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Autore: thatsbacky    04/01/2012    7 recensioni
Summer è una dolce ragazza di diciassette anni che ormai vive in un ospedale di New York, è malata gravemente e l’unica persona rimasta della sua famiglia è suo fratello, che viene a farle visita ogni giovedì. La monotonia della sua vita viene interrotta dalla conoscenza di un giovane ragazzo ricco e viziato, Edward. S’incontrano casualmente in ospedale e da quel giorno entrambi resteranno legati l’un l’altro, non potranno fare a meno di vedersi e passare del tempo insieme, fino a quando qualcosa cambierà per entrambi ...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era l'ottantaquattresimo giorno che stavo lì, chiusa in quelle mura fredde e spente, ma ormai ci stavo da così tanto tempo che mi erano familiari. La situazione era solitamente tranquilla: qualche donna indaffarata in camice bianco e qualche uomo distinto che correva per il corridoio, qualche bambina che giocava con la sua bambola di pezza e qualche bambino che aspettava nel letto l'arrivo di uno dei genitori o di un po' di compagnia. Io trascorrevo la maggior parte del mio tempo seduta: a leggere, scrivere, cantare, osservare tutto ciò che mi circondava anche senza farne parte in prima persona, ogni tanto uscivo per respirare un'aria diversa dalla solita. Mi conoscevano tutti in quel posto, tutti mi salutavano con un sorriso dolce la mattina presto, tutti chiedevano della mia salute e tutti conoscevano la mia storia. Quel giorno non sapevo cosa fare, non avevo voglia di leggere, scrivere o cantare, insomma di occupare il tempo nelle azioni che svolgevo solitamente, quindi decisi di fare due passi e magari uscire un po'. Il corridoio era deserto, rimasi stranita, quel giorno le visite finivano due ore più tardi al reparto, continuai a camminare. Il sabato, per mia fortuna, era il giorno libero di Jack, lui non indossava mai la "vestaglietta" come tutti gli altri, non mi era mai saltato per la testa di chiedergli il perché, ed era suo compito sorvegliarmi tutti i giorni della settimana, tranne il weekend ovviamente. La porta era socchiusa, uscii nella scala antincendio e mi fermai a guardare il cielo, era già calata la sera e il buio avvolgeva lentamente tutto il paesaggio. Ero talmente presa ad osservare tutto ciò che mi circondava da non notare un ragazzo vicino a me che fumava una sigaretta, sembrava nervoso ed impaziente. Mi scostai in modo che il fumo non arrivasse al mio naso. In quel momento anche lui si accorse della mia presenza e allontanò la sigaretta dal lato opposto al mio. Aveva un'aria superiore, come se non fossi all'altezza di stargli accanto, probabilmente era dell'elitè di Manhattan. Stare tutto quel tempo in ospedale e nelle sale d'attesa mi aveva aiutato a conoscere meglio le persone. Sapevo che un individuo simile non sarebbe mai potuto essere di Brooklyn, anche perché era troppo ben vestito. Indossava un abito e ci avrei messo le mani sul fuoco, era firmato. Le scarpe erano italiane, fra le più costose aggiungerei e la collanina... Teneva una collana con un piccolo ciondolo al collo, una lettera, una R. Dopo aver esaminato i suoi vestiti passai al viso: aveva dei lineamenti spigolosi e duri; delle labbra sottili chiuse in un'espressione angosciata; degli occhi castani con dei riflessi d'orati che riuscivano a dargli un tocco di dolcezza; la carnagione era chiara; i capelli erano scuri e li teneva scompigliati, in disordine, ma tutti andavano all'indietro come se dovessero lasciare il primo piano alla perfezione del suo viso. All'improvviso si voltò verso di me, il suo sguardo era intenso e cupo, tanto che mi metteva in soggezione. Distolsi l'attenzione dal suo corpo e cercai di concentrarmi altrove, ma niente da fare, era come una calamita, quindi decisi di parlare.
"Grazie" fu l'unica cosa che mi venne in mente. Mi guardò con un'espressione un po' basita e fece un cenno con la testa, di assenso probabilmente.
"Sai, chiunque altro se ne sarebbe fregato, sei stato carino a spostarla.. Tu sei in visita, vero? Non ti ho mai visto da queste parti, mi ricorderei." Non sembrava molto interessato a ciò che dicevo, ma continuai a parlare accontentandomi del suo silenzio.
"Io sono qui da un bel po', se ti dicessi da quanto tempo non ci crederesti.."
"Da quanto?" incalzò lui, rubando per un attimo, con la sua voce calda e confortante, tutte le mie parole.
".. Da due ottantaquattro giorni!" sorrisi soddisfatta, ma dopo quell'affermazione ricadde il silenzio.
"Ma ormai questa è casa mia, ci ho fatto l'abitudine! .. Posso sapere perché sei qui?" quel ragazzo m'incuriosiva e poi avevo voglia di parlare con qualcuno dopo un'intera giornata in silenzio e solitudine.
