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Autore: Levineisabitch_    03/01/2012    6 recensioni
Semplici emozioni causate da un un concerto che non vedrò mai.
Bho, date un'occhiata, ma vi assicuro che sono solo scleri di una mente malata.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero lì, sotto quel palco, l’unico posto dove potevo sentirmi a casa.
Il concerto non era cominciato ma la folla era in visibilio, già e i Trè sarebbero arrivati a momenti.
Eccoli, vedo tre uomini, tre trentaquattrenni che dimostravano diciassette anni.
Tre ragazzini, un po’ cresciuti.
Ecco, loro erano quello di più vicino che avevo ad un idolo. A un padre.
Erano lì, dritti davanti a me.
Non riuscivo a spiccicare parola.
Sentivo gli occhi umidi, li alzai al cielo e cominciai a gridare, come tutti gli altri.
Mi sentivo bene, sarebbe durato un paio d’ore, ma sarebbe stato bellissimo comunque.
Attaccarono con la canzone omonima all’album che me li aveva fatti conoscere.
L’anno prima era uscito ‘American Idiot’ e dopo aver ascoltato un paio di canzoni l’avevo comprato, d’impulso.
Non mi era mia capitato di immedesimarmi così in una semplice canzone.
Non credevo nell’amore a prima vista, ma mi dovetti ricredere.
Cos’era se non amore quello che provavo verso di loro?
Sentivo una specie di filo invisibile che mi univa a quei tre.
Era una sensazione strana, ma vera.
Sentivo che senza di loro non sarei più potuta vivere, avevo bisogno di loro.
Cominciai ad ascoltarli ovunque, caricando le loro canzoni sul cellulare.
Anche durante le lezioni noiose.
Al cambio ora, all’intervallo, quando tornavo da scuola, a pranzo e a cena, nel tempo libero.
I miei si incazzavano ma io alzavo il volume.
‘La musica per me è l’aria che respiro, il sangue che pompa nelle mie vene’, ecco.
Le ragazze di fianco a me si sgolavano in modo assurdo, sembravano galline.
Era pieno di gente, tutti schiacciati, sembravamo sardine.
Eppure era meraviglioso: tutti come me, erano. Dei disadattati. Diversi.
Come lo ero io, diversa.
Billie Joe suona e canta, incita il pubblico, spara parolacce.
Il pubblico si scalda.
Mike saltella sul palco e Trè fa le sue solite facce strambe.
Il nano solleva elegantemente un bel dito medio alle parole ‘mindfuck America’.
Urla cose come ‘England’: amo la sua voce.
‘Alright’ dice con voce roca. Come puoi dire che va tutto bene? Io qui sto per collassare perché ho sentito la tua voce, non va tutto bene.
E’ magnifico.
E quella cravatta rossa gli dona tantissimo.
Corre per il palco, fa un assolo di chitarra, il pubblico alza le mani a ritmo.
Potrebbe condurre un esercito BeeJ, ce la farebbe.
La prima canzone è finita, ci danno il benvenuto al tour del 2005.
La gente saltella, vedo creste colorate ovunque.
‘This song’s called Jesus of Suburbia’ lì non ci vidi più: con quella canzone li avevo conosciuti.
La amavo, mi faceva sentire parte di qualcosa, mi faceva sentire di non essere l’unica.
C’era qualcuno come me, dovevo solo trovarlo.
Perché anche Billie e Mike e Trè erano figli della rabbia e dell’amore e ce l’avevano fatta.
Io non credevo in Dio, non l’avevo mai fatto, anche se ero battezzata.
Credevo in Jesus of Suburbia e in St. Jimmy, oltre a loro nessuno.
Cominciai ad agitare le mani in alto, su comando di Billie.
Ci fece cantare la parte del ‘in the land of make believe that don’t believe in me’, scelta azzeccata.
Chi credeva in me? Nessuno.
Ricominciai a cantare con loro, alzai il volume a ‘i don’t care’, urlando come una matta.
