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Autore: Medea00    02/01/2012    37 recensioni
"Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l’intensità di una minuscola scossa elettrica."
Cheerio!Kurt/Nerd!Blaine. C'è bisogno di aggiungere altro?
Liberamente ispirata da un sacco di gifset che in questo periodo popolano Tumblr.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Perchè, si sa, a volte l'amore è proprio..."


COME UN HEADSHOT AL CUORE




Capitolo 1

Kill 'em all






 
Non è per niente facile essere un tipo popolare.
Bisogna frequentare le persone giuste, atteggiarsi in un certo modo, avere la faccia tosta di rispondere ai professori e perfino di farti qualche sigaretta, anche quando non ti va; insomma, non è mica un ruolo che calza a pennello su chiunque.
Beh, per fortuna, non era mai stato un problema per Kurt Hummel.
Sin dal primo giorno di scuola aveva sempre saputo cosa avrebbe voluto fare: entrare a far parte delle Cheerio. Il capitano delle Cheerio, per la precisione. Non ci volle molto a farsi reclutare dalla coach Sylvester, a spodestare qualche ragazzina spocchiosa di turno, troppo bassa, troppo grassa o, semplicemente, troppo poco resistente: dopotutto, lui era un ragazzo. Un ragazzo gay, per giunta, e sebbene quello in apparenza potesse sembrare un fattore demotivante, in realtà si dimostrò proprio l’elemento che lo fece caratterizzare per la sua grazia, la sua eleganza, il suo portamento sempre composto e perfetto e quell’indole sarcastica e diabolicamente deliziosa che tanto piaceva alla professoressa.
E poi, dulcis in fundo, era bello. E molto. E no, non si preoccupava di fingere che quel dato non contasse, perché era un fattore essenziale: se eri bello, andavi avanti. Se eri un cesso, finivi in fondo alla piramide.
Non era un segreto che fosse gay: qualche ragazzo, all’inizio, aveva anche provato a minacciarlo, ma aveva dalla propria parte la professoressa più terrificante della scuola ed una dozzina di ragazze altamente sexy; bastò riferire qualche spintonata, con l’aggiunta di qualche lacrima di coccodrillo - appositamente preparata facendo uso di collirio - ed ecco che i diretti interessati avevano smesso immediatamente di dargli fastidio; Kurt non seppe mai quello che aveva detto loro la coach Sylvester e nemmeno gli importava. E poi, aveva capito col tempo che quei ragazzi, che all’apparenza sembravano dei veri tosti, e che cercavano in continuazione di darsi un’aria da gran figo, in realtà, erano i primi che correvano da lui, quando si trattava di rimediare un appuntamento con Quinn o qualcun’altra delle Cheerio. Perché era semplice: lui era il migliore amico di ognuna di loro. O almeno, così le piaceva far credere.
Era letteralmente venerato da tutte quelle ragazzine che sognavano di avere la sua capacità fisica, o almeno la metà del suo acume; adorava vedere come si straziassero l’anima per  un ragazzo che era riuscito a spezzare loro il cuore, si fingeva sempre buono e comprensivo e sfoggiava un sorriso di puro conforto, tanto perfetto e bello che nemmeno Patch Adams sarebbe stato in grado di batterlo, e con la sua incantevole dolce soave diceva: “tesoro, non piangere, tu non hai assolutamente nessuna colpa! Il fatto che tu sia andata con tre uomini nello stesso quarto d’ora non fa di te una troia, sei soltanto una ragazza altruista! Chi sei tu per negare loro un po’ di felicità?”
Tutte le volte che diceva quella frase veniva abbracciato come se fosse il nuovo Messia.
E poi, si ricordava di dire ogni Martedì ad ora più o meno variabile – perché aveva constatato che il cervello delle ragazze aveva durata di memoria settimanale - che la loro cellulite non era affatto cellulite, ma delle semplici voglie dovute a delle complicazioni da parto: loro adoravano sentire quell’espressione, metà nemmeno la capivano, ma suonava così tragica, così Grey’s Anatomy, e se qualcuno glielo chiedeva potevano inventarsi una storia a metà tra Dottor House e dottor Bollore e a quel punto sarebbe diventata la reginetta della scuola. Nonché la migliore amica di qualcuno, era chiaro.
