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Autore: RaspberryLad    05/01/2012    5 recensioni
Anno 1985: Eva de Marco, personaggio secondario di A Friend in Need is a Friend Indeed, si reca per viaggio di piacere in California, nella città degli Angeli. Tra drag king e concerti degli Eurythmics, tra silicone party barbies e Joan of Arcs, la ragazza ebbe modo di vedere il mondo in maniera diversa da quella predominante nella sua campanilistica Italia. Una cronaca del viaggio che le cambiò completamente la vita.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We all have our flaws that can make us obscene'
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I took a taxi from LA to Venus

 

 

Silicone party Barbies to the left

And Joan of Arcs to the right

No one feeling insecure

We were all gorge and famous in our last lives.

-Glory of The 80's, Tori Amos-

 

 

Correva l’anno 1985. Una giovanissima Eva de Marco, appena sedicenne, si trovava a Los Angeles, durante le sue vacanze estive. Era accompagnata dal suo ragazzo dell’epoca, tale Gianmarco. Il padre, Giovanni de Marco, già famoso magistrato della zona, nonostante la sua giovane età, solo trentasette anni, le aveva, in sostanza, imposto come ragazzo il figlio di un suo collega. Il signor Giovanni teneva molto alle apparenze, dimostrando una mentalità abbastanza ristretta, come poi si sarebbe accorto il nipote, Alessio, per cui cercò subito un buon partito per la sua figlia maggiore. Quale miglior partito del figlio di un avvocato, che si sarebbe senza dubbio iscritto a Giurisprudenza l’anno successivo? Eva, all’epoca, aveva appena terminato il secondo liceo, mentre il suo nuovo fidanzato aveva appena conseguito la maturità. Ovviamente con sessanta sessantesimi, il voto più alto dell’epoca: bello, intelligente, ricco e di buona famiglia, cosa ci poteva essere di meglio, per lei? In realtà lei non ne era così felice. Non aveva ancora sviluppato il futuro dono di vedere le aure delle persone che la circondavano, avrebbe iniziato solo cinque anni più tardi, ma in ogni caso il suo istinto le diceva di mantenere una certa distanza con lui. Non si fidava più di tanto ed era molto restia a mostrarsi del tutto. Se stavano insieme, era, quasi, solo per non scontentare ulteriormente il padre. Nonostante la giovane età, aveva già iniziato a tirare fuori un caratterino niente male: aveva deciso di dedicarsi, contro l’iniziale volontà di suo padre, preoccupato per i possibili cali di concentrazione nei suoi compiti da liceale, allo studio del pianoforte. Era, infatti, molto appassionata dal suono di pianoforti e sintetizzatori, apprezzando, da un lato, la musica classica, mentre dall’altro era grande fan sia di cantautrici come Kate Bush, sia di gruppi cult come gli Eurythmics. Questa sua passione per queste cantanti strane faceva un po’ storcere il naso alla famiglia, tanto che la presero più come un capriccio dell’adolescente. In realtà, anche crescendo, dimostrò semplicemente di seguire la propria testa: fu solo un caso fortuito che si appassionasse tanto al diritto, tanto da iscriversi, tre anni dopo, alla Facoltà di Giurisprudenza. In ogni caso, lei aveva premuto fortemente per questo viaggio nel profondo West dell’America. La motivazione che aveva addotto al padre era la sua volontà di studiare l’inglese sul posto, imparando un po’ di accento.  In realtà, lei desiderava visitare quella zona, era una parte cosmopolita e più viva, sicuramente più di Modena che, pur essendo una bella città ed anche abbastanza abitata, non poteva confrontarsi con la città degli Angeli.

Era già la seconda settimana che stavano là: nel giro di quattro giorni sarebbero dovuti tornare a casa, per la gioia più di Gianmarco che di Eva. Non era molto soddisfatto, lui, e lei ne era pienamente consapevole. Sperava che fosse il momento adatto per poter arrivare all’agognata virtù della sua fidanzata, ma lei non era minimamente intenzionata a eliminare il suo riserbo. Era un po’ inquietato da ciò: non gli sembrava possibile che una ragazza di sedici anni non provasse, o non sembrasse provare, pulsioni sessuali. Lui si sarebbe fatto qualsiasi ragazza, aveva acconsentito a quest’unione solo per non scontentare particolarmente il padre, che pensava di farsi un favore, creando quest’unione: era sicuro che Giovanni de Marco sarebbe diventato un importante magistrato nella Regione, per cui la sua amicizia avrebbe soltanto potuto essergli utile. Se poi la figlia e suo figlio si frequentavano, beh, ancora meglio. A Gianmarco non piaceva veramente Eva, la trovava una ragazza troppo particolare per i suoi gusti, ed anche eccessivamente ribelle. Lui trattava generalmente le donne come se fossero di sua proprietà, aveva dovuto cercare di rendersi più malleabile per riuscire a trattare con quella ragazza così testarda. Non era come tutti gli uomini: generalmente, a vederla, scappavano, lui invece insisteva, ma principalmente per non dargliela vinta. Era pericoloso per la sua autostima dover dimostrare di valere meno di una donna. Se nel 2011 il maschilismo e machismo dilagante non erano ancora scomparsi, figurarsi nel 1985!

 

Eva non riusciva ad apprezzare molto la situazione che si stava creando. Vedeva Gianmarco fin troppo insistente mentre si coccolavano a letto, iniziava a sospettare, o meglio, ad avere la certezza di cosa volesse veramente. Uomini! Mai che cercassero di trovare passioni in comune o di mettersi sullo stesso piano, no! Dovevano dimostrare di essere superiori, di essere più belli, più intelligenti. Che noia. Desiderava ardentemente che capitasse qualcosa di particolarmente fastidioso che li avrebbe separati nei giorni seguenti,  in modo che potesse veramente vivere la città degli Angeli, che aveva visto soltanto di striscio, per la boriosità campanilistica del fidanzato, che credeva di reputarsi migliore di quel gruppo di montati. Da che pulpito. In più aveva visto che in una città più a Nord, tale Cardenal, nella quale si sarebbe tenuto, due sere dopo, un concerto degli Eurythmics. Non sapeva minimamente di quella data, prima del suo arrivo nella città, ma ora era intenzionatissima ad andarli a vedere, proposito che incontrava ovviamente l’opposizione di Gianmarco, che non voleva minimamente scomodarsi per fare un viaggio più lungo. Non capiva l’importanza, per Eva, di vedere uno dei suoi gruppi preferiti e un mito quale Annie Lennox, la cui voce trasmetteva a lei tantissime emozioni e tanta voglia di cantare. Per Gianmarco era musica scadente, commercialate estere che mai avrebbero avuto fama in Italia, la patria della bella musica. Appunto, sempre il solito campanilismo becero. Stava cercando un segno del cielo per poter andare, da sola, a vedere gli Eurythmics. Segno che cercò in maniera talmente ardente che si sarebbe poi proposto quel pomeriggio stesso.

Quel pomeriggio, infatti, decise di separarsi dal ragazzo, per potersi fare un giro in alcune zone più etniche della città, mentre lui sembrò rimanere nella sua stanza in hotel a rilassarsi. Eva scosse la testa: si chiedeva fino a quel punto gli uomini potessero essere affezionati alle apparenze più che ai fatti, non poteva concepire il sacrificio che la stava costringendo fare il padre, non poteva capire quanto l’attaccamento alle apparenze potesse far felice i genitori. Forse lei non era adatta a quell’epoca, o forse, meglio, doveva proprio cambiare quell’epoca. Il suo viaggio a Los Angeles doveva proprio mostrarle se fosse unica al mondo, o se solo l’Italia imperversava in questo fare retrogrado.

Si recò a Olvera Street, sulla quale si sviluppava un enorme mercato cittadino quasi a cielo aperto. La via era circondata da numerosi palazzi, in maggior parte tendenti al bianco, mentre sulla strada si snodava un dedalo di bancarelle e negozietti. Eva non disdegnava assolutamente i vestiti eleganti o firmati, li indossava anzi con una certa naturalezza, rara per una ragazza della sua età. Era però palesemente attratta da questi oggetti un po’ particolari, che le facevano ricordare i viaggi compiuti all’estero e che le lasciavano dentro, quasi come se fossero amuleti, influenze dello spirito dei Paesi che aveva visitato. Gli orecchini che stava sfoggiando, in quel momento, li aveva comprati nella patria della Rivoluzione, in Francia. Quando aveva visitato, l’anno precedente, Parigi, si era recata appositamente al mercatino delle pulci a Saint Ouen, che peraltro era il più grosso d’Europa. Lì aveva comprato questo paio di orecchini, formati da tre piume: blu, bianca e rossa, come la bandiera francese. Era quasi un simbolo per lei, il simbolo della sua lotta per cambiare la situazione nella sua Modena, per dare nuovi impulsi culturali o intellettuali. L’altro segno che la distingueva, oltre all’altezza fuori misura per una ragazza della sua età, più di un metro e settantacinque, era il cappello nero che indossava, floscio da un lato, che sapeva tanto di artista maledetto di Montmartre. Passeggiava per il mercatino, alla ricerca di qualcosa: si stava facendo guidare dall’istinto, osservava con attenzione le bancarelle alla ricerca del quid, del non plus ultra che l’avrebbe fatta innamorare.