"Sono qui perché la mia ragazza è ricoverata.." mi parve di scorgere un tono di disprezzo nella sua voce.
"Oh, mi dispiace.. Sta molto male?"
"Credo stia per uscire dalla sala operatoria, ricostruzione nasale, liposuzione e protesi al seno!" 
Ora capivo, non era disprezzo, perlomeno non del tutto, c'erano vergogna e dissenso in quelle parole.
"Stai con una bella bambola di gomma eh?" le parole uscirono spontanee, sembrò non badarci. 
"Come ti chiami?.."
"Summer" sorrisi e spostai una ciocca di capelli che mi andava sul viso. 
Era sempre la solita ciocca, l'avevo chiamata Lee. Uno dei miei vizzi era dare un nome ad ogni cosa, animata e inanimata, ed era diventato un vizio anche quello di porla dietro l'orecchio, solitamente lo facevo quando mi trovavo in situazioni d'imbarazzo o ansia, in quel caso si trattava d'imbarazzo. A quel tempo avevo ancora i miei lunghi capelli castani e un po' mossi, li tenevo sciolti quando potevo. I miei occhi erano castani con un neo nell'iride dell'occhio sinistro. Ero molto pallida, anche quando non stavo male e le lentiggini sulle guance e sul naso davano un tocco di colore alla mia pelle.
"Bel nome, piacere di conoscerti" spense la sigaretta e mi diede le spalle, in quel momento capii che la cortesia non faceva parte delle sue caratteristiche.
Lasciai perdere, stavo per rientrare dentro quando mi sentii prendere per il braccio. Mi voltai di scatto e lo vidi con un sopracciglio alzato, un accendino in mano e una sigaretta nell'altra.
"Vuoi fumare?"
"No." risposi schietta e mi liberai dalla morsa del suo braccio. 
"Giusto non puoi. Allora quanti anni hai Sum?" cercò di sorridermi, ma era come se il suo viso non fosse programmato per quello, come se facesse una fatica enorme per alzare gli angoli delle labbra.
"Diciassette" continuai sulla difensiva.
"Io ne ho ventitre, sei di Manhattan?" 
"Se ti dicessi di no smetteresti di rivolgermi la parola, ma non sono abituata a mentire per l'accettazione di uno sconosciuto quindi no, sono di Brooklyn" se del suo carattere non faceva parte la gentilezza, del mio non faceva parte l'umiltà. Ero molto orgogliosa ed eccezionalmente polemica. Sorrise compiaciuto al sentir di quelle parole.
"Non mi sono lamentato di niente e già metti le mani avanti"
Rimasi in silenzio.
"Si vede così tanto che sono di Manhattan?"
"Decisamente, scommetto che la limousine qui sotto è la tua"
"Touchè" odiavo il francese e sul mio viso comparve istantaneamente un'espressione disgustata.
"Qualcosa non va?" 
"Il francese. Non mi piace, lo odio. E' pieno di -r- impronunciabili e altri termini stranissimi, perché complicarsi la vita? Se fossi francese cambierei cittadinanza e poi i francesi hanno tutti la puzza sotto il naso, un po' come te, solo che tu qualcosa di americano ce l'hai." indicai un tatuaggio che aveva sulla mano e che rappresentava il simbolo degli Yankees. Si mise a ridere in un modo un po' più spontaneo rispetto al precedente.
"Certo che hai le idee chiare tu, hai mai pensato di entrare in politica? Faresti un successone!" 
"No, odio anche quella."
"Insomma ci sarà pur qualcosa che ti piace fare"
"Cantare"
"Bene, abbiamo trovato qualcosa. Sei brava?"
"Beh, mio fratello mi aiuta.. diciamo che me la cavo"
Spense la seconda sigaretta e fece per accenderne una terza quando gli bloccai il braccio.
"Poi ti viene il cancro" lo guardai seria, rimise l'accendino in tasca e si tolse la sigaretta dalla bocca lasciandola ricadere nel pacchetto.
"Ehm.. grazie?!" esordì.
"Oh figurati" sorrisi soddisfatta, quel ragazzo iniziava a darmi ascolto. 
"Bene, ora ti lascio in pace, dovrai andare da Barbie suppongo! .. scusa.." sorrisi imbarazzata e abbassai lo sguardo.
Lui non mi rispose, si tolse la giacca che aveva indosso e la mise sulle mie spalle, non mi ero accorta di tremare.
"Rientriamo? Fa freddo a quest' ora." aprì la porta e mi accompagnò fino alla mia stanza, io non sapevo cosa dire, mentre lui stava immobile a fissarmi senza proferir parola.
"Passa a trovarmi quando ti capita, tanto io sono qui.." il mio labbro inferiore implorava pietà, continuavo a morderlo con forza.
"Sum, passerò a trovarti. Il mio nome comunque è Edward ed è stato un piacere conoscerti."
  
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