
No, fanno di peggio: ti mettono da parte.
E quando passi gli anni, anzi, i decenni, a lavorare sotto copertura, e poi ti mettono da parte, tu non hai più 'una parte' dove andare.
Non ce l'hai perchè hai dedicato tutto il tuo tempo a lavorare, a dare il meglio di te, a servire il tuo paese, cosìcchè il paese sia al sicuro, e fiero di te.
Balle. Tutte balle.
Perchè il mio paese mi ha chiuso le porte in faccia.
Mentre pensavo a tutte queste cose, non so come ma sono arrivata al parco e sono seduta su una panchina gelida. Tiro fuori l'accendino ed il pacchetto di tabacco. Prendo una cartina e la apro. Prendo il tabacco, ne metto un po' e lo assottiglio sulla cartina. Bagno con la lingua la cartina, di modo che aderisca con l'altro lembo di carta e si chiuda bene. Accendo la sigaretta ed aspiro il fumo.
"Signora, spero che quella sia una sigaretta."
"Se così non fosse, di sicuro non la fumerei qui, non crede agente?"
Da dove è spuntato fuori poi, questo proprio non lo so.
Forse mi sta seguendo da quando sono uscita dal negozio di abbigliamento. Cazzo.
"Posso?"
"Vuole un tiro per sapere se è erba?"
"Voglio solo sentire."
"Ma non usate altro, tipo i cani, per questo?"
Mi guarda male. Si, era una frecciatina, ti sto dando del cane perchè sono qui che fumo una sigaretta in santa pace e te mi disturbi con le tue insinuazioni.
Potrei ucciderti in 3 mosse. Lo so fare. L'ho fatto per anni e anni e anni. L'ho fatto a 23 persone diverse.
"Per favore."
Gli tendo la sigaretta, guardandolo con aria di sfida. L'avvicina e l'annusa. Capisce che è solo tabacco, ma evidentemente vuole darmi fastidio.
"Perchè è uscita da quel negozio con il maglione in mano?"
"Avevo una crisi d'ansia, sono uscita senza rendermene conto, finchè non ho sentito l'allarme suonare."
"E perchè dovrei crederle?"
"Perchè è vero."
"Ce l'ha una casa, signora...?"
No. Non te lo dico il mio nome. Faresti delle ricerche, sapresti chi sono, e non devi saperlo.
"Si, ce l'ho una casa." Vuota. Fredda. Con tante bottiglie di birra vuote.
Capita, quando le cose vanno male.
Capita, quando non hai più un lavoro.
Capita, quando per quindici anni hai lavorato per la CIA e per tre sei stata in ostaggio di quei maledetti tale...
"...allora?"
"Cosa? Che?"
"Mi da il suo indirizzo?"
"Agente..."
"Tiner."
"Ecco, agente Tiner...non volevo rubare quella maglia. Non l'ho fatto. Stavo male e sono uscita senza pensarci, okay? Non mi piaceva neanche..la casa ce l'ho, non sono una barbona senza dimora. Sto solo facendo un giro, devo prendere un po' di aria. Perchè si ostina a darmi fastidio?"
"Perchè, non so come, ma mi ricorda una persona che conosco."
Maledizione.
Svia, cambia argomento. Muoviti.
"E' di Washington D.C.?"
"No."
"Lavora qui?"
Insiste a chiedere. Lo guardo: capelli rossicci, sguardo ingenuo..non costringermi ad ucciderti, per favore. Sembri un così bravo ragazzo...
"Un po' qui, un po' lì..un po' dove mi mandano."
"Ha mai lavorato al JAG?"
La domanda è come un pugno allo stomaco. Come ho fatto a non ricordarmi di lui?
E come può una semplice domanda causarmi tutto questo dolore?
Chiudo gli occhi, li strizzo per un attimo, sperando che Tiner non ci sia più quando li riapro.
E' ancora qui.
Peccato.
"No, non so neanche cosa sia."
"E' il Judge Advocate General. Sul serio non ha mai lavorato lì? Mi ricorda tantissimo un ufficiale che aveva prestato servizio nel nostro ufficio nel 1994."
"Le somiglio probabilmente."
Con tutta la gente che c'è in giro per Washington DC, proprio un ex collega dovevo trovare?
"Vediamo...forse si ricorda del Capitano Rabb? Era li quando prestavo servizio nella Marina, sa ci sono rimasto fino all'anno scorso, poi mi sono congedato e sono passato alla polizia."
Come fa?
Come fa quest'esserino a distruggermi con una sola domanda? Il Capitano Rabb?
Certo che mi ricordo di lui. Mi ricordo ogni centimetro del suo viso. Mi ricordo il suo sorriso, il suo respiro, il suo corpo.
Ora basta.