Non m’importava.
‘Everybody is so full of shit’ cazzo, sì, ognuno di noi è pieno di merda!
Che senso ha l’esistenza di ognuno di noi?
Mi venne da ridere.
La folla diceva che non gl’importava, ma almeno alla metà di loro importava.
Non volevano essere giudicati, ma tanto l’avrebbero fatto lo stesso.
Non è facile essere diversi.
Billie parlava con la terapia e si faceva domande da solo, cantava.
Sussurrai un ‘grazie’, glielo dovevo.
Era grazie a loro che avevo avuto il coraggio di cambiare, di ammettere che essere come gli altri non è bello.
Un altro grazie per avermi fatto capire che quello che in verità ero, è perfetto.
Trè impazziva dietro quella batteria, assomigliava davvero a un pollo.
Mike dava il meglio e cominciava a correre pure lui per il palco, ringhiava.
Alcuni luci accecanti si accesero all’improvviso per poi far iniziare Billie a cantare senza supporto dalla batteria e dal basso.
‘tales of another broken’ e dopo un minuto intero ‘home’.
Billie era piegato a metà, per far scena. Lui non era stanco, non lo era mai.
Trè sorrise, un sorriso da bambino.
Anche gli altri sorrisero, ma quello che preferivo di sorriso era quello del cantante: soddisfatto, felice.
Era quello che avrei voluto vedere sul mio volto.
E dopo poco partì la mia preferita: Holiday.
La presentarono come un grosso vaffanculo a tutti i politici.
Lì mi scatenai, saltando, cantando, piangendo, tutto insieme.
Amavo quando Billie prolungava la ‘a’ di Holiday per così tanto tempo, era iddiliaco.
‘can i get another amen?’ urlò e d’impeto urlai un ‘amen’.
Mi identificavo nelle parole che dicevano: era la mia stessa opinione.
Assolo di Mike, Billie batte le mani e osserva il pubblico.
Mike sale sull’amplificatore, Trè prende un binocolo e Billie trasporta il microfono in aria verso il pubblico.
Il nano ordina di spegnere le luci, era sera inoltrata.
Riprese a cantare, lasciando dire alcune parole a Mike, e a noi.
La voce di Billie era chiara ma rauca in certi punti mentre quella di Dirnt era energica.
I loro sorrisi mi davano calma e serenità.
Annunciarono St. Jimmy e partirono con Are we the Waiting.
Non prima di dire che il secondo giorno era sempre meglio del primo e che noi eravamo il miglior pubblico mai avuto.
Versai un paio di lacrime.
Billie toccava le mani dei fan cantando.
Le fan impazzivano, i fan urlavano più forte.
La platea cominciò a cantare ‘are we the waiting?’ e Billie era fantastico, era orgoglioso.
I ragazzi di fianco a me facevano ‘le corna’ verso il gruppo, vidi una bambina di circa otto anni sulle spalle del suo papà che aveva un enorme sorriso e cantava.
L’infanzia di quella bambina era delle migliori, ne ero certa.
La canzone durò poco, poco dopo iniziò la vera e propria St. Jimmy con Billie che gesticolava e saltava come una cavalletta.
Mi dava la carica quella canzone, mi faceva ballare e dato che nessuno mi avrebbe detto nulla ballai.
Alla strofa ‘i’m the son of a bitch and edgar allan poe’ urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
BeeJ fece una spaccata, sembrava spastico da come si muoveva.
Battevo le mani, quel nano mi faceva impazzire, era bellissimo.
Sembrava non avere idea di quello che faceva, ma era convinto che avesse un senso.
Nell’ultima strofa inserì un bel ‘’fucking’: non era da lui dire una frase senza bestemmiare o dire parolacce.
In un certo senso anche io ero diventata sboccata dopo averli conosciuti.
Non mi pentivo di niente.
C’era fuoco sul palco, fuochi d’artificio, effetti speciali che mi fecero sentire speciale.