Il problema fu che guardava troppo attentamente le bancarelle e non osservava la folla che avanzava. Tanto che si scontrò con un altrettanto distratto passante, intento a osservare i giochi di chiaroscuro creati dal sole sui palazzi attorno.

- Oddio, I’m sorry! I didn’t do it on purpose! – si affrettò a dire Eva, mortificata per lo scontro frontale inopportuno. Chissà con chi si era scontrata. Diede la mano ad alzarsi a un ragazzo alquanto strano. Aveva dei lineamenti delicatissimi, con due occhi verdi e delle ciglia molto pronunciate, che cozzavano con il duro aspetto dei suoi biondissimi capelli a spazzola, addirittura quasi rasati. A indurre ulteriore confusione ci si mise l’abbigliamento: indossava un elegantissimo vestito nero, non un tailleur, non vero e proprio vestito da uomo, che si apriva su una camicia verde acqua che sembrava accennare ad un po’ di seno. Era confusa: si trovava di fonte a un uomo o a una donna? Non le era mai capitato di incontrare dal vivo una persona così androgina, o meglio, non le era mai capitato dal vivo di incontrare una persona che giocasse così tanto con la sua androginia.

- Ehi, tranquilla! – fu la risposta che ricevette. – Ero distratta anch’io e non ti avevo visto!

- No, davvero, scusami! Ti offro un caffè per sdebitarmi, davvero!

- Non si dice mai di no a un caffè! – ridacchiò la ragazza, divertita.

 


Sedute a un tavolino di un bar lì vicino, Eva e la ragazza incontrata per sbaglio iniziarono a chiacchierare.

- Scusami, ma tu come fai a conoscere l’italiano? – chiese la ragazza italiana, incuriosita: non pensava che addirittura negli Stati Uniti conoscessero l’italiano!

- Ora ti spiego… aspetta, come hai detto che ti chiami? – chiese l’altra, resasi conto che non si erano neanche presentate.

- Oh, sì, scusami, non te l’ho detto! Comunque mi chiamo Eva, piacere!

- Io sono Vince, piacere mio! – fu la risposta dell’interlocutore, risposta che suscitò ulteriori dubbi circa il suo sesso.

- Vince? Ma Vince non è…

- Aspetta! – la interruppe lei, intenzionata a rispondere alla prima domanda. – Prima ti rispondo alla domanda e poi ti chiarisco le idee. – sorrise gentilmente, quasi per scusarsi per l’interruzione tanto brusca. – I miei genitori sono italiani e si sono trasferiti qui prima che nascessi, appena dopo la guerra. La situazione, a loro parere, non era delle migliori, per cui hanno deciso di venire a trovare dei parenti emigrati qua, quindi si sono stabiliti qui a Los Angeles. Mi hanno insegnato l’italiano perché sperano che, un giorno, si possa tornare nella nostra patria, nella speranza che riesca a riprendersi veramente. È dispiaciuto a loro, come dà fastidio a me, esserci lontana, solo che abbiamo bisogno di una vita meno precaria, e l’Italia non è molto d’aiuto. – inspirò, riprendendo fiato. – Tu di che zona sei, dell’Italia?

- Emilia Romagna. – Rispose Eva, gentilmente. – Precisamente da Modena. I tuoi da dove venivano?

- Da un paesino in Toscana, in provincia di Arezzo. È stata una fortuna, perché, anche leggendo i classici italiani, mi sono accorta che ho imparato la lingua per com’è, senza particolari influenze dialettali.

- Ottimo! – gioì Eva, che apprezzava molto l’italiano corretto. Non le piaceva parlare in dialetto: benché lo conoscesse e lo capisse, cercava più possibile di mascherare la sua provenienza, non voleva essere etichettata come “emiliana”, lei era semplicemente italiana.

- Per l’altra domanda… - esordì Vince, facendo sporgere Eva per ascoltare più attentamente. – Io in realtà sono una donna, e credo che tu te ne sia accorta anche da come parlo. Però sono una drag king. Sai cosa sono le drag queen?

- All’incirca. – disse Eva, pensierosa e assai incuriosita. Cosa potevano mai essere queste drag king? Perché lo facevano?

- Perfetto. La drag king, o meglio, il drag king, - si corresse subito Vince, mostrando che forse aveva qualche problema di genere grammaticale, come tutti gli anglo-americani. – è una donna che si veste da uomo. Ognuno lo fa per una propria volontà, in tante lo fanno perché si sentono uomini o perché così si credono più legittimate ad amare le donne. Io no, lo faccio più per una forma di protesta.

- Protesta? – le fece eco lei, ancora più incuriosita. Questo viaggio stava rivelando molte più sorprese di quanto si aspettasse.

- Buona, non essere troppo curiosa. – disse Vince, sorridendo, mentre, dall’altra parte, la ragazza mormorò un flebile “scusa”. – In ogni caso, l’androginia mi è stata anche utile, per quanto non voglio essere troppo mascolina. Son donna e fiera di esserlo.

- Quindi, come preferisci che ti chiami? – chiese Eva, timorosa di fare una gaffe. – Col tuo nome da uomo o con quello da donna?

- Beh, è uguale per me. Anche perché il mio vero nome è Venus. Suona uguale a Vince, per cui mi puoi chiamare in ambedue i modi.

- Venus? Come la dea romana dell’amore?

- Certamente! – rispose, allegramente, la ragazza americana. – È stato un tributo dei miei genitori alle nostre origini italiane, per quanto non volessero assegnarmi un nome italiano per evitare eventuali discriminazioni. È un nome magnifico, per cui son molto felice di chiamarmi così!

- Ok, perfetto, così evito di farmi troppi problemi. – ridacchiò la ragazza, divertita. – Ma sempre su questa storia del drag king, volevo chiederti una cosa, se non è troppo inopportuna.

- Dai, dimmi! – sorrise amabilmente lei. – Mi hanno fatto tantissime domande, perché non capivano il perché lo facessi. O se mi reputassi uomo! Ah, i pregiudizi sono assai duri a morire!

- No, volevo più che altro sapere se è catalogabile come drag king anche – deglutì nervosamente, prima di finire la frase, terrorizzata dall’idea di dire un’enorme cretinata. – Annie Lennox?

 - Annie Lennox? La cantante degli Eurythmics, dici? Lei non si definisce così, ma senza dubbio nel video di Sweet Dreams lo fa. Secondo me è una provocazione, anche per i capelli arancioni. Ma anche in Italia si sente parlare di loro? Io sapevo che foste poco aperti alle influenze musicali esterne.

- Effettivamente è così. – costatò Eva, notando come la cattiva fama italiana fosse arrivata persino in un altro continente. “Bene!”, pensò rassegnata. – Però io mi interesso anche di musica un po’ diversa, la musica italiana mi annoia!

- Allora tu apprezzi gli Eurythmics? – esclamò, gioiosa, Venus. – Very, very good! Hai letto che dopodomani vengono in concerto a Cardenal?

- Sì, l’ho letto! – disse, pur con una nota di rassegnazione, la ragazza. – Solo che non so come arrivarci, fino a questa città, in più il mio ragazzo è abbastanza restio. Dice che sono matta a voler viaggiare per l’America da sola per vedere un concerto. Non mi capisce.

- Oh, ma non viaggerai da sola! Io partirò domani pomeriggio con dei miei amici per Cardenal, andiamo tutti insieme a vedere il concerto. Se ti vuoi aggregare, sei la benvenuta, tanto dobbiamo prendere il treno! Basta che sai un po’ d’inglese e ti divertirai, you know!

- Dici davvero? – chiese Eva, raggiante. Stava cercando di valutare obiettivamente la situazione: potevano tranquillamente essere un gruppo di maniaci, potevano rapirla, senza parlare del fatto che il padre avrebbe disapprovato enormemente. Lei però non riusciva a non seguire il suo istinto, anzi, chiamarlo istinto era quasi spregiativo e riduttivo. Era un vero e proprio sesto senso, per lei, e non aveva mai sbagliato. Era come se effettuasse una radiografia alla persona che aveva davanti, per cui era impossibile sbagliarsi, anche perché la sua fotografia era istantanea, prima di conoscere davvero una persona, per cui stava ben attenta a come comportarsi. Venus, o Vince che dir si voglia, le aveva fatto un’ottima impressione, sapeva che, fin quando ci fosse stata lei, non avrebbe avuto nulla da temere. Era inutile cercare di valutare la situazione, aveva deciso, il suo sesto senso aveva parlato. – Perché no, effettivamente!