Con una velocità che credevo di avere perso a causa dell'alcool, tiro un gancio all'agente Tiner che crolla subito a terra. Mi volto di scatto, nessuno mi ha vista. Prendo la borsa e la stringo sotto il braccio ed inizio a correre.
Corro fino alla fine del parco, corro anche quando i polmoni bruciano per colpa di tutte le sigarette fumate, corro finchè non sento l'acido nelle gambe che mi costringe a fermarmi.
Mi gira la testa.
Chiudo gli occhi per cercare di concentrarmi e regolarizzare il respiro.
Il mio telefono sta squillando. Uno, due, tre, quattro, cinque squilli. Poi finalmente si ferma.
Gli occhi sono ancora chiusi. Tasto con la mano il collo, fino a trovare il foulard grigio e lo strappo via, rischiando anche di strozzarmi per un momento.
Dal buio che vedono i miei occhi, spunta un viso, fin troppo familiare, fin troppo odiato. Mi parla, con il suo ghigno orribile, ha in mano una corda, quella corda, la solita corda con cui mi ha legata per anni e anni. Tracanna un sorso di birra, un rigattolo esce dalla bocca.
Dei passi mi riportano alla realtà. Qualcuno..no, posso fare di meglio: uomo, alto, 85 kg?, scarponcini in pelle. Sta fumando. Si avvicina.
"Ha da accendere?" mi chiede.
"Come sta?"
"Pensavo stessi al gioco." prende l'accendino dalla tasca -era solo una scusa- e si accende la sigaretta. "Gli hai fatto solo perdere i sensi. Però cazzo, quanto corri. Per un momento ti avevo quasi persa, poi hai svoltato in quest'angolo." dice inspirando il fumo. "Andiamo."
Non mi muovo di un centimetro.
"Hai sentito che ti ho detto? Andiamo. Sono tre giorni che ti seguiamo, ti teniamo d'occhio."
"Lo so bene."
"Ecco. Non hanno più pazienza. Vieni: devono interrogarti."
Appoggio la testa al muro freddo. Qui vicino ci dev'essere un locale: sento la musica, il vocio di sottofondo. Non posso fare una scenata, non qui.
"Datemi ancora un giorno."
"E' fuori discussione. Devi tornare a Langley il prima possibile."
"Vi ho già detto tutto quello che sapevo."
"..sai che non è per quello. E' quella la tua casa adesso."
Vorrei dire che no, non lo è. Che non sarò costretta a vivere negli alloggi degli agenti 'dormienti' a Langley, continuando ad addestrarmi, a fare terapia, a leggere e fare chissà che. Vorrei dire che una volta ero un avvocato, un ufficiale del Jag, finchè non ho avuto un incidente che mi ha mandata in coma, proprio quando stavo per cambiare le cose della mia vita. Proprio quando stavo per chiedere ad Harm di prenderci questo benedetto caffè insieme. Proprio quando stavo per..
"Avanti, Austin. Non ho tutta la sera."
In realtà, ce l'hai. Se volessi, se ne avessi la forza, inizierei a correre, e tu dovresti seguirmi, agente Kellerman, perchè il tuo compito in questi giorni è pedinarmi, perchè avete paura che combini un casino. Per la cronaca, un altro casino. Ho dato di matto, una settimana fa.
Mi stavano interrogando -per la milionesima volta- sulla mia prigionia in Iran. Quel maledetto dell'ispettore James, ricorderò il suo nome finchè vivo, ha iniziato a dubitare, lo faceva apposta, poi si è ordinato una birra.
Una cosa contro il regolamento, se sei in servizio. Io ero immobile sulla sedia, avevo già capito dove voleva andare a parare. Voleva farmi rivivere l'esperienza con il mio aguzzino, ma nonostante questo non sono stata capace di lasciar correre. Si è avvicinato a me, incalzandomi di domande, prendendo sorsi sempre più lunghi di birra, poi mi ha afferrato i capelli.
E li non ho capito più nulla.
Ho agito ad occhi chiusi, praticamente. Non so quali siano stati i miei movimenti precisi, ma so che dopo pochi secondi lui era agonizzante sul tavolo e io ero tenuta ferma da due agenti mentre il terzo cercava di mettermi le manette. E' finito in ospedale, in terapia intensiva. A quanto pare ho rotto la bottiglia di birra e ho puntato alla sua gola.
Non ricordo di aver fatto un singolo movimento.
Ma le telecamere hanno registrato tutto.
Così bam! Mi hanno spedita dallo psichiatria. Li odio, gli psichiatri. Mi ha riempito di calmanti. Li ho buttati nel primo cassonetto che ho trovato. Sapevo cosa mi serviva per calmarmi.