Ero fiera di me stessa, di essere lì, ero fiera di quello che ero diventata dopo aver sentito le loro canzoni.
Era un amore reale e leale il mio per loro.
Alcuni fumavano, spinelli?, come turchi, durante il concerto.
Sentii la batteria di Trè scandire piano i colpi, riconobbi la canzone subito: Longview.
Anche Mike partì col basso, saltando a piedi uniti sul posto.
Bullie indossava delle corna rosse da diavolo che poi lanciò nella folla.
Cantava e faceva cantare noi, faceva il buffone.
Avrei voluto conoscere qualcuno come lui.
Quando lo dissi ad una delle mie (poche) amiche mi aveva detto che ognuno ha 7 sosia nel mondo.
Non capì cosa intendevo: io volevo qualcuno con il suo carattere, che la pensasse come me, che fosse come me.
L’aspetto fisico non contava molto, anche se Billie era davvero bello. Lui si giudicava brutto.
Alcune fan lo seguivano perché era ‘seczi’ ma loro non capiranno mai l’essenza delle loro canzoni.
Delle guardie della sicurezza portarono via una ragazza, svenuta.
Poveretta, si perse tutto lo spettacolo, credo.
Anche quella canzone si concluse, sentivo che la fine si avvicinava sempre di più, ma non volevo pensarci.
Poi cominciò Hitchin’ a Ride, quella mi rimarrà per sempre impressa a fuoco nella memoria.
Vedevo Billie sudare, la matita sbavare.
Molti miei compagni mi avevano preso in giro insultandolo per la matita.
‘mette la matita, che è, una donna?’ e io rispondevo candidamente ‘quello che tu non potrai essere mai è’ e loro se ne andavano ridacchiando.
Che potevo farci, l’amore è così.
Cantava reggendosi su una gamba sola e ghignava.
Urlava, che voce roca che aveva, e ricominciò con i suoi ‘Let’s say eeeh ooooh’
Prima piano, poi un pochino più forte, poi ci fece dire le vocali.
Urlavamo ‘eh’ mille volte e Billie ci incitava.
Sorrise e indicò prima a destra, poi a sinistra, poi ci chiese il silenzio, che non ci fu.
Applaudì.
Ci fece dire i numeri e parti con un ‘alright’ gutturale.
‘woho’, ‘wohooo’, ‘eh oooh’.
E fu lì che partì con gli ‘aaah’ orgasmici.
Esplosì e urlai, Billie si stava masturbando sul palco ed era dannatamente sexy.
Ecco perché lo amavo, per quello.
Si annusò anche le mani una volta finito.
Urlò un ‘somebody fuck me’, oddio.
I miei ormoni stavano avendo effetto, come quelli di tutti quelli che erano lì.
Disse che voleva che ognuno di noi urlasse, ci aspettavamo che andasse avanti a parlare quindi stemmo zitti, ci rimase male.
Urlai, per fargli capire che tutti gli volevano bene (solo questo?).
Riprese a cantare e il palco s’illuminò di fuoco.
Era energia allo stato puro quella.
Amavo la voce di Mike nei cori, dava un tono potente alla canzone.
Erano tutti incredibilmente sudati, si vedeva.
Billie lanciò mandò un bacio verso di noi, esultai.
Sembravo una stupida quattordicenne in calore, oddio, che brutto paragone, adatto però.
Mike cominciò a usare il basso come un ariete suonando, Brain Stew.
Cervello cotto, fritto, quasi quasi me lo mangio.
Il cervello di questa generazione, un cervello inutile, nessuno lo usa, alla fine.
I capelli di Billie erano disordinati, sparavano ovunque, mentre quelli di Trè sembravano incollati.
Osservai Blue, era la perfezione.
Anche se nessuno l’avrebbe mai detto.
Quella chitarra cadeva a pezzi, ma era bella, stupenda, piena di adesivi e ricordi.
Si riaccese il fuoco e le urla di Mike, Billie sembrava Gesù in croce, chissà se era quello il suo intento.