- Perfetto! Arrivati là, si dormirà in un ostello, spero che non ti dispiaccia! – aggiunse la ragazza, consapevolissima che ormai avrebbe portato anche la nuova conoscenza con sé. Reputava importante che le persone potessero essere libere di dedicarsi a ciò che preferissero e che facessero le loro esperienze. Era una buona osservatrice, e si era accorta come quella ragazza, per quanto giovane, fosse in realtà molto forte e una potenziale ribelle. Parlandoci, si accorse che non era una ribelle a senso unico, ma una a favore di un rinnovamento. Poteva non invogliarla a farle compiere nuove esperienze? Impossibile.

 

 

 

- Tu sei tutta scema! Andare fino a là per un concerto? Io non sono minimamente intenzionato a venire. – sbottò nervosamente Gianmarco. Quella ragazza stava veramente passando il limite per i suoi gusti, passi la stranezza e tutto, ma questa era veramente follia! Per di più voleva viaggiare per questa Cardenal con un gruppo di ragazzi americani, tra cui un drag king! Stava veramente dando di matto, non l’avrebbe seguita per nessun motivo. – Per di più, che cazzo di posto è sta Cardenal? Ma da dove l’hai tirata fuori? Non s’è mai sentita!

- Nessuno sa che la capitale della California è Sacramento, eppure esiste. – rispose, aspramente, la ragazza, ormai stufa della sostanziale inutilità e mancanza di spirito d’avventura del fidanzato. – In ogni caso non ho detto che noi andiamo a Cardenal a vedere gli Eurythmics, ho detto che io parto. Tanto lo so che tu non hai intenzione di venire, per cui divertiti qua, sicuramente starai meglio nella camera d’albergo! – rimarcò pesantemente le parole “noi” e “io”, quasi per evidenziare che questa situazione era ormai in crisi profondissima. Erano troppo diversi perché stessero davvero assieme. Illuso suo padre che ci credeva!

- Tu? Da sola? Ma hai sedici anni! Ma sei completamente scema? Se tuo padre lo venisse a sapere…

- Se mio padre lo venisse a sapere, si chiederebbe com’è possibile che tu non riesca a tenermi testa. – lo ammutolì con una sola frase. Lui rimase a bocca aperta, scandalizzato da tale affronto. Come osava questa insolente ragazzina attaccare lui, che era più grande e soprattutto uomo?

- Io me ne vado. Se è, ci vediamo dopo. Cià. – uscì così, sbattendo la porta. Eva gioì, era riuscito ad azzittirlo definitivamente. Aveva troppa paura del padre per poterle rovinare la vita. Quella sera sarebbe uscita anche lei, giusto per conoscere gli amici di Venus con cui avrebbe intrapreso il viaggio il giorno seguente. Sentiva una certa aria frizzantina attorno a sé, sembrava quasi che la sua vita stesse cambiando, portandola in una dimensione insperata. Se fosse stato vero, l’avrebbe scoperto solo ben più avanti.

 

 

 

 

La sera passò in maniera molto tranquilla: contro ogni aspettativa, si trovarono agevolmente. Venus le aveva fissato appuntamento davanti ad un ristorante a Santa Monica, chiamato The White Goose. L’oca bianca. Per Eva poche cose accadevano per puro caso, per cui quel nome le rimase impresso, come se le stesse dando un’avvertenza. Chi credeva di essere il figlio dell’oca bianca? Gianmarco. Chissà cosa stesse combinando, aveva visto nei suoi modi prima di uscire una furia cieca, una voglia di vendetta. Poco le importava, comunque, avrebbe passato quella serata nella maniera più positiva possibile. Così fu.

Conobbe la combriccola di amici di Venus: li immaginava più strani, all’apparenza, mentre le loro stranezze rimanevano prevalentemente psicologiche. Due dei suoi amici, in particolare, la intrigavano. Uno, Jim, veniva da questa definito come suo marito, almeno, lo era fino a che lei non smettesse i panni da uomo, cosa che avveniva assai raramente. Jim, infatti, era gay e dichiarato: come l’amica non si vergognava di quello che era, e non contribuiva neanche a creare lo stereotipo del gay, era un ragazzo slanciato fisicamente, castano con gli occhi azzurri, vestito in maniera impeccabile. E dire che in Italia, quelle rarissime volte che si poteva parlare di omosessualità, si diceva che gli omosessuali indossassero boa con piume di struzzo e portassero perizomi dei colori più disparati. Diceva bene Dante, quando recitava, nella Divina Commedia: Ahi, serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello!

L’altro ragazzo che l’aveva particolarmente intrigata era l’altro caro amico di Venus, tale Myles, che era da lei definita il suo sciamano. Non era assolutamente difficile immaginare il perché: l’eleganza con cui portava quello che gli americani definivano suit era lapalissiana, come il taglio, sbarazzino ma allo stesso tempo sobrio. Vedendolo accanto alla ragazza, si poteva davvero pensare che fossero fratello e sorella, anche perché ambedue superavano agevolmente il metro e ottanta. Eva si sentiva un po’ piccolina, anche di età, ma durante la serata le fecero gradualmente dimenticare che aveva cinque anni in meno di tutti loro: la sua cultura, il suo cosmopolitismo, le sue idee riformatrici, senza dubbio, la rendevano ben più matura di quello che era. La trattavano come se fosse una ventunenne, alcool a parte: tanto più che Eva detestava l’alcool, le dava fastidio anche solo l’odore.

Alla fine di quella serata avrebbe anche incontrato Gianmarco, ma forse non nel modo in cui l’avrebbe preferito. Si fermò di scatto, facendo quasi spaventare Venus, sgranando gli occhi.

- Conosci quel ragazzo? – chiese la ragazza, visibilmente preoccupata. A Eva tremavano le mani.

- È il mio ragazzo. E ora me la paga. – disse lei, nel tentativo di andarlo a prendere di petto. Venus però la fermò.

- Is he her boyfriend? – chiese Myles, che non aveva capito molto la situazione, ma se l’era immaginato.

- Yeah. – fu la laconica risposta della ragazza, che poi prese in italiano a parlare con Eva. – Ascoltami, non vale la pena vendicarsi così. Non mi sembra utile, ti conviene ignorarlo e vendicarti quando lo ritrovi stasera. Comunque quelle sono quelle che noi definiamo, qui a Los Angeles, party barbies. Donne senza alcun interesse che avere sesso.

- Beh, così ho una scusa in più per partire domani. – costatò Eva, assai agguerrita. – Tanto si diverte di più senza di me, qui. In ogni caso, domani a che ora si parte? Dovrei ancora prendere il biglietto del treno pure.

- Il treno è all’una p.m., in modo che arriviamo lì verso le sei e mezza di pomeriggio. Se andiamo un’ora prima, circa, puoi prendere il biglietto senza alcun problema! – concluse Venus, appena prima di salutarsi e di riaccompagnarla all’albergo. Non si fidava a lasciarla girare da sola, di sera, per la città degli Angeli, soprattutto non conoscendola.

 

 

 

 

- Posso sapere perché sei così arrabbiata? – chiese Gianmarco, notando la nuova botta di matto della sua, ancora per ben poco, ragazza. – Perché non vengo con te in quel postaccio? Io non ho intenzione di muovermi di qua!

- No, in realtà questa è l’unica nota positiva, almeno non stai in mezzo alle palle. – replicò lei avvelenata. Non le andava giù come era stata trattata e di una cosa era certa: gli avrebbe distrutto quelle ultime briciole di orgoglio maschile. Che passasse all’altra sponda!

- Posso sapere cosa avrei fatto di tanto grave per nuocere a Vossignoria? Abbassa la cresta, Eva, che mi stai innervosendo.

- Beh, credo che tu sia l’ultimo a poter parlare, visto che ieri sera ti sei messo a pensare col cazzo. Ed io sono ancora più gentile, perché ti definisco solo una testa di cazzo! – con questa risposta, Eva azzittì immediatamente l’altro, lasciando lo sconcerto stampato sul viso del fidanzato. Sembrava quasi chiedersi “e lei come lo sa?” – Inutile che cerchi di giustificarti, ti ho visto. Per cui ti saluto, che ho roba ben più interessante da fare. – concluse la frase chiudendo la valigia, preparandosi ad uscire, rimettendosi quei due orecchini piumati ed una spilla a girasole fra i capelli.