Lui, di migliori amiche, ne aveva soltanto una: Mercedes Jones, una Cheerio che lo aveva sostenuto sin dagli arbori, e l’unica che non era mai cascata a tutta quella valanga di cavolate. L’aveva adorata sin da subito, perché in mezzo a quel gruppo di galline senza cervello lei era arrivata con un atteggiamento da pura regina, lo aveva squadrato da capo a piedi, gli aveva rivolto un’occhiata eloquente e gli aveva detto: “ti facevo più magro.”
“E io ti facevo più alta”, gli aveva detto lui, con lo stesso tono.
Era subito scattata la scintilla.
Era l’unica che poteva capirlo; era l’unica che, quando usciva un nuovo disco di Lady Gaga, faceva le nottate insieme a lui per essere i primi a prenderlo. Era l’unica con cui poteva veramente parlare, e non quelle conversazioni inconsistenti sui ragazzi e sulle fibre vegetali, ma di musica, di cinema, di Broadway, di tutte quelle cose che amava e che, però, non aveva intenzione di condividere con nessun altro; perché non permetteva a nessun altro di avvicinarsi a lui, e di conoscerlo meglio.
Del gruppo, comunque, provava una sorta di rispetto verso altre due persone: Quinn Fabray e Santana Lopez, una ragazza che riusciva a lanciare occhiate gelide almeno quanto le sue e un’altra che diceva sempre ciò che tutti quanti pensavano, ma che nessuno aveva mai il coraggio di ammettere ad alta voce.
Loro quattro erano un gradino sopra tutte le altre, ed era un fatto ufficialmente riconosciuto.
A Kurt piaceva quella vita. Diavolo, ma chi voleva prendere in giro? La amava. Le ragazze facevano la fila per diventare la sua nuova BFF –che carine, loro e i loro acronimi da Paris Hilton iperemotiva- e i ragazzi lo invidiavano da morire, perché vedeva più tette e culi di quanto avrebbero mai visto loro in tutta la vita. Era quasi un obbligo farsi vedere e tastare il proprio seno, prima di andare dal chirurgo per fare la chirurgia estetica. Perché Kurt, oltre ad essere bellissimo, intelligente, atletico ed incredibilmente affascinante, aveva anche un talento innato per la moda, e se lui indossava un cappellino, allora tutte dovevano indossare quel cappellino, se lui indossava una piccola coda di pelliccia finta alla cintura solo perché gli si era rotto l’attacco per il cellulare, e non sapeva da che altra parte metterla, ecco che in meno di un giorno sembrava di essere finiti in un reality di Nat-Geo Adventure. Era esilarante. Tutte quelle persone che pendevano letteralmente dalle sua labbra: era completamente gratificante.
E non c’era niente, assolutamente niente che avrebbe potuto danneggiare la sua perfetta immagine pubblica.
Nemmeno un’insufficienza in un compito di matematica.
“Che cosa?!” Esclamò con tutte le sue forze, quando la professoressa Va-da-sé gli riconsegnò il compito con la sua solita lentezza estenuante. Non si chiamava veramente va-da-sé, a dire il vero, ma tutti quanti avevano smesso di chiamarla col suo nome da quando si erano resi conto che diceva quelle tre paroline all’incirca ogni tre minuti a lezione.
E senza degnarlo nemmeno di uno sguardo – cosa che lo fece innervosire non poco – la professoressa continuò a parlare all’aria, come se qualcuno stesse veramente ascoltando le sue noiosissime parole.
“Dovete studiare di più, ragazzi: siete all’ultimo anno ormai, è il vostro ultimo tentativo per cercare di imparare qualcosa. So che la matematica può sembrarvi inutile, nonché fastidiosa… ma dovete studiarla. E va da sé che dovete anche applicarla, durante i compiti a sorpresa come questi.”