Depositò la chitarra e ricominciò ad urlare verso di noi intonando ‘Olè Olè Olè’ senza un motivo preciso.
Sentii un botto potente e non lo vidi più. Era sparito.
C’erano solo Jason, Jason, Mike e Trè.
Dopo pochi secondi, orribili senza di lui, ricomparve dotato di una chitarra con una stella fucsia attaccata.
Dedussi che amava gli ‘eh oh’ perché li faceva sempre.
Elencò tutti i ragazzi che cantavano e suonavano sul palco, citando tutti i loro nomi.
Il trombettista fece un assolo, si chiamava Jason Freeze.
Presentò Mike come l’uomo a cui era stato vicino sedici anni e che era molto ‘good’ nudo.
Risi e urlai di gioia, quelli erano i ragazzi che amavo.
Trè Cool conosceva Michael Jackson e faceva la doccia nudo con Billie a quanto diceva il cantante.
Lui di tutta risposta fece il cretino sul palco.
Billie infine disse di essere Bush e tutti ci rimasero male fin quando lui chiarì che se il suo nome era quello era uno stronzo.
Come si può non amare un cantante del genere?
Ogni canzone che cantavano mi faceva tremare ed esaltare.
Cantò il primo verso di Basket Case e poi stopparono sia strumenti che voce, mentre noi continuavamo a cantare.
Il modo in cui Billie diceva ‘whore’ era adorabile, il che è strano.
Cantava della sua paranoia che alla fine era anche la mia: ero paranoica al massimo.
Una cosa che mi ha sempre bloccato, devo dire.
Vidi un ragazzo con un ciuffetto di quelli alla Bieber: omologato ma pur sempre diverso.
Nel senso che era come tutti gli altri fuori, ma dentro era come me.
Era uno di quelli che avevano paura di mostrare chi erano, fino a qualche mese prima appartenevo anche io a quel gruppo.
Billie se ne uscì con una pistola ad acqua. Okay, forse era più un bazooka, ma dettagli.
Sparò sulla folla che aprì la bocca e cacciò fuori la lingua.
Era assurdo e perfetto.
Passarono pochi minuti senza di loro sul palco: rispuntarono, Billie con la corona in testa, Trè con un cappello che lo faceva assomigliare alla regina.
Era il turno di King for a Day, parlava di un travestito, l’avrebbe capito chiunque.
Billie mostrava il sedere a noi, che sembrammo gradire.
Cominciarono a creare un vortice poco lontano da me e molti si tolsero la maglia, ragazzi e ragazze.
Finita la canzone Billie indossava qualcosa di indefinito e fucsia in testa.
Partì con Shout mentre faceva una specie di spogliarello sbottonandosi.
Devo dire che gli ormoni di tutti andarono a mille: un Billie con la camicia aperta, nera, sudato che cantava.
Non sono cose da tutti i giorni.
Trè fece un verso poco identificabile e poco dopo Billie cominciò a cantare, anzi sussurrare, la canzone da sdraiato sul palco, muovendo solo il bacino su e giù.
Qualcuno gli mise un mantello da re e una corona sul fianco.
Devo dire che qualcuno era davvero preoccupato, alcuni pensavano si fosse fatto prima di iniziare o nelle pause.
Ma poi si tirò su e ricominciò lo show, con un’altra corona in testa.
Si mise a saltare e tutti lo imitarono.
Faceva i soliti versi e Trè e Mike gli facevano l’eco.
Rimandò qualche bacino verso di noi, il mantello gli stava cadendo dalle spalle, lo abbandonò lì intorno.
Suonò con la chitarra insieme alla tromba e ai milioni di strumenti presenti qualcosa di indefinito appartenente a Shout chinato verso terra e poi le luci si spensero, riaccendendosi all’ultimo accordo.
Poi Billie con una vocina inquietante partì con la parte iniziale di Letterbomb, solo che la canzone era Wake me up when september ends.
