Era
così che Sherlock Holmes si ritrovava: solo. Per
l’ennesima volta.
«Ti
mancherò, Sherlock.»
Quelle
parole ritornavano nella sua
mente senza alcuna possibilità di replica. Più si
sforzava di non pensarci, e
più il volto diafano di Irene gli appariva davanti agli
occhi. La cosa che si
chiedeva era: come aveva potuto permettere che lei morisse? In che modo
Moriarty era riuscito ad essere più astuto di lui, come era
riuscito a
precederlo nelle sue mosse? Mentre quest’ultimo attendeva la
morte della donna
seduto al tavolino di un bar, lui era intento a percorrere una strada
falsa,
l’ennesima, che per la dannata ennesima volta non lo aveva
condotto a nulla se
non alla perdita dell’unica donna che era stato capace di
amare. Era così che
poteva definire il sentimento che provava nei confronti di Irene? Amore? Un termine difficile che non
avrebbe mai usato, eppure si trovava costretto a farlo. Amore era un
termine
che doveva essere usato con il misurino, con cautela, altrimenti poteva
essere
causa di disguidi ed incomprensioni. Ma lui ne era certo. Finalmente,
anche se
troppo tardi, aveva compreso di amare Irene Adler, una donna astuta e
sfuggevole
che lo aveva rapito con i suoi modi persuasivi e provocanti. Irene lo
amava?
Sì, no, forse, non ne era sicuro. In quel momento non era
sicuro di nulla,
neanche della sua identità. Irene era stata
l’unica donna in grado di saperlo
prendere, raggirare come un calzino per poi gettarlo altrove,
lasciandolo
inerme e con il cuore in pezzi. Era una donna meschina, scaltra, ma
anche ricca
di sorprese. E Sherlock si domandava come aveva fatto ad essere
aggirata da
Moriarty. Tutto riconduceva a quel maledetto professore, lavorando per
il quale
la donna aveva firmato la sua condanna a morte. E ne era consapevole,
era
quello l’aspetto più grave. Ogni volta che ne
aveva avuto la possibilità aveva
provato ad aiutarla, chiedendole di più sul professore, ed
ogni tale lei aveva
negato, dicendogli che era una questione troppo grande
perché lui potesse
affrontarla. E si sentiva maledettamente stupido per non aver
insistito, per
averla lasciata da sola a lottare contro qualcosa di troppo pericoloso.
Per
colpa del suo egoismo Irene aveva pagato con la sua vita. Una vita
strappata
violentemente ad un corpo troppo giovane come il suo, ancora privo di
esperienze.
Strinse la mano a pugno, fino a far diventare le nocche bianche, e
anche quando
sentì il dolore invadergli l’arto non
allentò la presa. Dopodichè quel pugno
andò ad infrangersi violentemente sul tavolo da lavoro al
quale sedeva, e la
boccetta con l’inchiostro si ribaltò, facendo
fuoriuscire il suo contenuto che
impregnò tutta la superficie di legno del tavolo. Ma non vi
badò molto, poiché
la sua mente era offuscata dalla rabbia. Raccolse solo i fogli sparsi
su un
angolo del tavolo per non far impregnare anche quelli, lanciandoli sul
letto
alle sue spalle. Quei fogli erano il misero frutto del lavoro di mesi
interi,
passati ad analizzare ogni particolare della morte di Irene Adler. Tra
di essi
vi erano anche fogli di giornale, foto, lettere, appunti, raccolti nei
vari
posti in cui la donna era stata. Tutto pur di scoprire cosa aveva
voluto
ottenere lavorando per Moriarty, pur di sapere perché aveva
mantenuto quella
segretezza per tutto il tempo. E mille domande attanagliavano la sua
mente: era
riuscita nel suo intento? No? Oltre alla sua morte cosa
gliel’aveva impedito?
Lei era consapevole della sua imminente morte? Perché
Mortiarty aveva voluto
sbarazzarsi di lei? E a nessuna di queste domande vi era una risposta
plausibile, solo altri dubbi e altre domande.
«Ti
mancherò, Sherlock.»
Ancora
una volta quella frase si impossessò della
sua mente, provocandogli una fitta alla tempia.
«Purtroppo
sì.»
Così
le aveva risposto, consapevole
che sì, le sarebbe mancata, fortemente ed irrimediabilmente,
anche se non
sarebbe passato molto tempo prima di un loro futuro incontro. Quel
pomeriggio,
sul ponte di Londra, le aveva voltato le spalle, ma senza rimpianti,
perché
l’avrebbe rivista. E attualmente? Le mancava, da morire. Vi
erano giorni in cui
neanche l’assidua presenza di Watson al suo fianco era
sufficiente, giorni in
cui credeva di impazzire. Gli ritornò alla mente il giorno
in cui, mentre era
chiuso nel suo ufficio, Mrs. Hudson aveva fatto irruzione nella stanza
con una
boccetta di cristallo roseo, enunciando che non apparteneva
né a lei ne a
nessun’altro in quella casa. E quando aveva avvicinato il suo
naso per sentirne
il profumo si era reso conto che apparteneva ad Irene. Ricordava che si
alzò di
scatto dalla sedia, e dopo aver lanciato la boccetta fuori dalla
finestra aveva
urlato alla domestica di non disturbarlo più quando era
chiuso nella sua
camera. Risentire quel profumo aveva risvegliato in lui il ricordo
vivido della
figura di Irene, in ogni sua sfaccettatura. E a poche settimane dalla
sua morte
era stato un colpo davvero basso. E anche attualmente, se solo si
soffermava un
attimo in più a ripensare a lei, ai suoi sorrisi o alla sua
voce dolce e
pacata, si sentiva un verme, per averla abbandonata pur sapendola in
pericolo. Ma
lui non riusciva a capire nulla, per quanto scaltro fosse, nulla che
riguardasse Irene. Di lei aveva sempre saputo poco e niente, eppure non
si era
mai soffermato a farle qualche domanda in più,
perché non gliene importava. Il
risultato che aveva ricevuto era quello del suo stato attuale.
Perché
nonostante la presenza di Watson, di Mary, e di tutta Londra attorno a
lui, di
lui rimaneva ormai un uomo solo,
lasciato al suo triste destino, un uomo che aveva perso i suoi saldi
principi
morali con la morte della donna che amava.
Angolo
dell'autrice: Buona
sera a tutti, torno dopo una lunga
pausa, con questa one shot su Sherlock Holmes, uno dei film
più belli che abbia
mai visto. Dopo aver visto il secondo capitolo, sono rimasta un
pò delusa dallo
spazio che hanno dedicato alla morte di Irene, che secondo me meritava
qualcosa
in più. Beh, in mancanza di ciò nel film, ho
deciso di scrivere qualcosa sui
pensieri di Sherlock riguardo alla sua morte. Spero sia di vostro
gradimento :3