- Dove pensi di andare! Non fare l’insolente! – cercò di fermarla lui, provando a mantenere una voce forte e dura. Si accorse però che la sua voce stava tremando, dalla consapevolezza di essere stato fregato da quella ragazza, che gli rispose a tono.

- Altrimenti che fai? Non sei mio padre e non hai possibilità di comandarmi, non se vai con la gente a destra e a manca. Farewell! Ci si vede necessariamente dopodomani sera.

La ragazza sbatté la porta dietro di sé, consapevole di aver distrutto completamente le difese dell’altro. Non è un fatto di cui sarebbe andata particolarmente fiera, ma i suoi sedici anni, pur con tutta la maturità possibile, si erano fatti sentire in maniera preponderante.

 

 

 

 

Il viaggio verso Cardenal proseguì assai velocemente e fu, per Eva, anche divertente. Si divertiva molto al pensiero di essere partita così, sostanzialmente senza appoggi se non un gruppo di ragazzi che conosceva appena. A unirli era solo il sacro vincolo della musica, il linguaggio universale che poteva riunire persone di diverse età, nazionalità e idee.  Eva pensò a questo mentre osservava i suoi compagni di viaggio dialogare vivacemente in slang americano: capiva ben poco di quello che dicevano, probabilmente si stavano ricordando di alcuni aneddoti trascorsi insieme. Nel frattempo, si perse a osservare fuori dal finestrino, a guardare la campagna, reputando quasi incredibile come si potesse, accanto ad una metropoli di tali dimensioni, stendersi una campagna anche abbastanza tranquilla, qualche cittadina qua e là e poco più. Era rilassante da vedere, mentre cercava di ascoltare i discorsi degli altri, ridacchiando quando percepiva qualche allusione tra Jim e Myles. Aveva immaginato che tra loro potesse esserci del tenero, ma sembravano più gli altri amici a volerli vedere insieme. Non credeva che si potesse essere così liberali nei confronti degli omosessuali, almeno non vedendo la situazione italiana. Il fatto, poi, che a essere liberali fossero le sue generazioni, dava quasi speranza di un mondo migliore per i figli di tutti loro. Lei compresa, anche se non se lo sarebbe ancora immaginato.

Arrivarono attorno alle sei e mezzo a Cardenal. Non era sicuramente la metropoli famosa in tutto il mondo come lo era Los Angeles oppure San Francisco, ma sicuramente non era una cittadina piccola. In proporzione, era più grande quanto Bologna di quanto lo fosse Modena. Sembrava quasi una normale cittadina, grande ma abbastanza tranquilla, se non fosse che Venus l’aveva avvertita, di come fosse una sorta di luogo di raduno per omosessuali e alternativi vari. Quasi una sorta di ghetto, una separazione volontaria dal resto del mondo, sembrava ciò, questa città californiana. Questo discorso non piaceva a Eva, che non vedeva di buon occhio una grande separazione tra persone accettate socialmente e individui non ben visti, soprattutto se questi ultimi si auto isolavano. In ogni caso, si accorse che di gente ce n’era di tutti i tipi, e che ci sarebbe stato da divertirsi in quei due giorni circa di soggiorno. Temette quasi di divertirsi troppo e di non avere più la voglia di tornare nella sua dozzinale città e patria.

O meglio, non era dozzinale in sé Modena o l’Italia, lo erano gli Italiani, quel popolo di caproni che attaccavano l’asino dove voleva il padrone: che fosse la mafia, il governo, o chi per loro assai poco importava. L’America, o meglio, le persone che aveva incontrato le avevano dato dei nuovi spunti su cui lavorare, dei nuovi modelli da poter seguire e provare, dei nuovi ideali da difendere, anche se questi sarebbero usciti fuori qualche anno più tardi. Stava contribuendo ad aprirle gli orizzonti: fatto che molto probabilmente avrebbe scontentato ulteriormente il padre o, chissà, avrebbe potuto renderlo felice, se quest’apertura fosse stata incanalata in una direzione, a lui, consona. Se ci sarebbe riuscita, solo il tempo può dirlo.

 

 

 

 

Quella sera, dopo essersi sistemati nelle stanze dell’ostello, uscirono per Cardenal, anche perché Jim avrebbe dovuto incontrare la cugina e un gruppo di amici suoi e di Charles, altro ragazzo del gruppo mossosi da Los Angeles. Non vedevano l’ora, a detta di Venus erano due mesi che non riuscivano a vedersi per problemi vari tra college e lavori, per cui si prevedeva grande festa. Le assicurò che si sarebbe divertita, avrebbe anche conosciuto gente nuova, e alcuni di loro pure sarebbero andati al concerto degli Eurythmics con il gruppetto proveniente da LA, per cui era tanto di guadagnato. Riconobbe subito la cugina di Jim: gli occhi erano gli stessi, avevano la stessa forma allungata e lo stesso colore particolare. Avrebbe pagato per poter vedere se il loro colore sarebbe cambiato a seconda del tempo. A distinguerli erano i capelli: la ragazza, infatti, aveva dei capelli rossissimi. Nella bigotta Italia, sarebbe stata vista con orrore e sconcerto, giacché, in alcune zone, perdurava ancora l’idea che i rossi di capelli fossero figli del Diavolo. Vedendo il tipino che aveva davanti, in ogni caso, pensò che non si sarebbe fatta problemi neanche là. Emanava carisma, a prima impressione poteva dire di avere la certezza che quella donna sarebbe diventata famosa in tutto il mondo, aveva un’energia addosso rara, anche in una ragazza di ventidue anni come lei e come i suoi amici. Ci chiacchierò un po’, scoprendo che si chiamava Myra, per quanto il nome non le piacesse, e che si recava lì in California solo d’estate, per poter vedere il cugino e i suoi amici, vivendo durante l’anno a New York.  Eva, al solo udire il nome della città, iniziò a riempire la nuova conosciuta di domande, sprigionando anche lei energia in dimensioni colossali. Era sempre stata così: quando conosceva qualcuno che veniva da luoghi in cui non era stata, non poteva non riempire di domande la povera sventurata. Calcolando poi che il soggiorno statunitense stava acuendo la sua curiosità… La stranezza, in compenso, era che la ragazza le rispondeva amabilmente, facendole a sua volta tantissime domande sull’Italia, su come si vivesse là, a migliaia di chilometri di distanza. La ragazza sembrò rimanere rapita di fronte alla potenza infervorata del discorso pronunciato da Eva, che dimostrò le sue ottime capacità nella lingua inglese proprio in un discorso ben più passionale che pensato. Sembrava quasi che nessun altro potesse entrare in quel momento d’incontro tra due menti geniali, tanto che non si accorsero di aver attirato l’attenzione dell’intero gruppo che, impotente, osservava sconcertato questo dialogo così vivo.

- Ok! – disse Venus, quando le due ragazze si accorsero che non erano da sole, ma che stavano con altre dieci persone. – Ora possiamo andare a un pub.

 

 

 

Trascorsero la serata, per la gioia di Jim e Myles, in un pub gay, lì a Cardenal, del quale erano frequentatori abituali, talmente tanto conosciuti che non fecero storie neppure per la minore età di Eva, che in ogni caso non avrebbe mai bevuto nulla di alcolico. Pensò quasi che i ragazzi si fossero fatti i bodyguard all’entrata. Piano piano, anche sotto gli effluvi dell’alcool, il gruppo iniziò a ballare, in mezzo alla pista. Eva poté osservare, divertita, Jim, intento a provarci con un bel ragazzo biondo, iniziando a pomiciarci in mezzo alla pista. Ah, guai a chi pensasse che solo nel 2011 ci si sapesse divertire, anzi! Eva non seppe se fu l’atmosfera, i giochi di luci o la lontananza da casa a farle sembrare la situazione assolutamente normale. Non avrebbe detto bella, perché sembrava sesso fine a se stesso, ma sembrava quasi la maniera naturale in cui andassero le cose: sesso fine a se stesso, con chiunque si volesse. Allora perché lei non riusciva a lasciarsi andare pienamente? Myra e Venus, che erano rimaste sedute a quel tavolo di legno, che rendeva l’atmosfera assai più rustica e campagnola, quasi come se ci si fosse realmente trovati in una baita, la scossero dai suoi pensieri. La rossa si era pienamente resa conto dello status catatonico della ragazza, le sembrava quasi che stesse guardando il mondo dietro uno spesso boccale di birra: la vista era distorta, nonostante sembrasse trasparente, era facile sbagliare proporzioni o immagini. Per questo la ragazza la richiamò all’ordine, parlandole in inglese. Inglese che ormai Eva capiva come se fosse italiano: ah, la bellezza del vivere in mezzo ad un popolo!

