I took a taxi from LA to
Venus
Silicone party Barbies to
the left
And Joan of Arcs to the
right
No one feeling insecure
We were all gorge and famous in our last lives.
-Glory
of The 80's, Tori Amos-
Correva
l’anno 1985. Una giovanissima Eva de Marco, appena
sedicenne, si trovava a Los Angeles, durante le sue vacanze estive. Era
accompagnata dal suo ragazzo dell’epoca, tale Gianmarco. Il
padre, Giovanni de
Marco, già famoso magistrato della zona, nonostante la sua
giovane età, solo
trentasette anni, le aveva, in sostanza, imposto come ragazzo il figlio
di un
suo collega. Il signor Giovanni teneva molto alle apparenze,
dimostrando una
mentalità abbastanza ristretta, come poi si sarebbe accorto
il nipote, Alessio,
per cui cercò subito un buon partito per la sua figlia
maggiore. Quale miglior
partito del figlio di un avvocato, che si sarebbe senza dubbio iscritto
a
Giurisprudenza l’anno successivo? Eva, all’epoca,
aveva appena terminato il
secondo liceo, mentre il suo nuovo fidanzato aveva appena conseguito la
maturità. Ovviamente con sessanta sessantesimi, il voto
più alto dell’epoca:
bello, intelligente, ricco e di buona famiglia, cosa ci poteva essere
di
meglio, per lei? In realtà lei non ne era così
felice. Non aveva ancora
sviluppato il futuro dono di vedere le aure delle persone che la
circondavano,
avrebbe iniziato solo cinque anni più tardi, ma in ogni caso
il suo istinto le
diceva di mantenere una certa distanza con lui. Non si fidava
più di tanto ed
era molto restia a mostrarsi del tutto. Se stavano insieme, era, quasi,
solo
per non scontentare ulteriormente il padre. Nonostante la giovane
età, aveva
già iniziato a tirare fuori un caratterino niente male:
aveva deciso di
dedicarsi, contro l’iniziale volontà di suo padre,
preoccupato per i possibili
cali di concentrazione nei suoi compiti da liceale, allo studio del
pianoforte.
Era, infatti, molto appassionata dal suono di pianoforti e
sintetizzatori,
apprezzando, da un lato, la musica classica, mentre
dall’altro era grande fan
sia di cantautrici come Kate Bush, sia di gruppi cult come gli
Eurythmics.
Questa sua passione per queste cantanti strane faceva un po’
storcere il naso
alla famiglia, tanto che la presero più come un capriccio
dell’adolescente. In
realtà, anche crescendo, dimostrò semplicemente
di seguire la propria testa: fu
solo un caso fortuito che si appassionasse tanto al diritto, tanto da
iscriversi, tre anni dopo, alla Facoltà di Giurisprudenza.
In ogni caso, lei
aveva premuto fortemente per questo viaggio nel profondo West
dell’America. La
motivazione che aveva addotto al padre era la sua volontà di
studiare l’inglese
sul posto, imparando un po’ di accento. In
realtà, lei desiderava visitare quella zona, era una parte
cosmopolita e più
viva, sicuramente più di Modena che, pur essendo una bella
città ed anche
abbastanza abitata, non poteva confrontarsi con la città
degli Angeli.
Era
già la seconda settimana che stavano là: nel
giro di quattro giorni sarebbero dovuti tornare a casa, per la gioia
più di
Gianmarco che di Eva. Non era molto soddisfatto, lui, e lei ne era
pienamente
consapevole. Sperava che fosse il momento adatto per poter arrivare
all’agognata virtù della sua fidanzata, ma lei non
era minimamente intenzionata
a eliminare il suo riserbo. Era un po’ inquietato da
ciò: non gli sembrava
possibile che una ragazza di sedici anni non provasse, o non sembrasse
provare,
pulsioni sessuali. Lui si sarebbe fatto qualsiasi ragazza, aveva
acconsentito a
quest’unione solo per non scontentare particolarmente il
padre, che pensava di
farsi un favore, creando quest’unione: era sicuro che
Giovanni de Marco sarebbe
diventato un importante magistrato nella Regione, per cui la sua
amicizia
avrebbe soltanto potuto essergli utile. Se poi la figlia e suo figlio
si
frequentavano, beh, ancora meglio. A Gianmarco non piaceva veramente
Eva, la
trovava una ragazza troppo particolare per i suoi gusti, ed anche
eccessivamente ribelle. Lui trattava generalmente le donne come se
fossero di
sua proprietà, aveva dovuto cercare di rendersi
più malleabile per riuscire a
trattare con quella ragazza così testarda. Non era come
tutti gli uomini:
generalmente, a vederla, scappavano, lui invece insisteva, ma
principalmente
per non dargliela vinta. Era pericoloso per la sua autostima dover
dimostrare
di valere meno di una donna. Se nel 2011 il maschilismo e machismo
dilagante
non erano ancora scomparsi, figurarsi nel 1985!
Eva
non riusciva ad apprezzare molto la situazione
che si stava creando. Vedeva Gianmarco fin troppo insistente mentre si
coccolavano a letto, iniziava a sospettare, o meglio, ad avere la
certezza di
cosa volesse veramente. Uomini! Mai che cercassero di trovare passioni
in
comune o di mettersi sullo stesso piano, no! Dovevano dimostrare di
essere
superiori, di essere più belli, più intelligenti.
Che noia. Desiderava
ardentemente che capitasse qualcosa di particolarmente fastidioso che
li
avrebbe separati nei giorni seguenti,
in
modo che potesse veramente vivere la città degli Angeli, che
aveva visto
soltanto di striscio, per la boriosità campanilistica del
fidanzato, che
credeva di reputarsi migliore di quel gruppo di montati. Da che
pulpito. In più
aveva visto che in una città più a Nord, tale
Cardenal, nella quale si sarebbe
tenuto, due sere dopo, un concerto degli Eurythmics. Non sapeva
minimamente di
quella data, prima del suo arrivo nella città, ma ora era
intenzionatissima ad
andarli a vedere, proposito che incontrava ovviamente
l’opposizione di
Gianmarco, che non voleva minimamente scomodarsi per fare un viaggio
più lungo.
Non capiva l’importanza, per Eva, di vedere uno dei suoi
gruppi preferiti e un
mito quale Annie Lennox, la cui voce trasmetteva a lei tantissime
emozioni e
tanta voglia di cantare. Per Gianmarco era musica scadente,
commercialate
estere che mai avrebbero avuto fama in Italia, la patria della bella
musica.
Appunto, sempre il solito campanilismo becero. Stava cercando un segno
del
cielo per poter andare, da sola, a vedere gli Eurythmics. Segno che
cercò in
maniera talmente ardente che si sarebbe poi proposto quel pomeriggio
stesso.
Quel
pomeriggio, infatti, decise di separarsi dal
ragazzo, per potersi fare un giro in alcune zone più etniche
della città,
mentre lui sembrò rimanere nella sua stanza in hotel a
rilassarsi. Eva scosse
la testa: si chiedeva fino a quel punto gli uomini potessero essere
affezionati
alle apparenze più che ai fatti, non poteva concepire il
sacrificio che la
stava costringendo fare il padre, non poteva capire quanto
l’attaccamento alle
apparenze potesse far felice i genitori. Forse lei non era adatta a
quell’epoca, o forse, meglio, doveva proprio cambiare
quell’epoca. Il suo
viaggio a Los Angeles doveva proprio mostrarle se fosse unica al mondo,
o se
solo l’Italia imperversava in questo fare retrogrado.
Si
recò a Olvera Street, sulla quale si sviluppava
un enorme mercato cittadino quasi a cielo aperto. La via era circondata
da
numerosi palazzi, in maggior parte tendenti al bianco, mentre sulla
strada si
snodava un dedalo di bancarelle e negozietti. Eva non disdegnava
assolutamente
i vestiti eleganti o firmati, li indossava anzi con una certa
naturalezza, rara
per una ragazza della sua età. Era però
palesemente attratta da questi oggetti
un po’ particolari, che le facevano ricordare i viaggi
compiuti all’estero e
che le lasciavano dentro, quasi come se fossero amuleti, influenze
dello
spirito dei Paesi che aveva visitato. Gli orecchini che stava
sfoggiando, in
quel momento, li aveva comprati nella patria della Rivoluzione, in
Francia.
Quando aveva visitato, l’anno precedente, Parigi, si era
recata appositamente
al mercatino delle pulci a Saint Ouen, che peraltro era il
più grosso d’Europa.
Lì aveva comprato questo paio di orecchini, formati da tre
piume: blu, bianca e
rossa, come la bandiera francese. Era quasi un simbolo per lei, il
simbolo
della sua lotta per cambiare la situazione nella sua Modena, per dare
nuovi
impulsi culturali o intellettuali. L’altro segno che la
distingueva, oltre
all’altezza fuori misura per una ragazza della sua
età, più di un metro e
settantacinque, era il cappello nero che indossava, floscio da un lato,
che
sapeva tanto di artista maledetto di Montmartre. Passeggiava per il
mercatino,
alla ricerca di qualcosa: si stava facendo guidare
dall’istinto, osservava con
attenzione le bancarelle alla ricerca del quid, del non plus ultra che
l’avrebbe fatta innamorare.