Dovevo vederlo. Vederlo e capire che in tutti questi anni lui era sempre rimasto lui, sempre bello, sempre eccellente nel suo lavoro, sempre la persona per cui avevo una cotta a inizio carriera.
Perchè di questo si tratta: è solo una cotta. Ma se questa cotta è l'unica, anzi l'ultima, cosa che ti è rimasta dopo che la tua vita è andata in pezzi, allora vuoi averla.
E' per questo che sono qui.
Dopo tre sedute passate in silenzio con lo psichiatra, dopo aver capito che sarei stata "reindottrinata" a Langley, ho parlato.
Ho chiesto di avere tre giorni di tempo. Per cercarlo, vederlo e parlargli. E capire se lui mi aspettava ancora. E' per questo che sono qui.
Non è un caso che abbia svoltato in quest'angolo, non ho corso ad occhi chiusi.
E lui che seguo da tre giorni. E' da lui che sono scappata nel negozio di abbigliamento. Pensavo mi avesse vista, così mi sono voltata e sono corsa fuori.
Che vigliacca.
Mi hanno concesso questi tre giorni per vedere se le mie rotelle funzionano ancora bene, se c'è qualcosa da recuperare in questa irrecuperabile me.
L'assurdo è che non ricordo neanche come si chiama questo locale, eppure sapevo bene come raggiungerlo. Sono convinta che ci venga ancora qui: è il bar dove tutto il Jag prima o poi fa un salto a fine serata, prima di andare a casa, a meno che non ci sia una famiglia a casa che attende.
Ma so che lui non ha famiglia. Era uno spirito libero, uno che non domini tanto facilmente, uno che aveva la fila di donne fuori dalla porta.
Lui non ha una famiglia.
Voglio solo vederlo. Voglio solo che mi veda.
"...che ne dici?"
"Che ne dici di cosa?" Perchè sei ancora qui, Kellerman?
"Non hai sentito una sola parola, vero? Ho detto 'perchè non entriamo a mangiare un boccone in questo bar, poi ce ne andiamo a Langley, che dici?"
"E' fuori discussione."
"Se devi fare la stalker con questo tipo, almeno fatti una copertura. Cazzo, non pensavo di doverle insegnare proprio a te queste cose, sei una maestra in questo campo."
"Taci!"
Sento la porta del pub che si apre. So che lui è li dentro. L'ho visto entrare qui nelle ultime tre sere, ma sono stata una codarda, non ho avuto il coraggio di entrare.
Pe dirgli cosa poi? Ciao Harm, sono Meg, ti ricordi di me? Beh sono stata in ostaggio per tre anni. Mi hanno torturata per tre anni. E ora non ho le rotelle tanto a posto. Ti ho pensato ogni ora di questi tre anni, anche quando il dolore era troppo, al punto che dimenticavo il mio nome. in quei momenti volevo che tu spalancassi la porta e venissi a salvarmi. Perchè non sei venuto a salvarmi, bastardo?
No, questo non puoi dirglielo. E' la mia parte razionale che parla, quella che mi tiene ancorata alla realtà.
"Agente Austin, per favore. Ci stanno aspettando al punto di recupero. Ti hanno dato tre giorni, l'hai visto due volte e non l'hai mai avvicinato. Hai perso la tua occasione, ora andiamo."
Gli occhi mi bruciano per le lacrime che vorrebbero uscire, ma riesco a controllarmi e le ricaccio giù. Sto per rispondergli, ma in quel momento lui esce.
Lui. E' qui. Sta uscendo dal pub, tiene la porta aperta.
Perchè è in uniforme di gala?
Il mio respiro accelera. Potrebbe passarmi a fianco. Ho i capelli neri ora, mi riconoscerebbe? Certo, anche lui ci teneva a me, questo lo so. Lo so per certo.
Potrei avvicinarmi io. Si, mi avvicinerò io.
Sta tenendo la porta aperta per far uscire i suoi amici. Galante. Lo sei sempre stato Harm. Sempre, anche con me.
Esce per primo un capitano zoppicante, poi una donna bionda che si avvicina al capitano zoppicante e lo prende a braccetto. Sarà sua moglie.
E poi esce una donna con i capelli castani e un bellissimo vestito blu, lungo, coperto da un cappotto nero.
Si guardano, si sorridono. Harm lascia andare la porta, che si richiude velocemente. La guarda e le cinge la vita con il braccio, tirandola a sè. Lei gli si avvicina subito e le loro labbra si incontrano.
Mi manca il fiato.
Sono abbastanza vicini da vedermi, ma non badano a me: la prima coppia che è uscita si sta dirigendo verso il taxi che è arrivato proprio in questo momento. Abbasso lo sguardo, non voglio rendermi riconoscibile.
Non più. Kellerman è al mio fianco, si sta fumando un'altra sigaretta.