- So a cosa stai pensando. Guarda Myles. Ma non guardarlo con gli occhi, guardalo col cuore, che so che lo puoi fare. – Eva sgranò gli occhi, chiedendosi come fosse possibile che la ragazza sapesse che lei poteva osservare ben più a fondo le cose. La guardò atterrita, ma ricevette indietro solo un sorrisetto innocente. – Guarda le occhiate che lancia a Jim.

- Sembra… geloso? – chiese Eva, un po’ titubante. Non capiva dove volesse arrivare con quel discorso.

- Esattamente. Lo è. Ma guarda bene, cosa sta facendo?

- Si dedica a un altro?

-Esattamente. E perché lo fa? – proseguì Myra. Venus le osservava, interessate. Stava cercando di capire anche lei dove stesse cercando di arrivare la ragazza. Vide poi gli occhi di Eva illuminarsi, come se avesse avuto un’improvvisa intuizione.

- Lo fa perché ha paura di essere respinto?

- Giusto! – sorrise Myra, quasi come se si fosse resa conto dell’inestimabile risorsa che fosse quella ragazza. – Ma pensi che non sia ricambiato?

- Beh, mi sembra che la tensione tra lui e Jim sia palpabile.

- Ottimo. Vedi, l’essere umano è estremamente stupido. Tu forse non te ne rendi ancora conto, se non inconsciamente, perché sei parecchio più piccola di noi. L’uomo tende verso l’infinito, ma cerca di autoeliminarsi, di auto sabotarsi, rendere impossibile la propria tensione e sfogarsi in maniera animale per eliminare la frustrazione. – sospirò, quasi come se conoscesse bene la storia. – In tutto questo, quelli che sanno vedere oltre, prevedono quasi quello che accadrà, ma perché l’essere umano è tendenzialmente prevedibile, il libero arbitrio è ucciso dall’autolesionismo che ognuno di noi cova in sé. Non sempre è così, però. Non ti so dire il perché, ma qualche persona riesce a sfuggire a questa regola, e spesso non è per amor proprio, ma per eccessiva debolezza. Quasi eccessivo autolesionismo. Sono talmente tanto deboli che cercano di sabotare ulteriormente la propria debolezza, rinforzandosi. La cosa divertente, e ne hai qui davanti la personificazione, - si indicò, ridacchiando – è che, imparata la situazione, non riuscirai più a far altro che il bene. Tu vedi oltre, ed io me ne accorgo. Ma tu lo vedi puramente, sembra quasi che tu abbia una dote innata. – costatò, pensierosa, la ragazza.

Eva rimase sconcertata dalla profondità del discorso che le fece la ragazza. L’aveva osservata, mentre parlava, e si stava rendendo conto di come quella ragazza la sapesse leggere, al contrario suo. Era riuscita a capire che la ragazza fosse particolarmente sveglia e carismatica, come se da quel discorso non l’avesse potuto comprendere, ma non riusciva a racchiudere quella ragazza in un tipo sociale. Era come se vivesse aliena al mondo, riuscendo a capire quel luogo da cui era esclusa, era quasi un’osservatrice privilegiata. Era quello che intendeva con la prevedibilità del genere umano? La stava invogliando ad approfondire questa sua dote innata? Come poteva affinarla? Era quasi intenzionata a porre delle ulteriori domande, ma la ragazza la prevenne, trascinando lei e Venus in mezzo alla pista per ballare, per staccare un momento la testa. Fare il bene non vuol dire pensarlo.

 

 

 

 

Verso l’una, le due ragazze salutarono i compagni e si recarono all’ostello, passeggiando per le strade vuote, ma ben illuminate, di Cardenal. Gli altri due ragazzi partiti da Los Angeles con loro, Charles e Amber, erano già tornati da un po’ a riposare, o meglio, a dar sfogo ai loro doveri coniugali. Jim e Myles le salutarono con un cenno, troppo occupati con le rispettive prede. Già, prede era il termine più giusto, visto che erano sottilmente usati dai due. Myra le salutò invece con tanto affetto, augurando loro una buona notte e dando appuntamento per la mattina seguente, alle dodici, in modo da pranzare prima di andare in fila per il concerto. Gli Eurythmics erano abbastanza conosciuti in America, ma la sera successiva avrebbero fatto anche una tappa a Sacramento, ben più conosciuta città della California, per poi passare a Los Angeles e San Francisco, per cui non era prevista un’amplissima affluenza.

Le due ragazze dormivano insieme: ovviamente, Eva non poteva prendere una stanza per sé, essendo minorenne, per cui avrebbero condiviso la stanza. La incuriosiva questa possibilità, voleva farsi raccontare un po’ dalla ragazza della sua vita, della sua decisione, della sua protesta. Le aveva detto qualcosa, ma si era mantenuta strettamente sul vago. Voleva capire cosa l’aveva spinta a farlo, come questo tipo di proteste potessero prendere vita. Anche lei sarebbe potuta diventare un’attivista politica, se non avesse preso la strada dell’avvocatura.

Venus uscì dal bagno con indosso un pigiama di seta verde acqua, molto probabilmente anch’esso da uomo. Vide che era un’abitudine talmente radicata nella ragazza, quella del vestirsi da uomo, da essersi trasportata anche nel vestiario privato.

- Anche il pigiama è da uomo? – chiese la ragazza, titubante.

- Certamente! – ridacchiò l’altra, come risposta. Poi diventò improvvisamente seria e iniziò a parlare. – Sai, so che sei curiosa di sapere il perché reale per cui mi vesto da uomo. È un vestiario di protesta, perché voglio dimostrare che non bisogna discriminare sulla base del vestiario, che l’apparenza, tanto cara ai miei conterranei, non è che un’immagine falsa rispetto a ciò che si è veramente. La società consumistica sta portando al trionfo dell’apparire sull’essere. Mi sta tanto a cuore questa causa, - sospirò, amareggiata e addolorata. – perché mio fratello maggiore fu vittima per anni di bullismo. Sai, lui è omosessuale, e benché non lo manifestasse apertamente, non riusciva a uniformarsi agli argomenti e all’apparenza dominante. Fu preso di mira per anni, me lo ricordo. Ha tre anni più di me, ne ha ventisei oggi, e per me fu veramente terribile vederlo soffrire, quando aveva diciotto anni. Tentò il suicidio, a quell’epoca, e lo salvai io, perché i miei genitori non erano così positivi verso un figlio così restio all’uniformazione. Insomma, infangava il buon nome di casa Johnson! – disse, ridacchiando nervosamente. Eva la osservava preoccupata. - Chiamai io il 911 e fu ricoverato d’urgenza in ospedale, per un periodo addirittura in una clinica psichiatrica. Ne uscì perché, nonostante le minacce di ripercussioni da parte dei bulli della scuola e, anche se portate avanti in maniera tacita, dei miei genitori, io continuai a sostenerlo e a farlo lottare. Fu allora che iniziai a tagliarmi i capelli. Avevo sedici anni quando decisi di tagliarmi i capelli e iniziare ad assomigliare a un uomo. Volevo dimostrare che le persone valgono, oltre a quello che sembrano. Nella bolgia che mi circondava, non ci riuscì, ma mio fratello uscì dalla depressione. Appena compiuti i ventuno anni, si trasferì in Canada, a Vancouver. Ogni tanto lo vado anche a trovare, e ci sentiamo spesso. Comunque, ho giurato a me stessa che nessuno avrebbe mai dovuto soffrire così davanti ai miei occhi, così ho deciso di irridere questa società che pensa di non dar scampo ai diversi. I tempi cambiano, solo gli adulti e gli anziani non lo capiscono, persi nei loro privilegi personali. Le cose sono due: o aprono gli occhi, o glieli faccio aprire io.

Eva rimase attonita dalla confessione, poiché in fondo era tale, della ragazza, della facilità con la quale aveva snocciolato il problema, trattando di argomenti molto personali di fronte ad una ragazza che era quasi una perfetta sconosciuta.

- Forse ti starai chiedendo come mai te l’ho raccontato, o meglio, ne sono certa. – continuò la ragazza, mentre si scompigliava i capelli. – L’ho fatto perché tu sei giovane, più di me, e devi imparare. Credo che questo viaggio ti stia aprendo gli occhi molto di più di quelle tre cazzate nozionistiche che si studiano sui libri. Mi piacerebbe che tu riuscissi a portare questa battaglia anche da te.

Continuarono a parlare per un po’, fino a che il sonno non le prese alla sprovvista. La giornata successiva sarebbe stata assai impegnativa.