Il
problema fu che guardava troppo attentamente le
bancarelle e non osservava la folla che avanzava. Tanto che si
scontrò con un
altrettanto distratto passante, intento a osservare i giochi di
chiaroscuro
creati dal sole sui palazzi attorno.
-
Oddio, I’m
sorry! I didn’t do it on purpose! – si
affrettò a dire Eva, mortificata per
lo scontro frontale inopportuno. Chissà con chi si era
scontrata. Diede la mano
ad alzarsi a un ragazzo alquanto strano. Aveva dei lineamenti
delicatissimi,
con due occhi verdi e delle ciglia molto pronunciate, che cozzavano con
il duro
aspetto dei suoi biondissimi capelli a spazzola, addirittura quasi
rasati. A
indurre ulteriore confusione ci si mise l’abbigliamento:
indossava un
elegantissimo vestito nero, non un tailleur, non vero e proprio vestito
da
uomo, che si apriva su una camicia verde acqua che sembrava accennare
ad un po’
di seno. Era confusa: si trovava di fonte a un uomo o a una donna? Non
le era
mai capitato di incontrare dal vivo una persona così
androgina, o meglio, non
le era mai capitato dal vivo di incontrare una persona che giocasse
così tanto
con la sua androginia.
-
Ehi, tranquilla! – fu la risposta che ricevette. –
Ero distratta anch’io e non ti avevo visto!
-
No, davvero, scusami! Ti offro un caffè per
sdebitarmi, davvero!
-
Non si dice mai di no a un caffè! –
ridacchiò la
ragazza, divertita.
Sedute a un tavolino di un bar lì vicino, Eva e la ragazza
incontrata per
sbaglio iniziarono a chiacchierare.
-
Scusami, ma tu come fai a conoscere l’italiano? –
chiese la ragazza italiana, incuriosita: non pensava che addirittura
negli
Stati Uniti conoscessero l’italiano!
-
Ora ti spiego… aspetta, come hai detto che ti
chiami? – chiese l’altra, resasi conto che non si
erano neanche presentate.
-
Oh, sì, scusami, non te l’ho detto! Comunque mi
chiamo Eva, piacere!
-
Io sono Vince, piacere mio! – fu la risposta
dell’interlocutore, risposta che suscitò ulteriori
dubbi circa il suo sesso.
-
Vince? Ma Vince non è…
-
Aspetta! – la interruppe lei, intenzionata a
rispondere alla prima domanda. – Prima ti rispondo alla
domanda e poi ti
chiarisco le idee. – sorrise gentilmente, quasi per scusarsi
per l’interruzione
tanto brusca. – I miei genitori sono italiani e si sono
trasferiti qui prima
che nascessi, appena dopo la guerra. La situazione, a loro parere, non
era
delle migliori, per cui hanno deciso di venire a trovare dei parenti
emigrati
qua, quindi si sono stabiliti qui a Los Angeles. Mi hanno insegnato
l’italiano
perché sperano che, un giorno, si possa tornare nella nostra
patria, nella
speranza che riesca a riprendersi veramente. È dispiaciuto a
loro, come dà
fastidio a me, esserci lontana, solo che abbiamo bisogno di una vita
meno
precaria, e l’Italia non è molto
d’aiuto. – inspirò, riprendendo fiato.
– Tu di
che zona sei, dell’Italia?
-
Emilia Romagna. – Rispose Eva, gentilmente. –
Precisamente da Modena. I tuoi da dove venivano?
-
Da un paesino in Toscana, in provincia di Arezzo.
È stata una fortuna, perché, anche leggendo i
classici italiani, mi sono
accorta che ho imparato la lingua per com’è, senza
particolari influenze
dialettali.
-
Ottimo! – gioì Eva, che apprezzava molto
l’italiano corretto. Non le piaceva parlare in dialetto:
benché lo conoscesse e
lo capisse, cercava più possibile di mascherare la sua
provenienza, non voleva
essere etichettata come “emiliana”, lei era
semplicemente italiana.
-
Per l’altra domanda… - esordì Vince,
facendo
sporgere Eva per ascoltare più attentamente. – Io
in realtà sono una donna, e
credo che tu te ne sia accorta anche da come parlo. Però
sono una drag king.
Sai cosa sono le drag queen?
-
All’incirca. – disse Eva, pensierosa e assai
incuriosita. Cosa potevano mai essere queste drag king?
Perché lo facevano?
-
Perfetto. La drag king, o meglio, il drag king, -
si corresse subito Vince, mostrando che forse aveva qualche problema di
genere
grammaticale, come tutti gli anglo-americani. – è
una donna che si veste da
uomo. Ognuno lo fa per una propria volontà, in tante lo
fanno perché si sentono
uomini o perché così si credono più
legittimate ad amare le donne. Io no, lo
faccio più per una forma di protesta.
-
Protesta? – le fece eco lei, ancora più
incuriosita. Questo viaggio stava rivelando molte più
sorprese di quanto si
aspettasse.
-
Buona, non essere troppo curiosa. – disse Vince,
sorridendo, mentre, dall’altra parte, la ragazza
mormorò un flebile “scusa”. –
In ogni caso, l’androginia mi è stata anche utile,
per quanto non voglio essere
troppo mascolina. Son donna e fiera di esserlo.
-
Quindi, come preferisci che ti chiami? – chiese
Eva, timorosa di fare una gaffe. – Col tuo nome da uomo o con
quello da donna?
-
Beh, è uguale per me. Anche perché il mio vero
nome è Venus. Suona uguale a Vince, per cui mi puoi chiamare
in ambedue i modi.
-
Venus? Come la dea romana dell’amore?
-
Certamente! – rispose, allegramente, la ragazza
americana. – È stato un tributo dei miei genitori
alle nostre origini italiane,
per quanto non volessero assegnarmi un nome italiano per evitare
eventuali
discriminazioni. È un nome magnifico, per cui son molto
felice di chiamarmi
così!
-
Ok, perfetto, così evito di farmi troppi problemi.
– ridacchiò la ragazza, divertita. – Ma
sempre su questa storia del drag king,
volevo chiederti una cosa, se non è troppo inopportuna.
-
Dai, dimmi! – sorrise amabilmente lei. – Mi hanno
fatto tantissime domande, perché non capivano il
perché lo facessi. O se mi
reputassi uomo! Ah, i pregiudizi sono assai duri a morire!
-
No, volevo più che altro sapere se è catalogabile
come drag king anche – deglutì nervosamente, prima
di finire la frase,
terrorizzata dall’idea di dire un’enorme cretinata.
– Annie Lennox?
- Annie
Lennox? La cantante degli Eurythmics, dici? Lei non si definisce
così, ma senza
dubbio nel video di Sweet Dreams lo fa. Secondo me è una
provocazione, anche
per i capelli arancioni. Ma anche in Italia si sente parlare di loro?
Io sapevo
che foste poco aperti alle influenze musicali esterne.
-
Effettivamente è così. –
costatò Eva, notando come
la cattiva fama italiana fosse arrivata persino in un altro continente.
“Bene!”, pensò rassegnata. –
Però io mi interesso anche di musica un po’
diversa, la musica italiana mi annoia!
-
Allora tu apprezzi gli Eurythmics? – esclamò,
gioiosa, Venus. – Very, very good! Hai
letto che dopodomani vengono in concerto a Cardenal?
-
Sì, l’ho letto! – disse, pur con una
nota di
rassegnazione, la ragazza. – Solo che non so come arrivarci,
fino a questa
città, in più il mio ragazzo è
abbastanza restio. Dice che sono matta a voler
viaggiare per l’America da sola per vedere un concerto. Non
mi capisce.
-
Oh, ma non viaggerai da sola! Io partirò domani
pomeriggio con dei miei amici per Cardenal, andiamo tutti insieme a
vedere il
concerto. Se ti vuoi aggregare, sei la benvenuta, tanto dobbiamo
prendere il
treno! Basta che sai un po’ d’inglese e ti
divertirai, you know!
-
Dici davvero? – chiese Eva, raggiante. Stava
cercando di valutare obiettivamente la situazione: potevano
tranquillamente
essere un gruppo di maniaci, potevano rapirla, senza parlare del fatto
che il
padre avrebbe disapprovato enormemente. Lei però non
riusciva a non seguire il
suo istinto, anzi, chiamarlo istinto era quasi spregiativo e riduttivo.
Era un
vero e proprio sesto senso, per lei, e non aveva mai sbagliato. Era
come se
effettuasse una radiografia alla persona che aveva davanti, per cui era
impossibile sbagliarsi, anche perché la sua fotografia era
istantanea, prima di
conoscere davvero una persona, per cui stava ben attenta a come
comportarsi. Venus,
o Vince che dir si voglia, le aveva fatto un’ottima
impressione, sapeva che,
fin quando ci fosse stata lei, non avrebbe avuto nulla da temere. Era
inutile
cercare di valutare la situazione, aveva deciso, il suo sesto senso
aveva
parlato. – Perché no, effettivamente!
