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Autore: Perusgree    02/01/2012    2 recensioni
"Se non ti conoscessi così bene direi che stai peccando di ubris!"
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alessandro il Grande, Efestione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Under the burning sun I take a look around:
Imagine if this all came down
.
Oblivion-30 seconds to Mars







 I tenui raggi del primo sole penetrarono attraverso la sottile tenda che copriva la finestra, illuminando la stanza dove tutti i discepoli dormivano. Un lembo di luce accarezzò le palpebre di Efestione, che dormiva come un neonato abbracciato alla coperta. Aprì piano gli occhi verdi e soffocò uno sbadiglio. Con uno sbuffo gettò da un lato la coperta, tendendo le braccia e le gambe anchilosate. Mentre si stirava come un micio i suoi occhi spaziavano lungo la stanza: l’elemento caratteristico del palazzo di Mieza erano le ampie stanze dove Aristotele li costringeva a dormire tutti assieme affinché cementassero il loro rapporto fraterno. La cosa non sarebbe stata scomoda, se Nearco non avesse russato così tanto da impedire ai compagni di abbracciare Morfeo come decenza vuole.
Efestione si tirò in piedi e guardò nel giaciglio accanto al suo, dove sperava di vedere il suo amico dormire, ma lo trovò vuoto: la coperta accuratamente ripiegata ai piedi del giaciglio e la brocca d’acqua vuota. Si voltò con un balzo, temendo che quello fosse dietro di lui pronto a spaventarlo, nascosto in qualche angolo con l’aiuto di un’ombra complice. Tuttavia non trovò nessuno, solo Perdicca e Tolomeo che dormivano beatamente. Tornò a guardare il suo ordinato giaciglio: se non era appostato in quella stanza poteva essere solo in un altro luogo. Con un sorriso indossò la sua clamide e si sciacquò il viso con l’acqua della sua brocca, passandosi una mano anche sui corti capelli. Con passo felpato si diresse verso l’imponente finestra e scostò il tendaggio, aprendo la vista sul balcone. Alessandro era lì, come sospettava. Anch’egli aveva addosso solo la corta clamide e la lieve brezza dell’alba gli accarezzava i capelli, facendoli scintillare al sole come fossero oro. Gli dava le spalle e guardava l’ampia distesa di campi coltivati, foreste e pietre che si snodava davanti ai loro occhi. Efestione gli si avvicinò in silenzio, arrivando dietro di lui senza quasi respirare e lo chiamò: “Alèxandre”
Alessandro non sobbalzò, non contrasse i muscoli, non cambiò nemmeno la posizione dei piedi. Sembrava che sapesse perfettamente di essere osservato da qualcuno. Efestione non se ne sorprese.
Hephaistìon” lo chiamò a sua volta Alessandro, senza voltarsi.
“Che ci fai qui?” domandò Efestione portandosi accanto all’amico e guardandolo in volto. Alessandro aveva quindici anni, ma ne dimostrava molti di meno. Sembrava dovesse ancora portare a termine il periodo dell’efebato a causa di quel suo volto glabro e della sua affatto eccelsa statura. Dall’alto dei suoi sedici anni, della sua lieve barbetta che gli scuriva appena il mento e le guance e della sua imponente statura, Efestione soleva canzonarlo benevolmente, fino a quando Alessandro non si stufava e finivano a rotolarsi per terra, ridendo ed insultandosi come cuccioli, mentre Aristotele li guardava severo e li ammoniva a suon di orazioni sulla pace, sull’uomo e sul reciproco rispetto verso i fratelli.
“Stavo pensando” rispose Alessandro stringendosi leggermente nel mantello. Il lieve venticello si andava raffreddando.
Efestione lo guardò con affetto: Alessandro pensava sempre, in ogni momento. Ed i suoi pensieri tutti li immaginavano, ma solo lui stesso li sapeva. Nemmeno Efestione avrebbe potuto dire verso cosa la mente di Alessandro fosse rivolta. “A cosa pensi?” chiese.
Alessandro scrollò le spalle: “A quanto questo sia poco” disse indicando il paesaggio con la mano. Efestione seguì il suo movimento, volgendo lo sguardo sul territorio brullo di Mieza “Troppo poco per cosa?”