 

 

 

 

La mattina dopo, il gruppetto si ritrovò per fare colazione. Amber e Charles erano particolarmente silenziosi, come se avessero dormito talmente bene da non voler fare nulla per turbare il loro equilibrio mentale. D’altro canto, Eva, vista la dormita rigenerante, soprattutto senza avere fidanzati rompiscatole tra i piedi, era iperattiva, saltava a destra e sinistra, dimostrando una voglia di vivere fuori dal comune, soprattutto per una ragazza di sedici anni, visto che tendenzialmente, a quell’età, si tendeva a essere più pigri. Venus la osservava divertita, si era accorta di essersi portata dietro una ragazza assai particolare, una tosta, sostanzialmente. Per finire, Jim e Myles tacevano, sembrando in pace col mondo. Evidentemente, la nottata era andata a finire assai bene: più che riposati, sembravano rilassati. Avevano abbastanza tempo da farsi una doccia e prepararsi per l’evento: il concerto si sarebbe tenuto al Silk Palace, un edificio rotondo non molto lontano da lì. Venus le aveva raccontato che era un posto ottimo per i concerti, con parecchia attenzione dedicata all'acustica: era stato costruito giusto cinque anni prima, apposta per ospitare, anche in base all’aumento di popolazione a Cardenal verso la fine degli Anni Settanta, concerti rock, anche perché il metal era ancora in fase embrionale. L’acustica quindi era adatta a un tipo di concerto con strumenti con una certa preponderanza sulla voce, ed era certa che sarebbe stata così anche per gli Eurythmics. Sperò vivamente che aprissero la serata con la magnifica Would I Lie To You?, che aveva quella chitarra con velleità così rock…

Non aveva minimamente idea di che cosa avessero suonato in quelle altre date estive sparse per l’America settentrionale, e sinceramente non le interessava neanche: lei pensava che per un concerto bastasse una sola cosa, la buona musica. In parte, forse, la compagnia, ma a vedere gli Eurythmics ci sarebbe andata anche da sola. La compagnia in cui si era trovata, però, era senza dubbio ottima. Mentre camminavano, vide da lontano la rossa Myra che le aspettava, passeggiando in cerchio per ingannare l’attesa. Appena vide comparire il gruppetto, le se illuminarono gli occhi e gli corse incontro, urlando un brioso hello everybody! Eva sorrise: era veramente una ragazza assurda, ma forse era per quello che le stava simpatica.

Dopo aver pranzato, e ciarlato del più e del meno, i ragazzi si misero in fila. Sotto consiglio, o meglio, dopo una botta di Myra, Eva si mise a controllare come si comportavano Myles e il cugino della rossa e si accorse di come i due si stessero ignorando, probabilmente sulla base di ciò che era successo la sera prima. La situazione era veramente assurda: si piacevano, era palese, ma figurati se uno dei due avrebbe mai fatto un passo in avanti! Sarebbe stato scoprire troppo il fianco, bisogna mantenersi dietro i propri muri, dietro le proprie apparenze!

- Scusa, Venus! – le disse Eva in italiano, per non farsi capire dai due diretti interessati.

- Dimmi! Cosa c’è? – le sorrise lei di rimando.

- Non dovremmo dare una spintarella a questi due? – le chiese, dando velocemente un’occhiata ai due interessati.  Si sistemò il cappello in avanti per ripararsi dal sole: non andava dimenticato che si era sempre in Agosto e la California era una terra notevolmente calda. Sorseggiò dell’acqua dalla sua borraccia, per rinfrescarsi dall’arsura cocente dell’estate americana. Fu in quel momento che udì una risposta in italiano, da una voce ben più maschile di quella di Venus.

- Non credevo ci fossero altri italiani come me qui. Il mondo è veramente piccolo! – a dire questa frase fu un ragazzo, alto circa un metro e novanta, castano, con gli occhi allungati. Era vestito proprio da turista: camicia bianca di lino e pantaloni leggeri, sulla testa un cappello di paglia. – Piacere, Marco! – proseguì, allungando la mano.

- Piacere, Eva! – rispose la ragazza, stringendogli la stessa.

 

 

 

Passarono le ore successive a chiacchierare tra di loro. Myra osservò l’uomo con uno sguardo assai interessato ma altrettanto brillante. Sembrava quasi che trovasse il nuovo arrivato assai intrigante, pur non capendo quello che dicesse. Eva si sentì osservata, ma non capì se era solo una sua sensazione o se era la realtà dei fatti. Scoprì che il ragazzo era emiliano come lei, bolognese, per la precisione, e che era coetaneo di Gianmarco, aveva appena terminato la maturità e si stava per iscrivere alla facoltà di Giurisprudenza. Sembrava impossibile che tutti, in Emilia Romagna, si fossero improvvisamente dedicati all’avvocatura. Per di più che tutti si recassero lì in California in vacanza, quello diventava veramente assurdo! Ancora di più, era assurdo che si stessero recando allo stesso concerto, a migliaia di chilometri da casa, in una città sconosciuta in Italia. Avete presente il classico caso in cui i due, baciati dal destino, s’innamorano? È terribile, vero? Sapete anche, però, che la realtà, spesso, è più strana della fantasia? Insomma, un conto è quello che noi ci immaginiamo, un conto è quello che veramente accade, come se i nostri pensieri e le nostre immaginazioni esorcizzassero la nostra vita. Tra Eva e Marco sarebbe veramente accaduto ciò? Beh, se ve lo rivelassi, renderei la situazione scontata, e vi farei perdere tutta l’attenzione. Sarebbe un peccato, poiché ci sono altrettanti fatti importanti.

Le eloquenti occhiate di Myra non la tranquillizzavano, sembrava quasi che la invogliasse a parlare di più e a più stretto contatto con lui. Lei però non era molto interessata, non capiva come ci si potesse buttare tra le braccia di uno sconosciuto, solo perché era assai affascinante e aveva una bella parlantina, doti che sicuramente mancavano a quel buzzurro di Gianmarco. No, non avrebbe ceduto, neanche morta. Dopo un po’, lasciò il ragazzo a parlare con Venus, senza ascoltare il discorso, poiché non era molto educato, e si mise a parlare con Myra.

- Hai capito, abbiamo beccato un bell’italiano in vacanza. Che fortunata. – ridacchiò amichevolmente la ragazza, facendo arrossire Eva. Ma che si arrossiva, mica voleva provarci! Non ancora, almeno.

- Non dire sciocchezze! L’ho appena conosciuto.

- Io vedo feeling. – disse la rossa, enigmaticamente, per poi cambiare discorso. – Manca poco al concerto, tra mezz’ora, finalmente, inizieranno a suonare, o almeno mi auguro. Non vedo l’ora, sono molto fan.

- Davvero? Così sfegatata? – chiese, interessata, Eva. Lei era eccitata, ma non sprizzava gioia da tutti i pori come quella strana ragazza.

- Certamente! Ho anche fatto una sorta di cover al pianoforte!

- Suoni il pianoforte? Anche tu?

- Certo, sister! – le fece un occhiolino, dopo aver terminato la frase. – Se avessi una possibilità, te la farei sentire. Anche se non canto bene come Annie Lennox, senza dubbio.

- Beh, si può sempre imparare, no? – disse Eva.

- In realtà io voglio suonare il piano. Credo che entrerò in una band come tastierista, là a New York è pieno. Anche se fare musica solo col mio piano e la mia voce mi farebbe piacere. – continuò, agitando i capelli, in modo che non le si attaccassero alla schiena.

- Interessante, davvero!

 

 

 

 

 

Il concerto fu un vero e completo successo: Eva uscì rintontita dall’alto volume della musica e indolenzita per le tante ore in piedi, nonché per il gran casino che, spinta da Myra, faceva, saltando e ballando. Aveva anche urlato di approvazione parecchio, tanto da rimanere con pochissima voce. Non che i suoi colleghi stessero messi meglio: tutti sudati, con i capelli scompigliati, i maschi si erano ormai anche aperti le rispettive camicie, messe apposta per non rimanere completamente nudi.

- Sapete che ci vorrebbe adesso? – propose Marco alla folla, ben assortita. – Una birra!

- Approvo! – disse Myra, portandosi dietro il cugino e Myles. – Anche se voi italiani dovreste preferire un bicchiere di vino, ma non c’è problema!