-
Perfetto! Arrivati là, si dormirà in un ostello,
spero che non ti dispiaccia! – aggiunse la ragazza,
consapevolissima che ormai
avrebbe portato anche la nuova conoscenza con sé. Reputava
importante che le
persone potessero essere libere di dedicarsi a ciò che
preferissero e che
facessero le loro esperienze. Era una buona osservatrice, e si era
accorta come
quella ragazza, per quanto giovane, fosse in realtà molto
forte e una
potenziale ribelle. Parlandoci, si accorse che non era una ribelle a
senso unico,
ma una a favore di un rinnovamento. Poteva non invogliarla a farle
compiere
nuove esperienze? Impossibile.
-
Tu sei tutta scema! Andare fino a là per un
concerto? Io non sono minimamente intenzionato a venire. –
sbottò nervosamente
Gianmarco. Quella ragazza stava veramente passando il limite per i suoi
gusti,
passi la stranezza e tutto, ma questa era veramente follia! Per di
più voleva
viaggiare per questa Cardenal con un gruppo di ragazzi americani, tra
cui un
drag king! Stava veramente dando di matto, non l’avrebbe
seguita per nessun
motivo. – Per di più, che cazzo di posto
è sta Cardenal? Ma da dove l’hai
tirata fuori? Non s’è mai sentita!
-
Nessuno sa che la capitale della California è
Sacramento, eppure esiste. – rispose, aspramente, la ragazza,
ormai stufa della
sostanziale inutilità e mancanza di spirito
d’avventura del fidanzato. – In
ogni caso non ho detto che noi
andiamo a Cardenal a vedere gli Eurythmics, ho detto che io
parto. Tanto lo so che tu non hai intenzione di venire, per cui
divertiti qua, sicuramente starai meglio nella camera
d’albergo! – rimarcò
pesantemente le parole “noi” e
“io”, quasi per evidenziare che questa
situazione era ormai in crisi profondissima. Erano troppo diversi
perché
stessero davvero assieme. Illuso suo padre che ci credeva!
-
Tu? Da sola? Ma hai sedici anni! Ma sei
completamente scema? Se tuo padre lo venisse a sapere…
-
Se mio padre lo venisse a sapere, si chiederebbe
com’è possibile che tu non riesca a tenermi testa.
– lo ammutolì con una sola
frase. Lui rimase a bocca aperta, scandalizzato da tale affronto. Come
osava
questa insolente ragazzina attaccare lui, che era più grande
e soprattutto
uomo?
-
Io me ne vado. Se è, ci vediamo dopo. Cià.
– uscì
così, sbattendo la porta. Eva gioì, era riuscito
ad azzittirlo definitivamente.
Aveva troppa paura del padre per poterle rovinare la vita. Quella sera
sarebbe
uscita anche lei, giusto per conoscere gli amici di Venus con cui
avrebbe
intrapreso il viaggio il giorno seguente. Sentiva una certa aria
frizzantina
attorno a sé, sembrava quasi che la sua vita stesse
cambiando, portandola in
una dimensione insperata. Se fosse stato vero, l’avrebbe
scoperto solo ben più
avanti.
La
sera passò in maniera molto tranquilla: contro
ogni aspettativa, si trovarono agevolmente. Venus le aveva fissato
appuntamento
davanti ad un ristorante a Santa Monica, chiamato The White Goose.
L’oca
bianca. Per Eva poche cose accadevano per puro caso, per cui quel nome
le rimase
impresso, come se le stesse dando un’avvertenza. Chi credeva
di essere il
figlio dell’oca bianca? Gianmarco. Chissà cosa
stesse combinando, aveva visto
nei suoi modi prima di uscire una furia cieca, una voglia di vendetta.
Poco le
importava, comunque, avrebbe passato quella serata nella maniera
più positiva
possibile. Così fu.
Conobbe
la combriccola di amici di Venus: li
immaginava più strani, all’apparenza, mentre le
loro stranezze rimanevano
prevalentemente psicologiche. Due dei suoi amici, in particolare, la
intrigavano. Uno, Jim, veniva da questa definito come suo marito,
almeno, lo
era fino a che lei non smettesse i panni da uomo, cosa che avveniva
assai
raramente. Jim, infatti, era gay e dichiarato: come l’amica
non si vergognava
di quello che era, e non contribuiva neanche a creare lo stereotipo del
gay,
era un ragazzo slanciato fisicamente, castano con gli occhi azzurri,
vestito in
maniera impeccabile. E dire che in Italia, quelle rarissime volte che
si poteva
parlare di omosessualità, si diceva che gli omosessuali
indossassero boa con
piume di struzzo e portassero perizomi dei colori più
disparati. Diceva bene
Dante, quando recitava, nella Divina Commedia: Ahi,
serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in
tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello!
L’altro
ragazzo che l’aveva particolarmente
intrigata era l’altro caro amico di Venus, tale Myles, che
era da lei definita
il suo sciamano. Non era assolutamente difficile immaginare il
perché:
l’eleganza con cui portava quello che gli americani
definivano suit era lapalissiana,
come il taglio,
sbarazzino ma allo stesso tempo sobrio. Vedendolo accanto alla ragazza,
si
poteva davvero pensare che fossero fratello e sorella, anche
perché ambedue
superavano agevolmente il metro e ottanta. Eva si sentiva un
po’ piccolina,
anche di età, ma durante la serata le fecero gradualmente
dimenticare che aveva
cinque anni in meno di tutti loro: la sua cultura, il suo
cosmopolitismo, le
sue idee riformatrici, senza dubbio, la rendevano ben più
matura di quello che
era. La trattavano come se fosse una ventunenne, alcool a parte: tanto
più che
Eva detestava l’alcool, le dava fastidio anche solo
l’odore.
Alla
fine di quella serata avrebbe anche incontrato
Gianmarco, ma forse non nel modo in cui l’avrebbe preferito.
Si fermò di
scatto, facendo quasi spaventare Venus, sgranando gli occhi.
-
Conosci quel ragazzo? – chiese la ragazza,
visibilmente preoccupata. A Eva tremavano le mani.
-
È il mio ragazzo. E ora me la paga. – disse lei,
nel tentativo di andarlo a prendere di petto. Venus però la
fermò.
-
Is he her
boyfriend? – chiese Myles, che non aveva capito
molto la situazione, ma se
l’era immaginato.
-
Yeah. – fu
la laconica risposta della ragazza, che poi prese in italiano a parlare
con
Eva. – Ascoltami, non vale la pena vendicarsi
così. Non mi sembra utile, ti
conviene ignorarlo e vendicarti quando lo ritrovi stasera. Comunque
quelle sono
quelle che noi definiamo, qui a Los Angeles, party
barbies. Donne senza alcun interesse che avere
sesso.
-
Beh, così ho una scusa in più per partire domani.
– costatò Eva, assai agguerrita. – Tanto
si diverte di più senza di me, qui. In
ogni caso, domani a che ora si parte? Dovrei ancora prendere il
biglietto del
treno pure.
-
Il treno è all’una p.m., in modo che arriviamo
lì
verso le sei e mezza di pomeriggio. Se andiamo un’ora prima,
circa, puoi
prendere il biglietto senza alcun problema! – concluse Venus,
appena prima di
salutarsi e di riaccompagnarla all’albergo. Non si fidava a
lasciarla girare da
sola, di sera, per la città degli Angeli, soprattutto non
conoscendola.
-
Posso sapere perché sei così arrabbiata?
– chiese
Gianmarco, notando la nuova botta di matto della sua, ancora per ben
poco,
ragazza. – Perché non vengo con te in quel
postaccio? Io non ho intenzione di
muovermi di qua!
-
No, in realtà questa è l’unica nota
positiva,
almeno non stai in mezzo alle palle. – replicò lei
avvelenata. Non le andava
giù come era stata trattata e di una cosa era certa: gli
avrebbe distrutto
quelle ultime briciole di orgoglio maschile. Che passasse
all’altra sponda!
-
Posso sapere cosa avrei fatto di tanto grave per
nuocere a Vossignoria? Abbassa la cresta, Eva, che mi stai innervosendo.
-
Beh, credo che tu sia l’ultimo a poter parlare,
visto che ieri sera ti sei messo a pensare col cazzo. Ed io sono ancora
più
gentile, perché ti definisco solo una
testa di cazzo! – con questa risposta, Eva azzittì
immediatamente l’altro,
lasciando lo sconcerto stampato sul viso del fidanzato. Sembrava quasi
chiedersi “e lei come lo sa?” – Inutile
che cerchi di giustificarti, ti ho
visto. Per cui ti saluto, che ho roba ben più interessante
da fare. – concluse
la frase chiudendo la valigia, preparandosi ad uscire, rimettendosi
quei due
orecchini piumati ed una spilla a girasole fra i capelli.
-
Dove pensi di andare! Non fare l’insolente! –
cercò di fermarla lui, provando a mantenere una voce forte e
dura. Si accorse
però che la sua voce stava tremando, dalla consapevolezza di
essere stato
fregato da quella ragazza, che gli rispose a tono.