Kurt sbuffò sonoramente senza preoccuparsi del suo sguardo palesemente offeso ed appoggiò una mano sotto al mento, roteando gli occhi. Figurarsi se aveva tempo per imparare una cosa così inutile come la matematica. Piuttosto, doveva ancora decidersi a memorizzare i nomi di tutti i nuovi capi in voga quel mese.
“…e mi sto riferendo soprattutto a te, signorino Hummel!”
Oh. Come?
Si girò svogliato, inarcando il sopracciglio sinistro e fissandola in quel modo che la scuola ormai aveva decretato come la Kurt-occhiata: “Scusi, ma stava ancora parlando?”
Ci fu un fragore generale, provocato dalle risate, e a seguire, il tono stizzito della professoressa.
“Sì, mi stavo rivolgendo a te, Hummel. E già che ci sei, potresti essere così carino da raggiungermi dal preside, al termine delle lezioni?”
“Quanto chiasso per una semplice verità.”
“Quale verità?”
“Che lei è noiosa – dichiarò, e poi dopo un secondo di riflessione aggiunse- e che io sono fantastico, ovviamente.”
Tutta la classe non riuscì a fare a meno di annuire.
“Bene. Può continuare ad essere fantastico fuori dalla mia classe. A dopo le lezioni, Hummel.”
La guardò allibito: stava dicendo sul serio?
Si alzò in piedi senza nemmeno guardarla di traverso. “Bene. Andrò a prendermi un caffè.”
Perché era lui che se ne andava dalla classe, e non lei che lo buttava fuori. Diavolo, al mondo esistevano ancora delle gerarchie. Sperò per il bene di quella professoressa che prima o poi, tra un va-da-sé ed un altro, se lo ricordasse.
Ma a quanto pare quel giorno la signora aveva deciso di superare ogni limite.
“Hummel.” La coach Sylvester ora era di fronte a lui, le braccia incrociate, la sua immancabile tuta dell’Adidas che in quel giorno constatò fosse di color viola. Kurt pensava che quella donna avesse comprato una trentina di quelle divise ed immerse tutte insieme nella lavatrice assieme ad una sciarpa arcobaleno, giusto per averne sempre una di un diverso colore.
“Che sarebbe questa storia della Riley? Mi ha detto che è da Settembre che non prendi nemmeno una C.”
“Coach, ho avuto cose più importanti da fare.” Rispose, con il tono di chi volesse dire “lei sa di cosa parlo”, e anche, “la prego non mi venga a fare la ramanzina proprio ora, tra dieci minuti mi inizia Jersey Shore”.
“Lo capiamo, ma non è accettabile.” Stavolta fu il preside Figgins a parlare, quell’uomo fatto di sciattezza ed inutilità, incapace perfino di ricaricare una spillatrice senza bisogno dell’aiuto di un inserviente. Lo guardò, ma non lo guardò davvero, si limitò a dargli giusto un pochino di attenzione perché non si mettesse a piangere. Detestava quando qualcuno piangeva di fronte a lui.
“Kurt, per frequentare un’attività extra-scolastica non devi avere nemmeno un’insufficienza, lo sai, vero?”
“Certo. Risolverò tutto, non vi preoccupate. Devo soltanto applicarmi un po’ e-“
“La professoressa si è stancata di aspettare, Hummel.  Ha detto che vuole da te almeno una B, e la vuole entro la fine del mese.”
Oh, adesso la megera si era messa anche a fare le minacce?
“Altrimenti?” Sbottò, guardando tutti quanti con aria di sfida e superiorità.
“Altrimenti sei fuori dalle Cheerio. All’istante.”
A Kurt sembrò come se il mondo gli fosse crollato tutto addosso.
“C-COSA?! Non può farlo, coach! Io sono il migliore là dentro, senza di me le nazionali non le avrebbe mai vinte!”
“Questo lo so, Porcellana, credi che mi faccia piacere dire queste cose? Ma il regolamento è il regolamento, e il tuo rapporto con la matematica  è più inesistente di quello che aveva George Clooney con la Canalis. Devi darti una mossa: hai un mese di tempo, vedi di sfruttarlo bene.”
E, detto quello, la professoressa alzò i tacchi e se ne andò, con tutta la sua tuta viola, il suo atteggiamento da capo e l’ira funesta di Kurt che si manifestava silenziosa su di lei attraversando perfino le pareti di vetro.
 