“Troppo poco per la Macedonia”
Efestione si voltò verso l’amico, riprendendo a fissarlo. Sapeva che Alessandro riponeva ogni notte l’Iliade sotto il cuscino e sognava la gloria di Achille, ma fino a quel momento non gli aveva mai rivelato i suoi progetti. “Be’” disse “re Filippo si sta dando da fare per allargare i confini: sta combattendo contro gli illiri, i triballi ed anche i traci; e si dice che voglia arrivare fino ad Atene…”
Alessandro rise sarcastico, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa “Ad Atene, sì. Dove Demostene ci descrive come barbari cannibali dipinti di blu” anche Efestione rise “ Ed anche se ci riuscisse, come credo sarà, sai  cosa succederebbe poi?” Alessandro volse i suoi occhi su Efestione, che lo guardava attento “Te lo dico io: costituirà qualcosa di simile alla lega di Delo1 e poi, forte di un esercito di macedoni e greci, pieno di sarisse ed oplos, se ne andrebbe in Anatolia a riprendersi le città greche sulla costa. Sederebbe le rivolte dei satrapi, lascerebbe un presidio militare ad ogni stadio del confine e poi tornerebbe al suo trono macedone, dichiarandosi padrone della Grecia intera. E poi continuerebbe a bere vino e ad organizzare banchetti come ha sempre fatto” . Gli occhi di Alessandro brillavano, riflettendo la luce del suo cuore. Efestione rimase a guardarlo ammirato: sapeva dei progetti del re, e li approvava come ogni buon macedone avrebbe fatto, ma non li aveva  mai valutati sotto l’aspetto di semplici espedienti per conquistare una gloria facile e senza ambizioni. Almeno così li illustrava la voce di Alessandro.
“E tu, invece, cosa faresti?” domandò facendosi più vicino.
“Oh” cominciò Alessandro “io non mi fermerei all’Anatolia. Io arriverei fino alla dimora stessa del Gran Re, conquistando e pacificando ogni singola città. Andrei in Egitto, percorrerei la strada reale, arriverei fino alla fine del mondo…”
“Se non ti conoscessi così bene direi che stai peccando di ubris2!” rise Efestione “Inoltre, a cosa ti servirebbe conquistare un territorio come quello persiano? E’ vero, sono dei mercenari, ma non hanno mai infastidito noi macedoni. Ce l’hanno solo con i Greci. E credo che tuo padre troverà un espediente per tenerli buoni dopo la conquista delle città sulla costa. Sai, organizzerebbe commerci o qualcosa del genere. Prenderebbe spunto dai Greci, insomma. E poi, come dice Aristotele, i persiani sono solo dei barbari.”
“Oh, Aristotele dovrebbe smettere di considerare barbaro tutto ciò che non è macedone o ateniese! Per lui anche il sole, quando illumina la Persia, è barbaro” esclamò Alessandro stizzito, battendo un pugno sulla coscia “Perché credete siano barbari? Non conoscete le loro abitudini, non sapete nulla di loro. La Persia è molto più antica della Macedonia, Efestione.”
“Non lo metto in dubbio, ma loro sono rimasti alla loro antichità. Sai che i sudditi sono costretti a prosternarsi davanti al sovrano, vero? E non ti pare un’usanza barbara, questa?”
Alessandro lo guardò “In Macedonia i sudditi trattano il re da proprio pari. Non ti pare un’usanza barbara, questa?”
Efestione chinò la testa. Aristotele avrebbe punito Alessandro con uno scappellotto dietro la nuca per questa affermazione, e re Filippo avrebbe urlato così forte che il palazzo di Pella si sarebbe sgretolato. Ma lui era solo un giovane uomo, un giovane amico del futuro re di Macedonia. E, dopotutto, sentiva che Alessandro aveva ragione. “Allora perché vuoi conquistare la Persia? Sai che causeresti una campagna bellica superiore a quella di Troia, vero?” domandò infine.