-
Altrimenti che fai? Non sei mio padre e non hai
possibilità di comandarmi, non se vai con la gente a destra
e a manca. Farewell! Ci si vede
necessariamente
dopodomani sera.
La
ragazza sbatté la porta dietro di sé, consapevole
di aver distrutto completamente le difese dell’altro. Non
è un fatto di cui
sarebbe andata particolarmente fiera, ma i suoi sedici anni, pur con
tutta la
maturità possibile, si erano fatti sentire in maniera
preponderante.
Il
viaggio verso Cardenal proseguì assai velocemente
e fu, per Eva, anche divertente. Si divertiva molto al pensiero di
essere
partita così, sostanzialmente senza appoggi se non un gruppo
di ragazzi che
conosceva appena. A unirli era solo il sacro vincolo della musica, il
linguaggio universale che poteva riunire persone di diverse
età, nazionalità e
idee. Eva
pensò a questo mentre
osservava i suoi compagni di viaggio dialogare vivacemente in slang
americano: capiva
ben poco di quello che dicevano, probabilmente si stavano ricordando di
alcuni
aneddoti trascorsi insieme. Nel frattempo, si perse a osservare fuori
dal
finestrino, a guardare la campagna, reputando quasi incredibile come si
potesse, accanto ad una metropoli di tali dimensioni, stendersi una
campagna
anche abbastanza tranquilla, qualche cittadina qua e là e
poco più. Era
rilassante da vedere, mentre cercava di ascoltare i discorsi degli
altri,
ridacchiando quando percepiva qualche allusione tra Jim e Myles. Aveva
immaginato che tra loro potesse esserci del tenero, ma sembravano
più gli altri
amici a volerli vedere insieme. Non credeva che si potesse essere
così liberali
nei confronti degli omosessuali, almeno non vedendo la situazione
italiana. Il
fatto, poi, che a essere liberali fossero le sue generazioni, dava
quasi
speranza di un mondo migliore per i figli di tutti loro. Lei compresa,
anche se
non se lo sarebbe ancora immaginato.
Arrivarono
attorno alle sei e mezzo a Cardenal. Non
era sicuramente la metropoli famosa in tutto il mondo come lo era Los
Angeles
oppure San Francisco, ma sicuramente non era una cittadina piccola. In
proporzione, era più grande quanto Bologna di quanto lo
fosse Modena. Sembrava
quasi una normale cittadina, grande ma abbastanza tranquilla, se non
fosse che
Venus l’aveva avvertita, di come fosse una sorta di luogo di
raduno per
omosessuali e alternativi vari. Quasi una sorta di ghetto, una
separazione
volontaria dal resto del mondo, sembrava ciò, questa
città californiana. Questo
discorso non piaceva a Eva, che non vedeva di buon occhio una grande
separazione tra persone accettate socialmente e individui non ben
visti,
soprattutto se questi ultimi si auto isolavano. In ogni caso, si
accorse che di
gente ce n’era di tutti i tipi, e che ci sarebbe stato da
divertirsi in quei
due giorni circa di soggiorno. Temette quasi di divertirsi troppo e di
non
avere più la voglia di tornare nella sua dozzinale
città e patria.
O
meglio, non era dozzinale in sé Modena o l’Italia,
lo erano gli Italiani, quel popolo di caproni che attaccavano
l’asino dove
voleva il padrone: che fosse la mafia, il governo, o chi per loro assai
poco
importava. L’America, o meglio, le persone che aveva
incontrato le avevano dato
dei nuovi spunti su cui lavorare, dei nuovi modelli da poter seguire e
provare,
dei nuovi ideali da difendere, anche se questi sarebbero usciti fuori
qualche
anno più tardi. Stava contribuendo ad aprirle gli orizzonti:
fatto che molto
probabilmente avrebbe scontentato ulteriormente il padre o,
chissà, avrebbe
potuto renderlo felice, se quest’apertura fosse stata
incanalata in una
direzione, a lui, consona. Se ci sarebbe riuscita, solo il tempo
può dirlo.
Quella
sera, dopo essersi sistemati nelle stanze
dell’ostello, uscirono per Cardenal, anche perché
Jim avrebbe dovuto incontrare
la cugina e un gruppo di amici suoi e di Charles, altro ragazzo del
gruppo
mossosi da Los Angeles. Non vedevano l’ora, a detta di Venus
erano due mesi che
non riuscivano a vedersi per problemi vari tra college e lavori, per
cui si
prevedeva grande festa. Le assicurò che si sarebbe
divertita, avrebbe anche
conosciuto gente nuova, e alcuni di loro pure sarebbero andati al
concerto
degli Eurythmics con il gruppetto proveniente da LA, per cui era tanto
di
guadagnato. Riconobbe subito la cugina di Jim: gli occhi erano gli
stessi,
avevano la stessa forma allungata e lo stesso colore particolare.
Avrebbe
pagato per poter vedere se il loro colore sarebbe cambiato a seconda
del tempo.
A distinguerli erano i capelli: la ragazza, infatti, aveva dei capelli
rossissimi.
Nella bigotta Italia, sarebbe stata vista con orrore e sconcerto,
giacché, in
alcune zone, perdurava ancora l’idea che i rossi di capelli
fossero figli del
Diavolo. Vedendo il tipino che aveva davanti, in ogni caso,
pensò che non si
sarebbe fatta problemi neanche là. Emanava carisma, a prima
impressione poteva
dire di avere la certezza che quella donna sarebbe diventata famosa in
tutto il
mondo, aveva un’energia addosso rara, anche in una ragazza di
ventidue anni
come lei e come i suoi amici. Ci chiacchierò un
po’, scoprendo che si chiamava
Myra, per quanto il nome non le piacesse, e che si recava lì
in California solo
d’estate, per poter vedere il cugino e i suoi amici, vivendo
durante l’anno a
New York. Eva, al
solo udire il nome
della città, iniziò a riempire la nuova
conosciuta di domande, sprigionando
anche lei energia in dimensioni colossali. Era sempre stata
così: quando
conosceva qualcuno che veniva da luoghi in cui non era stata, non
poteva non
riempire di domande la povera sventurata. Calcolando poi che il
soggiorno
statunitense stava acuendo la sua curiosità… La
stranezza, in compenso, era che
la ragazza le rispondeva amabilmente, facendole a sua volta tantissime
domande
sull’Italia, su come si vivesse là, a migliaia di
chilometri di distanza. La
ragazza sembrò rimanere rapita di fronte alla potenza
infervorata del discorso
pronunciato da Eva, che dimostrò le sue ottime
capacità nella lingua inglese
proprio in un discorso ben più passionale che pensato.
Sembrava quasi che
nessun altro potesse entrare in quel momento d’incontro tra
due menti geniali,
tanto che non si accorsero di aver attirato l’attenzione
dell’intero gruppo
che, impotente, osservava sconcertato questo dialogo così
vivo.
-
Ok! – disse Venus, quando le due ragazze si
accorsero che non erano da sole, ma che stavano con altre dieci
persone. – Ora
possiamo andare a un pub.
Trascorsero
la serata, per la gioia di Jim e Myles,
in un pub gay, lì a Cardenal, del quale erano frequentatori
abituali, talmente
tanto conosciuti che non fecero storie neppure per la minore
età di Eva, che in
ogni caso non avrebbe mai bevuto nulla di alcolico. Pensò
quasi che i ragazzi
si fossero fatti i bodyguard all’entrata. Piano piano, anche
sotto gli effluvi
dell’alcool, il gruppo iniziò a ballare, in mezzo
alla pista. Eva poté
osservare, divertita, Jim, intento a provarci con un bel ragazzo
biondo, iniziando
a pomiciarci in mezzo alla pista. Ah, guai a chi pensasse che solo nel
2011 ci
si sapesse divertire, anzi! Eva non seppe se fu l’atmosfera,
i giochi di luci o
la lontananza da casa a farle sembrare la situazione assolutamente normale. Non avrebbe detto bella,
perché
sembrava sesso fine a se stesso, ma sembrava quasi la maniera naturale
in cui
andassero le cose: sesso fine a se stesso, con chiunque si volesse.
Allora
perché lei non riusciva a lasciarsi andare pienamente? Myra
e Venus, che erano
rimaste sedute a quel tavolo di legno, che rendeva
l’atmosfera assai più
rustica e campagnola, quasi come se ci si fosse realmente trovati in
una baita,
la scossero dai suoi pensieri. La rossa si era pienamente resa conto
dello
status catatonico della ragazza, le sembrava quasi che stesse guardando
il
mondo dietro uno spesso boccale di birra: la vista era distorta,
nonostante
sembrasse trasparente, era facile sbagliare proporzioni o immagini. Per
questo
la ragazza la richiamò all’ordine, parlandole in
inglese. Inglese che ormai Eva
capiva come se fosse italiano: ah, la bellezza del vivere in mezzo ad
un
popolo!
-
So a cosa stai pensando. Guarda Myles. Ma non
guardarlo con gli occhi, guardalo col cuore, che so che lo puoi fare.