“E’ un complotto! E’ una cospirazione! Qualcuno sta cercando di farmi fuori, qualcuno ha parlato con la megera e- oh, Dio, è stata Corny! Scommetto che è stata lei, solo perché quella volta le avevo detto che le sue extension sembravano la criniera di un cavallo, quella maledetta io-“
“Kurt, Kurt, calmati! Non è stato proprio nessuno a parlare con la prof, sei tu che non hai mai aperto libro di matematica.”
Kurt si voltò di scatto verso Mercedes, sgranando gli occhi, balbettando qualche parola sconnessa prima di dire: “M-ma da che parte stai?! Sarò espulso dai Cheerios!”
“Non è ancora detto! Tesoro, devi soltanto arrotolare un po’ le maniche e metterti per qualche ora sui libri. Sei intelligentissimo, non vedo perché non dovresti farcela!”
“Perché odio quella materia? Perché in questi quattro anni sono riuscito a passare soltanto grazie a delle ragazze che mi passavano i compiti? Oppure perché  semplicemente non ho voglia di perdere tempo prezioso della mia vita a fare qualcosa che è assolutamente INUTILE? Dico, non serve mica sapere gli integrali di secondo grado per saper calcolare il prezzo di un capo su cui viene fatto uno sconto!”
“No, ma ti serve se vuoi continuare a vivere questa vita. Devi trovare una soluzione, Kurt.”
Il ragazzo sospirò, appoggiando la schiena contro l’armadietto, socchiudendo gli occhi chiari e concedendosi un minuto di calma per riprendere fiato.
Bene, doveva fare un po’ di mente locale.
Aprì velocemente il libro ancora rinchiuso in cartella e cominciò a sfogliarlo; non si stupì di trovare le pagine fresche al tatto e difficili da girare, che profumavano di quell’odore di carta e nuovo tipiche di qualsiasi libro appena comprato. Peccato che quel tomo avesse più o meno tre anni.
“Kurt – esordì Mercedes, guardando allibita il prezzo intatto stampato sulla copertina – ma lo hai mai aperto, questo libro?”
“Certo. Per scarabocchiare qualche ghirigoro, quando sono al telefono.”
La ragazza, sentendo quelle parole, sbiancò di colpo. Ed era tutto dire, visto il colore della sua carnagione.
“Oddio Kurt, non pensavo che la situazione fosse così drastica. Questo è analisi avanzata, non economia domestica! Ma perché hai preso questo corso?”
Senza nemmeno troppo clamore, si strinse nelle spalle e sembrò quasi scavare nell’antro dei suoi ricordi: “il foglio del programma aveva una grafica molto carina.”
“Ok – sentenziò, afferrandolo per le spalle, e guardandolo dritto negli occhi – tu hai bisogno di aiuto. E di molto aiuto. Ci vorrebbe una sorta di miracolo, per farti imparare tutto il programma entro un mese.”
“Tieniti pure i miracoli, mia cara, io vado a farmi una corsa e a provare quel nuovo numero che-“
“Kurt! Ma stai prendendo le cose seriamente? Si tratta del tuo futuro, del tuo posto nei Cheerios!”
Si fermò in mezzo al corridoio, stringendo forte la sua borsa a tracolla, ed abbassando per un momento lo sguardo verso i lacci delle sue scarpette da tennis.
“Lo so – sussurrò allora, voltandosi piano, dicendo quelle cose senza nemmeno volerlo – ma come posso fare, Mercedes? Io non so niente di analisi, proprio niente. E nemmeno Einstein riuscirebbe ad insegnarmi tutta analisi in un mese!”
Fu in quel momento che la ragazza, con grande sorpresa di lui, che aveva appena visto il suo sorriso illuminarsi come se avesse appena avuto una rivelazione, batté le mani l’una contro l’altra ed esultò: “Ho trovato! Kurt, ho trovato la persona  perfetta per te!”
Ci rimase ancora più perplesso: “Mercedes, non ci sono molti ragazzi gay in questa scuola, lo sai, e poi, non vedo questo cosa c’entri.”
“No, no, non hai capito! L’Einstein, Kurt! Colui che ti darà ripetizioni! Qualche volta ha aiutato mia cugina, e ti assicuro che è un vero genio! Soltanto lui potrebbe riuscire a salvare una situazione simile. Fidati Kurt, è lui quello che cerchi!”
Si sentì un po’ incuriosito da quella descrizione.
Chi mai poteva essere quel ragazzo così geniale? Ma poi, si rese conto che non gli importava: andava bene chiunque, qualunque persona che sarebbe stata in grado di inculcargli derivate e grafici in così poco tempo.