Loro sono ancora stretti in quest'abbraccio, lei ha la mano sul suo petto, lui le accarezza il braccio con la mano libera. Quando abbassa la mano e la appoggia sul fianco della donna, la vedo. Vedo la fede che brilla alla sua mano.
E so che li è finita. So che non mi ha aspettata. So che non c'è posto per me nella sua vita.
Per un attimo provo un odio accecante per quella donna: me l'ha portato via, penso. Sì, me l'ha rubato. Ma non è la verità. Sono stata io a svegliarmi dal coma e andarmene. Sono stata io a non proporgli di bere un caffè insieme. Sono stata io a rinunciare senza neanche aver provato.
Lui non mi ha aspettata, perciò io non ho un posto qui. Ergo, non ha senso rimanere in questo vicolo tanto a lungo.
"Andiamocene." sussurro a Kellerman, stringendomi nel cappotto.
"Ma scusa" ribatte Kellerman "Non è lui? Vai là, parlagli. Non sprecare quest'occasione."
Ho già sprecato la mia occasione, anni fa.
Ora devo sparire.
Andrò a Langley, e che facciano di me quel che vogliono. Quando perdi anche l'ultima cosa che ti teneva legata a questo mondo, non hai alternative. Corso di addestramento base: se non avete delle possibilità, delle buone alternative, ripiegate e tornate alla base.
E' quello che ho intenzione di fare: ripiego e torno alla base.
Forse loro sapranno aiutarmi.
Continuo a fissarli mentre iniziano a muoversi. Sono una bella coppia, in effetti. Lei ha dei tratti un po' particolari, un po' misti, lo sguardo sveglio.
Probabilmente è perfetta per lui.
Se è riuscita a farsi sposare da lui, deve avere per forza qualcosa di speciale, mi dico.
Mi passano accanto proprio mentre penso quest'ultima frase. Harm non guarda nemmeno nella mia direzione: i suoi bellissimi occhi azzurri sono fissi su di lei, che cammina tenendolo a braccetto. Parlano sottovoce, come due giovani amanti.
"Capitano! Colonnello! Dobbiamo sbrigarci o faremo tardi alla cena di gala!"
"Arriviamo Bud!" risponde lui subito "Non ho nessuna fretta di incontrare di nuovo la congressista Latham!" e nel dirlo sorride. Il suo sorriso. Il sorriso che ho sognato per anni.
La donna al suo fianco ride e gli da un buffetto sulla guancia "Ma come? Se non ricordo male c'è anche stato del tenero fra voi due!"
Sorrido anch'io, mentre fisso l'asfalto, nascondendo le lacrime che hanno cominciato a scendere.
"Questo era prima di te, Mac."
Si fermano a pochi passi da noi, non ci vedono nemmeno: sono troppo persi l'uno nell'altra.
La guarda profondamente negli occhi, e sono certa che lei stia facendo altrettanto, perchè di fronte ad uno sguardo simile non puoi sottrarti. La fissa e poi le da un bacio, veloce, come un soffio, ma è abbastanza per me.
E' sufficiente per chiudere quella porticina che da anni lo stava aspettando, quella porticina che mi legava a questa realtà, quella in cui la gente ha una casa e una famiglia. Sento questa porticina chiudersi, per sempre. E so che non l'aprirò mai più.
Inspiro alcune volte prima di parlare. Alzo lo sguardo verso Kellerman, che ha gli occhi fissi su di me. E' preoccupato che faccia una scenata, lo so.
"Andiamo."
"Mi dispiace, Aus.."
"Non dirlo nemmeno" lo fermo subito "Non dirlo neanche per sogno. Non hai motivo di essere dispiaciuto. Nessuno lo ha, forse nemmeno io. Ho perso la mia occasione anni fa."
"Ok. Scusami. Ma dicevo solo perchè.."
"Non voglio parlarne."
Nè ora, nè mai.
"Andiamo al punto di recupero."
Getto a terra la sigaretta, il taxi è appena sparito dalla mia visuale. Spengo la sigaretta con la punta del piede, anche se i rimasugli di neve avevano già provveduto.
Non mi volto indietro, non saluto quel pub, anche se so che non lo rivedrò mai più. Cammino cercando di fissare un punto davanti a me, anche se le lacrime rendono tutto più difficile. Kellerman è un passo dietro di me, vuole lasciarmi questi ultimi momenti da sola, ne sono consapevole. Lo ringrazio mentalmente per questo.
Continuo a camminare, mi asciugo le lacrime. Ricostruisco la corazza dentro e fuori di me.
Continuo a camminare fino al punto di recupero.
Continuo a camminare e ad ogni passo allontano da me stessa il ricordo di Harmon Rabb.
 
 
   
 
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