L’espressione di Alessandro mutò nuovamente, e le sue labbra si stirarono in un sorriso caldo “Non hai ancora capito, testone? Mio padre vuole approfittare della guerra per ricavare gloria; io, al contrario, per portare pace. Non cercherei di conquistare la Persia e l’Egitto solo per poter indossare la mitra e costringere quelle civiltà al mio governo. Le conquisterei per offrire loro la libertà. Se conquistassi il mondo intero, lo farei solo per poi lasciarlo libero” Si voltò di nuovo a guardare l’orizzonte, il sorriso ancora fermo sul suo volto. Efestione sapeva che parlava sul serio: da quando erano bambini Alessandro aveva scherzato ben poche volte. “Tuo padre non sarebbe d’accordo” sussurrò poi, volgendo anch’egli gli occhi verso il sole nascente.
“Oh, mio padre..” borbottò Alessandro “non ha mai condiviso le mie ambizioni e i miei sogni. Ma non ho bisogno di lui per liberare il mondo. Per quel che mi riguarda può restare qui a crogiolarsi nella sua gloria effimera.”
“Non hai paura?” Efestione sì, ecco perché lo chiedeva. Ogni volta che ascoltava Alessandro parlare in quel modo, una morsa gli attanagliava l’anima.
Alessandro scosse la testa, com’era prevedibile. Lui non avrebbe mai provato la paura degli esseri umani, perché la stessa paura lo rifuggiva.
Il sole sorse completamente, staccandosi dal mare ed illuminando il mondo su cui Alessandro sognava di poter viaggiare. Quel mondo piccolo, infinitesimale, ma al contempo così grande che nessun essere umano aveva ancora trovato il coraggio di percorrere. Efestione vide le ultime pennellate della notte cedere il posto al mattino. Lo sguardo di Alessandro continuava ad essere perso nel suo glorioso futuro.
Efestione si schiarì la voce: “Il sole è alto: sarebbe meglio se tornassimo dentro prima che gli altri ci vedano qui…”
“Avrò bisogno di qualcuno, però” lo interruppe Alessandro tornando a guardarlo.
“Cosa?” Efestione lo fissò interrogativo.
“Non ho paura” continuò l’altro “ma avrò bisogno di qualcuno che mi sarà sempre accanto. Qualcuno con cui piangere, con cui ridere e con cui discutere” continuava a guardare Efestione negli occhi “ Vorresti accompagnarmi tu?”
Efestione sussultò leggermente. Quello non era un ordine, era una domanda. Non lo obbligava a seguirlo come se lui fosse stato un suo normale sottoposto, ma chiedeva il suo parere come se anch’egli fosse stato un re. Improvvisamente tutti i discorsi di Alessandro divennero chiari. Sì, lui non avrebbe portato guerra, ma pace. Sarebbe stato come Dioniso: avrebbe conquistato il mondo per poi guardarlo dall’alto, dall’Olimpo, crescere e fiorire come fosse un figlio. Sì, Efestione lo sapeva. Si avvicinò ad Alessandro e lo cinse in un forte abbraccio. “ Ci sarò, Alèxandre. Ci sarò al tuo fianco nella disastrosa sconfitta e nella vittoria gloriosa. Ci sarò quando avrai bisogno e quando ti scorderai di me. Ci sarò sempre, fino alla fine. Alèxandre” disse, mentre i raggi del sole riscaldavano i loro corpi.


Note:
1: La lega di Delo (o delio-attica o anfizionia di Delo) fu una confederazione costituita da Atene con le diverse poleis greche nel 478 a.C, a seguito delle Guerre Persiane.
2: La ubris era la tracotanza verso gli dei, considerata peccato molto gravoso e punita con la nemesis, ovvero la vendetta degli dei stessi.


Angolodiun'autricepazza

Okay, non vi torturavo da troppo tempo, LOL.
Sì, be', questa storia non spicca per intelligenza, lo ammetto. Forse è anche un po' scontata, però sentivo di doverla pubblicare.
Ad ogni modo, non so se Aristotele facesse davvero dormire tutti i discepoli in una sola stanza (anzi, diciamo che sono sicura che non dormissero affatto insieme) però ho voluto scrivere questo perché mi sembrava un qualcosa di consono alle idee del filosofo. Allo stesso modo non so se il palazzo di Mieza avesse stanze e finestre ampie
I nomi "Alèxandre" ed "Hephaistìon" sono scritti "alla greca".
Bene, ora basta. Lasciatemi un qualche parere, anche negativo. Giuro che dopo quest'ultimo sclero creativo scomparirò *giurin giurello*


 

  
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