Però, così, giusto per curiosità, lo chiese.
“E che tipo è, questo fantomatico genio incompreso?”
L’amica sviò un po’ lo sguardo, esitando giusto un poco prima di riassumere il suo precedente ottimismo.
 “E’…beh. E’ forte. E’ proprio un tipo.”
“Di che tipo?”
“Del tipo che…beh, è molto intelligente. E gentile. E’ incredibilmente gentile. E ha un bel sorriso, anche. Devi vederlo; sono sicura che ti piacerà, in fondo.”
Cosa voleva dire, in fondo?!
“Va bene.” Sospirò, esasperato, perché ne aveva veramente abbastanza per quel giorno, e se doveva fare questo miracolo matematico, allora sarebbe stato meglio cominciare sin da subito.
“Come si chiama?”
Mercedes deglutì un numero indefinito di volte.
“Blaine. Blaine Anderson.”
Kurt non batté ciglio: non lo aveva mai sentito nominare.
“Dove posso trovarlo?”
Di nuovo, un’altra esitazione. Era come se non sapesse cosa dire. O come dirlo.
No, doveva agire in un altro modo. Doveva giocare d’astuzia, altrimenti Kurt non avrebbe mai accettato.
“Vieni, ti porto direttamente da lui.”
“Oh – fece, un po’ sorpreso da quella proposta – va bene. Voglio dire, prima è, meglio è.”
“Già - bisbigliò lei, a denti stretti, cominciando a camminare assieme a lui con passo veloce – Caviamoci questo dente.”
“Come?”
Adesso si trovavano di fronte ad una porta di cui non sapeva nemmeno l’esistenza.
“Che aula è? Appartiene a qualche club?”
“S-sì. Lui si trova qui dentro. Spiegagli la situazione, e vedrai che capirà.”
Si voltò indietro solo quando si accorse che l’amica aveva già cominciato ad andarsene: “ ‘Cedes, non vieni con me?”
“Hem…ho un impegno!” E detto quello fuggì via, come se dovesse scappare da un uragano.
Non volle domandarsi troppo cosa le fosse preso, dal momento che aveva questioni più importanti da affrontare: abbassò velocemente la maniglia, entrando un piede alla volta in quella stanza improvvisamente buia, priva di qualsiasi illuminazione, fatta eccezione per una mezza dozzina di schermi del computer che si proiettavano su delle facce non ben riconoscibili.
“Scusate? – Chiamò, cercando di farsi strada in quel groviglio di fili, e quel mondo di confusione totale – Scusate? Blaine? Blaine Anderson?”
Un ragazzo si alzò. Grazie all’illuminazione soffusa riuscì ad identificare un paio di pantaloni a sigaretta, lunghi fino alle caviglie, una camicia a quadri rossa e con sopra delle ridicole bretelle verde bottiglia.
Una massa di riccioli sconclusionati gli copriva gran parte della fronte, accentuando, però, delle folte sopracciglia di una forma vagamente triangolare e degli occhi color nocciola che, in quel momento, lo stavano fissando attoniti.
E aspettò qualche secondo, prima di stancarsi del tutto e decidersi a parlare per primo: “Sei Blaine, vero?”
Il ragazzo rispose con il tono di chi avesse appena ingoiato il più enorme dei rospi: “S-sì. Sono io.”
“Bene. Io sono-“
“So chi sei. Sei Kurt Hummel, uno dei Cheerleader.”
Sorrise, un po’ beffardo. Oh, che stupido. Era ovvio che lo sapesse già. Ogni tanto si dimenticava di essere una star.
E approfittò un pochino del suo imbarazzo, avvicinandosi un poco e fissandolo intensamente con i suoi occhi azzurri, incredibilmente ammalianti.
“Ho una proposta per te."
Sapeva già di aver fatto centro. Sapeva già che nessuno era mai riuscito a resistere ai suoi occhi azzurri, al suo sorriso disarmante, alla sua pelle perfettamente curata e al suo atteggiamento da modello.
Insomma, perfino il più etero degli uomini, in quel momento, si sarebbe inginocchiato ai suoi piedi.
Ma poi, accadde una cosa che non aveva in nessun modo calcolato.
Il ragazzo sviò lo sguardo verso lo schermo, e si risedette in un lampo senza averlo degnato di un'ulteriore occhiata.
“Oh-ok, grandioso. Senti, puoi parlarmene dopo? Sono nel bel mezzo di un dungeon e ho il mio pally che è stato appena stunnato con un D-10 e non ho nemmeno una Soul-stone per reccare. Tutta colpa di quel maledetto delay.”