– Eva
sgranò gli occhi, chiedendosi come fosse possibile che la
ragazza sapesse che
lei poteva osservare ben più a fondo le cose. La
guardò atterrita, ma ricevette
indietro solo un sorrisetto innocente. – Guarda le occhiate
che lancia a Jim.
-
Sembra… geloso? – chiese Eva, un po’
titubante.
Non capiva dove volesse arrivare con quel discorso.
-
Esattamente. Lo è. Ma guarda bene, cosa sta
facendo?
-
Si dedica a un altro?
-Esattamente.
E perché lo fa? – proseguì Myra. Venus
le osservava, interessate. Stava cercando di capire anche lei dove
stesse
cercando di arrivare la ragazza. Vide poi gli occhi di Eva illuminarsi,
come se
avesse avuto un’improvvisa intuizione.
-
Lo fa perché ha paura di essere respinto?
-
Giusto! – sorrise Myra, quasi come se si fosse
resa conto dell’inestimabile risorsa che fosse quella
ragazza. – Ma pensi che
non sia ricambiato?
-
Beh, mi sembra che la tensione tra lui e Jim sia
palpabile.
-
Ottimo. Vedi, l’essere umano è estremamente
stupido. Tu forse non te ne rendi ancora conto, se non inconsciamente,
perché
sei parecchio più piccola di noi. L’uomo tende
verso l’infinito, ma cerca di
autoeliminarsi, di auto sabotarsi, rendere impossibile la propria
tensione e
sfogarsi in maniera animale per eliminare la frustrazione. –
sospirò, quasi
come se conoscesse bene la storia. – In tutto questo, quelli
che sanno vedere
oltre, prevedono quasi quello che accadrà, ma
perché l’essere umano è
tendenzialmente prevedibile, il libero arbitrio è ucciso
dall’autolesionismo
che ognuno di noi cova in sé. Non sempre è
così, però. Non ti so dire il
perché, ma qualche persona riesce a sfuggire a questa
regola, e spesso non è
per amor proprio, ma per eccessiva debolezza. Quasi eccessivo
autolesionismo.
Sono talmente tanto deboli che cercano di sabotare ulteriormente la
propria
debolezza, rinforzandosi. La cosa divertente, e ne hai qui davanti la
personificazione, - si indicò, ridacchiando –
è che, imparata la situazione,
non riuscirai più a far altro che il bene. Tu vedi oltre, ed
io me ne accorgo.
Ma tu lo vedi puramente, sembra quasi che tu abbia una dote innata.
– costatò,
pensierosa, la ragazza.
Eva
rimase sconcertata dalla profondità del discorso
che le fece la ragazza. L’aveva osservata, mentre parlava, e
si stava rendendo
conto di come quella ragazza la sapesse leggere, al contrario suo. Era
riuscita
a capire che la ragazza fosse particolarmente sveglia e carismatica,
come se da
quel discorso non l’avesse potuto comprendere, ma non
riusciva a racchiudere
quella ragazza in un tipo sociale. Era come se vivesse aliena al mondo,
riuscendo a capire quel luogo da cui era esclusa, era quasi
un’osservatrice
privilegiata. Era quello che intendeva con la prevedibilità
del genere umano?
La stava invogliando ad approfondire questa sua dote innata? Come
poteva
affinarla? Era quasi intenzionata a porre delle ulteriori domande, ma
la
ragazza la prevenne, trascinando lei e Venus in mezzo alla pista per
ballare,
per staccare un momento la testa. Fare il bene non vuol dire pensarlo.
Verso
l’una, le due ragazze salutarono i compagni e
si recarono all’ostello, passeggiando per le strade vuote, ma
ben illuminate,
di Cardenal. Gli altri due ragazzi partiti da Los Angeles con loro,
Charles e
Amber, erano già tornati da un po’ a riposare, o
meglio, a dar sfogo ai loro doveri coniugali.
Jim e Myles le
salutarono con un cenno, troppo occupati con le rispettive prede.
Già, prede
era il termine più giusto, visto che erano sottilmente usati
dai due. Myra le
salutò invece con tanto affetto, augurando loro una buona
notte e dando
appuntamento per la mattina seguente, alle dodici, in modo da pranzare
prima di
andare in fila per il concerto. Gli Eurythmics erano abbastanza
conosciuti in
America, ma la sera successiva avrebbero fatto anche una tappa a
Sacramento,
ben più conosciuta città della California, per
poi passare a Los Angeles e San
Francisco, per cui non era prevista un’amplissima affluenza.
Le
due ragazze dormivano insieme: ovviamente, Eva
non poteva prendere una stanza per sé, essendo minorenne,
per cui avrebbero
condiviso la stanza. La incuriosiva questa possibilità,
voleva farsi raccontare
un po’ dalla ragazza della sua vita, della sua decisione,
della sua protesta.
Le aveva detto qualcosa, ma si era mantenuta strettamente sul vago.
Voleva
capire cosa l’aveva spinta a farlo, come questo tipo di
proteste potessero
prendere vita. Anche lei sarebbe potuta diventare
un’attivista politica, se non
avesse preso la strada dell’avvocatura.
Venus
uscì dal bagno con indosso un pigiama di seta
verde acqua, molto probabilmente anch’esso da uomo. Vide che
era un’abitudine
talmente radicata nella ragazza, quella del vestirsi da uomo, da
essersi
trasportata anche nel vestiario privato.
-
Anche il pigiama è da uomo? – chiese la ragazza,
titubante.
-
Certamente! – ridacchiò l’altra, come
risposta.
Poi diventò improvvisamente seria e iniziò a
parlare. – Sai, so che sei curiosa
di sapere il perché reale per cui mi vesto da uomo.
È un vestiario di protesta,
perché voglio dimostrare che non bisogna discriminare sulla
base del vestiario,
che l’apparenza, tanto cara ai miei conterranei, non
è che un’immagine falsa
rispetto a ciò che si è veramente. La
società consumistica sta portando al
trionfo dell’apparire sull’essere. Mi sta tanto a
cuore questa causa, -
sospirò, amareggiata e addolorata. –
perché mio fratello maggiore fu vittima
per anni di bullismo. Sai, lui è omosessuale, e
benché non lo manifestasse
apertamente, non riusciva a uniformarsi agli argomenti e
all’apparenza
dominante. Fu preso di mira per anni, me lo ricordo. Ha tre anni
più di me, ne
ha ventisei oggi, e per me fu veramente terribile vederlo soffrire,
quando
aveva diciotto anni. Tentò il suicidio, a
quell’epoca, e lo salvai io, perché i
miei genitori non erano così positivi verso un figlio
così restio
all’uniformazione. Insomma, infangava il buon nome di casa
Johnson! – disse,
ridacchiando nervosamente. Eva la osservava preoccupata. - Chiamai io
il 911 e
fu ricoverato d’urgenza in ospedale, per un periodo
addirittura in una clinica
psichiatrica. Ne uscì perché, nonostante le
minacce di ripercussioni da parte
dei bulli della scuola e, anche se portate avanti in maniera tacita,
dei miei
genitori, io continuai a sostenerlo e a farlo lottare. Fu allora che
iniziai a
tagliarmi i capelli. Avevo sedici anni quando decisi di tagliarmi i
capelli e
iniziare ad assomigliare a un uomo. Volevo dimostrare che le persone
valgono,
oltre a quello che sembrano. Nella bolgia che mi circondava, non ci
riuscì, ma
mio fratello uscì dalla depressione. Appena compiuti i
ventuno anni, si
trasferì in Canada, a Vancouver. Ogni tanto lo vado anche a
trovare, e ci
sentiamo spesso. Comunque, ho giurato a me stessa che nessuno avrebbe
mai
dovuto soffrire così davanti ai miei occhi, così
ho deciso di irridere questa
società che pensa di non dar scampo ai diversi. I tempi
cambiano, solo gli
adulti e gli anziani non lo capiscono, persi nei loro privilegi
personali. Le
cose sono due: o aprono gli occhi, o glieli faccio aprire io.
Eva
rimase attonita dalla confessione, poiché in
fondo era tale, della ragazza, della facilità con la quale
aveva snocciolato il
problema, trattando di argomenti molto personali di fronte ad una
ragazza che
era quasi una perfetta sconosciuta.
-
Forse ti starai chiedendo come mai te l’ho
raccontato, o meglio, ne sono certa. – continuò la
ragazza, mentre si
scompigliava i capelli. – L’ho fatto
perché tu sei giovane, più di me, e devi
imparare. Credo che questo viaggio ti stia aprendo gli occhi molto di
più di
quelle tre cazzate nozionistiche che si studiano sui libri. Mi
piacerebbe che
tu riuscissi a portare questa battaglia anche da te.
Continuarono
a parlare per un po’, fino a che il
sonno non le prese alla sprovvista. La giornata successiva sarebbe
stata assai
impegnativa.