Scoppiarono tutti a ridere, per cui si recarono tutti in un pub lì vicino. Per approfittare della gioia, brindarono. Anche questo pub aveva un’atmosfera molto casalinga: era la vecchia America che accoglieva tutti i delusi dal nuovo mondo, era il trionfo della gioia, della vicinanza, dell’allegria, dell’affetto. Fuori il mondo era molto più brutto, ma lì dentro, uniti nelle proprie diversità dalla musica e da una birra, che prese addirittura Eva, per l’occasione, non c’erano distinzioni di razza, sesso, orientamento sessuale. Il problema è che è difficile da creare. È difficile plasmare le menti delle persone e farle cambiare. È difficile rendere un intero mondo uguale, e, in fondo, sarebbe anche ingiusto. È giusto che chiunque cresca come preferisca, è giusto che ognuno si crei le sue idee. Che fosse comunista o democristiano, democratico o repubblicano, protestante o cattolico, era la sua natura, le sue idee, non si potevano cambiare. Poteva rendersi conto che erano sbagliate, ma non si poteva costringere al cambiamento, altrimenti si sarebbe raggiunto il livello del famigerato Big Brother di 1984, forse il capolavoro di Orwell. Educare sotto la stessa egida non era forse parte di un progetto totalitario? Serviva assolutamente l’educazione libera, tanto l’uomo tenderà sempre ad auto sabotarsi, nel bene e soprattutto nel male. L’educazione obbligata, le costrizioni, sono fatte solo per essere infrante: non dare alternative ai giovani è mandarli al macello e inneggiare al suicidio. Ahi, le istituzioni politiche che continuano a non capirlo, e che non lo faranno per lunghi anni ancora! Se la lungimiranza appartenesse a tutti i politici, sicuramente non entrerebbero in Parlamento: costretti a essere osteggiati per idee che poi potrebbero funzionare? Sia mai! Meglio la calda e comoda poltrona con i soliti ritocchi, ritocchi utili solo a mantenere la normalità. Dov’è il bene? Eva se lo chiedeva spesso, e dopo il concerto, rimase a parlarne un po’ con Myra, Venus e Marco. Gli amici di Myra erano andati già via, come Amber e Charles e come anche Jim e Myles. I tre rimasti avevano idee diverse, tra loro e da quelle di Eva.

- Sai, sono d’accordo con te sull’educazione, – disse il ragazzo, sorseggiando una Coca Cola. – solo che devi anche considerare che le famiglie costringono. E tu cosa vorresti fare? Eliminare la famiglia? Impossibile. Neanche si può mandare il controllo degli assistenti sociali, perché sarebbe far entrare lo Stato nella famiglia. E si riparte con il Grande Fratello.

- È vero! – aggiunse Venus, assai interessata al discorso. – Però c’è anche da dire che anche laddove dovrebbe essere informazione libera viene uniformata al regime dominante, è come se noi fossimo sempre sottomessi a quella dannata classe dei governanti. Andrebbe quasi imposto il politically correct, a mio parere.

- Se mi posso permettere, - parlò Myra, infine, aggrottando la fronte. – il politically correct è la cosa più sbagliata che possa esistere. Come si può creare la libera informazione con un’idea così? Ognuno deve assolutamente lottare per le proprie idee, e bisogna dare la massima possibilità di esprimere le proprie idee, anche nell’università, e nei giornali. Tocqueville, che io adoro, diceva di non amare la libertà di stampa, ma che è utile, se è molto ampia e variegata.

Il discorso proseguì per un po’ ancora, quando, verso le due e mezzo, i ragazzi decisero di tornare indietro nei loro hotel. Si misero d’accordo con Myra di incontrarsi la mattina seguente per salutarla a dovere, prima di ripartire, visto che probabilmente non avrebbe più rivisto Eva. La stessa scoprì che Marco avrebbe preso lo stesso treno e soprattutto lo stesso aereo suo, in modo che non avrebbe dovuto subire troppo Gianmarco. Già, Gianmarco, non ci stava proprio pensando: le persone meschine, in mezzo a gente grandiosa, potevano solo che soccombere e sparire. Si sentì stranamente rilassata, quando andò a letto, pensando di quel vero e proprio sogno ad occhi aperti che si stava realizzando. Quel viaggio le stava davvero cambiando la vita.

 

 

 

 


La mattina dopo, la ragazza avvertì uno strano rumore: si alzò facendo molto piano, spaventata, prima di costatare che era Venus che, sotto la doccia, canticchiava. Riconosceva la canzone, era Cloudbusting di Kate Bush, che conosceva talmente bene che iniziò a cantarla anche lei; quale modo migliore per iniziare una giornata?

- Buongiorno! Non pensavo ti piacesse Kate Bush! – disse Venus, appena dopo essere uscita dalla doccia, frizionandosi i capelli.

- Buongiorno a te! – sorrise la ragazza, di rimando. – Io la adoro, ho iniziato a suonare il pianoforte ascoltandola! Non hai idea! Mi vado a fare la doccia io e poi andiamo a colazione, ok?

- Certo!

Dopo la doccia, le due ragazze andarono a colazione, ormai tonificate. Certo, i dolori non erano passati, ma il mal di testa e il mal di gola stavano rapidamente passando. Poteva tornare a Modena con una parvenza di normalità, cioè, quel poco che ne aveva. Anche Amber e Charles si recarono a far colazione, ma di Jim e Myles non c’era l’ombra. Attesero un po’, ma i due non comparvero, per cui Venus ed Eva decisero di andare a controllare nella loro stanza se ci fossero stati, ma non li trovarono. Si recarono allora alla reception, per vedere se avevano ridato le chiavi, ma l’addetta le fermò.

- Scusatemi, mi hanno detto di lasciarvi questo biglietto due ragazzi. Sono andati via stamattina di buon’ora.

- Ok, grazie mille. – rispose Venus, mentre si sedette sulle scale davanti all’entrata per aprire e leggere il biglietto.

- Cara Venus, cara Eva. – recitava il biglietto, o almeno questo era l’inizio. Venus riconobbe immediatamente la calligrafia di Jim. – Vi lasciamo questo biglietto perché vi volevamo dire che siamo partiti stamattina presto. Avevate ragione, io e Myles ci piacciamo parecchio, e ci siamo resi conto che abbiamo perso troppo tempo dietro alle nostre paure e senza guardare in faccia la più bella realtà che ci potesse capitare. Siamo andati a Sacramento, a casa dei miei zii che sono in vacanza in Canada. Abbiamo bisogno di qualche giorno solo per me e lui, scusate la fuga improvvisa, ma ci abbiamo meditato tutta la notte. Prendetela come una fuga d’amore. Salutatemi Myra con molto affetto. Buon ritorno a casa, Eva. Venus, ti vogliamo bene e sappiamo che ci capirai. Tanti abbracci.

Jim. Myles.

- Era ora! - gioì Eva, leggendo il biglietto! – Sono sicura che qualcun’altra sarà ben felice di questa notizia.

Eva non aveva sicuramente torto. Quando incontrarono, più tardi, Myra e Marco, le raccontarono la situazione, e lei iniziò a sprizzare energia da tutti i pori. Era veramente una ragazza piena di vita. Per altro, anche loro sembrarono annunciare la situazione, visto che sembravano quasi vestite a festa. Eva indossava un vestito blu, con sotto un paio di scarpe col tacco e gli immancabili orecchini piumati, mentre Venus indossava una camicia rossa, come l’amore, sotto ad un vestito di simil velluto.

- Ma insomma, dove sono Myles e Jim? – chiese Myra, insospettita dalla particolare assenza, soprattutto considerando che di lì a poco sarebbero dovuti ripartire per Los Angeles, e che lei a giorni sarebbe dovuta rientrare nella sua amata città sulla costa est.

- My husband ran off with my shaman, but they love me as I am. – disse, con un sorriso stampato sul viso, la ragazza, creando altrettanta allegria nell’altra. Eva osservava da lontano, assai divertita.

- Davvero? Hanno capito che era ora di finirla con le sciocchezze e di far le cose serie? Sono troppo felice per loro, allora tra qualche giorno li chiamo! – sorrise lei, amichevolmente.

Si stava avvicinando l’ora della partenza, soprattutto per Eva, che probabilmente non sarebbe più tornata lì in California, anche perché il padre avrebbe scoperto tutto e non sarebbe stato così contento. Probabilmente non avrebbe più incontrato quelle persone magnifiche che avevano accompagnato questo suo viaggio alla scoperta del mondo. Mentre si preparavano a salire sul treno, dopo tutti i saluti tra i vari ragazzi, con conseguente promessa di Myra di tornare a trovare Venus a Los Angeles, la rossa ragazza fermò Eva, intenta a parlarle.