Ok.
 
 
No.
No, non era ok.
Che diavolo di lingua aveva appena parlato?
Sembrava inglese. Ma non era inglese. Diavolo, lui lo conosceva l’inglese. Lui parlava inglese. C’era qualcosa che non andava.
“P-potresti ripetere?”
Dio, quanto detestava averlo detto.
Esattamente allo stesso modo con cui detestò lo sguardo di Blaine, serio, come se gli avesse detto, “oh, giusto, tu non puoi capire”.
“E’ un gioco, ok? Dammi un minuto.”
Un gioco.
Un videogioco, dedusse lui.
Lui stava parlando con un ragazzo che stava giocando ad un videogioco.
Lui stava parlando con uno che gli aveva appena risposto in videogiochese.
Un nerd.
Lui stava parlando con un nerd.
 

 

***
 
 
 
Note di Fra:

Salve! Sono Fra! Probabilmente vi ricorderete di me da altre fanfiction, quali, “Blame it on Blaine”, e adesso voi state immaginando queste parole dette dalla voce di Troy McClure!
…ok. Io non so perché abbia scritto questa cosa. E’ stata tutta colpa di tumblr! Girano tutti quei gifset su Cheerio!Kurt e Nerd!Blaine, e io sono una Nerd di prima categoria, e insomma, mi sono venute in mente un sacco di idee…e non ho saputo resistere!
Mi dispiace. Vi chiedo scusa. So che non dovrei farlo, questa è scrittura compulsiva, ho partorito questo capitolo in praticamente un’ora, non so nemmeno bene come si svilupperà la cosa, non so nemmeno se avrà un minimo di SENSO, ma insomma, sono caduta nel tunnel. Eggià. Denunciatemi per questo?! E’ stato più forte di me. E’ come se si fosse scritto da solo!!!
 
E visto che questo è stato davvero un DELIRIO, nato così, A CASO, mi fareste davvero un immenso favore a dirmi il vostro parere. Ne vale la pena? Devo continuare? Fatemi sapere, sul serio. Non so nemmeno io come andrà questa storia, ma soprattutto SE andrà. Vi scongiuro, fatemi sapere se vi ispira, se vi piace, se vi piacerebbe leggere il seguito e qualche bella vicenda di un Cheerio e super fashion Kurt alle prese con un mondo di Nerd.
Ah, un’ultima cosa: la frase detta da Blaine ha un senso. Sul serio. Non sono parole messe lì a caso. E no, non siete malati. Sono soltanto io, ad essere particolarmente strana.

   
 
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