La
mattina dopo, il gruppetto si ritrovò per fare
colazione. Amber e Charles erano particolarmente silenziosi, come se
avessero
dormito talmente bene da non voler fare nulla per turbare il loro
equilibrio
mentale. D’altro canto, Eva, vista la dormita rigenerante,
soprattutto senza
avere fidanzati rompiscatole tra i piedi, era iperattiva, saltava a
destra e
sinistra, dimostrando una voglia di vivere fuori dal comune,
soprattutto per
una ragazza di sedici anni, visto che tendenzialmente, a
quell’età, si tendeva a
essere più pigri. Venus la osservava divertita, si era
accorta di essersi
portata dietro una ragazza assai particolare, una tosta,
sostanzialmente. Per
finire, Jim e Myles tacevano, sembrando in pace col mondo.
Evidentemente, la
nottata era andata a finire assai bene: più che riposati,
sembravano rilassati. Avevano
abbastanza tempo da
farsi una doccia e prepararsi per l’evento: il concerto si
sarebbe tenuto al
Silk Palace, un edificio rotondo non molto lontano da lì.
Venus le aveva
raccontato che era un posto ottimo per i concerti, con parecchia
attenzione
dedicata all'acustica: era stato costruito giusto cinque anni prima,
apposta
per ospitare, anche in base all’aumento di popolazione a
Cardenal verso la fine
degli Anni Settanta, concerti rock, anche perché il metal
era ancora in fase
embrionale. L’acustica quindi era adatta a un tipo di
concerto con strumenti con
una certa preponderanza sulla voce, ed era certa che sarebbe stata
così anche
per gli Eurythmics. Sperò vivamente che aprissero la serata
con la magnifica
Would I Lie To You?, che aveva quella chitarra con velleità
così rock…
Non
aveva minimamente idea di che cosa avessero
suonato in quelle altre date estive sparse per l’America
settentrionale, e
sinceramente non le interessava neanche: lei pensava che per un
concerto
bastasse una sola cosa, la buona musica. In parte, forse, la compagnia,
ma a
vedere gli Eurythmics ci sarebbe andata anche da sola. La compagnia in
cui si
era trovata, però, era senza dubbio ottima. Mentre
camminavano, vide da lontano
la rossa Myra che le aspettava, passeggiando in cerchio per ingannare
l’attesa.
Appena vide comparire il gruppetto, le se illuminarono gli occhi e gli
corse
incontro, urlando un brioso hello
everybody! Eva sorrise: era veramente una ragazza assurda,
ma forse era per
quello che le stava simpatica.
Dopo
aver pranzato, e ciarlato del più e del meno, i
ragazzi si misero in fila. Sotto consiglio, o meglio, dopo una botta di
Myra,
Eva si mise a controllare come si comportavano Myles e il cugino della
rossa e
si accorse di come i due si stessero ignorando, probabilmente sulla
base di ciò
che era successo la sera prima. La situazione era veramente assurda: si
piacevano, era palese, ma figurati se uno dei due avrebbe mai fatto un
passo in
avanti! Sarebbe stato scoprire troppo il fianco, bisogna mantenersi
dietro i
propri muri, dietro le proprie apparenze!
-
Scusa, Venus! – le disse Eva in italiano, per non
farsi capire dai due diretti interessati.
-
Dimmi! Cosa c’è? – le sorrise lei di
rimando.
-
Non dovremmo dare una spintarella a questi due? –
le chiese, dando velocemente un’occhiata ai due interessati. Si sistemò il
cappello in avanti per
ripararsi dal sole: non andava dimenticato che si era sempre in Agosto
e la
California era una terra notevolmente calda. Sorseggiò
dell’acqua dalla sua
borraccia, per rinfrescarsi dall’arsura cocente
dell’estate americana. Fu in
quel momento che udì una risposta in italiano, da una voce
ben più maschile di
quella di Venus.
-
Non credevo ci fossero altri italiani come me qui.
Il mondo è veramente piccolo! – a dire questa
frase fu un ragazzo, alto circa
un metro e novanta, castano, con gli occhi allungati. Era vestito
proprio da
turista: camicia bianca di lino e pantaloni leggeri, sulla testa un
cappello di
paglia. – Piacere, Marco! – proseguì,
allungando la mano.
-
Piacere, Eva! – rispose la ragazza, stringendogli
la stessa.
Passarono
le ore successive a chiacchierare tra di
loro. Myra osservò l’uomo con uno sguardo assai
interessato ma altrettanto
brillante. Sembrava quasi che trovasse il nuovo arrivato assai
intrigante, pur
non capendo quello che dicesse. Eva si sentì osservata, ma
non capì se era solo
una sua sensazione o se era la realtà dei fatti.
Scoprì che il ragazzo era
emiliano come lei, bolognese, per la precisione, e che era coetaneo di
Gianmarco, aveva appena terminato la maturità e si stava per
iscrivere alla
facoltà di Giurisprudenza. Sembrava impossibile che tutti,
in Emilia Romagna,
si fossero improvvisamente dedicati all’avvocatura. Per di
più che tutti si
recassero lì in California in vacanza, quello diventava
veramente assurdo!
Ancora di più, era assurdo che si stessero recando allo
stesso concerto, a
migliaia di chilometri da casa, in una città sconosciuta in
Italia. Avete
presente il classico caso in cui i due, baciati dal destino,
s’innamorano? È
terribile, vero? Sapete anche, però, che la
realtà, spesso, è più strana della
fantasia? Insomma, un conto è quello che noi ci immaginiamo,
un conto è quello
che veramente accade, come se i nostri pensieri e le nostre
immaginazioni
esorcizzassero la nostra vita. Tra Eva e Marco sarebbe veramente
accaduto ciò?
Beh, se ve lo rivelassi, renderei la situazione scontata, e vi farei
perdere
tutta l’attenzione. Sarebbe un peccato, poiché ci
sono altrettanti fatti
importanti.
Le
eloquenti occhiate di Myra non la
tranquillizzavano, sembrava quasi che la invogliasse a parlare di
più e a più
stretto contatto con lui. Lei però non era molto
interessata, non capiva come
ci si potesse buttare tra le braccia di uno sconosciuto, solo
perché era assai
affascinante e aveva una bella parlantina, doti che sicuramente
mancavano a
quel buzzurro di Gianmarco. No, non avrebbe ceduto, neanche morta. Dopo
un po’,
lasciò il ragazzo a parlare con Venus, senza ascoltare il
discorso, poiché non
era molto educato, e si mise a parlare con Myra.
-
Hai capito, abbiamo beccato un bell’italiano in
vacanza. Che fortunata. – ridacchiò amichevolmente
la ragazza, facendo
arrossire Eva. Ma che si arrossiva, mica voleva provarci! Non ancora,
almeno.
-
Non dire sciocchezze! L’ho appena conosciuto.
-
Io vedo feeling. – disse la rossa,
enigmaticamente, per poi cambiare discorso. – Manca poco al
concerto, tra
mezz’ora, finalmente, inizieranno a suonare, o almeno mi
auguro. Non vedo l’ora,
sono molto fan.
-
Davvero? Così sfegatata? – chiese, interessata,
Eva. Lei era eccitata, ma non sprizzava gioia da tutti i pori come
quella
strana ragazza.
-
Certamente! Ho anche fatto una sorta di cover al
pianoforte!
-
Suoni il pianoforte? Anche tu?
-
Certo, sister!
– le fece un occhiolino, dopo aver terminato la frase.
– Se avessi una
possibilità, te la farei sentire. Anche se non canto bene
come Annie Lennox,
senza dubbio.
-
Beh, si può sempre imparare, no? – disse Eva.
-
In realtà io voglio suonare il piano. Credo che
entrerò in una band come tastierista, là a New
York è pieno. Anche se fare
musica solo col mio piano e la mia voce mi farebbe piacere. –
continuò,
agitando i capelli, in modo che non le si attaccassero alla schiena.
-
Interessante, davvero!
Il
concerto fu un vero e completo successo: Eva uscì
rintontita dall’alto volume della musica e indolenzita per le
tante ore in
piedi, nonché per il gran casino che, spinta da Myra,
faceva, saltando e
ballando. Aveva anche urlato di approvazione parecchio, tanto da
rimanere con
pochissima voce. Non che i suoi colleghi stessero messi meglio: tutti
sudati,
con i capelli scompigliati, i maschi si erano ormai anche aperti le
rispettive
camicie, messe apposta per non rimanere completamente nudi.
-
Sapete che ci vorrebbe adesso? – propose Marco
alla folla, ben assortita. – Una birra!
-
Approvo! – disse Myra, portandosi dietro il cugino
e Myles. – Anche se voi italiani dovreste preferire un bicchiere di vino,
ma non c’è
problema!
Scoppiarono
tutti a ridere, per cui si recarono
tutti in un pub lì vicino. Per approfittare della gioia,
brindarono. Anche
questo pub aveva un’atmosfera molto casalinga: era la vecchia
America che
accoglieva tutti i delusi dal nuovo mondo, era il trionfo della gioia,
della
vicinanza, dell’allegria, dell’affetto. Fuori il
mondo era molto più brutto, ma
lì dentro, uniti nelle proprie diversità dalla
musica e da una birra, che prese
addirittura Eva, per l’occasione, non c’erano
distinzioni di razza, sesso,
orientamento sessuale. Il problema è che è
difficile da creare. È difficile
plasmare le menti delle persone e farle cambiare. È
difficile rendere un intero
mondo uguale, e, in fondo, sarebbe anche ingiusto. È giusto
che chiunque cresca
come preferisca, è giusto che ognuno si crei le sue idee.