Sapevo che per lui era difficile, lo sapevo.
Lì non avrebbe fatto il cretino, niente parrucche o cose strane, no.
Aveva la voce rotta, spezzata, ma pur sempre stupenda.
La sua faccia era inquadrata negli schermi dietro di lui e si vedeva chiaramente il magone.
Fu verso il secondo ritornello che inizio a sbattere mille volte le palpebre e a guardare al cielo.
Piangeva e io piansi con lui, in silenzio, come noi diversi dobbiamo fare.
Perché tanto non ci capirà mai nessuno, anche quando il nostro dolore è stato vissuto da altre centinaia di persone.
Un altro motivo per cui amarlo era la sua umanità: piangeva e quindi?
Ogni tanto gridava, più per dare forza a se stesso che a noi.
Stavo ancora piangendo quando alzò il pugno al cielo.
La canzone finì così, tra le lacrime della gente.
Fu un secondo e a Milton Keynes esplose un inno a quello che tutti noi eravamo.
Ognuno di noi cantava, cantava di se stesso, di quello che voleva essere, perché tutti noi volevamo essere la minoranza.
Avevano provato a chiedermi perché ero così, bhe, la mia unica risposta era stata intonare quella canzone.
Billie suonò persino la fisarmonica, poi ci ringraziò infinite volte, di che poi non lo so.
Io volevo ringraziare lui, quanto avrei voluto.
Riprendemmo i cori, l’amore segreto di Billie immaginai!
Vedevo Trè usare il cronometro per vedere quanto urlavamo e poi annuire convinto.
Fece anche un discorso di cui capii poco in cui ci diceva che eravamo noi a comandare quel mondo.
Con rinnovata carica finì di cantare (evidenziò il ‘fuck ‘em all’, ovvio.) che era la mia preferita.
Mi sentivo parte della minoranza e, in quel luogo e in quel momento, ne ero felice.
Ed ecco la canzone di chi si sentiva solo, anche in mezzo a migliaia di persone.
Un’altra canzone fatta a pennello per noi.
La gente piangeva, sapendo che appena finito il concerto anche loro avrebbero camminato soli nella loro personale Boulevard of Broken Dreams.
E tutti noi desideravamo ardentemente che qualcuno ci trovasse, qualcuno simile a noi.
Ma avevamo perso le speranze e quella canzone ce ne convinceva.
Cantavo mettendoci l’anima sulle urla rauche di Billie e il basso incazzato di Mike.
Ne sentivo il bisogno.
Billie si aggiustò i capelli e noi cantavamo, fin quando iniziò anche lui.
Il nano sembrava assatanato, rideva di gusto.
Se lui aveva davvero qualcosa a che fare con il Diavolo l’inferno non doveva essere così male.
Sentivo che il concerto stava volgendo al termine, era ora oramai.
Ne volevo ancora un po’ di loro, però.
Ci diede un saluto, con un accordo di chitarra e la sua voce d’angelo che sperava che nella vita avessimo avuto il meglio, quello che volevamo.
Cantavamo con lui, con quell’angelo.
Molti dicevano che erano incapaci, che non provocano emozioni, che erano assatanati oppure pervertiti.
Ecco, io vi dico: questa voce d’angelo come la classificate?
Lui era tutto quello che volevo nella vita, mi bastava vederlo da lontano, volevo vederlo felice.
Sembrava triste mentre suonava quella canzone, mi fece tenerezza.
Fu con qualche accordo di chitarra, delle lacrime e delle urla che tutto si concluse, così com’era iniziato.
La serata più bella della mia vita, quella serata che avevo trascorso in compagnia dei Green Day.
E poi, spensi il televisore e smisi di immedesimarmi, perchè io non li avevo visti se non attraverso uno schermo.

Note autrice.
Piccolo sfogo.
Semplicemente quello che sentivo e che avevo bisogno di buttare giù!
Scritto in una serata di noia, guardando Bullet in a Bible.
Fatemi sapere.
   
 
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