- Sai, Eva, non so se ci incontreremo nuovamente. – disse questa, cercando di non esagerare con le parole. – Però voglio augurarti tutta la fortuna possibile, e ho la sensazione che già durante questo viaggio qui in America abbia trovato una grande parte di felicità. Ti voglio anche avvisare: non smettere mai di vedere oltre, è una dote che ti devi tenere stretta, perché sono sicura che in futuro ti servirà, se non a te, almeno alle persone che ti stanno intorno. Non c’è tesoro più grande della felicità propria mischiata a quella degli altri. Spero che ci incontreremo ancora, davvero. È stata un’esperienza magnifica per me, conoscerti.

- Anche per me, Myra, anche per me! – sorrise la ragazza e la abbracciò. Chissà se si sarebbero davvero riviste, o se comunque avrebbe potuto mantenere una sorta di contatto con lei.

 

 

 

 

 

Il viaggio di Eva volgeva ormai al termine. Dopo essere tornata da Cardenal, si riposò e poi iniziò a prepararsi per partire, destinazione Bologna. Con Gianmarco non avevano più contatti, si salutarono a malapena e fu la costatazione palese di come la situazione fosse ormai chiusa. Meglio così, anche perché il padre si rese conto del malefico piano del padre di Gianmarco, rendendogli ancora più palese che non bastava così poco per poter avanzare e diventare potente. Giovanni de Marco aveva molti difetti, ma la serietà lavorativa non era sicuramente tra questi. La mattina dopo, Eva si recò all’aeroporto di Los Angeles assieme a Venus e a Marco. Salutò con molto affetto la ragazza, lasciandosi fuggire anche delle lacrime: tutto sommato, era sempre stato merito suo se il suo viaggio americano si era trasferito nel viaggio della sua vita. Ah, gli scherzi del destino! Se non avesse incontrato, o meglio, se non si fosse scontrata con Venus a Olvera Street, non sarebbe mai andata al concerto degli Eurythmics, non avrebbe mai conosciuto Marco, non avrebbe mai visto quanto si potesse amare una coppia omosessuale, cosa che le sarebbe stata molto utile con suo figlio, Alessio e il suo fidanzato, Davide. Sì, alla fine Eva e Marco si conobbero, si fidanzarono e si sposarono pochi anni più tardi, ma questa è un’altra storia. Con Venus tuttora si sentono, ogni tanto Eva parte per la California e visita l’amica, che ha sposato un bellissimo ragazzo che l’aveva vista per com’era dentro, e non per l’apparenza mascolina. Non dismise il vestiario da uomo, comunque, anzi lo mantenne persino da sposata. La sua guerra continuava, lei aveva trovato la felicità, ma non tutti furono così fortunati. Ha rivisto qualche volta anche Jim e Myles, che da quel caldo giorno del 1985 stanno assieme, e pochi mesi dopo iniziarono anche a convivere. Ma con Myra mantenne qualche contatto, o si persero di vista, come spesso accade tra queste amicizie nate all’estero? Eva ha sempre notizie di lei, ma non direttamente. Qualcosa lo seppe da Venus e da Jim, ma altro lo scoprì successivamente. Nel 1999, scoprì che la sua amica Myra era riuscita a diventare famosa, girando il mondo con il suo pianoforte Bösendorfer, divenendo quasi una regina del cantautorato, come la tanto amata Kate Bush. Sì, Eva conobbe, da giovane, quel genio che si chiama Tori Amos. Se ne accorse nel 1999, quando, nel suo album To Venus And Back, Eva, che nutriva qualche dubbio sull’identità della ragazza, poiché credeva di conoscerla, ebbe la certezza di sapere chi fosse, leggendo il testo di Glory of The 80’s.

 

 

I met a drag king called Venus

She had a velvet hologram

She said: my husband ran off with my shaman

But they love me as I am.

 

Non poteva dimenticare quel giorno così facilmente, tanto che a quattordici anni di distanza le fu palese che la rossa ragazza e l’altrettanto rossa cantautrice fossero la stessa persona. Quello, per Eva, fu veramente il viaggio verso Venere. Conobbe il mondo, conobbe la diversità, conobbe quanto potesse essere bello non uniformarsi alla massa. Non era un capriccio, era semplicemente una rivendicazione. A Los Angeles conobbe l’amore, quel Marco che le fu fedele per così tanti anni, e che lo è ancora nel 2011. Non fosse che tutto l’amore che dimostrò per Eva fu equivalente a tutto il disprezzo e l’indifferenza che fece pesare sul loro unico figlio, Alessio.

 

 

 

Note dell’autore!

CE L’ABBIAMO FATTA! Giuro che l’idea iniziale era molto, molto, molto più corta (aiutatemi a dire molto, vi prego). È diventata abnormemente lunga, nella scrittura, non so neanche io il motivo.

Perché l’ho scritta? Per mostrare un po’ il passato di uno dei personaggi, per ora, secondari della storia. In più, oggi è il compleanno della mia, di mamma, che si chiama Eva, proprio come il personaggio della storia. Mi sembrava carino farle un regalino originale, per cui la dedica di questo capitolo è tutta per lei. AUGURI MAMMA!!!!

Quattro credits aggiuntivi, però, vanno assolutamente fatti.

Numero 1: Credits a Tori Amos che è stata tirata in mezzo ogni tre per due, durante sto capitolo, poveretta. All’inizio avevo pensato ad una comparsata diversa (anche se avrebbe sentito quella frase, altrimenti Eva come si sarebbe resa conto di non essere l’unica a ricordare quella vicenda?), ma poi è uscita così. Nella storia non ricomparirà più di suo, principalmente perché io non amo le RPF, snaturano sti poveri individui. Tanto parliamo di un’epoca, qui, in cui non era ancora famosa. In realtà, Tori all’epoca viveva a Los Angeles, ma ho preferito falsare leggermente la storia, in questo, facendola vivere a New York. L’anno dopo, infatti, Eva sarebbe tornata a Los Angeles, ma non doveva incontrare la ragazza, per cui ho finto che abitasse  a New York. Anche perché non avrei potuto giustificare la sua presenza a Cardenal, essendo (teoricamente) un po’ più a nord di LA. Voglio dire, chi andrebbe in vacanza in una città relativamente vicina alla propria? C’è un falso storico, lo ammetto, ma non mi sembra così grave, tanto più che il primo album sarebbe stato inciso nel 1988, con un gruppo, mentre il suo primo album solista risale al 1992. Se riesco a trovare un’idea geniale senza snaturare la trama della shot, lo farò, promesso. Tra l’altro, la canzone usata per tutta la storia, Glory of the 80’s, appartiene a lei e i diritti spettano a lei e alla label e non è stata da me usata a scopo di lucro.

Qualcuno si chiederà dove sia questa famigerata Cardenal, magari alcune lettrici hanno cercato su Google maps senza trovare nulla. Beh, la città è, sostanzialmente, inventata, come il concerto degli Eurythmics. Cardenal è infatti, come sapranno alcune lettrici che mi conoscono, un’invenzione della grandissima BuFr, nella quale ha ambientato la sua long FOUR e che mi ha gentilmente prestato per l’occasione. Tra l’altro tra la mia e la sua storia ci sono anni e anni di distanza, in modo che non ci siano divergenze assurde. Grazie, Fra, sei stata davvero gentilissima. E tutti a leggerla, su!

Secondo credit va a Vitani, autrice della long con il nome più geniale del mondo (Socrates – Non esiste Antivirus per le vostre Coscienze), che mi ha aiutato con la localizzazione della storia a Los Angeles: senza il suo aiuto, non sarei potuto essere così dettagliato su alcune parti della storia, come il mercato di Olvera Street. Tutti a leggere, e grazie anche a te, Maria.

Last but not least, un ringraziamento enorme va anche alla mia carissima Blankette_Girl, che mi ha dato una mano enorme con il suo betaggio. Grazie, davvero, Ale!

 

Riguardo a questo tema, vi posso dire che non è l’unica shot ambientata prima della nascita di Alessio. Ne pubblicherò un’altra, tra parecchio tempo,  ambientata pochi anni dopo, che ha già un possibile, anzi, due possibili titoli: Playboy Mommy e Juàrez. Si vedrà poi come andrà.

Spero che tutti quanti abbiate gradito: so che è più pesante del solito, stavolta mi son dato più al politico e so di essere una palla al piede, in questo, ma ci voleva proprio. Senza tutta sta parentesi, probabilmente la trama della long sarebbe andata diversamente.

Ne approfitto, per augurare a tutti un felicissimo 2012 a tutti. Mettetecela tutta per essere felici, ragazzi!

Al prossimo aggiornamento!

-RaspberryLad-

 

P.S: Una parentesi sull’avvocatura modenese, mò che ci penso: quando son stato a Modena, un anno fa, son passato per una zona nella quale, vedendo i citofoni, abitavano/lavoravano SOLAMENTE avvocati, per cui ho giocato un po’ su questo fatto J

   
 
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