Che fosse comunista o
democristiano, democratico o repubblicano, protestante o cattolico, era
la sua
natura, le sue idee, non si potevano cambiare. Poteva rendersi conto
che erano
sbagliate, ma non si poteva costringere al cambiamento, altrimenti si
sarebbe
raggiunto il livello del famigerato Big Brother di 1984, forse il
capolavoro di
Orwell. Educare sotto la stessa egida non era forse parte di un
progetto
totalitario? Serviva assolutamente l’educazione libera, tanto
l’uomo tenderà
sempre ad auto sabotarsi, nel bene e soprattutto nel male.
L’educazione
obbligata, le costrizioni, sono fatte solo per essere infrante: non
dare
alternative ai giovani è mandarli al macello e inneggiare al
suicidio. Ahi, le
istituzioni politiche che continuano a non capirlo, e che non lo
faranno per
lunghi anni ancora! Se la lungimiranza appartenesse a tutti i politici,
sicuramente non entrerebbero in Parlamento: costretti a essere
osteggiati per
idee che poi potrebbero funzionare? Sia mai! Meglio la calda e comoda
poltrona
con i soliti ritocchi, ritocchi utili solo a mantenere la
normalità. Dov’è il
bene? Eva se lo chiedeva spesso, e dopo il concerto, rimase a parlarne
un po’
con Myra, Venus e Marco. Gli amici di Myra erano andati già
via, come Amber e
Charles e come anche Jim e Myles. I tre rimasti avevano idee diverse,
tra loro
e da quelle di Eva.
-
Sai, sono d’accordo con te sull’educazione,
–
disse il ragazzo, sorseggiando una Coca Cola. – solo che devi
anche considerare
che le famiglie costringono. E tu cosa vorresti fare? Eliminare la
famiglia?
Impossibile. Neanche si può mandare il controllo degli
assistenti sociali,
perché sarebbe far entrare lo Stato nella famiglia. E si
riparte con il Grande
Fratello.
-
È vero! – aggiunse Venus, assai interessata al
discorso. – Però c’è anche da
dire che anche laddove dovrebbe essere
informazione libera viene uniformata al regime dominante, è
come se noi fossimo
sempre sottomessi a quella dannata classe dei governanti. Andrebbe
quasi
imposto il politically correct, a mio parere.
-
Se mi posso permettere, - parlò Myra, infine,
aggrottando la fronte. – il politically correct è
la cosa più sbagliata che
possa esistere. Come si può creare la libera informazione
con un’idea così?
Ognuno deve assolutamente lottare per le proprie idee, e bisogna dare
la
massima possibilità di esprimere le proprie idee, anche
nell’università, e nei
giornali. Tocqueville, che io adoro, diceva di non amare la
libertà di stampa,
ma che è utile, se è molto ampia e variegata.
Il
discorso proseguì per un po’ ancora, quando,
verso le due e mezzo, i ragazzi decisero di tornare indietro nei loro
hotel. Si
misero d’accordo con Myra di incontrarsi la mattina seguente
per salutarla a
dovere, prima di ripartire, visto che probabilmente non avrebbe
più rivisto
Eva. La stessa scoprì che Marco avrebbe preso lo stesso
treno e soprattutto lo
stesso aereo suo, in modo che non avrebbe dovuto subire troppo
Gianmarco. Già,
Gianmarco, non ci stava proprio pensando: le persone meschine, in mezzo
a gente
grandiosa, potevano solo che soccombere e sparire. Si sentì
stranamente
rilassata, quando andò a letto, pensando di quel vero e
proprio sogno ad occhi
aperti che si stava realizzando. Quel viaggio le stava davvero
cambiando la
vita.
La mattina dopo, la ragazza avvertì uno strano rumore: si
alzò facendo molto
piano, spaventata, prima di costatare che era Venus che, sotto la
doccia,
canticchiava. Riconosceva la canzone, era Cloudbusting di Kate Bush,
che
conosceva talmente bene che iniziò a cantarla anche lei;
quale modo migliore
per iniziare una giornata?
-
Buongiorno! Non pensavo ti piacesse Kate Bush! –
disse Venus, appena dopo essere uscita dalla doccia, frizionandosi i
capelli.
-
Buongiorno a te! – sorrise la ragazza, di rimando.
– Io la adoro, ho iniziato a suonare il pianoforte
ascoltandola! Non hai idea!
Mi vado a fare la doccia io e poi andiamo a colazione, ok?
-
Certo!
Dopo
la doccia, le due ragazze andarono a colazione,
ormai tonificate. Certo, i dolori non erano passati, ma il mal di testa
e il
mal di gola stavano rapidamente passando. Poteva tornare a Modena con
una
parvenza di normalità, cioè, quel poco che ne
aveva. Anche Amber e Charles si
recarono a far colazione, ma di Jim e Myles non c’era
l’ombra. Attesero un po’,
ma i due non comparvero, per cui Venus ed Eva decisero di andare a
controllare
nella loro stanza se ci fossero stati, ma non li trovarono. Si recarono
allora
alla reception, per vedere se avevano ridato le chiavi, ma
l’addetta le fermò.
-
Scusatemi, mi hanno detto di lasciarvi questo
biglietto due ragazzi. Sono andati via stamattina di buon’ora.
-
Ok, grazie mille. – rispose Venus, mentre si
sedette sulle scale davanti all’entrata per aprire e leggere
il biglietto.
-
Cara Venus, cara Eva. – recitava il biglietto, o
almeno questo era l’inizio. Venus riconobbe immediatamente la
calligrafia di
Jim. – Vi lasciamo questo biglietto perché vi
volevamo dire che siamo partiti
stamattina presto. Avevate ragione, io e Myles ci piacciamo parecchio,
e ci
siamo resi conto che abbiamo perso troppo tempo dietro alle nostre
paure e
senza guardare in faccia la più bella realtà che
ci potesse capitare. Siamo
andati a Sacramento, a casa dei miei zii che sono in vacanza in Canada.
Abbiamo
bisogno di qualche giorno solo per me e lui, scusate la fuga
improvvisa, ma ci
abbiamo meditato tutta la notte. Prendetela come una fuga
d’amore. Salutatemi
Myra con molto affetto. Buon ritorno a casa, Eva. Venus, ti vogliamo
bene e
sappiamo che ci capirai. Tanti abbracci.
Jim.
Myles.
-
Era ora! - gioì Eva, leggendo il biglietto! – Sono
sicura che qualcun’altra sarà ben felice di questa
notizia.
Eva
non aveva sicuramente torto. Quando
incontrarono, più tardi, Myra e Marco, le raccontarono la
situazione, e lei
iniziò a sprizzare energia da tutti i pori. Era veramente
una ragazza piena di
vita. Per altro, anche loro sembrarono annunciare la situazione, visto
che
sembravano quasi vestite a festa. Eva indossava un vestito blu, con
sotto un
paio di scarpe col tacco e gli immancabili orecchini piumati, mentre
Venus
indossava una camicia rossa, come l’amore, sotto ad un
vestito di simil
velluto.
-
Ma insomma, dove sono Myles e Jim? – chiese Myra,
insospettita dalla particolare assenza, soprattutto considerando che di
lì a
poco sarebbero dovuti ripartire per Los Angeles, e che lei a giorni
sarebbe
dovuta rientrare nella sua amata città sulla costa est.
-
My husband
ran off with my shaman, but they love me as I am. – disse,
con un sorriso
stampato sul viso, la ragazza, creando altrettanta allegria
nell’altra. Eva
osservava da lontano, assai divertita.
-
Davvero? Hanno capito che era ora di finirla con
le sciocchezze e di far le cose serie? Sono troppo felice per loro,
allora tra
qualche giorno li chiamo! – sorrise lei, amichevolmente.
Si
stava avvicinando l’ora della partenza,
soprattutto per Eva, che probabilmente non sarebbe più
tornata lì in
California, anche perché il padre avrebbe scoperto tutto e
non sarebbe stato
così contento. Probabilmente non avrebbe più
incontrato quelle persone
magnifiche che avevano accompagnato questo suo viaggio alla scoperta
del mondo.
Mentre si preparavano a salire sul treno, dopo tutti i saluti tra i
vari
ragazzi, con conseguente promessa di Myra di tornare a trovare Venus a
Los
Angeles, la rossa ragazza fermò Eva, intenta a parlarle.
-
Sai, Eva, non so se ci incontreremo nuovamente. –
disse questa, cercando di non esagerare con le parole. –
Però voglio augurarti
tutta la fortuna possibile, e ho la sensazione che già
durante questo viaggio
qui in America abbia trovato una grande parte di felicità.
Ti voglio anche
avvisare: non smettere mai di vedere oltre, è una dote che
ti devi tenere
stretta, perché sono sicura che in futuro ti
servirà, se non a te, almeno alle
persone che ti stanno intorno. Non c’è tesoro
più grande della felicità propria
mischiata a quella degli altri. Spero che ci incontreremo ancora,
davvero. È
stata un’esperienza magnifica per me, conoscerti.
-
Anche per me, Myra, anche per me! – sorrise la
ragazza e la abbracciò. Chissà se si sarebbero
davvero riviste, o se comunque
avrebbe potuto mantenere una sorta di contatto con lei.
Il
viaggio di Eva volgeva ormai al termine. Dopo
essere tornata da Cardenal, si riposò e poi
iniziò a prepararsi per partire,
destinazione Bologna. Con Gianmarco non avevano più
contatti, si salutarono a
malapena e fu la costatazione palese di come la situazione fosse ormai
chiusa.
Meglio così, anche perché il padre si rese conto
del malefico piano del padre
di Gianmarco, rendendogli ancora più palese che non bastava
così poco per poter
avanzare e diventare potente. Giovanni de Marco aveva molti difetti, ma
la
serietà lavorativa non era sicuramente tra questi. La
mattina dopo, Eva si recò
all’aeroporto di Los Angeles assieme a Venus e a Marco.
Salutò con molto
affetto la ragazza, lasciandosi fuggire anche delle lacrime: tutto
sommato, era
sempre stato merito suo se il suo viaggio americano si era trasferito
nel
viaggio della sua vita. Ah, gli scherzi del destino! Se non avesse
incontrato,
o meglio, se non si fosse scontrata con Venus a Olvera Street, non
sarebbe mai
andata al concerto degli Eurythmics, non avrebbe mai conosciuto Marco,
non
avrebbe mai visto quanto si potesse amare una coppia omosessuale, cosa
che le
sarebbe stata molto utile con suo figlio, Alessio e il suo fidanzato,
Davide.
Sì, alla fine Eva e Marco si conobbero, si fidanzarono e si
sposarono pochi
anni più tardi, ma questa è un’altra
storia. Con Venus tuttora si sentono, ogni
tanto Eva parte per la California e visita l’amica, che ha
sposato un
bellissimo ragazzo che l’aveva vista per com’era
dentro, e non per l’apparenza
mascolina. Non dismise il vestiario da uomo, comunque, anzi lo mantenne
persino
da sposata. La sua guerra continuava, lei aveva trovato la
felicità, ma non
tutti furono così fortunati. Ha rivisto qualche volta anche
Jim e Myles, che da
quel caldo giorno del 1985 stanno assieme, e pochi mesi dopo iniziarono
anche a
convivere. Ma con Myra mantenne qualche contatto, o si persero di
vista, come
spesso accade tra queste amicizie nate all’estero? Eva ha
sempre notizie di
lei, ma non direttamente. Qualcosa lo seppe da Venus e da Jim, ma altro
lo
scoprì successivamente. Nel 1999, scoprì che la
sua amica Myra era riuscita a
diventare famosa, girando il mondo con il suo pianoforte
Bösendorfer, divenendo
quasi una regina del cantautorato, come la tanto amata Kate Bush.
Sì, Eva
conobbe, da giovane, quel genio che si chiama Tori Amos. Se ne accorse
nel
1999, quando, nel suo album To Venus And Back, Eva, che nutriva qualche
dubbio
sull’identità della ragazza, poiché
credeva di conoscerla, ebbe la certezza di
sapere chi fosse, leggendo il testo di Glory of The 80’s.
I met a drag king called
Venus
She had a velvet hologram
She said: my husband ran off
with my shaman
But they love me as I am.
Non
poteva dimenticare quel giorno così facilmente,
tanto che a quattordici anni di distanza le fu palese che la rossa
ragazza e
l’altrettanto rossa cantautrice fossero la stessa persona.
Quello, per Eva, fu
veramente il viaggio verso Venere. Conobbe il mondo, conobbe la
diversità,
conobbe quanto potesse essere bello non uniformarsi alla massa. Non era
un
capriccio, era semplicemente una rivendicazione. A Los Angeles conobbe
l’amore,
quel Marco che le fu fedele per così tanti anni, e che lo
è ancora nel 2011.
Non fosse che tutto l’amore che dimostrò per Eva
fu equivalente a tutto il
disprezzo e l’indifferenza che fece pesare sul loro unico
figlio, Alessio.
Note
dell’autore!
CE
L’ABBIAMO FATTA! Giuro che l’idea iniziale era
molto, molto, molto più corta (aiutatemi a dire molto, vi
prego). È diventata
abnormemente lunga, nella scrittura, non so neanche io il motivo.
Perché
l’ho scritta? Per mostrare un po’ il passato
di uno dei personaggi, per ora, secondari della storia. In
più, oggi è il
compleanno della mia, di mamma, che si chiama Eva, proprio come il
personaggio
della storia. Mi sembrava carino farle un regalino originale, per cui
la dedica
di questo capitolo è tutta per lei. AUGURI MAMMA!!!!
Quattro
credits aggiuntivi, però, vanno
assolutamente fatti.
Numero
1: Credits a Tori Amos che è stata tirata in
mezzo ogni tre per due, durante sto capitolo, poveretta.
All’inizio avevo
pensato ad una comparsata diversa (anche se avrebbe sentito quella
frase,
altrimenti Eva come si sarebbe resa conto di non essere
l’unica a ricordare
quella vicenda?), ma poi è uscita così. Nella
storia non ricomparirà più di
suo, principalmente perché io non amo le RPF, snaturano sti
poveri individui.
Tanto parliamo di un’epoca, qui, in cui non era ancora
famosa. In realtà, Tori
all’epoca viveva a Los Angeles, ma ho preferito falsare
leggermente la storia,
in questo, facendola vivere a New York. L’anno dopo, infatti,
Eva sarebbe
tornata a Los Angeles, ma non doveva incontrare la ragazza, per cui ho
finto
che abitasse a New
York. Anche perché
non avrei potuto giustificare la sua presenza a Cardenal, essendo
(teoricamente) un po’ più a nord di LA. Voglio
dire, chi andrebbe in vacanza in
una città relativamente vicina alla propria?
C’è un falso storico, lo ammetto,
ma non mi sembra così grave, tanto più che il
primo album sarebbe stato inciso
nel 1988, con un gruppo, mentre il suo primo album solista risale al
1992. Se
riesco a trovare un’idea geniale senza snaturare la trama
della shot, lo farò,
promesso. Tra l’altro, la canzone usata per tutta la storia,
Glory of the 80’s,
appartiene a lei e i diritti spettano a lei e alla label e non
è stata da me
usata a scopo di lucro.
Qualcuno
si chiederà dove sia questa famigerata
Cardenal, magari alcune lettrici hanno cercato su Google maps senza
trovare
nulla. Beh, la città è, sostanzialmente,
inventata, come il concerto degli
Eurythmics. Cardenal è infatti, come sapranno alcune
lettrici che mi conoscono,
un’invenzione della grandissima BuFr,
nella quale ha ambientato la sua long FOUR
e che mi ha gentilmente prestato per l’occasione. Tra
l’altro tra la mia e
la sua storia ci sono anni e anni di distanza, in modo che non ci siano
divergenze assurde. Grazie, Fra, sei stata davvero gentilissima. E
tutti a
leggerla, su!
Secondo
credit va a Vitani,
autrice della long con
il nome più geniale del mondo (Socrates
– Non esiste Antivirus per le vostre Coscienze),
che mi ha aiutato con la localizzazione della storia a Los Angeles:
senza il suo aiuto, non sarei potuto essere così dettagliato
su alcune parti
della storia, come il mercato di Olvera Street. Tutti a leggere, e
grazie anche
a te, Maria.
Last
but not least, un ringraziamento enorme va
anche alla mia carissima Blankette_Girl,
che mi ha dato una mano enorme con il
suo betaggio. Grazie, davvero, Ale!
Riguardo
a questo tema, vi posso dire che non è
l’unica shot ambientata prima della nascita di Alessio. Ne
pubblicherò
un’altra, tra parecchio tempo,
ambientata pochi anni dopo, che ha già un
possibile, anzi, due possibili
titoli: Playboy Mommy e Juàrez. Si vedrà poi come
andrà.
Spero
che tutti quanti abbiate gradito: so che è più
pesante del solito, stavolta mi son dato più al politico e
so di essere una
palla al piede, in questo, ma ci voleva proprio. Senza tutta sta
parentesi,
probabilmente la trama della long sarebbe andata diversamente.
Ne
approfitto, per augurare a tutti un felicissimo
2012 a tutti. Mettetecela tutta per essere felici, ragazzi!
Al
prossimo aggiornamento!
-RaspberryLad-
P.S:
Una parentesi sull’avvocatura modenese, mò che
ci penso: quando son stato a Modena, un anno fa, son passato per una
zona nella
quale, vedendo i citofoni, abitavano/lavoravano SOLAMENTE avvocati, per
cui ho
giocato un po’ su questo fatto J